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Autore: Hakigo    30/08/2010    2 recensioni
RACCONTO IN REVISIONE!
Cit Cap. 6: [Lo guardai imbarazzata e indignata, mordendomi il labbro, aspettando la sua reazione, ma lui mi stava semplicemente guardando, imbacuccato dentro Il suo cappotto da mille dollari e la dentro la sua sciarpa firmata. Sorrideva, col naso rosso e gli occhi brillanti.
In quel momento, quando mi sporsi verso di lui e lo baciai, capii.
La mia non era una cotta. Era qualcosa di dannatamente serio, troppo serio.
Mi cacciavo sempre nei guai, ma che potevo farci se non potevo vivere senza I miei stupidi problemi? Capii che l'amore non ha ostacoli, non ha pregiudizi, non ha ragione. L'amore è come una clessidra: se si riempie il cuore, la mente si svuota. Lui, quell'uomo splendido che mi teneva stretta a sè con il giornale ancora tra le dita, era il mio amore, il Dio del mio cuore e non avrei potuto impedirlo. L'amavo, l'amavo tantissimo e non avrei permesso al mio cervello di farmelo scappare, non ora che ne avevo tremendamente bisogno.
Quel bacio di una mattina gelida di settembre, mi scaldò più della cioccolata calda che ora giaceva impotente sul marciapiede.]

Un racconto attuale, che non mette da parte le difficoltà che propone la vita. Il tutto misto ad una tenera storia d'amore della protagonista Irene, un'italiana amante dell'arte e della buona cucina.
Buona lettura.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel bellissimo mondo italiano vivevo la mia adolescenza felice, andando in giro con le amiche, partecipando alle innovazioni a scuola, per non parlare poi delle iniziative del mio paese.
Mare e collina allo stesso tempo, la mia cittadina era splendida, costruita sul tufo. I tetti delle vecchie case svettavano verso l'alto, quasi volessero toccare il cielo con le loro tegole di terracotta.
Tutto era sano ed equilibrato. Mio padre aveva una bellissima serra dove aiutavo spesso. Mia madre lavorava alla mensa di un'azienda in città. Eravamo tre fratelli, di cui io l'ultima femmina, frequentante l'istituto grafico-pubblicitario, nonostante mio padre insistesse nel farmi prendere ragioneria. Fu proprio in un giorno di marzo, quando I fiori d'arancio cominciavano a sbocciare, che si udì uno sparo non molto distante dal portone d'entrata delle serre di mio padre. Nonostante il nostro paese fosse sotto l'influenza della Mafia, con spari quindi molto frequenti, ogni volta ci prendeva il panico, per paura che uno dei nostri conoscenti, amici o familiari fosse stato ucciso.
La sorte ci aveva voltato le spalle, perchè proprio steso per strada, in una pozza di sangue, giaceva mio fratello maggiore, il secondo genito.
Ricordo ancora perfettamente quei minuti, quando corsi verso di lui, troppo spaventata per scoppiare a piangere, inginocchiandomi a terra sui brecciolini, sollevando mio fratello da terra, macchiandomi i vestiti del suo sangue. Solo quando vidi I suoi occhi privi di vita e le mie mani macchiate di quell'orribile liquido rosso, riuscii a liberarmi e a piangere, mentre la gente accorreva a vedere cos'era successo. Odiosi. Come se loro non avessero visto niente!
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola per cacciarli.
Dovevano stare lontani da lui, dal corpo di mio fratello. Loro, troppo codardi per testimoniare davanti ad un tribunale, osavano piangere e stupirsi?
Stavo ancora urlando quando gli uomini dell'ambulanza mi separavano da lui.
Stavo ancora urlando quando mi svegliai di soprassalto, sentendomi scuotere.
Non vedevo ancora niente, solo buio, cercando di allontanare da me il soccorritore; passai una mano sul viso della sagoma: sul mento c'era un sottile strato di barba. Improvvisamente sentii la forza mancarmi, lasciandomi andare, battendo forte le palpebre per mandar via le lacrime.
Davanti a me non c'era più mio fratello, ma Fernando, che mi guardava preoccupato, poggiandomi una mano sul viso. Lo abbracciai istintivamente, ancora tremante. Mi guardai le mani pulite da ogni traccia di sangue, ma madide di sudore, nonostante sentissi freddo.
