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Autore: pachelbel90    30/08/2010    0 recensioni
"La verità è che mi mancava qualcuno con cui scherzare e giocare, come facevo da piccola.[...]Avevo bisogno di Jacob Balck. Il mio Jacob, il mio lupo rossiccio. Da quanto tempo non lo vedevo? Da mesi ormai." Cosa succederebbe se Nessie fosse stata tenuta separata da Jake per qualche mese? E se tornasse solo lei a Forks?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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CAPITOLO DUE: FURIA E RESA

 

I loro sguardi dicevano tutto ciò che non riuscivano a dire a parole. Non si aspettavano di certo una richiesta simile da parte mia; io d’altro canto mi aspettavo proprio questa reazione da parte loro.

In una frazione di secondo fui sommersa dalle grida dei miei familiari, che tutti insieme, persino la tollerante Esme, mi negavano ciò che avrei tanto voluto, adducendo scuse inutili come causa del loro rifiuto.

“Renesmee, sei impazzita per caso?”, la mamma.

“Tu mi vuoi proprio fare del male, non tieni minimamente a me!” zia Alice.

“Non posso crederci che vuoi lasciare questo posto Nessie; perché vuoi tornare a Forks? Lì ci sono troppi brutti ricordi!” zio Emmet.

“Renesmee, sai benissimo che non possiamo tornare a Forks. È passato troppo poco tempo da quando ce ne siamo andati da lì, le persone si ricordano di noi, e noteranno subito che nessuno di noi è cambiato!” Carlisle.

“Scommetto che c’entra quel cane! È lui che ti ha messo in testa questa idea vero?” zia Rosalie.

“Come puoi pensare che Charlie possa prendersi cura di te? Tu non mangi il cibo umano, si insospettirebbe troppo, e meno cose sa su di noi, meglio è per lui!” nonna Esme.

“Non ti darò mai il permesso di partire, dovessi rinchiuderti nella tua stanza per l’eternità!” papà, inesorabile.

Solo lo zio Jasper, fin’ora, era rimasto in silenzio. Magari stava pensando per bene a cosa dire, oppure si era sentito sommerso anche lui da tutte quelle emozioni violente che erano presenti nella stanza. Infatti urlò:

“Ora basta! Contenete un po’ le vostre emozioni! Sono così infuriato io stesso che non riesco a controllarle, e mi stanno uccidendo! Nessie non puoi minimamente pretendere di volertene andare, non puoi pensare neanche lontanamente di allontanarti da noi, per di più per andare a vivere da tuo nonno! È pericoloso.”

Durante tutte le loro sfuriate ero rimasta in silenzio, ad ascoltare le loro preoccupazioni. Una parte di me rifiutava di procurare loro tutto questo dolore e tutta questa paura; avrei subito dovuto dire che mi rimangiavo tutto, che era stata un’idiozia anche solo pensarlo. Però l’altra parte di me stava puntando i piedi. Io volevo andare a Forks. Volevo crescere. Volevo ritrovare il mio vecchio amico e andare a scuola. Ma perché non riuscivano a capirlo? Spinta dalla forza della disperazione gridai: “Io non sono impazzita. So che sto facendo una richiesta davvero troppo azzardata e che potrebbe essere pericolosa, però io so di potermi controllare. So di essere in grado di nascondere la mia vera natura; posso mangiare del cibo umano, poco certo, ma posso mangiarlo. E non penso che Charlie sia sempre a casa a controllare i miei movimenti. Sarebbe facile per me andare a mangiare nella foresta. E poi, questa idea non ha niente a che vedere con Jake; sappiamo tutti quanti che non lo vedo e non lo sento da Natale. E ora siamo ad agosto.”

A queste parole abbassai lo sguardo. I miei occhi si stavano riempiendo di lacrime.

Ma che mi capitava in questo periodo? Anche solo pronunciare il nome di Jacob mi faceva stare male. Pensai; scacciai questo pensiero dalla mia testa e continuai:

“Perché non riuscite a capire il mio desiderio di crescere e di staccarmi un po’da voi?”

Detto questo, non riuscii a proseguire; sentivo le lacrime cominciare a salire e volai su per le scale, fiondandomi in un baleno sul mio letto.

Odiavo essere una mezza-vampira! Essendo in parte umana, proprio come loro potevo piangere, e questo lo odiavo: dalle lacrime le persone possono capire troppe cose. E a me non piaceva proprio che la gente, soprattutto i miei familiari, si accorgessero subito, a causa delle mie lacrime, che qualcosa non andava.

