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Autore: iLARose    22/08/2010    5 recensioni
La mia vita è stata fatta a pezzi dalla droga. Si è portata via tutto ciò che avevo, tutto ciò per cui vivevo. Ora sono una specie di gotica - punk che vive per strada, da sola. Un giorno però un uomo che avevo visto solo sulle pagine patinate dei giornali mi salva e tutto cambia.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Axl Rose, Dj Ashba
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Death and Love.
Capitolo 1: This is my life.

 

Primissimo piano: un bell’uomo sui trentacinque anni, in giacca e cravatta, capelli un po’ lunghi, neri, barba appena fatta.
La visuale si allarga un po’ e si vede di fianco a lui una donna all’incirca di trent’anni, bionda e truccata perfettamente che indossa un tailleur di alta sartoria.
La visuale si ingrandisce ancora di più e tra i due si vede una bambina di dieci anni, fasciata in un abitino rosa antico, capelli castani perfettamente legati con un nastro rosa che tiene in mano un lecca lecca.
Questa era la mia famiglia cinque anni fa. Me lo ricordo ancora quello scatto. Avevo insistito per mettere quel vestitino che avevo comprato il giorno prima con la mamma.
I miei genitori al tempo erano all’apice del successo. Mio padre era l’avvocato più famoso di Los Angeles e mia mamma una stilista famosa più o meno in tutta America.
Era bello perché io avevo sempre tutto quello che volevo, abitavamo in un castello e la mia camera sembrava quella delle principesse del Medioevo. Insomma, il sogno di tutte le bambine di dieci anni. Al tempo, però, ero piccola per capire in che giro si erano invischiati i miei genitori.
Non capivo perché a volte, quando entravo in bagno, mia mamma nascondeva delle siringhe o perché a volte mio papà collassasse sul divano e sembrasse morto. Non capivo perché sui titoli dei giornali, sotto la nostra foto, c’era scritto “La famiglia Cobain del 2000. Ricchi, famosi, ma distrutti dal più brutto vizio.” ‘quale vizio?’ mi chiedevo.
Poi un giorno la mamma venne a prendermi a scuola in tuta da ginnastica e con lo sguardo perso. C’era qualcosa che non andava, l’avevo capito, perché di solito era la tata che mi veniva a prendere a scuola e poi la mamma non usciva mai di casa in tuta da ginnastica e senza essersi truccata. Facemmo tutto il viaggio, da casa a scuola, e tutto il resto della giornata in religioso silenzio, perché lei non rispondeva alle mie domande e mi aveva chiusa in camera a giocare con le bambole. Così non potei sentire il telefono che squillava ininterrottamente e la mamma che singhiozzava.
Restai cinque giorni chiusi in casa, senza neanche andare a scuola e nessuno mi spiegava perché. Ma io non mi preoccupavo. Giocavo e guardavo la tv tutto il giorno. Mio padre non tornava a casa e mia mamma era sempre fuori, non sapevo dove e a cosa fare. I nonni e la tata mi raccontavano che papà era partito per un viaggio di lavoro e la mamma era impegnata con i nuovi modelli di abiti per le celebrità e mi tenevano buona con la promessa che, se avessi fatto la brava, la mamma avrebbe fatto dei vestiti nuovi anche per me. E io ero al settimo cielo.
Peccato che papa da quel ‘viaggio di lavoro’ non fosse mai più tornato e dei vestiti nuovi io non abbia mai visto neanche l’ombra.
Poi un giorno la verità mi si presentò davanti in tutta la sua crudeltà. La nonna, con un bellissimo giro di parole, mi disse che papà non c’era più.
Mi disse che le medicine che prendeva se l’erano portato via e io, da stupida e innocua bambina di dieci anni, ci credetti. Ora, però, so che non sono stati i tranquillanti a pormelo via, ma la droga, l’eroina, la cocaina. Ed è una verità che mi fa ancora malissimo.
Dopo la morte di papà, la mamma era sempre più assente e quando era a casa era sempre collassata sul divano o sul letto. Ma io ancora non sapevo e non capivo perché. Pensavo dormisse e basta perché stava sempre al lavoro. Che stupida che ero.