Vedevo Alexander piangere, ma non sentivo nessun rumore.
Ci misi almeno un minuto per riprendermi, mentre ancora sentivo le direne dell'ambulanza lontane. Tutto tornò tranquillo. Sentii finalmente il pianto del bambino e Grace che gli cantava una ninna nanna, cullandolo, per tranquillizzarlo.
Fernando mi sussurrava all'orecchio – Va tutto bene. -
Smisi di piangere, mollando la presa dalla sua schiena. Solo in quel momento mi accorsi che era a torso nudo e che stavo graffiando la sua schiena. Mi scusai.
- Che ore sono? - chiesi poi.
- Sono le quattro e diciassette del mattino. - mi sussurrò senza smettere di stringermi, nel mio orecchio, dolce come non avevo mai sentito. La sua voce era come agitata, calda. Non ne capii il motivo. Che fosse colpa della paura?
- Scusami – mi scusai ancora, lasciandolo andare, schiarendomi la voce e asciugandomi gli occhi, sedendomi bene di fronte a lui. Il mio sguardo passò a Grace, che guardava l'uomo come se avesse appena ucciso qualcuno, quasi con paura. Ormai il bambino aveva smesso di piangere e feci cenno alla mia amica di portarmelo, in modo da consolarlo un po'.
Si avvicinò piano e presi il piccolo raggio di sole in braccio, mentre lei mi faceva cenno che doveva andare in bragno. Fernando mi rimase seduto vicino.
- Scusami, è colpa mia – lo guardai alzando un sopracciglio – L'incubo...non vorrei che ti fosse venuto perchè ti ho messo in agitazione. - sussurrò.
- No, non scusarti. - sussurrai a mia volta. Avrei voluto spiegargli il motivo, ma sarebbe venuto a conoscenza della mia storia ed io non ero ancora pronta a quel passo.
- La prossima volta non sarà così. Te lo prometto. - mi carezzò e mi baciò la guancia, lentamente. Mi voltai verso il bambino quando sentii tirare lo sciacquone del bagno. Ci guardava curioso.
“Ene” sussurrò e ci giocherellai un tantino. Mi passò una manina sul viso e gliela baciai. Mi diede delle piccole bottarelle sul petto, sulla parte superiore dei seni, stingendo poi la stoffa del pigiama con la mano. Era un bambino, non mi stupii molto, non mi diede neanche fastidio, ma vidi Fernando irriggidirsi, guardando il piccolo quasi con gelosia.
Lo ritenni abbastanza infantile, visto che era una cosa che I bambini facevano spesso, abituati con la mamma.
Tornò Grace – Sarebbe meglio che torniamo tutti a dormire! - trillò.
- Hai ragione... - commentai, cedendole Alexander.
Accompagnai l'ospite alla porta e gli augurai una buona notte, tornando poi nella mia stanza. Grace mi si sedette vicino.
- Potresti farmi il favore di non frequentare quell'uomo? -
- Come? - chiesi, non capendo il motivo di quella sua uscita.
- Mi è parso di vederlo camminare fuori dalla finestra, sulle scale antincendio. - rimasi stupita.
- Non penso sia possibile. E' pericoloso. - dissi incredula.
- Beh, rimane il fatto che non l'ho chiamato per soccorrerti. Era già qui. -
- Grace, questi discorsi mi inquietano. - tagliai corto, assalita dai brividi.
- Hai ragione, scusa. Possiamo dormire con te? Alexander è ancora agitato per lo spavento. -
- Vieni... - disse, sorridendo, spostandomi. Dormimmo abbracciati e gli incubi non tornarono più quella notte.
L'indomani mi svegliai quando l'alba non era ancora iniziata. Mi svegliai alle sette e a mezzogiorno ci sarebbe stata la sfilata. Fortunatamente in strada era tutto pronto.
Dato che non riuscivo a riprendere sonno, decisi di lavarmi, visto che con l'incubo avevo sudato parecchio. Presi il cambio e mi recai in bagno, spogliandomi e gettandomi sotto la doccia, sospirando. Mi parve di sentire un rumore e mi voltai verso la finestra. Nessuno. Continuai a lavarmi, sicura che fosse solo la mia immaginazione. Mentre ero sotto il getto tiepido dell'acqua, mi tornarono in mente I miei ricordi.