Ma come poteva avvenire il contrario? Vivevo con dei vampiri che possedevano capacità come leggere nel pensiero e captare le sensazioni presenti intorno a loro. Come potevo nascondere ciò che provavo?

Stavo decisamente delirando!

Dovevo uscire da quella casa, e subito anche! Con un balzo uscii dalla finestra e mi misi a correre il più veloce del previsto. Mio padre non era riuscito a captare i miei pensieri: evidentemente lo scudo della mamma era ancora attivo. Perciò non avevo nessuno che mi stesse inseguendo per riportarmi indietro e impedirmi di fare la pazzia che stavo per compiere.

Ero furiosa, avrei distrutto qualsiasi cosa mi fossi trovata sotto mano. Ma non c’era niente da distruggere!! Solo cumuli di neve e neve e neve e ancora neve! Possibile che ci fosse solo questo? Non c’erano alberi da sradicare, cespugli da distruggere…niente. Non c’era assolutamente niente attorno a me, a parte la grande casa che mi stavo lasciando alle spalle. Ma avevo troppo rispetto per Tanya per distruggerle la casa!

Dovevo assolutamente trovare qualcosa da fare, correre non mi bastava più; mi misi ad annusare.

Purtroppo per loro, l’odore di un grosso gruppo di foche mi giunse fino al naso. Localizzato il luogo mi ci fiondai, veloce come un razzo. Al mio arrivo, proprio come aveva fatto l’orso polare quel pomeriggio, rimasero un po’ interdette. La mia metà quasi umana faceva sì che all’inizio non fossero così spaventati, come invece succedeva con i vampiri normali. E questo mi fece infuriare ancora di più.

Se fossi stata un vampiro, ero sicura che sarei stata forte abbastanza da far capire alla mia famiglia che non avevo bisogno di nessuna protezione, che ero in grado di vivere la mia vita anche senza il loro aiuto. Purtroppo non lo ero. Ero solo una schifosa mezzosangue!

Accecata dalla rabbia e dal dolore, mi fiondai sulle povere foche, facendole a pezzi una dopo l’altra, solo per il gusto di farlo.

Proprio mentre stavo per fermarmi, disgustata da quello che stavo facendo, due mani forti mi strinsero da dietro e mi trascinarono via da lì. Lottai contro queste mani, ma mi sentii pervadere da una sensazione di tranquillità, che mi fece subito bloccare.

Mi girai.

Jasper era lì con me. E c’era solo lui.

Lo guardai negli occhi e lui ricambiò il mio sguardo con una strana espressione in viso. Senza pensarci, mi strinsi forte a lui e scoppiai a piangere. Lui, stranamente, mi strinse a sé.

Non ricordavo di essere mai stata abbracciata da Jasper. Il sangue che scorreva nelle mie vene gli dava fastidio, un fastidio tremendo in realtà, e lui non era ancora tanto bravo a controllare la sua sete. Fin da quando ero piccolina ricordavo di dovergli stare lontana e di non stuzzicarlo troppo. Avevo imparato a mascherare il mio odore, affinché non fosse tanto forte da dargli problemi. Sapevo che mi voleva bene e che non sarebbe mai stato in grado di farmi del male, ma dato che anche io gliene volevo, tentavo di facilitargli il compito.

Mi staccai da lui e lo guardai. Come immaginavo aveva smesso di respirare, tuttavia aveva un’espressione abbastanza rilassata. Mi sorrise e disse: “Anche io ti voglio bene Nessie, e ti sono davvero grato che tu mi renda il più facile possibile starti vicino.”

Ops! Evidentemente, mentre lo abbracciavo, non avevo controllato il mio potere, e lui aveva visto tutto ciò che avevo pensato. Arrossi violentemente. E poi subito dopo mi allontanai da lui.

Cavolo, non dovevo arrossire! Era peggio!

La sua risata mi raggiunse e scoppiai a ridere anche io, meravigliata dal suono della sua risata. Rideva così poco spesso. Ed era un peccato, perché aveva una voce bellissima e molto musicale.

Jasper si avvicinò lentamente a me dicendo:

“Dai piccola, torniamo a casa.”

Lo seguii senza fare una piega. Mentre correvamo uno vicino all’altro gli chiesi:

“Come facevi a sapere dove fossi?”

