Capitolo lunghissimo.
Buona lettura.
Capitolo 6
Riempio la mia testa della
martellante musica che sono solita ascoltare per il resto delle lezioni.
Ho due lezioni in comune con Edward,
letteratura e arte, ma solo alla prima sono obbligata a stargli vicino.
Arte è alla sesta ora, l’ultima prima
della fine delle lezioni, e sono felicissima che sia seduto lontanissimo da me,
dall’altra parte dell’aula, che per altro è una delle più grandi della scuola.
Se mi sta lontano posso stare
tranquilla nella mia stranezza, mentre quando mi è vicino tutto di quello che
fa e tutto di come è riesce sempre a sconvolgermi.
È più facile far passare la lezione
se lui è lontano di me. Riesco a non pensare, a farmi gli affari miei.
Mentre a letteratura sono costretta a
tenere gli occhi e le mani continuamente occupate, perché ho paura di tutto ciò
che potrebbe succedere se lo guardassi, o se mi toccasse ancora.
So che in lui c’è qualcosa che non va
e che soprattutto in me ci sono molte
cose che non sono normali quando mi è vicino.
Tiro un sospiro di sollievo quando
finalmente suona la campanella; non sono riuscita a inventare niente per
rimandare, anche se sarebbe meglio cancellarla per sempre, la serata di
stasera.
Non voglio che venga a casa mia! Non
voglio che sappia dove abito.
Mi alzo velocemente, visto che la
classe si sta svuotando ed Edward è ancora dentro.
Lui sembra quasi riflettere i miei
movimenti; appena muovo un passo, lo fa anche lui.
Mi anticipa alla porta e mentre sto
per afferrare la maniglia, lo fa lui, aprendomela e facendo un sorrisino
strafottente, come per dire “ah ah, sono
arrivato prima di te”.
Ho i battiti del cuore accelerati.
Cosa faccio ora? Non voglio neanche guardarlo.
I suoi occhi sono…
troppo per me.
Cammino svelta, lontano da lui. Tutto
ciò che voglio è che questa assurda attrazione che sento nei suoi confronti
smetta. Perché è venuto a Forks? Cosa vuole da me?
Voglio che mi lasci stare, voglio stare sola. Voglio che vada via, che vada da
Jessica, che lasci stare i miei amici e chiunque abbia dei legami con me.
Tutti mi vedono come un matta in
questa scuola. Perché non lo fa anche lui e mi lascia in pace?
Sento gli occhi pizzicare, quindi
allungo il passo più che posso.
“Bella!”, lo sento chiamare, “Bella,
aspettami!”.
“Scusami, ma vado proprio di fretta”.
Il tono della mia voce è acido e lo so. Ma cerco di sputare più veleno
possibile in quelle poche parole. Voglio che pensi che sono pericolosa. Non lo
sono assolutamente, ma tutto ciò che è sconosciuto e fuori dal comune è
pericoloso per la gente.
E io per lui sono una sconosciuta
fuori dal comune. Una pazza sconosciuta. Come per tutti gli altri.
“Non voglio rubarti tempo, solo dirti
che i tuoi amici mi hanno chiesto di venire a casa tua stasera”, il tono della
suo voce è assurdamente carezzevole.
Tengo gli occhi attaccati al
pavimento, ferma come una pietra. Sono troppo a disagio.
“Si, me l’hanno accennato”, dico con
rammarico evidente.
“Mi dispiace, ma non riuscirò a
passare”.
“Ah!”, strillo, tremendamente
entusiasta, forse troppo. “Cioè, insomma, mi dispiace. Sei sicuro?”.
Mi aspetto che se la prendi, gli ho
appena fatto capire che sono felice che non venga. Mentre lui ride solamente, e
la sua risata arriva fino ad illuminargli gli occhi come due bellissimi fari
nella notte. La mia notte.
“Si, sono sicuro”, mi risponde,
sorridendo ancora. Se ne va, girandosi un’ultima volta e sorprendendomi a
guardarlo andar via.
