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Autore: Beatrix_    28/08/2010    13 recensioni
"... i soldati della guardia non la vogliono come comandante e alcuni di loro hanno espresso molto apertamente il loro dissenso: sono arrivati a scrivere una lettera a Sua Maestà il Re dicendo che non intendono ricevere ordini da una donna!"
Queste le parole che il generale Buillè rivolge al generale Jarjayes. Ma chi ha avuto l'idea di scrivere la lettera? E sopratutto, chi l'ha effettivamente scritta?
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era passata una settimana da quando il nuovo comandante aveva preso servizio nel corpo dei soldati della guardia e il malcontento era già divenuto incontenibile: una donna! Una donna a comandare loro, soldati e uomini della peggior specie! No, non avrebbero mai permesso ad una donna di addestrarli e comandarli a bacchetta, mai! Non importava quanto fosse brava o quanto valesse, rimaneva una donna, un essere inferiore, e loro non si sarebbero mai piegati!

Ogni sera, nelle camerate, il discorso era sempre lo stesso. Iniziavano con delle innocenti battute ma presto il discorso diveniva infuocato ed ognuno urlava e protestava contro l’assurda decisione delle alte gerarchie, che si erano beffati di loro, mandando una donna al comando.

“Io non ho alcuna intenzione di prendere ordini da una donna!” piagnucolava Gerard.

“Certo, invece io ne sono proprio felice!” ribatteva Luc, lucidando il fucile.

Solo Andrè rimaneva zitto: steso sulla sua branda faceva ogni volta finta di non sentire ed i compagni, dopo i primi giorni, l’avevano lasciato perdere. Era uno strano compagno, Andrè. Aveva dei modi piuttosto raffinati, perfino il suo modo di parlare era ricercato, e non si mischiava mai alle loro conversazioni. Mai. Era strano che avesse legato con Alain: erano due persone così diverse che nessuno sarebbe stato disposto a scommettere su quell’amicizia. Eppure Andrè andava molto d’accordo con Alain, in breve tempo erano diventati inseparabili.

“Ehi, Alain!” finiva sempre che chiamassero lui, che si rivolgessero a lui in cerca di una guida “tu cosa proponi di fare?” chiedevano.

Alain gettava sempre un’occhiata indagatrice all’amico, incerto se chiedergli il suo parere, ma rinunciava tutte le volte: prima o poi, sarebbe riuscito a capire quell’uomo, ma ci voleva tempo, di questo era ben consapevole. Alain, scrollava le spalle tutte le volte, prima di iniziare un discorso tanto lungo e baldanzoso quanto inconsistente. Sapeva bene di non dire nulla di rilevante ma, per quanto si spremesse le meningi tutti i giorni e tutte le notti, durante tutti i turni di guardia e anche durante i meritati riposi, non riusciva proprio a trovare una soluzione.

Non la voleva come comandante. Non la voleva e basta. Era contro i suoi principi, non si sarebbe mai e poi mai confrontato con una donna. Le donne andavano bene nelle taverne, per allietare le serate o le notti, per intrattenersi piacevolmente. Oppure vi erano le donne come la sua sorellina Diane, che avrebbe protetto da tutto e da tutti ma mai, mai e poi mai avrebbe potuto accettare una donna come comandante, diavolo! Era una cosa ridicola e lui, quest’ennesima imposizione da parte dei generali non l’avrebbe tollerata. Come fare?

 

Alain, quella sera se ne stava per conto suo, con poca voglia di parlare. Alla solita domanda alzò appena la testa e accennò un sorriso: “Voi cosa proponete di fare? Sapete bene che è impossibile mandarla via... ci abbiamo già provato, e continueremo a provarci, resisteremo finché potremo, ma gode di appoggi troppo alti, perché noi possiamo pensare di... Aspettate un momento! Certo!” esclamò battendosi con forza una mano sulla fronte “Appoggi, ci serve un appoggio!”.

Tutta la camerata lo fissava: tutti i soldati, sconcertati e con le bocche semiaperte per la sorpresa, si domandavano cosa fosse passato per la testa al loro compagno.

Alain si alzò e con un balzo fu sul tavolo: il suo palco preferito, quando aveva bisogno di farsi ascoltare. “Sentite, ho un piano. Quella donna è qui perché gode di appoggi nelle alte gerarchie militari, giusto?”

