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Autore: ellie_    30/08/2010    6 recensioni
Denise è una semplice ragazza di sedici anni, timida e impacciata con poche relazioni alle spalle.
Inconsapevole della sua popolarità si trova ben presto ad affrontare un nuovo arrivato: Nicholas, un ragazzo egocentrico che sembra non aver capito nulla dalla vita. Così, tra amicizie sul bordo del lastrico, amori segreti ed incomprensioni, Denise si trova ad affrontare sentimenti contrastanti che mai aveva provato prima.
"«Senti, perché invece non mi lasci stare? Perché proprio io? Che ti ho fatto?» risposi con un filo di voce, ancora sorpresa per la troppa confidenza che si stava prendendo.
Non l’avevo allontanato e stranamente non avevo intenzione di farlo. Forse perché volevo dimostrargli che non ero una delle sue solite ragazzine, che non mi emozionavo per una semplice cosa del genere.
Strinse la presa sui miei fianchi e mi attirò a sé, indietreggiai leggermente spaesata e mi ritrovai con le spalle al muro, lui ne approfittò e posò le sue mani ai lati del mio viso, bloccandomi alla parete. Si stava avvicinando troppo, le sue labbra stavano bruciando i cinque centimetri che le separano dalla mie, riuscivo a sentire il suo respiro sulla pelle, la cosa non mi piaceva. [...] Mi fissava negli occhi e sembrava quasi che mi stesse scrutando dentro, fino ad arrivare all’anima. I suoi, visti da vicino, erano ancora più belli, ora potevo notare quelle pagliuzze dorate di cui prima non sapevo nemmeno l’esistenza, erano incredibili.
«Semplice», sussurrò a un millimetro dalle mie labbra «Perché ho scelto te».
La sua presa si fece meno salda fino a scomparire del tutto. Lui sogghignò e riportò le mani lungo i fianchi e, dopo avermi donato un ultimo sguardo, indietreggiò e si allontanò mentre la campanella in sottofondo annunciava la fine tanto attesa delle lezioni."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Call it love

Capitolo 1

«Denise? Cara, svegliati, devi andare a scuola» mi sussurrò mia madre ad un orecchio.
Mi rigirai sul materasso e infilai la testa sotto il cuscino sperando che mia mamma se ne andasse, lasciandomi dormire ancora per qualche minuto, speranza vana, sapevo perfettamente cosa sarebbe successo se non mi fossi alzata subito: avrebbe cominciato a saltare sul letto come una bambina e Luca, il mio fratellino di otto anni, si sarebbe aggregato, così mi avrebbero costretto a tutti i costi a uscire dalle coperte poiché non sarei riuscita a riaddormentarmi se nella mai stanza era in corso la terza guerra mondiale.
Sì, la mia famiglia era tutto fuorché normale: i miei genitori avevano divorziato quando Daniel aveva ancora dieci anni, io ne avevo nove e Luca solo uno, dopo il tradimento di mio padre, che, da quello che avevo capito “se l’era spassata con quella sgualdrinella della sua segretaria”.
Ora mia madre, dopo essersi ripresa da quello stallo fra la depressione e la stanchezza causata dal nuovo lavoro in campo giornalistico, si era trovata un ‘ragazzo’, come diceva lei, e si atteggiava più come una sorella che come il ruolo di mamma che avrebbe dovuto rivestire, difatti lei credeva di avere ancora sedici anni e si divertiva un mondo ad andare in discoteca il sabato sera o spettegolare seduta sul tappeto di camera sua con le sue amiche, come se fosse irrilevante il fatto che avesse quarantadue anni. Ma tutto sommato mi andava anche bene, l’importante era che fosse felice accanto a Massimo, che avrebbe dovuto farsi santo per essere riuscito a soddisfare fino ad adesso le richieste di mia madre, e, cosa più importante, che non si facesse vedere in giro in discoteca quando c’ero anche io, era una cosa imbarazzante vederla scatenarsi in mezzo alla pista che brulicava di ragazzi della mia età, presa a strusciarsi su Max.