Abbasso gli occhi quando i suoi gli
cercano. Perché lo fa?
Mi rendo conto che mentre parlavamo
ci stavamo muovendo e che ora sono praticamente fuori da scuola, nel
parcheggio.
Mike è già nella mia macchina,
guardandomi con gli occhi ridotti a fessura. So che ha capito qualcosa. E so
benissimo che si arrabbierà con me.
Sono io quella che lo sta trattando
male. Ma non ho fatto niente per fargli intendere che non lo vorrei a casa mia
(cosa tremendamente vera).
Salgo in macchina riluttante,
cercando nella mia testa qualcosa da dire per parlare d’altro.
“È inutile che fai quello sguardo da
gattina spaurita, Bella”, sibila Mike, “che cosa hai combinato?”.
“Non ho fatto assolutamente niente!
Edward ha detto che stasera non può venire, tutto qui”, sussurro, a testa
bassa. Ma perché poi? Non è colpa mia!
“Tutto
qui? Ti sembra cosa da niente? Angela ucciderà prima te, poi me e poi se
stessa. Hai appena bruciato la sua possibilità di conquistarlo”, dice, a metà
tra il divertito e il melodrammatico.
“Beh, mi dispiace per lei. Ma io non
ho fatto niente per convincerlo a non venire. Non ci siamo proprio parlati”,
rispondo.
“Forse è proprio per questo. Non ci
parli mai, fai di tutto per evitarlo e quando sfortunatamente te lo trovi
davanti, non lo guardi neanche per un secondo!”.
“È solo che non mi interessa proprio
niente di lui, Mike. Anzi, mi sta antipatico”, mento, abbassando gli occhi.
“Antipatico? Ma se fa di tutto per
essere gentile con noi! Sai, Bella, io non ti riesco a capire. Non riesco a
capirti eppure sono tuo amico, l’unico insieme ad Angela. Certe volte penso che
neanche tu ti capisca. Sei di una bellezza mozzafiato, stravolgente, unica,
almeno penso, visto che sono rare le volte in cui ti vediamo senza quegli
orribili cappucci sugli occhi. Insomma, perché ti nascondi? Se solo volessi
potresti essere la ragazza più bella della scuola e avere tutti ai tuoi piedi.
Invece no, fai la reietta”.
“Non faccio la reietta! È solo che
non mi piacciono le attenzioni”, mormoro sempre più piano.
“E poi c’è questo ragazzo
assurdamente bello, a cui si vede da un chilometro che gli piaci”, mi sembra
quasi imbarazzato ora, “a meno che… a meno che tu non
sia lesbica. Allora le cose cambierebbero”.
Sbando con la macchina, colta di
sorpresa, ma grazie alle mie capacità
fuori dal comune, evito di finire fuori strada.
“Cioè, io sono gay. Sono il primo con
cui potresti parlarne. Non ti discriminerei mai! Anzi, direi che sarebbe
proprio fico”, dice, sorridendo però tremendamente imbarazzato. Succede
raramente che lo sia.
“Non sono lesbica, Mike. Chiudiamo
subito questa storia, eh? Solo perché Edward non mi piace, questo non vuol dire
che non mi piacciano tutti i ragazzi.
Non c’è solo la bellezza nel mondo; ci deve essere attrazione, complicità, per
far scattare la scintilla”.
Come due occhi unicamente color oro
che riescono a farmi tremare, un tocco freddissimo che riesce a far zittire il
mondo e tirarmi fuori dai miei problemi, come un salvagente che mi salva da
acque scure e troppo profonde per me.
“Allora cos’è che ti frena?”, chiede
quasi a se stesso, prendendosi il mento fra due vita e iniziando a pensare
furiosamente. “Ah! È per via di Angela?”.
“No”.
Stringo furiosamente il volante,
maledicendo il semaforo. Perché il rosso dura cosi tanto? Voglio arrivare
velocemente a casa di Mike e farlo scendere, cosi questa storia finirà.
Ma poi lui continua e io capisco di
essermi tradita da sola, rispondendo cosi velocemente.