“Beh...” obiettò timidamente un novellino “visto che viene dalla Guardia reale ed ora è qui forse non gode proprio dell’appoggio...”

“Oh, zitto tu!” lo ammonì Alain con un gesto della mano, facendolo ammutolire. Pessima idea, chiedere la loro opinione. “Dunque, dicevo che, dal momento che è qui soltanto perché appoggiata dalla corona, basterà scrivere a Sua Maestà il Re che noi non la vogliamo come comandante ed il gioco è fatto!” si guardò intorno compiaciuto, aspettando le più vive approvazioni, che non vennero.

“Ma Alain...” fu tutto ciò che udì “... perché dovrebbero ascoltare noi? Quando mai ci hanno ascoltati?” la perplessità sembrava generale.

“Oh, andiamo...” Alain avrebbe difeso quell’idea fino alla morte “siamo i soldati della guardia! Siamo noi che abbiamo il compito di mantenere il controllo in città e se minacciassimo un’insubordinazione...” L’argomentazione fu abbastanza convincente, e diverse facce perplesse mutarono in un’espressione convinta.

“Ascoltate, questo è ciò che faremo: scriveremo una lettera a sua maestà, chiedendo l’allontanamento immediato di questa donna, e spiegando che mai, mai e poi mai noi, i soldati della guardia, le ubbidiremo; perciò, se vogliono poter contare sul nostro appoggio, dovranno mandare qualcun altro!” Questa volta l’approvazione fu fragorosa e generalizzata. In men che non si dica uscirono fuori carta ed inchiostro, e fu recuperata anche una penna; il tutto venne disposto in ordine sul tavolo.

“Ehi, tu! Figlio di un falegname!” Alain si rivolse all’amico, con tono di scherzo, e sempre con l’aria di dubitare che fosse davvero figlio di un falegname. Andrè alzò appena la testa: durante tutto il trambusto era rimasto immobile, facendo finta di dormire: aveva ormai capito che non avrebbe potuto arginare il dissenso nei confronti di Oscar, sperava soltanto di non esser tirato in mezzo alla protesta.

“Sì?” chiese, assumendo un tono di voce molto stanco.

“Vieni a scrivere la lettera per cacciare il nuovo comandante!” gli intimò Alain, e aveva tutto il sapore di un ordine.

“Che cosa?” ribatté Andrè, cadendo dalle nuvole.

“Sì, sì, hai capito benissimo! Vieni qui e aiutaci a scrivere questa lettera!” rispose Alain e il suo era un tono che, in caserma lo sapevano bene, non ammetteva repliche.

Andrè, ora seduto curvo sulla sua branda, ebbe il forte sospetto che Alain volesse metterlo alla prova. Cosa avrebbe dovuto fare? Rifiutarsi? No, già la sua decisione del primo giorno, di presentarsi alla parata in onore del nuovo comandante, era stata accolta con molto dissenso e sospetto. Ora, se si fosse rifiutato di dare questa prova di lealtà alla caserma, il pestaggio sarebbe stato immediato e rimanere lì sarebbe diventato per lui troppo difficile. Si guardò un attimo intorno, spaesato, prima di rendersi conto che, in quella circostanza, non avrebbe potuto negare il suo aiuto ad Alain e agli altri. Maledetto Alain!

“Alain, ma io...” provò ancora, titubante “Niente ma! Vieni qui e aiutaci: fai o non fai parte di questa caserma?!?” lo incalzò nuovamente l’altro. Ad Andrè non rimase che alzarsi e sedersi al tavolo, nel posto lasciato libero proprio davanti al foglio di carta. Tamburellò dubbioso le dita sul tavolo, titubante nel prendere la penna mentre Alain, in piedi poco distante, aveva preso a passeggiare per la camerata, con l’aria di grande condottiero, in attesa che l’ispirazione divina gli suggerisse la lettera che avrebbero dovuto scrivere.

“Allora!” scandì imperiosamente “Iniziamo!” un boato di approvazione si levò da quella che appariva come una piccola folla pendente dalle labbra dell’oratore, ma fu subito messo a tacere: “Zitti!! Volete che ci scoprano?!?” li rimproverò Alain. “Stavo dicendo! Per prima cosa, dobbiamo indirizzare questa lettera a sua maestà il re!” esclamò convinto.

“Scrivi!” ingiunse poi, poiché Andrè, anche seduto al tavolo, di fronte a carta e penna, non sembrava minimamente intenzionato a svolgere il suo compito.

