Call
it love
Capitolo 1
- «Denise?
Cara, svegliati, devi andare a
scuola» mi sussurrò mia madre ad un orecchio.
Mi rigirai sul materasso e infilai la testa sotto il cuscino sperando che mia mamma se ne andasse, lasciandomi dormire ancora per qualche minuto, speranza vana, sapevo perfettamente cosa sarebbe successo se non mi fossi alzata subito: avrebbe cominciato a saltare sul letto come una bambina e Luca, il mio fratellino di otto anni, si sarebbe aggregato, così mi avrebbero costretto a tutti i costi a uscire dalle coperte poiché non sarei riuscita a riaddormentarmi se nella mai stanza era in corso la terza guerra mondiale.
Sì, la mia famiglia era tutto fuorché normale: i miei genitori avevano divorziato quando Daniel aveva ancora dieci anni, io ne avevo nove e Luca solo uno, dopo il tradimento di mio padre, che, da quello che avevo capito “se l’era spassata con quella sgualdrinella della sua segretaria”. - Ora mia
madre, dopo essersi ripresa da quello
stallo fra la depressione e la stanchezza causata dal nuovo lavoro in
campo
giornalistico, si era trovata un ‘ragazzo’, come
diceva lei, e si atteggiava
più come una sorella che come il ruolo di mamma che avrebbe
dovuto rivestire,
difatti lei credeva di avere ancora sedici anni e si divertiva un mondo
ad
andare in discoteca il sabato sera o spettegolare seduta sul tappeto di
camera
sua con le sue amiche, come se fosse irrilevante il fatto che avesse
quarantadue anni. Ma tutto sommato mi andava anche bene,
l’importante era che
fosse felice accanto a Massimo, che avrebbe dovuto farsi santo per
essere
riuscito a soddisfare fino ad adesso le richieste di mia madre, e, cosa
più
importante, che non si facesse vedere in giro in discoteca quando
c’ero anche
io, era una cosa imbarazzante vederla scatenarsi in mezzo alla pista
che
brulicava di ragazzi della mia età, presa a strusciarsi su
Max.
Luca era un bambino abbastanza sveglio, amava leggere e a scuola era uno fra i più bravi della classe, se non fosse stato per quella stupida ossessione per Dragon Balls che l’aveva portato a riempirsi la camera di fumetti, poster e album da collezionare, per non parlare dei personaggini giocattolo che seminava in giro per la casa, motivo per cui cercavamo di non camminare più scalzi per casa dopo che un giorno me ne ero trovata uno conficcato nel piede. Non che avessi qualcosa contro quel cartone, fumetto o cosa diavolo era, ma ormai mi era andato in odio. Luca era identico a papà, stessi capelli mori e stessi occhi nocciola mentre a me dicevano sempre che avevo preso assolutamente tutto da mia madre: i capelli castani leggermente mossi, gli occhi azzurri e i caratteristici tratti dolci della sua famiglia, anche se io segretamente pensavo mi paragonassero a lei più per il suo modo di fare adatto alla mia età.
Nonostante Katia, nostra madre, ci parlasse sempre male di Roberto, nostro padre, noi avevamo comunque continuato a vederlo. Ora abitava in una casa sempre nelle periferie di Verona, dove abitavamo noi, e io potevo tranquillamente raggiungerlo in motorino nel giro di una mezzoretta. Viveva con la ‘famosa segretaria’ e i suoi due figli: Elena, che aveva la mia età e Matteo, che aveva un anno in meno di Luca, con il quale andava molto d’accordo. Monica, la segretaria nonché la nuova fidanzata di mio padre, non era per niente male, anzi, era molto simpatica e una cuoca provetta, uno dei motivi che mi spingeva spesso ad andare a trovarli, non fraintendetemi, anche mia madre se la cavava bene ma Monica cucinava con il cuore e si sentiva quando assaggiavi le sue prelibatezze, e naturalmente questo dava un tocco in più alla sua cucina.
Se io e Luca andavamo d’accordo con nostro padre, non si poteva dire la stessa cosa di Daniel.
Daniel era il mio fratellone, aveva da poco compiuto diciassette anni e fin da subito aveva rifiutato papà, stando dalla parte della madre. Io sinceramente non avevo preso le parti di nessuno dei due, era stata una loro scelta separarsi e non vedevo cosa dovevamo centrare noi, insieme o divisi rimanevano comunque il nostro papà e la nostra mamma, no?