Dopo che mio fratello fu portato via dall'ambulanza, coperto di un lenzuolo bianco, mi voltai verso le finestre. Nessuno era accorso in nostro aiuto, tranne alcuni vicini e ogni volta che guardavo da qualche parte, le tende delle finestre si chiudevano di nuovo. Mi sentivo spiata e tradita dalla mia stessa gente.
Fu difficile riprendersi dal colpo e quando arrivarono gli usurai a chiedere soldi, eravamo ancora in alto mare, pieni di sofferenza fino al collo.
Erano in due. Il più grosso chiese di fare un giro della serra e mio padre li accompagnò. Volevo chiamare la polizia e urlare che gli assassini erano in casa, ma mia madre mi fermò.
“Uccideranno anche te. Non muoverti e vai in camera tua.” mi rimproverò. Obbedii.
A cena, mio padre riferì che avevano preso una delle serre per nascondere I loro attrezzi. Non aveva avuto altra scelta, ritrovandoci nel pieno del giro. Nessuno di noi si faceva coinvolgere nei loro affari, tranne mio padre, che passava meno tempo alla serra per svolgere delle consegne o altri piccoli compiti che gli venivano assegnati.
A un anno dalla morte di mio fratello, già li aveva ribatezzati come “famiglia” e “fratelli”.
Lo odiavo e per colpa sua tutti odiavano noi. Tutti si voltavano dall'altra parte al nostro passaggio. Al supermercato eravamo arrivati a pagare tutto la metà. Tutti avevano paura di noi e io ne soffrivo.
Quando papà entrò completamente nel giro, decidemmo di chiedere aiuto alla polizia e di agire sotto copertura. Così fu. Un poliziotto giovane venne scelto come infiltrato.
Si chiamava Andrea, 26 anni. Io non avevo che 18, ma quando mio padre si accorse che il poliziotto si trovava spesso in casa, io e mia madre ci inventammo la banale storia del mio fidanzamento. Il capo famiglia non domandò altro.
Io e Andrea avevamo cominciato subito a frequentarci. Mi trovavo bene con lui, tanto che cominciai a volergli bene. Mi portava sempre in posti carini, mi aveva presentato ai suoi amici. Ricordavo ancora perfettamente la nostra conversazione in macchina, mentre mi stava accompagnando a vedere Roma di notte.
- Non devi farlo per forza... - commentai. Ormai era diventata la mia frase di rito ad ogni uscita.
- Non mi stai forzando. Sono fuori servizio. - rispose sorridendomi, facendomi battere forte il cuore. Lui non era come gli altri. Lui non aveva paura di me. Lui mi voleva bene.
- Potevi portare qualche tuo amico.. - commentai quando ci ritrovammo appoggiati ad una ringhiera a fissare il Foro illuminato dalla luce dei lampioni. Mi chiedevo fino a che ora sarebbero rimasti accesi, visto che al telegiornale avevano detto che avrebbero spento per dieci minuti tutti I lampioni del centro, come campagna per il risparmio energetico.
- Non voglio rovinarmi un appuntamento. - disse, formando le caratteristiche nuvolette di condensa. Faceva molto freddo in effetti e per farmi vedere I Fori lo stavo facendo congelare. Mi avvicinai a lui.
- Non devi sforzarti di fare il bravo fidanzato...e non c'è neanche bisogno che tu muoia di freddo per me – commentai, voltandomi, dando la schiena a quello splendido capolavoro centenario, appoggiandomi con I gomiti sul piano di marmo. Feci per voltarmi a guardarlo, ma me lo vidi praticamente davanti, a circa trenta centimetri dal mio viso, mentre mi teneva bloccata tra il muretto e il suo corpo, con le mani poggiate sul marmo freddo. Il suo naso era rosso e la pupilla era talmente grande che si vedeva a malapena il colore verde degli occhi. La visiera del cappello gli metteva in ombra parte del viso.
Mi sentii improvvisamente in trappola e tremendamente imbarazzata, imbambolata.
- Ti da così tanto fastidio uscire con me? - mi chiese quasi deluso. Mi sentii tremendamente in colpa.
- No affatto! Tu però hai degli amici, degli impegni e stai con me praticamente ogni sera.. - mi giustificai, senza abbassare il viso – Questa farsa ti sta rubando un sacco di tempo. -
- Per me questa non è più una farsa. - sussurrò. Dalla sua bocca uscivano ad ogni parola delle nuvolette.