“Beh, tua madre, non trovandoti in camera, ha tolto lo scudo per consentire a Edward di localizzarti. Appena ti abbiamo localizzato ho convinto tutti a farmi venire qui da solo.”

“Perché da solo?”

“Beh, perché è più facile controllare le emozioni di una sola persona che di due.” e mi sorrise.

Certo, dovevo ammettere che aveva senso. Ero felice che fosse venuto da solo, altrimenti non ci saremmo mai scambiati l’abbraccio che ci eravamo dati poco prima. Chissà perché tenevo tanto a questa cosa… Forse perché non ero del tutto sicura dei suoi sentimenti verso di me e volevo la conferma che il mio bellissimo zio mi volesse bene? Probabile.

Jasper mi guardò, confuso. Le mie emozioni erano confuse quanto la sua espressione in quel momento, e per fortuna non riuscì a recepirle tutte. Altrimenti mi avrebbe causato altro imbarazzo!

 

Giunti a casa entrammo insieme in salotto. Tutti erano dove li avevo lasciati. Il clan di Denali non era ancora tornato.

Bella mi corse incontro:

“Renesmee, tesoro, mi hai fatto preoccupare tantissimo!” mi disse; ma io ero troppo concentrata su papà, che stava guardando Jasper. Probabilmente lo zio gli stava facendo un resoconto dettagliato di ciò che era successo. Sperai che si tenesse per sé ciò che gli avevo trasmesso col mio potere.

Guardai papà e gli chiesi:

“Papà, per favore. Io voglio andare.”

Si girò lentamente verso di me e disse: “No”

Secco, sbrigativo. Doloroso.

Neanche Jasper riuscì più a controllare tutte le mie emozioni.

A passo umano questa volta, mi rintanai in camera mia e mi accucciai sul letto.   

Smisi di pensare e lasciai che tutte le lacrime cadessero sul mio cuscino e lo bagnassero; alla fine, stanca di tutta la forza che avevo sprecato per piangere e pensare, mi addormentai.

Ma poco prima di addormentarmi sentii due mani fredde che mi sfioravano la guancia: aprii pian piano gli occhi e intravidi la sagoma di mia madre. Senza dirle niente, sprofondai nel sonno.

 

La mattina dopo mi sentivo uno straccio. Mi trascinai in bagno e mi guardai allo specchio: avevo una bruttissima cera, gli occhi gonfi e le occhiaie pronunciate. I capelli mi si erano appiattiti in cima, e i miei boccoli, di solito definiti come quelli delle modelle delle pubblicità per capelli, avevano assunto la forma delle balle di fieno. Ultimo ritocco a questo splendido spettacolo era il segno del cuscino sulla guancia destra.

Dato che non avevo nessuna intenzione di uscire dalla mia stanza, anche perché se fossi uscita sarei partita seduta stante e il mio caro padre me lo avrebbe sicuramente impedito, mi lavai solo la faccia, i denti e ritornai a letto.

Rimasi per ore a guardare il soffitto, come potrebbe fare un carcerato nella sua cella. Ecco, io in quel momento ero proprio come un carcerato, con la sola differenza che almeno lui aveva l’ora d’aria, mentre a me non era concessa neanche quella.

Provai a cancellare tutti i pensieri che mi affollavano la mente e stranamente ci riuscii, ripiombando nel mio stato comatoso.

Verso la fine del pomeriggio sentii la voce di Carmen levarsi alta dalla cucina al piano di sotto. Il clan di Denali era tornato durante la notte, quando io ormai dormivo già; così non sapevo quanto loro sapessero di ciò che era successo in casa loro durante la loro assenza, ma dato che nessuno di loro entrò nella mia stanza, capii che probabilmente qualcuno doveva averli informati sull’accaduto. Io puntavo su Carlisle. Era lui il portavoce, il capo, la mente del nostro clan. Noi lo seguivamo in tutto e per tutto. Lui sapeva sempre qual era la cosa giusta da fare.

Ma allora perché non si era schierato dalla mia parte? Era così sbagliato desiderare di andare a scuola, di tornare alle origini e di rivedere un mio carissimo amico?

Beh, dovevo ammettere che quella era la cosa che io ritenevo giusta per me stessa. Carlisle invece sapeva qual era la cosa giusta da fare per tutto il clan; ed effettivamente la mia richiesta non rientrava nella categoria “le cose giuste per il clan”.