“C-cosa...?” domandò quest’ultimo, fingendo di non aver capito “Sì, dico proprio a te!” lo canzonò Alain “Scrivi: a sua maestà il re luigi sedicesimo...”

Andrè, dopo averlo osservato un attimo, perplesso, lo interruppe: “Sei sicuro che sia la forma adatta? Magari potremmo...”  

“Niente ma!” fu, imperiosamente interrotto “sono sicuro che come inizio vada benissimo! Scrivi!” dovette ancora ordinare poiché Andrè, preso da uno scrupolo di coscienza che l’altro non poteva conoscere, non si decideva a posare la penna su quello stramaledetto foglio.

“Allora?!? Cosa stai aspettando?” chiese. “Ehm, io... non ricordo bene cosa... cosa mi avevi detto di scrivere....” borbottò Andrè, nel vano tentativo di prender tempo.

“Bene, ricominciamo!” Alain non si perse d’animo. “Ti avevo detto: a sua maestà il re luigi sedicesimo” a quel punto, Andrè non poté proseguire oltre nel suo ostruzionismo e fu costretto a prendere la penna, intingerla nell’inchiostro e, con lentezza esasperante, vergare le parole appena suggeritegli da Alain: A Sua Maestà il Re Luigi XVI. Sperò di riuscire, nelle ore seguenti, a far cambiare idea al compagno riguardo a quella maledettissima lettera.

“I soldati della guardia metropolitana di Parigi vi scrivono per chiedervi di...”

“Aspetta Alain! Vai troppo veloce, non riesco a seguirti!” protestò Andrè e, sebbene l’altro si fosse accorto che in realtà l’amico sapeva scrivere molto meglio di quello che voleva far vedere, davanti a tutta la caserma non poté smascherarlo e finse di crederci, rallentando il ritmo del dettato. “I. Soldati. Della. Guardia. Metropolitana. Di. Parigi. Vi. Scrivono”

“...scrivono...” gli fece eco Andrè ed il relatore ebbe, per un momento, la sensazione di essere preso in giro. Si girò di scatto, infastidito, ma tutto ciò che poté osservare fu Andrè che, coscienziosamente, si stava impegnando nella stesura della lettera. Si voltò ancora ed incontrò gli sguardi adoranti dei compagni che, ammassati chi in piedi chi seduto sul fondo della camerata, si godevano lo spettacolo, muti.

“Sì, quindi, dicevo...” Alain realizzò che Andrè era riuscito nel suo intento: fargli perdere il filo di ciò che stava dicendo.

“scrivono. Stavi dicendo ‘scrivono’” lo aiutò Andrè e di nuovo l’uomo ne fu infastidito, perché non gli era stato affatto d’aiuto. Rimase un momento in silenzio, raccogliendo le (poche) idee che gli erano venute. “...vi scrivono per chiedere l’allontanamento del nuovo comandante che ci è pervenuto, anzi! Della nuova comandante che ci è pervenuta” concluse, trionfalmente, mentre qualche timido applauso si levava dagli spalti.

“Che ci è pervenuta?” domandò Andrè, divertito e, a differenza dei compagni, per nulla convinto “cos’è, un oggetto?” chiese, come a sottolineare l’uso improprio del verbo.

Alain si voltò nella sua direzione leggermente disgustato: “EH?” chiese, senza aver compreso cosa Andrè cercava di dire. Accidenti a lui e a quando aveva pensato di far scrivere quella lettera ad Andrè per metterlo alla prova! Era chiaro come il sole che il ragazzo non solo non avrebbe collaborato, ma avrebbe fatto di tutto per sabotare il suo piano geniale.

Andrè lo osservava, serafico: “dicevo soltanto che pervenire non è un verbo con il quale puoi descrivere l’arrivo di un nuovo comandante”.

Alain lo guardò schifato, come se l’amico si fosse improvvisamente trasformato in un insetto orrendo. Era chiaro, però, che non sapeva come ribattere, non avendo capito il senso dell’ultima frase di Andrè.

