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Autore: Kimmy_90    29/08/2010    2 recensioni
«Il primo incontro.
Ed ero pronta a sputargli in un occhio.»
Atasuke Uzumaki è un Genin della tenera età di trent'anni. Tai, giovane jounin, non riesce a tollerare tanta incapacità da parte di un Ninja - lei, d'altronde, è solo la kunoichi più capace di tutto il villaggio, una promessa per Uzushigakure di quelle che non si vedevano da molti anni.
Andare insieme in missione non sarà una cosa semplice.
Ma Atasuke non è un uomo sprovveduto, mentre Tai, spesso, sa essere di prodigiosa superficialità: e intanto, fuori, la guerra dei ninja urla...
«I miei ritorni in patria suonavano sempre come il ritorno di un uomo che cerca la redenzione.
Non volevo redimermi.
Non avevo nulla di cui redimermi: io volevo riscattarmi.
Ma per un ninja è difficile concepire il riscatto al di fuori di una battaglia o di un combattimento – quindi ben in pochi capivano le mie intenzioni.»
«“Stavo meditando! Sai che stavo meditando, lo sai benissimo – che tu sia dannato, Tobirama-sensei!”
Era un teatrino che sfociava nel comico.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Uzushiogakure Monogatari'
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[NDA] Questa storia si svolge nel passato. I personaggi sono tutti OC - o quasi :) *sorpresa*, ma ben che legati alla storia del Manga.

Questa storia fa parte di "Uzushiogakure Monogatari", la mia raccolta dedicata al villaggio del vortice e alla famiglia di Naruto.






Sono sempre stato una persona pacata, tendente al dialogo, fin troppo gentile in qualsiasi situazione.

Sono sempre stata una persona esuberante, sicura di se', altezzosa.

Ho sofferto molto.

Ho sofferto molto.

Ho cercato me stesso più di chiunque altro.

Non ho mai perso di vista il mio obiettivo.

C'è chi mi odia, e sono tanti.

C'è chi mi odia, e io odio loro.

Ora ho il mio posto nel mondo.

Questo è il mio posto nel mondo.







1. Il genio e il fallito






I gemelli Kensei erano già andati avanti.

Io, immobile davanti all'entrata del villaggio, guardavo l'uomo di fronte a me con occhi che lasciavano trapelare un profondo fastidio, le braccia incrociate sul petto non granché abbondante.


Il primo incontro.


Ed ero pronta a sputargli in un occhio.


Ventinove anni suonati, un misero coprifronte avvolto sul braccio. Null'altro.

Era un Genin.

Un Genin quasi trentenne.

La sola idea mi irritava, facendomi venir voglia di prenderlo a insulti per tutto il viaggio. Andai ad afferrare lo zaino che giaceva per terra con un gesto stizzito, pronta a correre avanti per lasciarlo rantolare, sfiatato, nel vano tentativo di raggiungermi.

Lo zaino si fermò a metà strada.


L' UzuKage me lo aveva detto chiaramente: il Genin avrebbe portato i documenti che c'erano da portare, e il Genin andava difeso quanto i documenti.

Fine della storia.

Evidentemente una Jounin appena uscita dall'adolescenza valeva meno di un trentenne incapace, perchè non riuscii a cavargli nient'altro di bocca.

Il che non fece che peggiorare la mia acidità nei riguardi di quello.


Che poi, non si sa bene perchè, se ne andava in giro con uno zaino esageratamente grande.

Io l'avevo afferrato per una spalla, lui per l'altra, e così l'oggetto se ne stava più o meno a mezz'aria.

“E' mio. Lasciamelo portare.”

Aveva capelli rossi e corti, divisi in una moltitudine infinita di ciocche che parevano ognuna prendere una strada diversa dalle altre. Parlava con lentezza e serenità, e sereno era anche il suo volto. Calmo e pacato, un tipo di uomo che non avevo mai incontrato prima. Sul volto, una specie di segni come baffi animali solcavano le gote.

Strattonai lo zaino per fargli intendere che non avevo intenzione di mollare la sacca, indipendentemente da cosa dicesse.

Ma quello perseverò.

“Non fare la ragazzina.”

Così lo lasciai andare, sempre con sommo fastidio, voltandogli le spalle.

“Muoviti.” Gli feci, iniziando a camminare per raggiungere i due compagni.

Ero pur sempre il capo della banda.


Si chiamava Atasuke Uzumaki ed era definitivamente un Ninja fallito.

Famiglia o non famiglia, non importava – non sempre buon sangue non mente.

Ed eccone la prova schiacciante.

Lo appurai parlandone con i gemelli, mentre ci inoltravamo nella foresta che circonda il villaggio del vortice: il Genin camminava una decina di passi dietro a noi, lo sguardo a terra.

