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Autore: Kokky    20/08/2010    2 recensioni
Un mondo parallelo e antico, popolato da vampiri che si muovono nell'ombra e umani troppo ciechi sui nemici succhiasangue. L'esercito, i positivi e gli alchimisti sono gli unici che possono proteggere l'umanità da ciò che stanno bramando i vampiri...
Un'umana insicura. Due piccoli gemelli. Un vampiro infiltrato. Una squadra di soldati. Una signora gentile e un professore lunatico. Una bella vampira e il capo. Due Dannati. L'Imperatore e i suoi figli. Una dura vampira. E chi più ne ha più ne metta!
Di carne sul fuoco ce n'è abbastanza :)
Provare per credere!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Positive Blood' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Nota prima della lettura: scusate il ritardo °_° ho cercato un po' di tirare le fila e dal prossimo capitolo i soldati si muoveranno per iniziare la guerra. Muahahah.
Buona Lettura.





97 – Le ovvie conseguenze del rapimento

L’Imperatore scosse il capo, serrando il pugno massiccio sul bracciolo della sua poltrona. Il Segretario di Guerra lo squadrò con un sospiro afflitto, cercando invano di calmare lo spirito del sovrano.
I Burnside erano sempre stati dall’animo focoso, questo era certo, e l’Imperatore non era da meno. Dopo essersi ripreso dal duro colpo del rapimento di Eve, avvenuto due giorni prima, era più carico di prima a sterminare totalmente i vampiri.
«Com’è stato possibile un tale oltraggio! E con che disposizione, se non questa, dovrei affrontare la battaglia? Non siete voi che dovete consigliarmi, oggi – né potete cercare di chetarmi. È meglio far andare a chiamare mio figlio Richard, lui sì che ha il diritto di fiatare, almeno ora. Sarà lui a dirigere la guerra».
Il Segretario, la cui carica era stata istituita proprio per quelle situazioni, avrebbe voluto lamentarsi, ma tacque per non ricevere altro disprezzo da quell’uomo testardo e indubbiamente autoritario. Solitamente era un uomo giusto, obbiettivo, ma in quel momento l’Imperatore Achille era più che altro un padre infuriato.
Un servo si mosse, senza che nessuno lo apostrofasse, per cercare Richard. Quello era già dietro la porta, aspettando che il padre gli desse la possibilità di parlare, cosa che aveva ottenuto non senza impegno. Per anni aveva dimostrato quanto valesse sul campo, quanto fosse abile nella strategia e nella battaglia, con un’indole sicuramente ardita, eppure abbastanza lungimirante da portare alle giuste scelte.
Richard, vedendo la porta spalancata dal servo, irruppe nella stanza con un urlo mezzo soffocato: «Padre», disse, avanzando rapidamente verso egli. Il giovane, all’incirca sui ventisei anni, era alto come la madre defunta, aveva le spalle larghe e le mani grandi, gli occhi scuri pieni d’intelligenza e voglia di fare.
«Richard, avvicinati a me», ordinò il padre, seguendolo con lo sguardo. Il Segretario si spostò per lasciare il posto alla destra dell’Imperatore, non senza un certo rammarico che si espresse in una buffa smorfia.
Richard si mise accanto all’Imperatore, incapace di aspettare oltre: «Padre, quello che hanno fatto... che ci hanno fatto... e il popolo, ho sentito, dà già per morta mia sorella. Eve non avrebbe mai fatto male a nessuno, dovevano prendere proprio lei? Perché, poi? Solo perché fa parte della nostra famiglia? Non è giusto, non così, d’altronde non c’era d’attendersi lealtà dai vampiri, non mi sono mai aspettato nulla da loro. Serpi in seno all’umanità, ecco. Chiedo vendetta, mio signore», esclamò, mentre la voce aumentava di tono e le sopracciglia virili si piegavano sugli occhi neri. Vi era un odio profondo nelle sue parole, magari smorzato da quelle semplici frasi, ma indubbiamente presente; e non era qualcosa nato da poco.
«Figlio mio, sai cosa penso di quelle bestie. Ho sempre desiderato porre fine a questa mostruosità e il rapimento di Eve è l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. Sangue del mio sangue versato per quelle stupide pretese di potere! Siamo noi a detenerlo, noi Burnside, e nessun’altro. Noi umani, dalla vita breve ma importante, dalle aspirazioni forti e i desideri struggenti; siamo noi a comandare su questo mondo. Che il popolo non se lo dimentichi, accecato dalla paura! Abbiamo ancora il coltello dalla parte del manico.
Voglio che tu parta, Richard, e subito; va’ insieme all’esercito stanziato non lontano da qui, mentre il S.S.E.V. spingerà quei mostri alla Piana di Fuoco. Sterminali, affinché questa piega sia finalmente sanata dalla nostra società, dal nostro mondo.
Vendica tua sorella, figlio di Achille; vendica le sue carni e le sue lacrime, dimostra che la maledizione gettata su di lei – ogni torto arrecatole dovrebbe essere un danno a chi le è caro – è solo una menzogna. Vinceremo, vincerai per l’umanità», si fermò un istante, riprese fiato, pensando che forse quel discorso avrebbe dovuto farlo a tutte le genti di Alesia, sì, l’avrebbe fatto, poi concluse: «Vendicaci, Richard, dimostrando quanto sia duro il callo degli umani su questa terra».
Il figlio s’alzò, commosso, mentre s’animava per quello che sarebbe successo. Serrò l’aria con un pugno, poi s’inchino, sottomettendosi al padre.
Achille annuì felicemente, sentendosi un po’ rincuorato. Sapeva simulare bene, l’inquietudine non era trasparsa nemmeno una volta nelle sue parole. Eppure percepiva una fiacchezza di fondo, come se avesse un punto debole che non aveva calcolato e che non riusciva a rintracciare.
Un tallone, magari, mai preso in considerazione, poiché era la fine del corpo insieme al piede. A volte bastavano piccoli presagi per capire la realtà immensa delle cose; a volte, come quella, nonostante tutto si era troppo ciechi per comprendere a fondo se stessi.