Daniel invece era un misto fra i due: capelli mori del padre e occhi azzurri della madre. Perfetto.
Aveva lo stesso carattere esuberante di Katia ed era un gran rubacuori, perciò tutti noi ormai non facevamo più caso alle ragazze che si portava ogni tanto a casa, ogni settimana diverse. Un unico difetto forse l’aveva: era estremamente possessivo nei miei confronti, da una parte capivo che lo faceva per proteggermi perché mi voleva bene, ma se arrivava perfino ad alzare le mani quando un ragazzo mi sfiorava era decisamente troppo.
«Insomma, vuoi alzarti?» mi urlò mia madre alzandosi in piedi sul letto. Oh no.
«Sì, sì!» gli risposi con la voce ancora impastata dal sonno, scoprendo le gambe dal piumino.
Mi trascinai fino al bagno e dopo essermi fatta una breve doccia calda, mi preparai ed uscii di casa.
Mi avvolsi nel cappotto proteggendomi dal vento freddo che tirava fuori.
Eravamo già a inizio novembre, la scuola sembrava iniziata ieri e le vacanze natalizie si avvicinavano sempre più, mancava giusto un mese a dicembre e le vacanze natalizie si avvicinavano sempre più.
Amavo il Natale, con sé portava sempre tanta allegria e calore, e, nonostante non fossimo più bambini, ci entusiasmavamo ancora ad aprire i regali sotto l’albero. Ricordavo ancora quando da piccolina mi svegliavo la mattina del 25 e correvo sotto l’albero per vedere se Babbo Natale era passato, un po’ preoccupata perché in quei giorni avevo fatto arrabbiare la mamma, e rimanevo meravigliata dalla quantità di pacchetti avvolti nelle carte da regalo dai motivi eccentrici e stravaganti, certe con le renne, altri con i pupazzi di neve o gli angioletti. Sembrava tutto così magico e surreale che la notte non volevi addormentarti per non porre fine a quella meravigliosa giornata.
Sospirai, bei tempi quelli, quando eri bambina e credevi nelle fate, nel topino dei denti o nei superpoteri, e non te ne vergognavi perché tutto era possibile. E poi crescevi e piano piano ti rendevi conto che ti avevano solo preso in giro, che da una lampada non poteva uscire un genio pronto ad esaudire i tuoi desideri, che la forza di gravità non ti permetteva di volare e che per quanto tu ti sforzassi non potevi spostare un oggetto telepaticamente. Ancora ora mi chiedo come mai gli adulti illudano i bambini così, a mio parere non era una cosa da prendere alla leggera, ricordavo ancora la delusione che avevo provato quando avevo scoperto che Babbo Natale in realtà non esistesse.
«Eccoti finalmente! Pensavo non saresti mai arrivata..» esclamò Sara, la mia migliore amica, uscendo di corsa dal portone.
Le sorrisi e ci avviammo insieme alla fermata dell’autobus senza dire una parola.
Io e Sara eravamo nella stessa classe, ci eravamo appunto conosciute alle superiori e in breve tempo eravamo diventate inseparabili seppur eravamo una l’opposto dell’altra: lei era estroversa mentre io timidissima. Era imprevedibile, nella mente le frullavano sempre le idee più strane mentre io prima di fare qualcosa ci pensavo sempre su due volte, forse proprio per quello metà delle sue idee venivano scartate, inoltre lei non aveva peli sulla lingua, era diretta, cosa che io non ero per nulla e l’ammiravo molto per questo.
Ma si sa: gli opposti si attraggono.
Salimmo sull’autobus e ci guardammo attorno in cerca di un posto dove sederci, ne avvistai due liberi e mi ci diressi speditamente prima che li occupasse qualcun altro, passando però prima il mio abbonamento dell’autobus a Sara che, mentre io prendevo i posti, andava a passarli sul marchingegno dei biglietti.- Appoggiai la cartella su uno dei
due sedili per tenerlo
occupato per Sara ma mentre mi stavo sedendo al mio il bus
ripartì facendomi
così scivolare di mano il cellulare che cadde malamente a
terra, allora
tenendomi al palo di metallo nero mi accucciai per ripescarlo fra i
vari piedi
che occupavano la superficie lì intorno.