Luca era un bambino abbastanza sveglio, amava leggere e a scuola era uno fra i più bravi della classe, se non fosse stato per quella stupida ossessione per Dragon Balls che l’aveva portato a riempirsi la camera di fumetti, poster e album da collezionare, per non parlare dei personaggini giocattolo che seminava in giro per la casa, motivo per cui cercavamo di non camminare più scalzi per casa dopo che un giorno me ne ero trovata uno conficcato nel piede. Non che avessi qualcosa contro quel cartone, fumetto o cosa diavolo era, ma ormai mi era andato in odio. Luca era identico a papà, stessi capelli mori e stessi occhi nocciola mentre a me dicevano sempre che avevo preso assolutamente tutto da mia madre: i capelli castani leggermente mossi, gli occhi azzurri e i caratteristici tratti dolci della sua famiglia, anche se io segretamente pensavo mi paragonassero a lei più per il suo modo di fare adatto alla mia età.
Nonostante Katia, nostra madre, ci parlasse sempre male di Roberto, nostro padre, noi avevamo comunque continuato a vederlo. Ora abitava in una casa sempre nelle periferie di Verona, dove abitavamo noi, e io potevo tranquillamente raggiungerlo in motorino nel giro di una mezzoretta. Viveva con la ‘famosa segretaria’ e i suoi due figli: Elena, che aveva la mia età e Matteo, che aveva un anno in meno di Luca, con il quale andava molto d’accordo. Monica, la segretaria nonché la nuova fidanzata di mio padre, non era per niente male, anzi, era molto simpatica e una cuoca provetta, uno dei motivi che mi spingeva spesso ad andare a trovarli, non fraintendetemi, anche mia madre se la cavava bene ma Monica cucinava con il cuore e si sentiva quando assaggiavi le sue prelibatezze, e naturalmente questo dava un tocco in più alla sua cucina.
Se io e Luca andavamo d’accordo con nostro padre, non si poteva dire la stessa cosa di Daniel.
Daniel era il mio fratellone, aveva da poco compiuto diciassette anni e fin da subito aveva rifiutato papà, stando dalla parte della madre. Io sinceramente non avevo preso le parti di nessuno dei due, era stata una loro scelta separarsi e non vedevo cosa dovevamo centrare noi, insieme o divisi rimanevano comunque il nostro papà e la nostra mamma, no?
Daniel invece era un misto fra i due: capelli mori del padre e occhi azzurri della madre. Perfetto.
Aveva lo stesso carattere esuberante di Katia ed era un gran rubacuori, perciò tutti noi ormai non facevamo più caso alle ragazze che si portava ogni tanto a casa, ogni settimana diverse. Un unico difetto forse l’aveva: era estremamente possessivo nei miei confronti, da una parte capivo che lo faceva per proteggermi perché mi voleva bene, ma se arrivava perfino ad alzare le mani quando un ragazzo mi sfiorava era decisamente troppo.
«Insomma, vuoi alzarti?» mi urlò mia madre alzandosi in piedi sul letto. Oh no.
«Sì, sì!» gli risposi con la voce ancora impastata dal sonno, scoprendo le gambe dal piumino.
Mi trascinai fino al bagno e dopo essermi fatta una breve doccia calda, mi preparai ed uscii di casa.
Mi avvolsi nel cappotto proteggendomi dal vento freddo che tirava fuori.
Eravamo già a inizio novembre, la scuola sembrava iniziata ieri e le vacanze natalizie si avvicinavano sempre più, mancava giusto un mese a dicembre e le vacanze natalizie si avvicinavano sempre più.