“Dovevo capirlo subito! Quella
cazzata dell’attrazione era davvero grossa. Bella, stammi a sentire. Hai la
possibilità di perdere la verginità con il ragazzo più bello e affascinante
della scuola, o forse dell’intero pianeta. Ieri ho cercato su internet delle
foto di modelli, e nessuno era bello come lui. Ti rendi conto da cosa stai
scappando? Per cosa poi? Perché Angela si è prenotata?
È una cosa da bambini, cara”, cerca di convincermi.
“È ridicolo”, bisbiglio, scuotendo la
testa.
“Vorresti dirmi che hai già perso la
verginità? Con qualche spogliarellista sexy?”, mi prende in giro, e si vede da
un miglio che si sta divertendo un mondo.
Alzo gli occhi al cielo e rido, mio
malgrado.
Si gira verso di me e mi guarda in
modo strano; “spero con tutto me stesso che Angela si renda conto di che amica
speciale sei”.
**
Alla fine la serata salta
completamente.
Uno dei gemelli prende la febbre,
costringendo cosi Angela a rimanere a casa con lui, visto che i genitori
lavorano tutto il giorno.
Mike viene trascinato dal padre a
vedere la partita di baseball. Obbligato a indossare la maglia della squadra
preferita dal padre e a urlare nomi che non conosce e che legge su un depliant
che davano all’ingresso. Per aiutarlo a superare senza traumi quelle due ore
allo stadio, gli prometto che avrei massaggiato con lui tutto il tempo che
voleva, cosi da distrarlo.
Appena dico a Sabine che non
sarebbero venuti i miei amici, lei si mette a fare un sacco di telefonate per
annullare i suoi programmi e prenotare in un lussuosissimo ristorante appena
fuori città.
So che Sabine farebbe qualsiasi cosa
per vedermi indossare uno dei tanti abiti che mi regala quasi quotidianamente.
Perciò, quasi come un silenzioso ringraziamento per ciò che ogni giorno fa per
me, entro nel gigantesco armadio, fatico a dire che sia mio, mi metto un vestitino azzurro regalatomi da lei e i sandali
che ci ha abbinato. Svuoto il mio zaino e metto le poche cose che mi porto
sempre dietro nella piccola pochette oro.
“Sarebbe ora che iniziassi a vestirti
sempre cosi, sorella”.
Faccio un salto di mezzo metro e mi
volto verso Riley.
“Mi hai spaventata a morte”.
“Lo so, ma è troppo divertente
coglierti di sorpresa”. Scuoto la testa, soprattutto quando la vedo indossare
il mio stesso vestito e le mie stesse scarpe; il tutto le sta decisamente
troppo grande, visto che è tre anni più piccola di me e molto più bassa.
“Credi che Jacob ti avrebbe voluta se
ti fossi messa quelle orrende felpe? Ah, a proposito di Jacob, sai che ora sta
con Rachel? Hanno fatto quasi tutto, ma ora stanno litigando di brutto. Ogni
tanto lui la chiama col tuo nome e lei va su tutte le furie. È ovvio che lui
pensi ancora a te, ma come si dice, il
passato è passato, no?”. Chissà come fa a sapere sempre tutto di tutti. E
poi perché mi dice queste cose? Non mi interessa niente del mio passato.
Vado davanti allo specchio, sciolgo i
capelli e metto un po’ di lucidalabbra, l’unico cosmetico che ho, un cimelio della
mia vecchia vita.
“Non che non ne sia felice, ma come
mai questo drastico cambiamento”, mi chiede, squadrandomi dalla testa ai piedi.
“Sabine mi porta fuori a cena; l’ho
fatto per farle un piacere e farle credere che i suoi regali mi piacciono. Mi
pare si chiami ‘La vecchia Italia’, o qualcosa del genere”, bofonchio.
“Uh, che posto sciccoso! Vedrai che
ti piacerà. O almeno, la mia vera sorella sarebbe andata fuori di testa”.