- Sentii un movimento vicino a me ma
fra tutte quelle persone
non ci feci molto caso, ma quando alzai lo sguardo vidi che il posto,
il mio
posto, era occupato e che la mia cartella era stata
eclissata da tutt’altra
parte, ovvero sul pavimento, e al suo posto ci stava un’altra
cartella, sempre
dell’Eastpak ma grigia.
- Spostai lo sguardo furente sulla
persona che si era permessa
di rubarmi il posto e notai con forte disappunto che era un ragazzo
pressappoco
della mia stessa età, con disappunto perché non
mi era per nulla una faccia
nota, di solito le persone che salivano su quell’autobus
erano sempre le
stesse, dopo tre anni che io viaggiavo su quel
“automezzo” arancione erano
cambiate solo raramente.
- «Scusami, ma quello
sarebbe il mio posto» puntualizzai
cercando di darmi un certo contegno, con una finta garbatezza nella
voce,
finta, molto finta, perché avrei capito se avesse solamente
occupato quel
sedile, in quel caso avrebbe chiaramente potuto pensare che fosse
libero, ma
aveva addirittura buttato a terra il mio zaino su quello affianco per
appoggiare il suo.
- Lui alzò lo sguardo e mi
guardò disorientato, con la fronte
aggrottata e gli occhi azzurri ingenuamente confusi. Inclinai appena il
capo,
ma non è che magari fosse straniero? O forse aveva qualche
problema mentale,
considerando lo sguardo quasi spaventato che mi stava lanciando.
- Feci peso con il corpo
sull’altro piede mentre cercavo di
adattare il mio equilibrio alla guida malandata del conducente, mi
domandavo
spesso se i guidatori degli autobus avessero seguito un esame della
patente
tutto loro, nel genere “Più vai male
più sei sicuro di essere promosso”.
- Vedendo che continuavo a fissarlo
il ragazzo alzò gli occhi
al cielo e si portò una mano a un orecchio levandosi una
cuffietta nera,
facendomi così scoprire perché mi aveva guardato
così confusamente prima.
- Fece un cenno con il capo come a
intimarmi di ripetere ciò
che precedentemente avessi detto, e solo per questo mi irritai ancora
di più,
odiavo quando mi si chiedeva di ridire qualcosa.
- «Dicevo»,
iniziai a dire, scandendo bene le lettere e
cercando di parlare nella maniera più chiara possibile in
maniera che non mi
venisse chiesto nuovamente di ripetere «quello dove sei
seduto tu
sarebbe il mio posto».
- «Oh», disse lui
quasi dispiaciuto, al che pensai che si
sarebbe alzato e scusato, probabilmente aveva una spiegazione per la
mia cartella
che stava rivoltata a terra in malo modo, ma poi riaprì le
labbra e continuò
dicendo «e con questo?».
- Aprii la bocca quasi offesa, poi mi
guardai in giro per
vedere se fosse uno scherzo o qualche cavolata simile, ma puntando lo
sguardo
nel suo notai che fosse serio, e quel sorrisino derisorio sul volto mi
faceva
intendere tutto fuorché che lui potesse avere problemi di
demenza cronica.
- «E con questo ora dovrei
esserci io seduta su quel sedile,
non tu» gli spiegai sostenendo il suo sguardo, con lo stesso
tono di voce che
avevo usato in precedenza.
- «Appunto, dovresti,
ma non è così» rispose
prontamente lui ed emettendo uno strano verso con la bocca, simile a
uno
schiocco, si voltò verso il finestrino e si
rinfilò la cuffia nell’orecchio.
- Mi inumidii le labbra e mi domandai
da quale pianeta fosse
arrivato quel ragazzo così insopportabile quando saccente.