Amavo il Natale, con sé portava sempre tanta allegria e calore, e, nonostante non fossimo più bambini, ci entusiasmavamo ancora ad aprire i regali sotto l’albero. Ricordavo ancora quando da piccolina mi svegliavo la mattina del 25 e correvo sotto l’albero per vedere se Babbo Natale era passato, un po’ preoccupata perché in quei giorni avevo fatto arrabbiare la mamma, e rimanevo meravigliata dalla quantità di pacchetti avvolti nelle carte da regalo dai motivi eccentrici e stravaganti, certe con le renne, altri con i pupazzi di neve o gli angioletti. Sembrava tutto così magico e surreale che la notte non volevi addormentarti per non porre fine a quella meravigliosa giornata.
Sospirai, bei tempi quelli, quando eri bambina e credevi nelle fate, nel topino dei denti o nei superpoteri, e non te ne vergognavi perché tutto era possibile. E poi crescevi e piano piano ti rendevi conto che ti avevano solo preso in giro, che da una lampada non poteva uscire un genio pronto ad esaudire i tuoi desideri, che la forza di gravità non ti permetteva di volare e che per quanto tu ti sforzassi non potevi spostare un oggetto telepaticamente. Ancora ora mi chiedo come mai gli adulti illudano i bambini così, a mio parere non era una cosa da prendere alla leggera, ricordavo ancora la delusione che avevo provato quando avevo scoperto che Babbo Natale in realtà non esistesse.
«Eccoti finalmente! Pensavo non saresti mai arrivata..» esclamò Sara, la mia migliore amica, uscendo di corsa dal portone.
Le sorrisi e ci avviammo insieme alla fermata dell’autobus senza dire una parola.
Io e Sara eravamo nella stessa classe, ci eravamo appunto conosciute alle superiori e in breve tempo eravamo diventate inseparabili seppur eravamo una l’opposto dell’altra: lei era estroversa mentre io timidissima. Era imprevedibile, nella mente le frullavano sempre le idee più strane mentre io prima di fare qualcosa ci pensavo sempre su due volte, forse proprio per quello metà delle sue idee venivano scartate, inoltre lei non aveva peli sulla lingua, era diretta, cosa che io non ero per nulla e l’ammiravo molto per questo.
Ma si sa: gli opposti si attraggono.

Salimmo sull’autobus e ci guardammo attorno in cerca di un posto dove sederci, ne avvistai due liberi e mi ci diressi speditamente prima che li occupasse qualcun altro, passando però prima il mio abbonamento dell’autobus a Sara che, mentre io prendevo i posti, andava a passarli sul marchingegno dei biglietti.
Appoggiai la cartella su uno dei due sedili per tenerlo occupato per Sara ma mentre mi stavo sedendo al mio il bus ripartì facendomi così scivolare di mano il cellulare che cadde malamente a terra, allora tenendomi al palo di metallo nero mi accucciai per ripescarlo fra i vari piedi che occupavano la superficie lì intorno.
Sentii un movimento vicino a me ma fra tutte quelle persone non ci feci molto caso, ma quando alzai lo sguardo vidi che il posto, il mio posto, era occupato e che la mia cartella era stata eclissata da tutt’altra parte, ovvero sul pavimento, e al suo posto ci stava un’altra cartella, sempre dell’Eastpak ma grigia.
Spostai lo sguardo furente sulla persona che si era permessa di rubarmi il posto e notai con forte disappunto che era un ragazzo pressappoco della mia stessa età, con disappunto perché non mi era per nulla una faccia nota, di solito le persone che salivano su quell’autobus erano sempre le stesse, dopo tre anni che io viaggiavo su quel “automezzo” arancione erano cambiate solo raramente.
«Scusami, ma quello sarebbe il mio posto» puntualizzai cercando di darmi un certo contegno, con una finta garbatezza nella voce, finta, molto finta, perché avrei capito se avesse solamente occupato quel sedile, in quel caso avrebbe chiaramente potuto pensare che fosse libero, ma aveva addirittura buttato a terra il mio zaino su quello affianco per appoggiare il suo.