Da un’altra parte di Aiedail, in un castello collocato su un pendio scosceso, feste di sangue suggellavano l’ilarità e la gioia dei vampiri.
Gabriel, il loro capo, era il primo a festeggiare un rapimento tanto riuscito e la distruzione di un villaggio vicino ad Alesia, fonte di terrore puro per tutti gli umani dell’Impero. Non vi era cosa migliore che l’incutere paura nella gente.
Juliet guardava il consorte con soddisfazione, stringendo al seno un bambino dagli occhi ormai spenti e molte ferite sul collo e sul polso – tagli di denti, di zanne.
Nel salone dove i vampiri si erano riuniti, un silenzio irreale accompagnava il festeggiamento. Cain, da una parte, sorrideva sgozzando gole e cercando di acquietare la sua sete secolare; in un’altra zona, Armelia beveva del Positive Blood, seduta su un divanetto nero, mentre ogni presente era concentrato solo su se stesso e sulla propria vittima.
Non vi era comunione nei vampiri, non vi era condivisione – se non d’intenti – in quel momento: ognuno aveva che fare, e di certo quella sanguinaria follia non portava a una felice riunione di famiglia. Erano lì insieme, costretti soltanto da un odio comune: l’umanità dominatrice. Ma erano soli – e volevano esserlo.
Armelia spostò lo sguardo algido dalla bottiglia a Gabriel. Lui si era voltato un attimo, cercando Juliet, e sorrise alla moglie, scoprendo i canini appuntiti. Erano quei due gli unici fuori di posto, che si congiungevano nella gioia malsana.
Armelia sputò a terra un po’ di sangue, si alzò e iniziò a pensare come organizzare l’esercito di vampiri; c’era una guerra da combattere, anche se per farsa.
La vittoria era già loro, ma non l’avevano ancora raggiunta, quindi si mosse celermente e andò a comandare gli eserciti offerti dagli altri capofamiglia.
Dovevano fingere di assecondare gli umani: soltanto così sarebbe tutto durato più a lungo e, in questo modo, sarebbe stato più divertente.
Cain rise di gusto nel vedere Armelia al lavoro: a lui importava il sangue, non altro, non le beghe di vampiri aspiranti al potere; e quei minimi sforzi gli parvero molto buffi, soprattutto mentre s’ubriacava di Positive Blood, ascoltando qualche urlo sporadico di vittime ormai spacciate.