Capii che genere di
ragazzo fosse, bastava osservalo da un punto di vista strettamente
oggettivo:
era indiscutibilmente bello, capelli biondi scompigliati leggermente
tendenti
all’andare verso l’alto, insomma, sicuramente
c’era dietro qualche tecnica per
tenerli in quella maniera, a meno che non avesse dormito con il viso
piantato
nel cuscino rischiando il soffocamento, cosa che, considerando il tipo
di ragazzo
che sembrava essere, era più che possibile che rischiasse la
vita pur di
apparire al meglio. La pelle era di un’abbronzatura appena
accennata,
probabilmente residuo di una recente vacanza se fossimo stati vicini
all’estate, ma più probabilmente era proprio il
colore della sua pelle. I
lineamenti del viso lo rendevano se possibile più maturo,
per questo mi era un
po’ difficile collocarlo in una certa fascia
d’età, ma ad ogni modo da come si
era mostrato, questi tradivano completamente il suo modo di fare, per
nulla da
persona matura. I suoi occhi erano ciò che mi aveva colpito
di più, erano di un
azzurro chiaro, puro, e in qualche modo assolutamente irrazionale data
la
situazione erano attraenti, con il loro fascino ti spingevano a non
togliere il
tuo sguardo come se dovessi in loro cogliere qualcosa.
- Con uno sbuffo alzò gli
occhi al cielo, riportandomi così
alla realtà, e senza nemmeno togliersi la cuffia
esclamò: «Senti, dolcezza,
so che in questo momento ti starai sicuramente facendo un film mentale
dove noi
due ci spogliamo come assatanati sopra una scrivania da ufficio, e
credimi,
questo non mi dispiacerebbe affatto, ma non ho intenzione di stoppare
la musica
ogni dieci secondi per stare a sentire le tue lagne da bambinetta
infantile,
quindi ti sarei grato se te ne andassi lasciandomi in pace,
finalmente».
- Arrossii visibilmente e distolsi lo
sguardo da lui, non
sapevo se questo fosse dovuto all’imbarazzo al pensiero di
quella scena oppure
semplicemente per la rabbia che mi stava montando dentro, ma sta di
fatto che
quando vidi il suo sorrisetto malizioso sul volto e il suo sopracciglio
incurvato come a sfidarmi nell’affermare il contrario, non
resistetti più e
afferrando il mio zaino da terra goffamente, mentre lui spostava appena
la
gamba per facilitarmi il gesto, mi voltai e gli sussurrai un “Patetico”
che ero sicura non avesse sentito.
- Mi issai lo zaino sulla spalla e mi
diressi alla ricerca di
Sara sopra quell’autobus che alla fermata precedente si era
fatto più
affollato, tanto che nemmeno riuscivo a trovarla.
- «Denny!» la
sentii chiamarmi e volandomi verso sinistra la
vidi incastrata fra un signore anziano e un palo, poi passando sotto al
braccio
di quest’ultimo mi raggiunse.
- «I posti?»
domandò lanciandosi un’occhiata in giro nel
tentativo di individuarli, ma poi soffermò lo sguardo sul
mio viso teso per
l’irritazione.
- «Fregati» dissi
in una risposta, se avessi provato solo a
parlare di quell’acido smorfiosetto avrei sicuramente ucciso
qualcuno
nell’ansia di scatenarmi contro qualcosa. Ero facilmente
irritabile, io.
- Sospirai per calmarmi e guardai il
paesaggio fuori dal
finestrino opaco e un po’ sporco, e in un attimo la mente
aveva già preso la
sua strada, mentre Sara blaterava qualcosa su un nuovo ragazzo, il
più bello al
mondo dicevano delle ragazze, che probabilmente sarebbe arrivato nella
nostra
scuola, ma non la stetti ad ascoltare più di tanto, presa da
quel cielo azzurro
che si intravedeva appena coperto dalle nubi.
Arrivammo a scuola e ci affrettammo a solcare il cancello temendo di essere in ritardo.
Ci fermammo all’entrata per aspettare Michele e Andrea, due nostri amici, ed ero come al solito con la testa fra le nuvole decisa più che mai ad eliminare quell’episodio dell’autobus dalla mia testa, giusto per non rovinarmi la giornata, quando Sara aveva cacciato un urlo facendomi sobbalzare.
«Che succede?!» domandai allarmata afferrandola per un gomito.
«Eccolo, dovrebbe essere lui!» esclamò indicando con l’indice un punto indistinto dietro di me.
Mi voltai non preoccupata del fatto che potesse sentirsi osservato, guardare non è mica un reato, no?
La prima cosa che notai erano i capelli, biondo chiaro, e abbassando lo sguardo sul suo viso potei giurare di essere diventata rossa come i capelli di Ronald McDonald, che poi era pure un paragone stupidissimo ma pensandoci bene quelli erano la cosa più rossa che io avessi mai visto.