- Stai morendo di freddo. - cercai di cambiare discorso.
- Scaldami tu. Abbracciami, Irene. - il mio nome, sussurrato con tanto amore, quasi lussuria, mi fece sobbalzare e arrossire. Un po' titubante, obbedii agli ordini, allungando le braccia, infilando le mani dentro al cappotto di pelle che aveva appena aperto, circondandogli la schiena. Nonostante tremasse leggermente, era tremendamente caldo. Lui sospirò e mi abbracciò a sua volta, cingendomi il collo. Mi mancò il fiato per qualche secondo, mentre mi spingeva verso il muretto, intrappolandomi di nuovo.
Sentii le sue labbra sui miei capelli, poi sulla tempia, poi scoprì l'orecchio. Chiusi gli occhi. Ero agitata, molto agitata.
- Sei mia. Sono tuo. Amami. - sussurrò caldo. Sentii chiaramente il suo alito caldo nell'orecchio.
Rabbrividii. Non riuscivo a rispondere. Nelle orecchie continuava a risuonarmi la sua frase e il cuore martellava veloce. Probabilmente prese il mio silenzio come un assenso, perchè arrivò alla mia guancia, scendendo sul mento e sul collo. Ansimai piano, per non farmi sentire, ma il suo orecchio era vicino e mi sentì chiaramente. Alzò il viso, guardandomi serio. Non avevo il coraggio di guardarlo a mia volta per l'imbarazzo. Strinsi la presa sul suo maglioncino.
Sentii le sue labbra vicino alla mia bocca, lasciandovi un segno bagnato, poi si avvicinò sempre di più, fino a quando arrivò a baciarmi, lentamente, gentilmente. Sentii sprigionare in quel momento tutto il suo amore. Aveva aspettato tutto quel tempo. Probabilmente l'attesa per lui doveva esser stata veramente pesante. Chiusi gli occhi. In quel momento esatto capii quanto in realtà mi piacesse. Capii cos'era la morsa allo stomaco che mi veniva quando mi salutava, o quando lo vedevo arrivare. In sua presenza ridevo spesso per la minima cosa e facevo battute tristi. Lui mi sorrideva, mi teneva per mano e io andavo in panne. Pensavo fosse una semplice cotta, ma non era così.
Il bacio fu dolce, casto e rimanemmo tutta la sera a baciaci, chiacchierare e dirci cose dolci, tutta la sera in quella posizione.
Finii la scuola grafica con un voto alto e per festeggiare mi portò a vedere il mare di notte, da una scogliera. L'avevo pregato di non portarmi sulla spiaggia, perchè odiavo la sabbia.
Ci sdraiammo sul telo. Io avevo un annuncio da fare, così mi avvicinai a lui, girandomi a pancia in sotto e alzandomi sui gomiti, mentre lui stava ad osservare le stelle, con le mani dietro la testa.
- Buon compleanno! - trillai, spostandomi I capelli dietro l'orecchio e chinandomi a dargli un bacino a stampo. Ormai ci frequentavamo da un anno e poco più, mentre ci eravamo fidanzati veramente solo da sette mesi.
- Grazie.. - mi sorrise, facendomi arrossire come una ragazzina carica di ormoni, carezzandomi la nuca amorevolmente. Prima di diventare il mio fidanzato, per me era diventato il fratello ideale. Praticamente stavo vivendo una sorta di incesto.
- Non mi hai detto cosa vorresti per regalo. - dissi aggrottando le sopracciglia.
- Non voglio nulla. Non hai neanche I soldi da parte per farmelo. - mi prese in giro. Effettivamente era vero, ma potevo chiedere qualche soldo a papà.
- E' impossibile che tu non voglia niente. Sei solo un bugiardo. - lo rimproverai, mentre giocherellavo con I suoi capelli.
- Un'idea ce l'avrei, ma non sei tenuta a farlo. - disse piano mentre mi saliva sopra, facendomi rimanere di schiena, mentre le sue mani calde mi prendevano I fianchi in modo possessivo. Andrea non mi aveva mai costretto a far niente e me ne chiedevo il motivo. All'inizio avevo pensato solo che volesse aspettare un po', ma con il passare del tempo mi convinsi che non gli piacevo abbastanza. Ero più che pronta a quel momento, anche se tremendamente agitata, visto che ero vergine.