Carlisle non poteva fare nulla per lenire il mo dolore, o per accontentarmi, imponendosi sopra le decisioni dei miei genitori, o anche solo schierandosi dalla mia parte.

Però forse c’era qualcuno che poteva farlo.

Con uno scatto mi misi seduta e ascoltai le voci che provenivano, alte, dalla cucina.

“Io penso che la richiesta di Renesmee non sia così azzardata. Forse dovreste provare ad accontentarla, magari è una mia impressione, ma ultimamente mi sembra sia cresciuta molto, e non intendo solo fisicamente. Ha cambiato modo di pensare. Dal mio punto di vista il suo non è un capriccio. Lei vuole veramente andare a Forks. E se voi le voleste bene davvero…”

Purtroppo non riuscii a sentire la fine del suo discorso, perché le parole di Carmen furono coperte dal sibilo di mia madre, udibile persino alle mie orecchie.

“Cos’è che volevi dire? Tu, come osi permetterti di insinuare che io non voglio bene a mia figlia? Alla mia unica figlia? Io farei di tutto per lei.”

L’aria si stava facendo pesante, così decisi di abbandonare il mio rifugio sicuro e di andare almeno in cima alle scale per vedere che stava succedendo di sotto.

I Cullen e gli altri si trovavano in salotto; Bella, trattenuta a forza da Carlisle, era a un centimetro dal collo di Carmen, che invece era ferma, ma scossa. Evidentemente la spinta che mia madre aveva dato a Carmen aveva fatto sì che si fossero spostati dalla cucina al salotto. Eleazar, il compagno di Carmen, era in posizione di attacco nei confronti della mamma, ma era trattenuto da Garrett, il compagno di Kate che era riuscito a diventare vegetariano. Anche mio padre, trattenuto da Emmett, era acquattato davanti a Eleazar. 

Tutto faceva pensare che sarebbero giunti presto ad uno scontro: il clan di Denali da un lato e i Cullen dall’altro, con Carlisle ed Esme nel mezzo a fare da pacieri. Tutto questo era da evitare! Non volevo che si facessero del male a causa mia!

Improvvisamente però l’atmosfera si fece più leggera e tutti si rilassarono, abbandonando le posizioni di attacco. Jasper stava usando il suo potere per placare gli animi.

“Non voglio che litighiate a causa mia.” riuscii a dire ancora inebetita, poi girai i tacchi e tornai in camera mia.

 

Da questa non uscii più per settimane. Le uniche volte che uscii fu per andare a caccia, tenuta però sotto stretto controllo da Tanya, Bella e Jasper, che ormai uscivano per mangiare solo quando uscivo anche io.

Tutto questo controllo era inutile. Non sarei mai scappata. Non volevo rovinare il rapporto splendido che avevo con i miei familiari; ultimamente era già stato compromesso a sufficienza. Cominciavo a essere stanca di tenere il muso. Ma era l’unico metodo che conoscevo per far capire loro quanto grande fosse la voglia che avevo di tornare a Forks.

Non so cosa successe esattamente, ma una sera, verso la fine di agosto, tutto cambiò.

Zia Alice e zio Jasper si presentarono in camera mia.

Eccoli qua, il messaggero e il controlla-emozioni! Pensai arrabbiata. Era dal giorno del quasi-scontro che non rivolgevo loro la parola, e non avevo nessuna intenzione di smettere proprio ora.

“Nessie, per favore, vorresti smetterla con tutta questa rabbia e frustrazione? Stai facendo impazzire Jasper. Piantala di fare la bambina capricciosa e vieni giù. Dobbiamo parlarti.” disse la zia. Improvvisamente mi sentii svuotata di tutte le emozioni. Al diavolo Jasper e il suo potere!

Cosa potevo fare? Assolutamente niente! Mi costrinsi a seguirli giù per le scale e, arrivata in salotto, vidi che erano presenti tutti quanti, i due clan insieme, seduti vicini. L’unico un po’ in disparte era Edward.

Mi sedetti per terra, davanti a loro. Mi sentivo quasi a un esame, anche se non ne avevo mai dato uno.

Mia madre parlò:

“Senti tesoro, noi abbiamo pensato molto alla tua richiesta. Come hai potuto notare ci sono state tante controversie, e mi spiace se ti abbiamo fatto preoccupare che tra noi avvenisse uno scontro” disse guardando Carmen, che ricambiò lo sguardo e le sorrise. Mamma le sorrise di rimando.