L’altro allora, ebbe un moto come di pena nei confronti di Alain e, proprio quando aveva la vittoria in pugno, decise improvvisamente di aiutarlo: “Va bene, Alain, ci vuole un altro termine. Possiamo scrivere: ‘ chiedere l’allontanamento del nuovo comandante che ha preso servizio in questa caserma il quattordici aprile scorso’ o qualcosa di simile...” disse sovrappensiero, accorgendosi poi, con orrore, che Alain era più indignato di prima, avendo scambiato il suo tentativo di aiuto come un modo, da parte di Andrè, per scavalcare la sua autorità. Andrè, paziente, cercò di rimediare all’errore commesso: “ti piace?” chiese sorridendo stancamente, facendo finta di voler ottenere la sua approvazione “oppure potremmo...?”

“No!” fu interrotto da un Alain che aveva riacquistato tutta la sua baldanza “Va benissimo! Scrivi... scrivi quello che hai detto!” esclamò convinto.

Andrè si rigirò ancora una volta la penna tra le dita, facendo attenzione a non macchiare il foglio d’inchiostro. Lo stava facendo davvero. Stava scrivendo una lettera a Sua Maestà il Re per chiedere l’allontanamento di Oscar dalla guardia metropolitana. Ma, d’altronde, che possibilità aveva? Silenziosamente, sperò che la lettera non arrivasse mai, non fosse mai presa in considerazione da Sua Maestà il Re.

Vi scrivono per chiedere l’allontanamento del nuovo comandante che ha preso servizio in questa caserma il quattordici aprile scorso.

Ecco, ora era davvero spacciato. Ora aveva davvero firmato la sua condanna: se Oscar si fosse accorta che lui... no, non voleva pensarci!

“Ehi, figlio di un falegname!” c’era qualcosa non solo di canzonatorio, ma quasi di offensivo nel modo in cui Alain lo chiamava “che cosa hai scritto lì? Rileggi!”.

Andrè, pazientemente, rilesse quello che aveva scritto ma Alain non era ancora soddisfatto: “Maledizione, Andrè!” gridò, facendolo sobbalzare sulla sedia “è stato il tredici aprile, ti ricordi? Il tredici!!!”

Andrè sospirò rassegnato, prima di accingersi a spiegare: “Per quanto ne sanno loro, è stato il quattordici. Che poi lei sia arrivata un giorno prima...”

“Ecco!” protestò Alain “anche questo va fatto notare! Non può essere che uno possa presentarsi così, quando gli pare e piace e...”

Andrè giudicò la polemica sterile e cercò di tagliare corto: prima avrebbero finito quella lettera, prima sarebbe riuscito ad andare a dormire. “Non vorrai che, scrivendo tredici ci confondano con un altro reggimento e allontanino il comandante sbagliato, vero?” chiese, canzonatorio, con un sorriso a trentadue denti.

Alain, nel frattempo, aveva ripreso a passeggiare nervosamente per tutta la lunghezza della camerata: “No, no, certo che no!” diede il suo assenso, con un magnanimo cenno del capo.

Cadde un momento di silenzio: Andrè, che aveva suggerito l’ultima frase della lettera, non aveva per nulla voglia di continuare a scriverla e Alain, d’altra parte, si era nuovamente perso nelle sue polemiche e rimostranze.

“Abbiamo scritto che chiediamo l’allontanamento del nuovo comandante...” suggerì timidamente un soldato dal fondo della stanza, pronto a nascondersi tra gli altri, nel caso la sua uscita non fosse stata gradita al ‘capo’.

Alain, braccia dietro la schiena e capo basso, pensieroso, si fermò di scatto e alzò la testa. Uno sguardo feroce passò da parte a parte il povero soldato, che rimpianse di aver aperto bocca. “Giusto!” esclamò invece il capo, contro ogni previsione “... chiedono l’allontanamento eccetera eccetera.... perché. È. Una. Donna.” Scandì chiaro, in modo che Andrè potesse scrivere.

“Che cosa?!?” esclamò Andrè, stavolta veramente indignato, dimentico, per un momento, di potersi compromettere “Non puoi chiedere di cacciare qualcuno solo perché è una donna!! Fa il suo lavoro molto bene e non vedo perché...” si interruppe da solo, accorgendosi del grandissimo sbaglio che aveva appena commesso. Voltandosi poté vedere le facce dei suoi compagni, contratte in smorfie di rabbia. Questa volta, si era davvero messo nei guai.