«Lui chi?» domandai mantenendo lo sguardo sul ragazzino presuntuoso, decisa a non rivelargli del mio incontro precedente perché prima volevo scoprire questa sua identità di cui Sara sembrava essere a conoscenza.
«Ma come “Lui chi”?» mi domandò accigliata afferrandomi un braccio per farmi voltare «Non mi ascolti mai! Te ne ho parlato prima! Il ragazzo nuovo che si diceva sarebbe venuto nella nostra scuola, e infatti..».
Ah, ecco di cosa parlava sull’autobus!
«Oh, sìsì scusami» risposi sorridendole falsamente per poi riportare gli occhi su di lui.
Il suo sguardo che prima era soffermato sull’iPod si puntò su di me, come se avesse sentito sulla pelle che lo stessi fissando.
Distolsi gli occhi imbarazzata, andava bene guardarlo di nascosto ma se poi se ne accorgeva ero io quella a disagio. Poi considerando la frase con la quale mi aveva liquidato precedentemente, senza che io dicessi nulla in risposta, poteva fargli credere che fossi realmente una ragazzina abbagliata dal suo aspetto.
«Cavoli, non è un figo? Dio, ci sta guardando!» urlò eccitata saltellando qua e là come un grillo attirando l’attenzione degli altri. - I bisbigli fra le ragazze
aumentavano a favore del nuovo
individuo e tutto questo mi fece pensare a un fatto accaduto a me alle
medie,
in passato, infatti mi ero trovata coinvolta con un ragazzo simile
quello
stronzetto arrogante a cui tutti stavano rivolgendo
l’attenzione e non era
andata a finire per nulla bene. Ricordavo perfettamente quel ragazzo,
Marco,
“un bel figo” lo definivano in molte me compresa,
alto, castano, occhi verdi
che ti ipnotizzavano con uno sguardo: che si poteva desiderare di
più?
- Un giorno si era avvicinato a me
dopo scuola e io, da scema,
mi stavo già facendo i miei soliti film mentali, alla fine
invece mi aveva
solamente chiesto se avevo da accendere e io, delusa, avevo scosso la
testa.
Però dopo quel giorno aveva incominciato a salutarmi quando
mi vedeva e
fermarsi a parlare durante l’intervallo. Così
qualche giorno dopo mi aveva
chiesto di andare al cinema con lui e io avevo accettato.
- Al cinema era stato tutto perfetto,
Marco mi aveva anche
baciato, il mio primo bacio. Così il
giorno dopo ero andata a scuola
tutta felice e gli ero corsa incontro pensando che dato ciò
che era successo
ora stavamo insieme, anche se non ne aveva mai fatto cenno, lo so, era
un
ragionamento incredibilmente stupido. Lui mi aveva allontanato ridendo
e mi
aveva spiegato che non gli piacevo, che quello era stato tutto un gioco
con gli
amici, che aveva scommesso con loro che mi avrebbe baciato entro una
settimana.
- Certo, eravamo ancora piccoli, a me
sembrava una cosa
talmente da grandi, un mondo tutto nuovo, non come adesso, ora che i
ragazzi
andavano a letto anche per gioco, insomma, era un grande passo. Allora
io gli
avevo tirato uno schiaffo e me ne ero andata piangendo mentre lui mi
urlava che
ero solo una bambina. Non mi ero mai sentita così male, ero
stata un’ingenua,
mi aveva solo fatto soffrire. Ma ero ancora alle medie, avevo qualche
amica ma
fra di noi non c’era la stessa grande amicizia che avevo ora
con Sara, così mi
rifugiai la maggior parte del tempo a piangere in bagno e una volta
suonata la
campanella della fine delle lezioni ero scappata a casa.
- In breve tempo tutta la scuola
venne a sapere di questa
storia e seppur qualcuno mi veniva incontro dispiaciuto altri mi
parlavano alle
spalle e ridevano di me, era una cosa orrenda. Così da quel
giorno non mi ero
più avvicinata a un ragazzo e mi ero fatta più
guardinga nei loro confronti,
quando qualcuno mi invitava a uscire io li studiavo attentamente e il
più delle
volte rifiutavo nel terrore di un’altra delusione,
aggiungeteci poi il
carattere di mio fratello Daniel, che li scartava tutti come se dovesse
essere
lui a scegliere.