Dopo circa un anno, di punto in bianco mia madre vendetta la casa, prendendosi un sacco di soldi che sparirono molto velocemente.
Andammo a vivere in uno squallido bilocale alla periferia di Los Angeles. Per me fu un trauma passare dalla mia enorme camera delle principesse, a quelle due luride stanze con i topi. La nonne veniva spesso a consolarmi, mi portava tanti dolci e giocattoli, ma era solo un modo per non farmi vedere in che stato era la mamma.
Un orribile giorno di pioggia la mamma, in uno dei rari momenti di lucidità, anche se non credo fosse proprio lucidissima, mi disse che dovevamo andarcene da lì perché ci avevano sfrattato, anche se adesso so che era stata lei a vendere il bilocale per prendersi altri soldi per la sua amata droga.
Mi portò in un parcheggio pieno di auto e barboni e mi disse che era la nostra nuova casa.
Io feci subito amicizia con un paio di miei coetanei, il che mi aiutò a superare lo shock. Erano passati due anni dalla morte di mio papà. Avevo dodici anni, anche se adesso mi viene il dubbio che nella testa ne avessi solo otto, perché con tutti i vizi che mi davano e le balle che mi raccontavano ero abituata a vivere in un mondo ovattato, fatto di giocattoli, leccornie e abitini nuovi.
Poi il giorno prima del mio tredicesimo compleanno la mamma mi sputò in faccia tutta la schifosa verità. Non so se fosse completamente fatta o ubriaca che non sapeva neanche cose stesse facendo o se fosse un momento di lucidità. Papà era morto di overdose di eroina, la casa l’aveva venduta per ricavare soldi per la droga e lo stesso il bilocale. Fu un colpo talmente duro sapere che anche lei si drogava che non le parlai per giorni interi. Addirittura la schivavo, non volevo neanche guardarla.
Da quel giorno capii che la droga aveva rovinato la mia vita, anche se io non centravo nulla con lei. Si era portata via mio papà e si stava prendendo anche la mamma e, in modo indiretto, stava rovinando anche me. Iniziai a morire lentamente anch’io.
Da quel momento la bambinetta-tutta-in-rosa sparì e diventò la-ragazza-cresciuta-troppo-in-fretta-in-nero.
E così, ora, sono una specie di gotica – punk che vive per strada con la sua mamma drogata.
Ero andata a fare la doccia da qualche parte e a vedere se trovavo qualcosa da mangiare per me e per la mamma che ormai era ridotta a uno scheletro con la pelle attaccata. Quando tornai al nostro buco puzzolente la mamma era sdraiata esattamente dove l’avevo lasciata. Non mi preoccupai, era normale. Mangiai la mia porzione di schifezze che avevo trovato e portai alla mamma la sua. Mi accorsi che aveva la siringa ancora nel braccio. Gliela tolsi e la scaraventai il più lontano possibile. C’erano strisce di coca ovunque e parecchie bottiglie di alcolici vuote. Guardai tutto con uno sguardo pieno di rabbia, tristezza, schifo e disperazione. Chiamai mia mamma più volte per farla mangiare ma non si riprendeva, ma non mi sorpresi visto tutto la roba che si era fatta e che aveva bevuto. La presi per un braccio e iniziai a scuoterla, ma quando la mia pelle entrò in contatto con la sua ritrassi la mano: era fredda, freddissima. E non era il freddo dell’inverno. La guardai con gli occhi spalancati dalla disperazione. Iniziai a urlare come un’assatanata, chiedendo aiuto, ma tutti i barboni in giro sparivano, come se non mi sentissero. Mi sentivo morire. Mi accasciai rannicchiandomi nel suo ventre freddo e iniziai a piangere tutte le lacrime che avevo in corpo e anche tutte quelle che non avevo pianto prima.
Ora ero una specie di gotica – punk che vive per strada, da sola.
La mia vita era finita, avevo perso tutto.
Eppure…

 

Note:
Saaalve :D
Mah, questo è solo un prologo per far capire un po' la disastrosa vita della nostra protagonista.
Cosa succederà? Mah, chi lo sa.. xD
Per favore recensite e ditemi se come inizio vi è piaciuto ** o anche cosa non vi è piaciuto, accetto qualsiasi critica. (:
Un bacionee.

  
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