Eve si svegliò: era il suo quarto giorno di prigionia e, indubbiamente, era notte. Era troppo stanca per muoversi molto, poiché fino al giorno prima aveva scalciato, urlato, strillato affinché la facessero uscire; e senza risultato, se non quello di ottenere una doppia razione di cibo che, ovviamente, aveva rifiutato.
Si era indebolita un po’ troppo.
Si alzò dal letto, rassettando la camicia da notte bianca, e mosse qualche passo nella sua stanza. Era una prigione davvero confortevole, su questo non aveva dubbi; nonostante ciò, tutto quello gli sembrava asfissiante.
Sia la tappezzeria scura, che i divanetti eleganti ai lati di un tavolino rosso, e le finestre inferriate, coperte da tende pesanti, di velluto. Non vi era aria per pensare.
Eve camminò febbrilmente, sbattendo le mani sulle pareti. Si sentiva una stupida, ma era stata abituata a giardini pieni di fiori, ad essere sempre circondata di gente, a ragionare in ogni istante; e si preoccupava troppo per la sua famiglia per riuscire a respirare normalmente o a fare qualcosa di sensato.
Proprio mentre la disperazione la stava per prendere, la porta venne aperta e Hassan entrò nella sua stanza.
Eve lo scrutò con occhi vacui, tentando di vedere oltre il mondo di vetro che le era stato creato attorno in quegli anni, di conoscere non solo leggende e parole, ma fatti e verità. Voleva capire quei vampiri che l’avevano rapita – e poi fuggire per le lande umide di rugiada, verso la reggia.
«Ho pensato che, abituata come sei alla servitù, vorrai qualcuno che ti aiuti nelle tue solite faccende. Finché sarai con noi avrai ciò che nessun vampiro donerebbe a un umano: una sorta di rispetto», borbottò lui, avvicinandosi a Eve. Lo sguardo scarlatto sembrava irritato.
Eve, solitamente, avrebbe ringraziato con una riverenza e dolci parole. Un tempo. Non ora, aveva troppa paura per continuare a vivere in quel modo, anche se erano passati solo quattro giorni. «E dovrebbe bastarmi?»
«Viziata, nobile senza neanche un briciolo di riconoscimento».
«Grazie tanto per avermi rapito, signore! Sarai tu il bellimbusto tanto educato», ribatté e, sconvolta, si coprì la bocca con le mani. Cos’aveva osato dire... al suo rapitore, per giunta, un vampiro negativo con sete di sangue in corpo. E la sua voce non aveva tremato, né lei aveva abbassato lo sguardo in modo remissivo...
Doveva essere molto stanca e affamata, Eve, per esser capace di tanto. O, finalmente, si stava scollando da tutta l’educazione impartitale e i buoni sentimenti inculcateli. Non che fosse davvero così: Eve era sinceramente piena di bontà, ma anche lei aveva dei limiti – che non aveva mai saggiato, se non in quell’istante.
Hassan ridacchiò. Eve si era aspettata una risposta differente.
«È proprio vero che siete pieni di voi stessi, nobiluomini senza arte né parte, eppure talmente convinti di essere nel giusto da rasentare la stoltezza», esclamò Hassan, sfiorando con due dita le ciocche nere di Eve, senza un motivo sicuro. Probabilmente era un suo vezzo.
Eve, come qualche sera prima, non ne provò paura, ma eccitazione, e serrò le labbra per non dirgli subito quant’era stato gentile ad avergli proposto di avere una dama di compagnia.
Approfittò, invece, di quel momento. «Ti chiedo un’altra cosa al posto della compagnia. Aiutami a fuggire... devo tornare a casa. Troppa gente sta in pensiero per me, mio padre, mio fratello, i miei cugini; mia cugina aspetta che le racconti una bella favola, come faccio ogni sabato sera, e non solo lei... il popolo vorrà vedermi, vorrà sapere che sono in salvo. Devo...», si bloccò.
«Devi confortarli tutti, vero? Non sei loro madre. Ti danno già per morta, tu guarda, non sanno che ai vampiri piace giocare con il cibo, come ai gatti. Non hanno nemmeno il tempo di compiangerti. La paura gli congestiona il corpo, il respiro; pensano a che fine faranno. La loro speranza, eri tu, è andata; la loro prediletta è stata dimenticata, perché vi è qualcosa di più importante: il loro culo», sogghignò Hassan, cercando di ferirla in tutti i modi. Hassan scorgeva in lei una debolezza d’animo che egli aveva avuto da vivo: era stato per anni in un letto, senza far nulla, ammalato e circondato d’amore che non aveva chiesto. E che doveva dare a sua volta.
Eve raggelò a quelle parole. Si ritrasse dalla sua mano, allontanandosi, e si sedette sul divanetto; era fiacca per il digiuno e non riusciva più a distinguere obbiettivamente un no.
Supplicò.
«Ti prego, ti scongiuro; loro mi aspettano, inutile negarlo, soffriranno della mia mancanza; io non posso stare qui. Aiutami e ti darò qualsiasi cosa in cambio», sussurrò, guardando i suoi occhi rossi.
Era vero: i vampiri erano bestie, come nelle favole, ma non erano così brutti come li avevano dipinti; anzi, possedevano un fascino capace di soggiogare chiunque. Un fascino crudele.
Hassan la soppesò con lo sguardo, sedendole accanto; ed era bello, indubbiamente, malefico ma bello. Troppo feroce per il suo cuore d’umana, in realtà; eppure Eve non vi pensò mentre aspettava una sua risposta. Aveva speranza, fin troppa.
«Mi daresti il tuo corpo dalla pelle liscia di chi non lavora, di chi non ha mai sudato; mi daresti i tuoi occhi neri e i tuoi capelli ricci, trattati con oli preziosi? E le tue mani curate, dalle unghie ovali? Mi daresti il tuo sangue?», allora rise, smorzando la serietà delle sue domande. «No, nobildonna, non lo faresti mai. Né io ti aiuterei: non vi è pietà per la propria cena».
Hassan si alzò, mentre crudelmente la fissava con un’espressione di sprezzo. Eve iniziò a piangere quando egli si richiuse la porte alle spalle, e allora capì che doveva mangiare. Per sopravvivere abbastanza da poter stringere i suoi cari.