Vecchia sorella. Quando smetterà di
criticarmi, cercare di farmi impazzire? Sento la testa che mi scoppia.
“Come fai a conoscere già il posto,
eh?”, le urlo, improvvisamente furiosa.
Pretende di entrare di soppiatto
nelle mie giornate, rendermi felice e arrabbiata allo stesso tempo,
spiattellarmi aneddoti che non mi interessano affatto sui miei vecchi amici.
Perché mi fa questo?
“Allora, quand’è che inizierai a far
parte dei V.I.P del paradiso? Quand’è che mi
dimenticherai e inizierai a divertirti?”, le chiedo, con tono ironico.
Ma sul suo volto spunta una faccia
cosi arrabbiata da farmi fare un passo indietro.
Ho detto qualcosa di cattivo
volontariamente, come lei lo fa con me. Non sono una persona particolarmente
vendicativa. Ma quant’è ormai che va avanti questa storia?
Da quando si sta divertendo con me?
Mentre sto per scusarmi, il suo
sguardo improvvisamente cambia.
“Mamma e papà ti salutano”.
E non la vedo più.
**
Il viaggio per arrivare al ristorante
dura circa mezz’ora e io non faccio altro che pensare a Riley.
Ho sempre chiesto notizie dei miei
genitori, ma lei è sempre scomparsa prima che io riuscissi a sapere qualcosa.
Mi stava solo prendendo in giro? Si
stava solo continuando a divertire?
Ricordo tutte le litigate quando mi
urlava che non mi avrebbe detto niente su di loro.
Ogni volta che la pregavo di poter
vedere mamma e papà come vedevo lei, si rabbuiava e se ne andava, sparendo per
settimane.
Quando Sabine parcheggia la macchina
e vedo dove ceneremo, mi rendo conto che lo ‘sciccoso’ di Riley
è decisamente un eufemismo.
Questo posto è lussuoso a dir poco.
Il ristorante si trova dentro un
hotel a cinque stelle nel centro di Port Angeles. Non
che la città in sé sia una metropoli, ma evidentemente è abbastanza grande e
frequentata da avere questo posto.
Insomma Sabine, stai portando tua
nipote depressa a mangiare fuori per farle sentire l’aria di città, non stai
per ricevere una proposta di matrimonio!
Ci sediamo in un tavolo al centro
della sala; la tavola (con tutte le tremila cose che ci sono sopra) è oro.
Tutto sprizza lusso, bellezza, soldi.
Mia zia ordina una bottiglia di vino
per sé e una d’acqua per me.
Insieme scegliamo cosa mangiare,
scambiandoci solo poche parole, e appena posiamo il menù, puntualmente arriva
un cameriere, molto simile ad un pinguino, per ordinare.
Quando va via, Sabine si mette una
mano fra i corti capelli biondi e gli sistema poi dietro le orecchie.
Sembra molto mio padre mentre quando
lo fa; lui era solito ravvivarsi i capelli cosi e ha passato questa cosa anche
a me.
Abitare insieme a Sabine, vedere i
tratti comuni che ha con mio padre, mi costringe a ricordare continuamente la
mia vecchia vita. È come un promemoria perpetuo, o una tortura perpetua.
È impossibile con lei davanti non
fare un paragone con la mia vecchia vita, quando a tavola eravamo in quattro e
non si stava mai un secondo zitti, tanto che la mamma era obbligata ad alzare
il volume delle tele per poter sentire le notizie.
Erano tempi felici. Io ero felice.
“Allora, Bella. Come vanno le cose?
La scuola? Gli amici? Tutto bene?”, mi chiede lei, sorridendo.
Vederla sorridere è il colpo di
grazia. Eppure lei e mio padre non erano gemelli, ma mi sembra quasi lo siano.
Forse sono io che cerco in lei mio
padre.
Sabine è una bravissima avvocatessa e
su questo non c’è dubbio, soprattutto per lo stile di vita che può permettersi,
che possiamo permetterci, ne è la prova indiscussa.
Il suo problema è con non è proprio
capace di chiacchierare. Sa tenere a bada dodici persone in tribunale, ma non
un’adolescente.