Si era diplomato all'accademia alla tenera età di quattordici anni, e da lì non si era più mosso.Stentavo a credere che potesse esistere gente così incapace: voltai lo sguardo indietro come per capacitarmene; quello, che non si accorse neanche lontanamente di me, continuò a camminare perso nei suoi pensieri.



___________________________


Mi svegliai nel profondo della notte, guardando in alto: il cielo era talmente limpido da far venir voglia di tuffarvisici dentro. Sgattaiolai verso il mio zaino per tirarne fuori il canocchiale, che montai alla sola luce della luna: grande, bianca, a momenti faceva invidia al sole stesso per quanto brillava.

“Che fai?”

Ebbi solo una decina di minuti d'osservazione prima che la Jounin mi scoprisse – anzi, mi rivolgesse parola. Era il suo turno di guardia, e sedeva sopra un albero, ad una decina di metri dal suolo.

Le puntai il canocchiale addosso, scrutandola da dietro le lenti.

“Guardo le stelle.”

Mi guardò con la sua solita aria di sufficienza, schioccando la lingua sul palato.

“Vieni a vedere, dai.”

Che non fossi mai stato troppo stimato dai Ninja, era risaputo. Però tentavo sempre di avere un dialogo con loro.

“E' roba inutile.”

“Sono belle, fidati.”

“Ma per favore.”

Certo che lei non era d'aiuto.

“Se non le vedi, come fai a giudicare?”

“Le vedo, non sono cieca.”

“No, sei solo superficiale.”

Penso che in quel momento mi avrebbe volentieri sgozzato con un sol colpo di kunai. In quella ragazza c'era una quantità d'odio impressionante.


Si chiamava Tai Watanabe e non c'era persona al villaggio del vortice che non avesse sentito parlare di lei. Diciotto anni, Jounin, ma in verità avrebbe potuto essere benissimo alla guida delle forze speciali: moltissimi scommettevano su di lei per la prossima nomina di UzuKage, e il consiglio degli anziani iniziava già a farci il suo pensierino. Diplomata ad otto anni, Chuunin a dieci e Jounin a tredici; una di quelle persone che ha smesso di essere bambina nel momento in cui ha iniziato il suo percorso di studi.

Era talmente dotata da mettere fin dal principio in difficoltà i suoi maestri. La sua specialità era il Ninjutsu, molto abile anche nelle arti illusorie.

E poi era bella. Bella da mozzare il fiato, lo pensai da subito, senza avere alcuna intenzione su di lei. Aveva qualche accenno di mascolinità nei gesti, ma questo non riusciva a stonare ne' sul volto dai tratti dolci ne' sulle linee sinuose del corpo. Lunghi capelli neri ed occhi verde smeraldo completavano il quadro di una ragazza che pareva frutto d'un racconto.

Una leggenda, a sentirla, che veniva presto riportata alla realtà una volta conosciuto il suo carattere.


“Fanculo.”

Appunto.

Di un acido disumano, mai visto nulla del genere.

“Grazie.”

Mi misi a sistemare il canocchiale per poter osservare bene la luna: mi faceva troppa gola, così pallida, chiara, ben definita; se lassù ci fosse stato un altro uomo, sono sicuro che avrei potuto vederlo.

Lei mi guardava dall'alto senza emettere un suono. Non so quanto tempo passò, ero troppo assuefatto da quel cielo stellato: ad un certo punto scomparve.

Mi scostai dal mirino, guardandomi attorno.

“Cos'è, si mettono i cloni a fare la guardia, adesso?”

Silenzio. Continuai a cercare attorno a me, ma non c'era nulla. Avevo paura a rimettermi a guardare nel canocchiale, mi sentivo scoperto.

“Tai.”

Voltavo lo sguardo a destra e a sinistra, senza sapere bene se cercavo la ragazza oppure dei pericoli.

“Tai.”

Sì, ero un quasi trentenne, grande e grosso, che stava cercando una diciottenne perchè aveva paura di stare da solo nella foresta.

Ma non potevo farci nulla. E lì, immobile, rimasi - mentre ansia e terrore si avvolgevano su di me come due serpenti affamati.


___________________________________


Quando mi riavvicinai all'accampamento trovai più o meno quello che mi aveva lasciato il clone nella memoria: Atasuke era sveglio, e aveva montato un aggeggio dorato con cui scrutava il cielo.

Bhe, contento lui.

Ma, anziché osservare il cielo, l'uomo era in piedi, accanto all'oggetto, teso come una corda di violino, e sembrava avere poco interesse per il suo congegno: pareva un bambino spaurito incapace di trovare la strada di casa. Quando mi avvicinai a lui, quello mi guardò con i suoi due sottili occhi neri, che ora parevano fin troppo affilati.

“Problemi?” Domandai, una volta trovatami a qualche passo da lui: il genin era di quasi una testa più alto di me, e nonostante, in un certo senso, incombesse, apparve sottomesso alle mie parole.

