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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    21/08/2010    1 recensioni
Minako non è destinata a diventare Geisha come tutte o quasi le ragazze della sua città, comprese le sue due sorelle. Per lei, suo padre, ha riservato un destino particolare: sin da bambina, infatti, ha ricevuto lezioni per diventare una perfetta arciera. Una volta cresciuta verrà inviata presso lo Shogun – un uomo austero, freddo e carismatico a detta di tutti - per diventare un’arciera del glorioso esercito imperiale. Ma, spesso il destino muta i piani. [4° Classificata al Contest "Le Sette Barriere Psichiche" di May8Rose - Storia Valutata da Bimba_Chic_Aiko, a cui va un sentito grazie di cuore!]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo Capitolo



    Dopo giorni di cammino, arrivai infine alla città imperiale, che in un primo tempo mi lasciò notevolmente spaesata. Una giovane ragazza di un piccolo paese non era avvezza a passeggiare con tranquillità lungo le strade di quell’immensa città. Scrutavo tutto con pura curiosità, restando affascinata dalla vitalità delle persone, dal cibo squisito che s’intravedeva nei vari chioschi lungo le strade, e splendide Geishe con vari kimoni dai colori sgargianti, che sorridevano divertite o forse imbarazzate quando gli uomini le guardavano con interesse. Tuttavia, era la presenza dei soldati, nelle loro particolari armature, che mi lasciava più affascinata: un giorno, forse quel giorno stesso, sarei diventata una di loro.
Non potevo nascondere l’ansia che mi pervadeva l’animo nel dover trovarmi al cospetto dello Shogun in persona, ma ricordando le parole di mio padre, fui spronata a continuare, arrivando al Castello e recandomi, infine, laddove alloggiava l’esercito imperiale.
Notai la presenza di numerosi giovani, tutti armati, altri con vere e proprie katane al fianco, segno tangibile del loro grado. Erano sicuramente dei Samurai. Restai per qualche istante imbambolata a guardarli, con la più completa ammirazione. Un gruppo di esploratori, dedussi osservandoli con meticolosa attenzione, stavano marciando diretti chissà dove, mentre un altro gruppo tentava di rientrare. Scossi il capo, dopo qualche attimo, per poi addentrarmi nel luogo, fermandomi al cospetto di due Bushi armati che vigilavano l’ingresso.
Prima di poter parlare, notai i due battere un colpo secco alla porta chiusa con le loro spade, forse per richiamare qualcuno; e, infatti, poco dopo spuntò fuori una recluta, almeno da quanto potei dedurre, che per poco non fu travolta dal gruppo di esploratori che stavano facendo il loro ingresso. Cercai di non sorridere, per non sembrare sgarbata, ma anche perché m’immaginai al suo posto: se lo Shogun mi avesse presa, avrei potuto fare quella fine.
Dopo essere riuscito a “liberarsi”, mi si avvicinò, incrociò le braccia al petto prima di chinarsi, poi mi rivolse parola:
« Benvenuta, il Generale è nella sala di addestramento a sovrintendere di persona, ma è sempre disponibile a ricevere le persone che lo contattino. »
Senza aspettare una mia risposta, iniziò a camminare invitandomi a seguirlo. I due piantoni all’entrata mi lasciarono passare, e così, silenziosa seguii la mia “guida” verso la sala d’addestramento, mentre tentavo di dominare ancora quell’agitazione crescente per l’incontro con lo Shogun.
Già prima di accedere alla sala, sentii una voce autoritaria e decisa impartire ordini precisi ai vari soldati, ciò nonostante frenai l’agitazione, respirando un poco per rilassarmi, e oltrepassai la porta, donando una prima panoramica al luogo. Era un’ampia sala, con tutti gli armamenti e strumenti utili ad apprendere le tecniche del combattimento con ogni genere di arma. Lungo le pareti erano affisse armi di ogni genere, ma in particolare soffermai lo sguardo sui lunghi e splendidi archi e, per un attimo, una forte emozione al pensiero di poterne usare uno, un giorno, s’impossessò di me.
« Venerabile Shogun, è appena arrivata l’aspirante Minako. »
Le parole della recluta distolsero la mia attenzione dall’arma che più prediligevo e mi spinse a soffermare lo sguardo sulla figura dello Shogun: era un uomo di media statura, completamente pelato, con dei baffi scuri. Gli occhi erano profondamente scuri e seri, e di fronte a quell’aura importante che mostrava, io mi sentii piccola, piccola, e una parte di me sarebbe voluta scappare via, ma le parole di mio padre riecheggiarono nella mia mente, e mi spronarono a farmi coraggio. Mi avvicinai ancora di qualche passo, per poi inchinarmi profondamente al suo cospetto.