Lui alzò lo sguardo e mi guardò disorientato, con la fronte aggrottata e gli occhi azzurri ingenuamente confusi. Inclinai appena il capo, ma non è che magari fosse straniero? O forse aveva qualche problema mentale, considerando lo sguardo quasi spaventato che mi stava lanciando.
Feci peso con il corpo sull’altro piede mentre cercavo di adattare il mio equilibrio alla guida malandata del conducente, mi domandavo spesso se i guidatori degli autobus avessero seguito un esame della patente tutto loro, nel genere “Più vai male più sei sicuro di essere promosso”.
Vedendo che continuavo a fissarlo il ragazzo alzò gli occhi al cielo e si portò una mano a un orecchio levandosi una cuffietta nera, facendomi così scoprire perché mi aveva guardato così confusamente prima.
Fece un cenno con il capo come a intimarmi di ripetere ciò che precedentemente avessi detto, e solo per questo mi irritai ancora di più, odiavo quando mi si chiedeva di ridire qualcosa.
«Dicevo», iniziai a dire, scandendo bene le lettere e cercando di parlare nella maniera più chiara possibile in maniera che non mi venisse chiesto nuovamente di ripetere «quello dove sei seduto tu sarebbe il mio posto».
«Oh», disse lui quasi dispiaciuto, al che pensai che si sarebbe alzato e scusato, probabilmente aveva una spiegazione per la mia cartella che stava rivoltata a terra in malo modo, ma poi riaprì le labbra e continuò dicendo «e con questo?».
Aprii la bocca quasi offesa, poi mi guardai in giro per vedere se fosse uno scherzo o qualche cavolata simile, ma puntando lo sguardo nel suo notai che fosse serio, e quel sorrisino derisorio sul volto mi faceva intendere tutto fuorché che lui potesse avere problemi di demenza cronica.
«E con questo ora dovrei esserci io seduta su quel sedile, non tu» gli spiegai sostenendo il suo sguardo, con lo stesso tono di voce che avevo usato in precedenza.
«Appunto, dovresti, ma non è così» rispose prontamente lui ed emettendo uno strano verso con la bocca, simile a uno schiocco, si voltò verso il finestrino e si rinfilò la cuffia nell’orecchio.
Mi inumidii le labbra e mi domandai da quale pianeta fosse arrivato quel ragazzo così insopportabile quando saccente. Capii che genere di ragazzo fosse, bastava osservalo da un punto di vista strettamente oggettivo: era indiscutibilmente bello, capelli biondi scompigliati leggermente tendenti all’andare verso l’alto, insomma, sicuramente c’era dietro qualche tecnica per tenerli in quella maniera, a meno che non avesse dormito con il viso piantato nel cuscino rischiando il soffocamento, cosa che, considerando il tipo di ragazzo che sembrava essere, era più che possibile che rischiasse la vita pur di apparire al meglio. La pelle era di un’abbronzatura appena accennata, probabilmente residuo di una recente vacanza se fossimo stati vicini all’estate, ma più probabilmente era proprio il colore della sua pelle. I lineamenti del viso lo rendevano se possibile più maturo, per questo mi era un po’ difficile collocarlo in una certa fascia d’età, ma ad ogni modo da come si era mostrato, questi tradivano completamente il suo modo di fare, per nulla da persona matura. I suoi occhi erano ciò che mi aveva colpito di più, erano di un azzurro chiaro, puro, e in qualche modo assolutamente irrazionale data la situazione erano attraenti, con il loro fascino ti spingevano a non togliere il tuo sguardo come se dovessi in loro cogliere qualcosa.
Con uno sbuffo alzò gli occhi al cielo, riportandomi così alla realtà, e senza nemmeno togliersi la cuffia esclamò: «Senti, dolcezza, so che in questo momento ti starai sicuramente facendo un film mentale dove noi due ci spogliamo come assatanati sopra una scrivania da ufficio, e credimi, questo non mi dispiacerebbe affatto, ma non ho intenzione di stoppare la musica ogni dieci secondi per stare a sentire le tue lagne da bambinetta infantile, quindi ti sarei grato se te ne andassi lasciandomi in pace, finalmente».