Per quanto non avesse dovuto, la cosa mi apparve strana.

“No. Niente.”

Il suo tono era smorzato da un fiato irregolare: mi voltò le spalle di scatto, tornando alle sue stelle.


Non ebbe tempo nemmeno per accostarsi al mirino – venne colpito di striscio ad una spalla da uno shuriken.

Yeah. Erano arrivati i cattivi, c'era con chi giocare.

Fischiai per svegliare i gemelli, pronta a dare battaglia: l'adrenalina mi saliva in corpo in un lampo, rendendomi euforica; scattai in direzione di quelli generando una serie di cloni ad aiutarmi, mentre Atasuke rimaneva immobile dove si trovava.

Non aveva un briciolo di reattività, a quanto pareva. Se non fosse stato per l'UzuKage, l'avrei volentieri lasciato a se' stesso.

Era gente del paese della nebbia, esattamente ciò che mi aspettavo - i Kensei arrivarono rapidi a darmi sostegno: di Atasuke, nessuna traccia.

L'imboscata era di una quindicina di persone, quantità decisamente esagerata: essendo loro così in tanti, noi, che eravamo di casa, sapemmo ammazzarne una decina in meno di cinque minuti.

Se ne avessero mandati di meno, avrebbero evitato così tante perdite.

Fatto il grosso ci riavvicinammo all'accampamento, dove gli altri cinque ninja stuzzicavano il Genin quasi divertiti. Fossi stata al posto loro, avrei osato fare lo stesso: Atasuke era impacciato, schivava a stento kunai e shuriken, sudava, il suo chakra scorreva con un'irregolarità talmente diseguale che lo si riusciva a percepire da lontano senza aver bisogno di particolari abilità.

“Che pena.”

Il Genin mi guardò con gli occhi sgranati. Con il fiatone, barcollava: il suo volto era teso, preoccupato, serio. Gli si leggeva in faccia che sapeva di poter morire da un momento all'altro: ciò nonostante, non si scomponeva, perfettamente cosciente dei propri limiti. Non si sarebbe mai vista ombra della sua disperazione se non per un piccolo, misero, dettaglio: tremava. Tremava come una foglia, compostissimo, ma tremava.

Non mi fermai oltre a contemplare quella figura, preferendo uccidere i cinque rimasti.


Quelle erano battaglie a cui ero abituata: piccoli plotoni di Ninja mediocri che venivano sparsi qua e là, sui confini. Nulla di particolare.

Un gemello mi aveva scagliato contro la quarta vittima, ed io gli affondai il tanto* nel cranio. Avevamo quasi finito, questione di istanti: ne mancava uno solo. L'ultimo ninja aveva appena lanciato Atasuke a terra con un semplice cazzotto, ed ora si avvicinava allo zaino, cercando qualcosa: che sapesse dei documenti?

Scaraventò via lo zaino, senza trarne fuori nulla.

Evidentemente sì.

Quando si accorse che ci eravamo liberati dei suoi compagni, si lanciò su Atasuke puntandogli un kunai alla gola.

Ora, se la sua vita non fosse stata parte della missione, avrei potuto tranquillamente sfruttare quella incauta mossa colpendolo alle spalle che mi dava, sacrificando il Genin; ma, avendo l'UzuKage parlato chiaro, fui costretta a evitare.

Mi lanciai a mia volta sul Ninja, interferendo col gesto e salvando Atasuke: fui avventata, perchè l'altro, nel frattempo, aveva preparato una tecnica che mi sbalzò lontano senza che me ne potessi rendere conto.

Intontita, tentai di alzarmi.

Certo non avevo a che fare con uno stupido.

“Dove sono i rotoli?” domandò quello, in un ringhio.

Non so se Atasuke tacque per paura o per giudizio.

Mi lanciai di nuovo contro a quello, che mi sbalzò indietro una seconda volta, ferendomi una spalla.

“Mi faccio saltare!”


I protocolli erano quelli: prima la missione, poi i compagni, poi te stesso.

Se io difendevo Atasuke, era chiaro che non era proprio un 'compagno', ma faceva parte della missione da compiere. Ed essendo questa, a quanto diceva l'UzuKage, una faccenda importante, il ninja era pronto a morire per l'onore e la sua missione: ovvero distruggere la nostra.

D'altro canto anche i Kensei, che non sapevano che Atasuke valesse quanto i documenti, mi guardavano con gli occhi sgranati.

Atasuke era solo d'intralcio, ci avrebbe fatto solo che comodo non averlo a rallentarci.


Con la sinistra il ninja componeva mezzo sigillo della tigre, con la destra tentò di sgozzare Atasuke. Il Genin si parò con la mano, e così il kunai gliela trapassò, incollandogliela al terreno.