“Abbiamo deciso di accontentarti. Ad una condizione però: dovrai portare sempre con te il telefonino, e soprattutto, allo primo sgarro che fai, ti riportiamo qui. È tutto chiaro Renesmee?”

Non credevo alle mie orecchie! Allora fare la bambina capricciosa portava veramente a qualcosa!! Sarei partita. Avrei abbandonato tutto quel bianco, le foche, gli orsi polari… sarei tornata a Forks. Sarei tornata a casa mia. Avrei rivisto il nonno, sarei andata a scuola, e soprattutto avrei rivisto Jacob. Avevamo tante cose da dirci e tante cose da recuperare! Ci saremmo divertititi un mondo!

Mi alzai in piedi e abbracciai la mamma.

Le parole non servivano. Lasciai che ciò che stavo pensando si riversasse su mia madre che, sentito quello che provavo, mi strinse ancora più forte e mi baciò sulla testa.

“Oh mamma, non sai quanto sono felice!!” dissi ridendo.

Tutti quanti mi si avvicinarono, felici, per complimentarsi con me. Zio Jasper mi abbracciò e mi disse nell’orecchio:

“Sono felice per te piccola. Riesco a sentire la tua felicità, ed è un bel cambiamento per me, dopo tutta la tua rabbia!”

“Grazie tante zio! Mi spiace averti fatto stare male.”

“Tranquilla, è tutto ok adesso!”

Zia Alice ci separò dicendo:

“Ehi tu, giù le mani dal mio uomo!” Tutti la fissammo con sguardo vacuo, e lei scoppiò a ridere dicendo:

“Sto scherzando, sto scherzando!”

Scoppiammo tutti a ridere. Ma c’era qualcuno che non condivideva il nostro stato d’animo. Edward era davanti alla televisione e la fissava con sguardo spento. Sapevamo tutti che non la stava guardando sul serio.

Papà… pensai triste. Come mai gli stavo facendo questo? Mi avvicinai a lui per consolarlo, ma  avvertì il mio spostamento verso di lui, così si alzò e uscì di casa.

Lo rincorsi sino a fuori, ma due mani dolci mi bloccarono. Mi voltai e vidi il volto gentile di nonna Esme, che mi disse:

“Tesoro, lascialo perdere. Gli passerà vedrai. Lui continua a dire che è troppo pericoloso, che non ci sarà nessuno a proteggerti. Ma io sono sicura che tu non ti caccerai nei guai e che se ci fosse bisogno Jacob e il resto del branco ti proteggeranno, come hanno sempre fatto. Inoltre tu potrai metterti in contatto con noi usando il cellulare e noi in poco tempo riusciremmo a essere da te. E per quanto riguarda il tenere nascosto a Charlie la tua vera natura, non penso ci saranno problemi. Intanto lui è a lavorare per tutto il giorno, perciò tu avrai tempo per andare a mangiare. Inoltre ciò che ci faceva parlare così prima era la paura di perderti. La verità è che ci mancherai parecchio Renesmee. Soprattutto a tuo padre.”

Rimasi in silenzio dopo aver sentito le sue parole. Allora era quello il vero problema! Sarei mancata a papà. Sarei mancata a tutti. Stavo di nuovo per scoppiare a piangere!

Non volevo andare via senza prima chiarire con mio padre.

“Mamma” chiamai.

“Eccomi, sono qui. Che c’è tesoro?”

“Mamma, io non vado via senza prima aver chiarito con papà.”

“Tranquilla tesoro, è testardo, ma prima che partirai stai sicura che verrà lui da te.”

“Lo spero mamma…”

All’improvviso mi sentii chiamare:

“Nessie, vieni qui!!” era Garrett.

“Dimmi Garrett” risposi.

“Dovresti chiamare tuo nonno ora. Non puoi presentarti da lui senza preavviso per dirgli che ti trasferisci a casa sua.”

 Risi e presi il telefono che mi stava porgendo. Non sapendo il numero, me lo feci dettare dalla mamma. Composi il numero e il telefono cominciò a squillare. Dopo tre squilli finalmente mi sentii dire: “Pronto?”

“Pronto nonno Charlie. Sono Renesmee”

“Renesmee?” E poi sentii un tonfo sordo.

   
 
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