Come precedentemente Andrè si era dimostrato disposto a venire in aiuto di Alain, così stavolta toccò al bestione andare in aiuto di Andrè. Dopo aver rassicurato con un gesto silenzioso la platea si rivolse ad Andrè, chinandosi alla sua altezza e circondandogli le spalle con un braccio: “Vedi Andrè” cercò di spiegare, in tono persuasivo “il fatto è questo. Lavoriamo in questa lurida caserma giorno dopo giorno, mese dopo mese; ci spacchiamo la schiena e roviniamo la salute per una paga che non basta neppure per sfamare le nostre famiglie e, per dar loro da mangiare, ci priviamo del cibo e vendiamo le armi. Come vedi, la nostra non è una situazione meravigliosa. Ora, io non ho assolutamente nessuna intenzione di prendere ordini da una donna e mai ce l’avrò. Quindi, che tu sia d’accordo o meno, il comandante non rimarrà qui più di qualche altra settimana, perché, ecco, noi la  manderemo via. Non serve a niente opporsi, creare ostacoli o non collaborare, ci riusciremo lo stesso. Perciò, ora, se non vuoi ritrovarti contro l’intera caserma, sarà meglio per te che tu scriva questa lettera come dico io.

Andrè ammutolì, rendendosi conto della gravità della situazione e riprese a scrivere, silenzioso e rassegnato. “...perché è una donna e...” “...e noi, i soldati della guardia, non abbiamo alcuna intenzione di prendere ordini da una donna!” Alain fece una breve pausa, dando il tempo all’amico di scrivere e continuò: “Punto e a capo. In caso non vogliate tener conto di questa nostra rimostranza, la guardia metropolitana non assicurerà il suo appoggio alla corona!” finì di dettare.

Andrè scrisse docilmente le prime parole, poi alzò il capo, dubbioso e, non osando più fare le sue osservazioni a tutta la caserma, chiamò con un dito Alain, facendogli cenno di avvicinarsi: “Alain” sussurrò quando l’altro fu a portata di voce “non puoi minacciare una ribellione della caserma. Non è una cosa che... insomma...” cercò di spiegargli.

“Sciocchezze!” tuonò Alain “era proprio questo il mio intento! Quando il re leggerà la nostra lettera capirà la gravità della situazione e in men che non si dica il nuovo comandante sarà fuori di qui!” declamò, convinto.

Andrè non osò più obiettare e scrisse docilmente ciò che Alain aveva dettato, nonostante non fosse affatto convinto.

“Firmato: i soldati della guardia metropolitana!” concluse l’altro. “firmato... ehi, Alain!” lo chiamò nuovamente Andrè mentre il chiamato cominciava  a stufarsi di essere continuamente contestato e interrotto “basta così? Voglio dire, abbiamo scritto appena tre righe e...”

Alain tornò vicino ad Andrè e, un braccio sul tavolo e l’altro sulla spalliera della sedia, lo guardò perplesso. “Sì, basta, perché?” chiese.

“Beh...” osservò Andrè “è... è un po’ troppo corta per... per essere una lettera...”

“No!” lo interruppe Alain “Va benissimo così!!” giudicò con tono imperioso ma, nell’alzarsi dal tavolo, urtò accidentalmente il calamaio rovesciando tutto l’inchiostro sul legno e anche, per sua sfortuna, su un angolo del foglio che avevano appena scritto con tanta fatica. Andrè, come riflesso condizionato, prese il foglio dal tavolo, salvandolo da ulteriori macchie ma ormai l’inchiostro imbrattava un bell’angolo. Sorrise soddisfatto: “Direi che... dobbiamo riscriverla daccapo!” esclamò contento. Alain, ancora intento a cercare di asciugare l’inchiostro dalla sua giacca si voltò appena, ritornando dopo un attimo alla sua divisa, giudicando privo di importanza ciò che aveva detto Andrè. “Merda! E ora? Come faccio? Il cambio l’ho dato l’altro giorno a Diane e se quella mi vede con la divisa macchiata mi passa per le armi! Maledizione, perché non me la sono tolta?? E ora?” continuava a borbottare, intercalando il discorso con bestemmie e maledizioni varie.

Andrè, per nulla impressionato dalla disgrazia capitata all’amico, aveva preso a fischiettare. “Allora posso buttarla, no?” chiese nuovamente non appena l’altro si fu calmato e stava già per accartocciare il foglio quando Alain lo fermò quasi gridando: “No! Fermo, cosa fai?? Va benissimo così!!”

“Ma, Alain...” obiettò Andrè “è... è macchiata e...”