- Okay, forse mi penserete pazza, era
da cinque anni che
questa cosa andava avanti ma non riuscivo a togliermi quel dolore
dentro. Ma a
me andava bene, mi ripromisi che mai e poi mai un ragazzo mi avrebbe
fatto
sentire così male. Okay, non ero una suora, lo ammettevo se
trovavo carino un
ragazzo, ma non capivo tutta questa eccitazione delle altre ragazze.
- «Mmh, mi domando
però che ci faccia qui, l’anno è
già
iniziato, no? Speriamo solo che non ci capiti in classe»
commentai sbuffando, sistemandomi
meglio la cartella in spalle che mi aveva provocato un incredibile mal
di
schiena. Mai e poi mai avrei voluto avere a che fare con quel ragazzo
cinque ore al giorno.
«Beh» disse Sara con sguardo pensieroso «A me non dispiacerebbe!».
Dopodiché mi fece l’occhiolino e scappò all’interno dell’edificio facendomi la linguaccia.
«Che hai detto?! Pensavo che fossi d’accordo con me sulla fucilazione di ogni esemplare maschile!».
«Scusami se sono una ragazza!».
Scoppiai a ridere e la rincorsi all’interno della scuola, divertita da quel nostro stupido gioco.
Ma se fossi stata più attenta, mi sarei accorta di quel paio di occhi azzurri che mi scrutavano interessati.
O
-
O
-
O
Note:
Eccomi qui
con il primo capitolo, ho pensato
di postarlo prima così vi facevate un'idea migliore della
storia.
Lo so,
è abbastanza noioso, ma all’inizio
volevo fare una cosa tranquilla.
Ora vi
spiego:
Questo
primo capitolo l’ho dedicato
maggiormente alla famiglia di Denny e, poiché è
numerosa (ricordo in ordine: mamma,
compagno della madre, due fratelli, un fratellastro, una sorellastra,
papà e
compagna del padre) ho preferito dividerlo, così, dato che
immagino sia
difficile ricordarsi i vari nomi, in caso uno andando avanti nella
storia non
ricordi a chi appartiene un nome può tornare a questo
capitolo e sa di trovarsi
i componenti della famiglia. Non so se mi sono spiegata, volevo
solamente
semplificarvi le cose e invece penso di averle incasinate il doppio.
>.<
Ad ogni
modo poi troverete un breve schema
dove riassumo in breve personaggi.
Nel
prossimo capitolo parlerò degli amici di
Denise, con una descrizione più dettagliata di Sara, Michele
e Andrea, e con
qualcosina in più anche sul
‘fantomatico’ ragazzo dagli occhi azzurri.
Sperando di
non avervi annoiato, cosa molto
probabile, giù vi lascio un breve spoiler del prossimo
aggiornamento e più in
basso le risposte alle recensioni.
Poi volevo
domandarvi una cosa: sono più che
sicura che nei miei capitoli inserirò qualche parolaccia
perciò, secondo voi,
il rating dovrei cambiarlo? Scusate, mi sono letta le varie spiegazioni
per i
rating ma non ho trovato niente che alludesse a questa cosa e volevo
domandare
a voi. Sono nuova e sinceramente non so molto a riguardo.
Schemino:
Protagonista:
Denise, 16 anni.
Fratellino:
Luca, 8 anni.
Fratello
maggiore: Daniel, 17 anni.
Mamma:
Katia, 42 anni.
Compagno
della madre: Massimo (o Max), 41
anni.
Papà:
Roberto, 43 anni e mezzo.
Compagna
del padre: Monica, 39 anni.
Sorellastra:
Elena, 16 anni.
Fratellastro:
Matteo, 7 anni.
(Sara,
Michele e Andrea, nonostante siano
citati in questo capitolo, lì metterò nello
schema del prossimo capitolo,
insieme al biondino ;D).
Spoiler:
«Ehm
ehm!» tossicchiò qualcuno per attirare
l’attenzione ma nessuno di noi ci diede bada e continuammo a
chiacchierare per
i fatti nostri.
«Ehm
ehm!».
Ci voltammo
tutti scocciati maledicendo
chiunque avesse osato interromperci e, non appena ci rendemmo conto che
costui
era il preside, ci ricomponemmo velocemente.