« Konbanwa Venerabile Shogun. » proferii in tono abbastanza sicuro, ma rispettoso. Rimasi chinata, finché lui non mi disse di alzarmi, sebbene cercassi di non guardarlo dritto negli occhi, per una questione di puro rispetto e reverenza.
Lui congedò la recluta e poi mi diede appena uno sguardo, prima di rivolgermi saluto.
« Konbanwa »
Tornò poi a dare attenzione ai suoi soldati, mentre io rimasi silenziosa al mio posto, senza interferire in alcun modo. Dopo qualche minuto, tornò a ridarmi la più completa attenzione.
« Così vuoi entrare nell'Esercito. Posso insegnarti un mondo dove chiunque ti trovi per strada, saprà che sei persona da rispettare e da temere allo stesso tempo...» sentii i suoi occhi fissarmi e mi ritrovai ad alzare lo sguardo per incrociarli. Mi sentivo un poco in soggezione, seppure lo ammirassi.
« Sì, è mio desiderio entrare nell'esercito, per mettermi al tuo servizio e a quello nel nostro Venerabile Imperatore. » cercai di mantenere un tono sicuro, senza la minima esitazione, per non mostrarmi fragile. « Sarebbe per me un onore e un gran piacere trarre insegnamenti da te, sempre se mi reputerai una persona idonea ad entrare tra le fila dell’esercito imperiale. » tornai a tacere, per non sembrare una di troppe parole. Mio padre mi aveva insegnato a rispondere in modo chiaro e non troppo logorroico.
Lui non mostrò alcuna emozione particolare, ma prese a camminare, invitandomi poi a seguirlo, cosa che prontamente eseguii.
« Hai mai usato un’arma prima di oggi? » mi domandò.
« Sì. Mio padre mi ha insegnato a usare l'Arco, sin da bambina. Ed è proprio questo il mio sogno, entrare nell'esercito, magari per diventare Arciera... Non sarebbe solo il mio desiderio, ma anche quello di mio padre. E non voglio deluderlo. » risposi.
« Arco. Eccellente arma! Più di una volta in guerra, gli arcieri hanno permesso di vincere una battaglia! » esclamò austero, per poi mutare espressione di colpo e fissarmi in maniera quasi insistente. Tuttavia cercai di non scompormi, e attesi la sua seguente domanda.
« Sei pronta a dare la vita per il tuo Imperatore? Prenditi il tempo che occorrerà per questa risposta, poiché da essa dipenderà il tuo futuro... » mi sorrise, ma emanava una crudeltà che per un attimo mi scoraggiò. Tuttavia continuai a fissarlo, per dargli modo di capire che non mi lasciavo abbattere da un semplice sorriso crudele, o parole pericolose.
« Sì, sono pronta a farlo. Sono pronta a fare del mio meglio, per proteggere il nostro Imperatore e queste terre che mi hanno dato la vita. Anche a costo di perderla. E' questo che mi è stato insegnato, questo che voglio fare. » nessun tentennamento nel mio tono di voce, sicurissima di ciò che avevo appena proferito, poiché sin da bambina tale era stata la mia educazione e ero cresciuta con pensieri e credi ben precisi, che non potevo mutare con un semplice soffio di vento.
Mi guardò per diversi istanti in silenzio, come se volesse scrutarmi sin nelle profondità del mio animo. Probabilmente voleva capire la mia sincerità e, quando ne fu convinto, riprese a dire:
« Bene Minako-san... da oggi, sei ufficialmente Recluta dell'Esercito Imperiale! » fiero, deciso.
A quelle parole, non riuscii a trattenere un sorriso. Ero orgogliosa di me e desiderosa di apprendere quanto più possibile da un uomo con un tale carisma, per il quale provavo anche una forte ammirazione.
« Ti ringrazio di avermi dato questa possibilità e farò del mio meglio per non deluderti mai. » proferii, per poi chinarmi di nuovo profondamente. La gioia era grande, ma volevo trattenerla per quando lo avrei detto a mio padre.