Le mani scivolarono dai fianchi, scivolando sul ventre, risalendo, fino ad incontrare il mio seno. Ansimai quando lo strinse possessivamente. Mi spostò I capelli, baciandomi il collo.
Poi mi fece girare. Effettivamente non mi piaceva stare di schiena. Volevo vederlo, baciarlo, accarezzarlo fino allo sfinimento.
- Forse chiedo troppo. - disse titubante, vedendo che io non rispondevo.
Non riuscivo a parlare per l'emozione. Se avessi aperto bocca poi sarei scoppiata a ridere per l'agitazione e almeno in quel momento non volevo fare figuracce. Così per tutta risposta, gli presi il viso fra le mani e lo baciai, appendendomi poi al suo collo mentre il bacio si faceva profondo.
Lui mi strinse a sé. Introdusse una mano sotto la mia maglietta leggera, risalendo fino al ferretto del reggiseno. Poi andò dietro la schiena, sciogliendolo con movimenti veloci e precisi. Con quante altre donne era stato? La rabbia mi salì fino alla gola ma esplosi in un gemito, quando le dita stranamente fredde toccarono la pelle dei miei seni. Mi tolse la maglietta e l'intimo, baciandomi dappertutto, facendomi impazzire, specialmente quando si fermava sul collo.
Quando una mano aprì la zip dei miei pantaloni, persi completamente il controllo.
Tornarono a casa nel completo imbarazzo.
Andrea la accompagnò fino al cancelletto del suo giardino, baciandola sulla fronte.
- Ti amo – sussurrò.
Gli sorrisi, carica di emozione. Gli presi la mano e baciai il piccolo anello che gli avevo regalato per S.Valentino. - Ti amo. - dissi a mia volta.
La macchina di mio padre si fermò davanti casa. Abbassò il finestrino. C'erano altri due suoi compari e gli fecero cenno di salire in macchina. Mi diede un piccolo bacio a stampo e sparì nella macchina.
L'indomani, sul mio cuscino trovai il suo anello, macchiato di sangue.

Mentre l'acqua mi scivolava sul viso, mi accorsi che stavo piangendo.
La polizia era riuscita a mettere in galera mio padre. Lavorai per almeno un anno in una ditta di grafica che aveva connessioni internazionali, anche oltreoceano.
Decisi di restare almeno fino alla fine del processo, visto che avevo deciso di testimoniare. Mio padre disse ai suoi uomini che non dovevano neanche provare a toccarmi, altrimenti avrebbe rivelato I nomi dei capi, riuscendo a tenerli al loro posto.
Verso la fine della causa, decisi di fare domanda nell'azienda per chiedere una trasferta in America. Venni considerata idonea. Dopo la condanna di mio padre, partii e non tornai più in Italia, nel paese di quei ricordi tanto dolorosi. Volevo Andrea, volevo baciarlo, volevo sentirlo di nuovo mio come l'ultima notte che avevamo passato insieme, ma ormai lui aveva raggiunto mio fratello.
Mia madre e mio fratello partirono per l'Inghilterra, da una lontana parente e ci scambiavamo frequentemente delle e-mail, almeno con mio fratello. Forse per Natale sarei andata a trovarli. Mi mancavano da morire.
Era da almeno quaranta minuti che stavo sotto la doccia, così chiusi il getto e mi asciugai. Mi vestii, misi la lavatrice e andai a fare colazione. In cucina trovai Grace che preparava le sue famose frittelle.
Le sorrisi, lei lo fece a sua volta. Diedi un bacino ad Alexander e mi sedetti, aspettando la colazione.
Utilizzai uno dei miei migliori sorrisi - Allora, pronti per la sfilata? -

Note Finali_____

Ecco un nuovo capitolo, anche se in ritardo. Ho deciso di pubblicare il passato frastagliato di Irene in una sola volta, anche se passerà ancora molto tempo, prima che possa parlarne con qualcuno. Spero di non annoiarvi con il mio racconto. Piano piano prende forma e il prima possibile vi darò anche il prossimo capitolo con la sfilata. Per tutti coloro che seguono questo racconto: Siate pazienti. u.u La vostra Hakichan.

   
 
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