Ore dopo, era passato un altro giorno, Eve venne svegliata da una serva. La signora Liddell desiderava parlarle.
Eve camminò al fianco dell’umana per corridoi illuminati, pieni di quadri raffiguranti battaglie, e dopo qualche minuto raggiunse Armelia e gli altri.
Violet sedeva su una sedia molto più grande di lei, dalle gambe di noce e l’imbottitura nera. Hassan stava in piedi, accanto ad Armelia.
«Alla buon’ora, Lizzie. Va’», ingiunse la vampira, fissando Eve mentre la serva si ritirava da una porta secondaria.
Armelia si rivolse ad Eve.«Dobbiamo andare via da questa casa. C’è una guerra da combattere. Il tuo rapimento è stato utile: sono più rapidi, forse sperano di salvarti... insomma, non posso sopportare un torto così grande», ghignò Armelia, duramente, mentre Violet giocherellava con un pupazzo a forma di coniglio. Oh, non era la metà del suo orsacchiotto; infatti, poco dopo lo gettò a terra.
«Beh, non vi servo più... che ne sarà di me?», chiese Eve, torcendosi le mani sotto la veste. Aveva paura per se stessa e per tutti gli altri che facevano affidamento su di lei... se le fosse successo qualcosa, la sfortuna si sarebbe abbattuta su suo fratello.
«Per ora rimarrai quel che sei: viva. Vederti sul campo di battaglia confonderà i soldati umani».
Hassan guardò Eve freddamente, chiudendo il discorso aspramente: «Sarai come gli altri mortali, mia nobildonna, cadrai in miseria, con la paura di diventare il prossimo pasto».
Violet s’alzò con un sorriso, esclamando allegra: «Che si aprano le danze. Andiamo a reclamare sangue».
E così fecero.
*









1) Questo è il capitolo più lungo di PB (se non erro), o uno dei più lunghi xD
2) Sto cercando di fare i cap meno corti, yea +w+ anche perché visto l'aggiornamento sporadico...
Comunque. Ringrazio di cuore tutti i preferiti, ricordati, seguiti... e tantissimo chi ha recensito:
mikybiky: Grazie. Per Sofia vedremo °-° ho l'idea di mostrarla ancora, ma non so quanto, in che relazione con la guerra... boh, xD, vedrò che fare +_+
Cloud Ribbon: Grazie come sempre per la bellissima recensione *___* non importa il ritardo, un po' mi sento fuori posto se non ho il tuo commento, di qualunque lunghezza sia XD e in qualsiasi momento arriva. Muah. Già, povero Francis °-° credo che sia convinto nel voler ancora lottare; chi vivrà vedrà! (l'autrice non ha l'idee ben chiare XD). Questo cap è meno dipinto, ora che ci faccio caso, e più dialogoso. Spero ti paiccia lo stesso (io non sono granché con i dialoghi.)


Che il sangue sia con tutti voi! Attenti a non lasciare tracce, vampirofili =)
A presto, si spera;
   
 
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