Urlò.

“Provate solo a toccarmi, e salto. Non sto scherzando – fuori i rotoli!”

E il ninja del vento lo disse con un certo orgoglio.

Iniziai a muovermi per sfruttare il fior fiore dei miei genjutsu, che rimaneva l'unica cosa da fare: conoscevo quella tecnica, l'avversario era sensibile al minimo tocco estraneo.

Atasuke rimaneva dov'era, spaurito.

Non mi soffermai ulteriormente su quanto mi infastidisse, altrimenti avrei finito sul serio per lasciarlo in mano al nemico.

Quello andò per afferrare un altro Kunai: dovevo muovermi, se no me lo ammazzava.

Fece per caricare, ma si fermò a metà: guardava la sinistra di Atasuke: il Genin stava tracciando dei segni in terra con il proprio sangue.

Questo ci bloccò tutti.



___________________________________


Un quadrato, un cerchio inscritto, doppia croce, cerchio circoscritto. E poi avanti, ad infittire la trama di quello che era un simbolo complicato e dalle sembianze solenni.

Il mio assalitore si paralizzò. Io lo guardai assottigliando gli occhi, dolorante, ma con l'espressione divertita.

Alla fin fine, era l'unica cosa che mi era rimasta da fare.



___________________________________


“Che cavolo...”

Il ninja scostò con un piede la mano tremante di Atasuke dal disegno che stava componendo: il Genin tornò a disegnare imperterrito.

Gliela afferrò, lasciando cadere il kunai, ma quello faceva forza tornando sempre sul suo tracciato: pareva deciso a concluderlo.

Io, senza capire che diamine stesse facendo, interruppi la sequela di sigilli, rinunciando alla mia tecnica per cercare di comprendere.

Atasuke aveva terrorizzato il nemico, che ora urlava intimandogli di smettere. La convinzione con cui continuava a tracciare il simbolo e lo sguardo cinico con cui osservava quello ci mandò in panico.

Che volesse farsi saltare a sua volta, con qualche strano metodo? Che volesse distruggere i documenti? Meglio di niente, non sarebbero arrivati in mani nemiche.

Qualsiasi cosa fosse, ci aspettavamo tutti qualcosa di clamoroso e letale.

Il Ninja sciolse la sua mezza tigre, diventando così inesplosivo.


Che fare?

Volevo assolutamente sapere cosa stava facendo. Ero paralizzata dalla curiosità, specialmente considerando che da lui non mi sarei mai e poi mai aspettata nulla del genere.

Eppure, in quel momento, avrei potuto ammazzare senza troppi problemi l'ultimo rimasto dell'imboscata.

Tentennai qualche secondo, finchè Atasuke non mi chiamò.

“Tai!”

Eh?

Hu.

In quell'istante mi resi conto di quanto stupidamente avevo affrontato quella battaglia. Mi stavo comportando come un Genin – macchè, come uno studente -, con stupidità e totale incoscienza.

Mi dannai.

“TAI!”

E conclusi quel che c'era da concludere.


Il corpo inerme si accasciò sopra ad Atasuke. Quello rimase immobile a terra, paralizzato, con il fiatone e tremante più che mai. Gli scostai di dosso il cadavere, ma il Genin non si mosse, rimanendo là, senza far nulla.

Per terra si vedeva il simbolo che aveva fatto tanto scalpore.

“Che cosa stavi facendo?” domandai, osservando il disegno.

“Nulla” rispose con un filo di voce.

“Non raccontarmi balle”

“Nulla, sul serio. L'hai visto. Non ho fatto nulla.”

Schioccai la lingua sul palato, infastidita.

“Che è, una tecnica segreta?”

“No. Non è niente.”

“Non fare lo scemo, se so cosa è possiamo vedere come sfruttarla in futuro.”

“Non è nulla.”

“Non fare l'immaturo, che, sei geloso della tua tecnicuccia?”

Si stizzì di colpo.

“Ti ho detto che non è nulla. NIENTE. Dimine, ti ci vuole uno studio?”

Lo guardai a lungo.

Poi capii.


Bastardo.

Aveva bluffato.











 


Eccociqui!


Questo capitolo è stato scritto qualche anno fa, e mi fa piacere vedere che gli ultimi eventi del manga non hanno inciso troppo - anzi, mi hanno quasi assecondata x)


Chi vuole vedere Atasuke? Nessuno, vero? X°D semmai vi interessasse,


Atasuke Uzumaki: *IMMAGINE*


Personalmente lo adoro, è tipo uno dei disegni più belli che mi sia mai riuscito - sì, non sono una cima a disegnare.

Lo adoro anche come personaggio, ha una storia che per per me è molto personale (non è la mia, benintesi, ma ha una serie di caratteristiche che me lo fanno sentire molto vicino).


 

 

 

   
 
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