Allora le sorrido, e dico solamente:
“Tutto bene, grazie”.
Okay, forse faccio schifo anch’io in
queste cose.
Vedo che abbassa gli occhi e sospira;
mi prende la mano, ma prima che riesca solo ad aprire bocca mi sono già alzata
dalla sedia.
“Vado un secondo in bagno”.
Quasi faccio cadere una sedia, mentre
corro via per il lungo corridoio da cui siamo venuti, sfioro volontariamente
una cameriera, cosi da sapere perfettamente dove si trova il bagno.
È venerdì sera e l’hotel è pieno,
visto che viene festeggiato un matrimonio.
Passo al fianco di una decina di
invitati totalmente ubriachi e le loro aure sono cosi asfissianti, cosi
intaccate di alcool, che inizia a girarmi la testa.
Cerco di non pensare ai capogiri,
alla nausea; passo davanti a una decina di grossi specchi incorniciati d’oro,
nei quali in ognuno vedo mostrare Edward Cullen.
Per aprire la pesante porta del bagno
sono costretta ad appoggiarmi completamente sopra di essa e spingere con tutte
le poche forze che mi rimangono.
Negli ultimi mesi sono rimasta chiusa
nel mio guscio, gli occhi protetti dalle felpe e le orecchie dalla musica.
Ma se esco allo scoperto sono
vulnerabile, terribilmente vulnerabile.
Finora ho cercato di non pensare alla
situazione in cui sta vivendo Sabine.
Però quando poco fa ho toccato la sua
mano, sono stata investita dalla crudele verità.
Sabine è sola. È sola quanto lo sono
io e, ancora come me, non ha superato il trauma di perdere il fratello e parte
della sua famiglia nell’incidente.
Come lei è un continuo promemoria per
me, io lo sono per lei.
È stato facile non pensare a lei,
visto che non ci vediamo molto spesso. Lei ha il lavoro, io la scuola.
Durante il week-end io sono rinchiusa
in camera mia con i miei amici o fuori casa.
Forse l’egoismo mi ha sommerso,
impedendomi di vedere come io non sia l’unica a soffrire di questa situazione.
Appena concepisco la cosa, mi riavvio
verso la sala, determinata a far sentire Sabine un pochino meglio.
Non posso legarmi troppo a lei,
naturalmente.
Sono e rimango un fenomeno da
baraccone. Parlo con i morti e sento i pensieri altrui.
Sono troppo strano, troppo rovinata.
Non posso permettermi di portare qualcuno con me nel fondo della vita.
Mi siedo lentamente, sorridendole,
cercando di trasmetterle tranquillità: dovrò esserle sembrata matta ad
andarmene via cosi.
“Allora, hai per le mani qualche caso
interessante?”, le chiedo.
E da li, la serata procede
tranquilla. O almeno procede.
**
Mentre Sabine paga la cena e va verso
il parcheggiatore per sistemare le cose e riprendere la macchina, io rimango ad
aspettarla all’entrata dell’hotel.
Sono cosi concentrata a sentire il
disastro che si sta tenendo tra la sposa e la damigella d’onore, che faccio un
salto di mezzo metro quando sento una mano ghiacciata toccarmi.
Appena lo guardo negli occhi sento le
gambe tremare e il corpo andare in fiamme.
“Stai benissimo”, mi dice,
guardandomi con occhi strani, fermandosi sui fianchi, sul seno e sulle gambe.
Guarda anche i capelli, è la prima volta che li vede sciolti, la mia bocca e
gli occhi.
Sento le guance andare in fiamme; non
so cosa rispondere, quindi abbasso gli occhi e sorrido timidamente.
“Quasi non ti riconoscevo senza
cappuccio. Ma direi che è un piacevole cambiamento. Ti è piaciuta la cena? Ti
ho vista prima, ma sembravi molto di fretta, non volevo disturbarti”, continua.
Sento il suo sguardo addosso.