« Non mi devi ringraziare ancora. Adesso, viene la parte più difficile: l'addestramento. Avrai un istruttore, ma di tanto in tanto sarò io di persona a controllare la tua abilità. » a quelle parole mi limitai ad annuire, mentre continuavo a camminare al suo fianco. Lui di tanto in tanto osservava l’operato dei suoi soldati, intervenendo quando poteva.
« Domani stesso inizierai il tuo addestramento. Dovrai imparare a usare ogni arma, anche se ho intuito la tua particolare predilezione per l’arco. Per questo ti chiedo, vorrai iniziare subito a mostrarmi la tua abilità con l’arco, o preferisci iniziare il vero e proprio addestramento con la spada? » tornò a fissare i suoi occhi nei miei, ed io prontamente risposi:
« Preferirei l'arco, cosi magari potrai aiutarmi a migliorare quel che so e ho imparato. Se per te va bene. »
« Così sia, partiremo con l’arco. Fatti trovare qui, domani, e, se dimostrerai di saper apprendere al meglio le lezioni e far tesoro di ogni minimo insegnamento, vedrai che la promozione arriverà presto. »
Annuii di nuovo, lasciando affiorare un lieve sorriso sulle labbra.
« Mi impegnerò al massimo, Venerabile Shogun, poiché non voglio deludere né te, né mio padre. » chinai appena il capo, prima di estrarre la lettera di mio padre da una tasca del lungo kimono blu che indossavo. « Mio padre mi chiede di consegnarti questa. » aggiunsi, prima di tenderla verso di lui. Lui la prese tra le sue mani e, dopo averla srotolata, iniziò a leggerla con interesse. Notai l’accenno di un sorriso sul suo volto, non appena lesse il nome di mio padre.
« Michio-san. Tuo padre. » mormorò appena, tornando a rivolgermi lo sguardo e per un attimo notai che la sua espressione si era un poco distesa. « Lo conosco bene. » aggiunse e riprese a camminare. « Fu anni fa, quando ancora ero Sottufficiale, durante una spedizione, fummo vittime di un'imboscata. Ci salvò l'arrivo di alcuni contadini, capitanati da Michio. Ci aiutarono a vincere quella battaglia e da allora, tuo padre è l'unica persona ancora in vita che possa usare il mio nome Azumamaro. »
Di fronte a quella storia fui pervasa da un profondo senso di orgoglio e ammirazione verso l’uomo che per lunghi anni mi aveva insegnato tutto ciò che conoscevo. Mio padre, un uomo meraviglioso, capace di salvare lo Shogun stesso. Un suo amico. Mi ritrovai a sorridere, mentre i miei occhi s’illuminarono di colpo.
« Mio padre è un uomo meraviglioso, sempre pronto a lottare per aiutare l'imperatore e le persone che vivono qui. Sono orgogliosa di sapere di avere un padre amico del Grande Shogun » osai proferire, ma in risposta, notai un altro sorriso illuminare il volto di quell’uomo apparentemente austero e temibile.
« Tuo padre è forse il solo vero amico che io abbia ancora... » chinò appena il capo, per poi continuare « Non ti preoccupare, se vali solo la metà di tuo padre, hai la stoffa per fare carriera!»
Le mie gote si accesero lievemente a tali parole. Lo Shogun credeva molto nelle mie capacità ed io non potevo deluderlo assolutamente. Nell’osservarlo meglio, provai una strana sensazione, forse dovuta alla mia completa ammirazione nei suoi riguardi.
« Avrò modo di dimostrarti quello che valgo. Voglio farlo, per dimostrare a mio padre che può contare sull'unica figlia che ha scelto questa strada, il suo sogno.» ribattei. Lui si fermò di nuovo, osservando per qualche istante l’esterno da una finestra. Gocce di pioggia battevano sul vetro e per qualche istante restammo in silenzio, come ad ascoltare quel suono.
« Bene. Riposati ora Minako-san, puoi dormire qui o dove alloggiavi prima, se hai piacere. Domani stesso inizieremo il tuo addestramento. » concluse così il suo dire, mentre io mi chinavo ancora una volta profondamente dinnanzi a lui, per poi avanzare verso l’uscita della sala grande, osservando per un’ultima volta il luogo dove da quel giorno in avanti avrei vissuto.

Quella sera stessa scrissi a mio padre per renderlo partecipe del buon esito del colloquio. Mi sentivo orgogliosa di me e volevo lottare con tutta me stessa per dimostrare agli altri, ma soprattutto a me stessa, quel che valevo realmente e diventare, forse un giorno, un’arciera importante.




   
 
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