Alain, con in mano il foglio che aveva strappato ad Andrè, rimase un momento pensieroso “Non ne abbiamo un altro...” esclamò cauto “e non ho nemmeno un’altra sera da sprecare in questa maniera perciò è deciso, inviamo questa!” ciò detto piegò in quattro il foglio e se lo mise in tasca.

Andrè sogghignò: nessuno, a Versailles, avrebbe dato peso ad un foglio scritto male e macchiato d’inchiostro: la sua reputazione era salva! “Fai come vuoi” non resistette alla tentazione di rimbeccare Alain “nessuno prenderà sul serio quella... quella cosa” affermò deciso.

“No invece, ci ascolteranno!” gli rispose un altro soldato. Finita la lettera, infatti, gli altri si erano alzati e avevano ripreso i loro posti: chi sulla branda, chi intorno al tavolo...

“Secondo me ha ragione Andrè!” si sentì un’altra voce “nessuno darà retta ad un foglio macchiato, bisogna riscriverla!”

“No, Alain ha detto che va bene così e va bene così!” in men che non si dica, nella caserma scoppiò il caos e iniziarono a volare i primi pugni. A nulla valsero i tentativi di Alain di sedare una rissa che, in quel momento, sarebbe stata per loro piuttosto sconveniente. Il tavolo venne rovesciato con tutte le carte da gioco, anche loro ormai irrimediabilmente macchiate e le poche bottiglie che erano riuscite ad entrare nella camerata andarono in frantumi.

Presto Alain, arresosi all’evidenza e messa al sicuro la preziosa lettera, si gettò nella mischia mentre Andrè poté tornare indisturbato alla sua branda, in attesa che il colonnello Dagout arrivasse per sedare la ‘ribellione’, come amava chiamarle.

 

A Sua Maestà il Re Luigi XVI,

i soldati della guardia metropolitana di Parigi vi scrivono per chiedere l’allontanamento del

nuovo comandante che ha preso servizio in questa caserma lo scorso quattordici Aprile, perché

è una donna e noi soldati della guardia non abbiamo alcuna intenzione di prendere ordini da

una donna. In caso non vogliate tener conto di questa nostra rimostranza, la guardia

metropolitana non assicurerà oltre il suo appoggio alla corona.

                                                                                             I soldati della guardia metropolitana.

 

 

Il generale Jarjayes rigirava pensieroso tra le mani il misero foglietto, per giunta macchiato di inchiostro ad un angolo, che il generale Buillè gli aveva consegnato quel pomeriggio.

Certo, era incredibile come una simile richiesta, scritta in maniera così assurda e che arrivava persino ad insinuare l’insubordinazione, avesse potuto essere presa in considerazione. Ma, d’altra parte, erano tempi difficili, gli aveva spiegato il generale solo qualche ora prima. “Non posso non tener conto di questa presa di posizione dei soldati della guardia” aveva aggiunto.

Sì, lui con Oscar aveva sbagliato tutto. Soltanto ora vedeva tutti i pericoli e le difficoltà ai quali, nella sua incoscienza, l’aveva esposta. Le avrebbe consigliato vivamente di accettare la proposta di matrimonio del tenente Girodelle, era il minimo che potesse fare per rimediare al suo errore che si era protratto ormai per troppo tempo.

Riaprì nuovamente il foglietto, rileggendo le poche righe in cui, con misere parole, i soldati esprimevano tutto il loro dissenso. A pensarci bene, però, quella scrittura aveva un che di familiare, era una grafia... conosciuta...

Il generale uscì con furia dal suo studio, gridando parole sconnesse: “Quel.... quel farabutto traditore!” Questa gliel’avrebbe fatta pagare!!!

 

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Stranamente, mi è venuta l’idea per questa piccola one-shot. All’inizio ero partita con intenzioni serie, volevo descrivere il particolare rapporto tra Andrè e Alain in una fase delicata della loro amicizia, come poteva essere quella dei primi giorni in caserma di Andrè, quando ancora non si conoscevano così bene... alla fine però mi è venuta fuori praticamente una parodia: spero che vi piaccia lo stesso! In ogni caso, se mi fate sapere cosa ne pensate ne sarei felice! :)

Per quanto riguarda altre idee varie... ci sto lavorando, ma è un processo difficile!xDD

Grazie mille a tutti coloro che leggeranno e commenteranno! :)

  
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