Allora, quasi sentendomi in diritto
di farlo, lo guardo anch’io. Lo
guardo nel vero senso della parola. Mi sento come affogare in lui, nella sua
bellezza, nel suo profumo strepitoso che riesco a sentire anche da un metro di
distanza. È come se fosse fatto a posta per me: è un mix di quelle fragranze
che mi fanno impazzire.
Cosa ci fa in questo hotel, di
venerdì sera, tutto solo e vestito come un modello?
Il suo modo di vestire è troppo
ricercato per un diciassettenne, ma allo stesso tempo sembra perfetto.
“Ho ospiti da fuori città”, risponde,
proprio mentre stavo per dare voce ai miei pensieri.
Mentre mi sto scervellando per
pensare a cosa dire dopo, arriva Sabine e stringe la mano a Edward,
presentandosi. “Io ed Edward andiamo a scuola insieme”, le dico, sperando di
placare parte delle sue domande.
Potrei aggiungere tantissime cose, ma
dovrei aggiungere dettagli come formicolii alle mani quando mi tocca, poteri
spenti di colpo… meglio tralasciare.
“Si è appena trasferito qui dal Nuovo
Messico”, aggiungo, sperando che basti fino all’arrivo dell’auto.
“E dove stavi precisamente nel Nuovo
Messico?”, sorride lei, guardandolo. Che sia caduta anche Sabine nel calore del
suo sguardo?
“Santa Fe”, risponde Edward,
sorridendole di rimando.
“Ho sempre voluto andarci; mi dicono
sia un posto fantastico”.
“Mia zia fa l’avvocato e lavora
tantissimo”, mormoro, concentrandomi nella direzione in cui dovrebbe arrivare
la nostra auto. Dieci secondi. Nove, otto, set…
“Stiamo tornando a casa, ma se vuoi
venire con noi ci farà molto piacere”, gli propone Sabine.
È impazzita? E soprattutto, come ho
fatto a non rendermi conto che stava per dirlo?
Ho la lingua pietrificata. Guardo
Edward con occhi sbarrati, pregandolo silenziosamente di rifiutare. Lui
risponde: “Grazie davvero dell’invito, ma devo andare anch’io”.
Indica qualcosa alle sue spalle con
il pollice; automaticamente mi giro e la vedo.
Una ragazza bellissima, con una lunga
lingua di capelli color fuoco. Ha un vestito nero provocante e un paio di
sandali con un tacco vertiginoso.
Mi sorride, ma senza alcuna
gentilezza.
È buio, ma riesco a vedere
chiaramente le sue labbra rosse e lucide piegarsi leggermente. La sua posa, il
modo in cui tiene il mento leggermente in avanti, la fronte piana, mi danno la
sensazione che vedermi accanto a Edward la diverta molto.
Mi sento insignificante pensando che
sia la sua fidanzata, quindi mi giro verso di lui, sorprendendomi però di
trovarlo a pochi centimetri dalle mie labbra, con la bocca leggermente schiusa.
Il suo profumo è ancora più fantastico di quando credessi.
Mi sfiora una guancia, poi mi sistema
i capelli dietro l’orecchio, prendendo da lì un tulipano rosso e porgendomelo.
Il mio ricordo successivo è di me
nella mia camera, intenta ad accarezzare i morbidi petali del tulipano. Mi
serve per farmi capacitare che misteriosamente un tulipano è spuntato da dietro
il mio orecchio e che, soprattutto, la primavera è passata da due stagioni.
Solo quando esco da quella specie di
trans, che mi rendo conto che neanche la rossa aveva un’aura.
Incapace di continuare a pensare e
farmi domande, appoggio la testa sul cuscino. Mi basta un attimo per cadere in
un profondissimo sonno, tanto profondo che quando sento dei rumori nella mia
stanza, non apro nemmeno gli occhi.