[…]
«Ragazzi,
mi complimento con voi per la bella
impressione che avete dato al nuovo arrivato, soprattutto con te, Sara,
la tua
esibizione è stata almeno divertente, spero solo che tu non
ti sia spezzata
l’osso del collo» esclamò il preside con
la sua voce imponente, non era mai
stato cattivo con noi, ci rimproverava solo perché era il
suo dovere ma per il
resto appena poteva se ne usciva con delle battute che ci facevano
restare con
un palmo dal naso.
Ma, aspetta
aspetta... cos’aveva detto?! Nuovo
arrivato?!
Solo a
quelle parole mi venne come un lampo
improvviso il viso di quel ragazzetto insopportabile nella mia mente, e
pregando gli dei pagani in cui non credevo, oltre che Dio, sperando in
un
maggior aiuto divino, sperai vivamente che l'individuo che avrebbe
varcato quella
porta avesse i capelli di tutti i colori possibili immaginabili tranne
che di quella
sfumatura di biondo. Avrei accettato pure Ronald in persona,
di cui già vi
ho parlato prima, ma non, con assoluta convinzione,
quel petulante
ragazzo so-tutto-io.
Risposte alle
recensioni:
Balenotta: Guarda,
tutto ciò che
hai detto è assolutamente vero. Basta guardare la mia
reazione: appena ho letto
‘Rassegnati’ , dopo un colpo al cuore (xD), ho
pensato “Fantastico, la prima
che recensisce e già mi dice di smetterla, va beh,
vedrò di togliere la
storia”. Ecco, ciò dimostra che hai perfettamente
ragione, invece di dire “Beh,
vedrò di migliorare” ho subito pensato di non
continuarla. Hai ragione, una
recensione negativa ti butterebbe giù. Però forse
dipende da persona a persona,
bisogna anche tenere conto del carattere, no? Magari uno sicuro di
sé avrebbe
pensato diversamente.
Ad ogni
modo non sto qui a cianciare, grazie
mille della recensione, spero che continuerai a seguirmi!
CullenDipendent: Ciao,
innanzitutto
grazie mille per il complimento. Sono felice che ti sia piaciuta fin
dall’inizio! Ecco, ho aggiornato, spero che leggerai questo
capitolo. Fammi
sapere, eh. :)
micia247: Ciao
Masha! Grazie di
aver letto e recensito. Ecco il primo capitolo, spero di non averti
deluso.
Bene, sono felice che mi abbiate accettato nonostante la mia scrittura
non sia
delle migliori, farò di tutto per migliorare, prometto.
Grazie ancora, spero di
risentirti. C:
sciona: Ciao
sciona. Cavoli,
proprio come ho detto prima a Balenotta (vedi sopra), mi è
preso un colpo al
cuore quando ho letto ‘Rassegnati’.
Grazie,
grazie mille! Sono felice che ti
piaccia e anche che continuerai a seguirla. Un bacio.
Selena_14: Ciao
Selena, o Luna,
sì, mi sono fatta un giretto su tutti i vostri profili prima
di rispondere
(come mi avevi chiesto), volevo conoscervi un po’ meglio. :)
Comunque lo
so, il prologo è un po’ confuso
scusa, non ho citato i protagonisti (anche se penso possiate
immaginarli) ma è
fatto di proposito, preferisco lasciarvi sul dubbio! Inoltre vi dico
già che
non è una dichiarazione ma questa parte di storia
arriverà molto presto, e sarà
appunto solo l’inizio.
Non so, e
non credo, di aver messo in chiaro
la cosa con questo capitolo, mi dispiace, spero che capirai
più avanti in
questo caso. :)
Grazie
ancora, Selena.
__Claire__: Grazie
per la
recensione, mi fa’ piacere che la presentazione ti sia
piaciuta. :)
Ad ogni
modo non so se questo capitolo sia
corto, normale o lungo, su Word contro tre pagine e non so regolarmi
poi sul
sito. >.<
Fammi
sapere se sono ancora troppo corti e
vedrò di provvedere.
Baci :)
Ringrazio
inoltre chi ha aggiunto la storia
fra i preferiti e i seguiti, o chi la legge solamente.
Grazie
mille veramente, per me significa
molto!
(Rivisionata:
06/09/2010)
(Cambio
parte di capitolo:
12/07/2011)