“Riley,
senti, so di averti trattato male e di aver urtato la sua sensibilità di
ragazzina, ma ora vorrei veramente dormire. Non è stata una giornata facile e
non ho voglia di giocare. Perché non ti presenti a un’ora più decente, invece
che piombare in camera mia alle…”, apro gli occhi
solo per guardare il display della sveglia, “alle 3.45? Potrai presentarti con
il vestito da fata che avevo l’halloween dell’anno scorso, quando mi sono
baciata con Jacob per la prima volta. Ma ora lasciami solo dormire”.
L’unico problema è che dopo aver
detto tutte queste cose sono praticamente sveglia.
Quindi apro definitivamente gli
occhi, mi tiro su, fulminando con gli occhi la figura che si è comodamente
seduta sulla poltrona azzurra che ho davanti al letto.
“Ho detto che mi dispiace, va bene?
Che altro devo dire per mandarti via?”.
“Riesci a vedermi?”, chiede,
allontanandosi da lì.
“Certo che ti ve…”.
Mi interrompo subito, rendendomi conto che la voce è affatto quella di Riley.
Questo capitolo doveva
essere diviso in due. Ma poi sarebbero venuti troppo corti, quindi ho deciso di
gestire cosi la cosa. Spero che non vi abbia annoiate, ma visto che molte di
voi hanno chiesto di scrivere di più, magari la cosa vi può far piacere.
Questa storia è tra le
preferite di 40 persone
Questa storia è tra seguite
di 62 persone
Questa storia è ricordata
da 1 persona
Grazie mille ai 7 che hanno
recensito (possiamo fare di meglio, no?).
15/08/10, ore 04:45 - Capitolo 5: Capitolo 5 |
|
Non ce la posso fare a scrivere quella storia! Non so
perché! Mi blocco in una maniera assurda… :S Scusa davvero… ma non so che fare per superare la cosa. Non mi
viene neanche da aprire la sua pagina di word. Far parlare Edward e Rosalie… forse è che non so come far andare avanti le
cose, non so come potrebbero venire fuori dalla (posso dirlo?) merda che quei
due hanno creato. Help. |
13/08/10, ore 01:20 - Capitolo 5: Capitolo 5 |
|
Grazie per aver recensito ogni capitolo, ho apprezzato
davvero tantissimo. Anche leggere le domande che spontaneamente si formano
nella vostra testa una volta letto il capitolo mi entusiasmano. Grazie. Un
abbraccio. |
12/08/10, ore 19:54 - Capitolo 5: Capitolo 5 |
|
Cara, ho deciso che aspetterò sempre che tu recensisca
prima di aggiornare xD può sembrare una specie di
ricatto ma non lo è; mi piace troppo leggere cosa pensi, non posso farne a
meno! Ho fatto il capitolo trppo lungo? È stato
noioso? Sbizzarrisciti e dimmi tutto
quello che pensi. Un bacione. |
11/08/10, ore 22:34 - Capitolo 5: Capitolo 5 |
|
Forse il fatto che nessuno abbia mai pensato a un Mike
spiritoso e affidabile lo ha reso antipatico. Ma se ci pensi, anche nella
saga, se non fosse per il fatto che è cotto di Bella, sarebbe potuto essere
un personaggio simpatico. Grazie per tutti i complimenti, davvero. Spero
recensirai anche questo capitolo e mi scriverai cosa ne pensi . un abbraccio. |
11/08/10, ore 17:52 - Capitolo 5: Capitolo 5 |
|
Ciao! È da molto che segui questa storia? Beh, che tu
sia “nuova” o no, sono molto contenta che tu abbia recensito. Grazie. |
11/08/10, ore 16:35 - Capitolo 5: Capitolo 5 |
|
Spero che questo lungo capitolo abbia placato almeno
in parte la tua curiosità. Ma sospetto che ti siano saltate in mente ancora
più dubbi! Mistero!:) un abbraccio. |
11/08/10, ore 16:19 - Capitolo 5: Capitolo 5 |
|
Cercherò di non sparire di nuovo. Però ti assicuro che
non abbandonerò questa storia, quindi anche se per un po’ non vedrai gli aggiornamenti, tu aspettami. Tornerò
sempre! Un abbraccio. |
Grazie a tutti.
A presto.