Arrossii visibilmente e distolsi lo sguardo da lui, non sapevo se questo fosse dovuto all’imbarazzo al pensiero di quella scena oppure semplicemente per la rabbia che mi stava montando dentro, ma sta di fatto che quando vidi il suo sorrisetto malizioso sul volto e il suo sopracciglio incurvato come a sfidarmi nell’affermare il contrario, non resistetti più e afferrando il mio zaino da terra goffamente, mentre lui spostava appena la gamba per facilitarmi il gesto, mi voltai e gli sussurrai un “Patetico” che ero sicura non avesse sentito.
Mi issai lo zaino sulla spalla e mi diressi alla ricerca di Sara sopra quell’autobus che alla fermata precedente si era fatto più affollato, tanto che nemmeno riuscivo a trovarla.
«Denny!» la sentii chiamarmi e volandomi verso sinistra la vidi incastrata fra un signore anziano e un palo, poi passando sotto al braccio di quest’ultimo mi raggiunse.
«I posti?» domandò lanciandosi un’occhiata in giro nel tentativo di individuarli, ma poi soffermò lo sguardo sul mio viso teso per l’irritazione.
«Fregati» dissi in una risposta, se avessi provato solo a parlare di quell’acido smorfiosetto avrei sicuramente ucciso qualcuno nell’ansia di scatenarmi contro qualcosa. Ero facilmente irritabile, io.
Sospirai per calmarmi e guardai il paesaggio fuori dal finestrino opaco e un po’ sporco, e in un attimo la mente aveva già preso la sua strada, mentre Sara blaterava qualcosa su un nuovo ragazzo, il più bello al mondo dicevano delle ragazze, che probabilmente sarebbe arrivato nella nostra scuola, ma non la stetti ad ascoltare più di tanto, presa da quel cielo azzurro che si intravedeva appena coperto dalle nubi.
Arrivammo a scuola e ci affrettammo a solcare il cancello temendo di essere in ritardo.
Ci fermammo all’entrata per aspettare Michele e Andrea, due nostri amici, ed ero come al solito con la testa fra le nuvole decisa più che mai ad eliminare quell’episodio dell’autobus dalla mia testa, giusto per non rovinarmi la giornata, quando Sara aveva cacciato un urlo facendomi sobbalzare.
«Che succede?!» domandai allarmata afferrandola per un gomito.
«Eccolo, dovrebbe essere lui!» esclamò indicando con l’indice un punto indistinto dietro di me.
Mi voltai non preoccupata del fatto che potesse sentirsi osservato, guardare non è mica un reato, no?
La prima cosa che notai erano i capelli, biondo chiaro, e abbassando lo sguardo sul suo viso potei giurare di essere diventata rossa come i capelli di Ronald McDonald, che poi era pure un paragone stupidissimo ma pensandoci bene quelli erano la cosa più rossa che io avessi mai visto.
«Lui chi?» domandai mantenendo lo sguardo sul ragazzino presuntuoso, decisa a non rivelargli del mio incontro precedente perché prima volevo scoprire questa sua identità di cui Sara sembrava essere a conoscenza.
«Ma come “Lui chi”?» mi domandò accigliata afferrandomi un braccio per farmi voltare «Non mi ascolti mai! Te ne ho parlato prima! Il ragazzo nuovo che si diceva sarebbe venuto nella nostra scuola, e infatti..».
Ah, ecco di cosa parlava sull’autobus!
«Oh, sìsì scusami» risposi sorridendole falsamente per poi riportare gli occhi su di lui.
Il suo sguardo che prima era soffermato sull’iPod si puntò su di me, come se avesse sentito sulla pelle che lo stessi fissando.
Distolsi gli occhi imbarazzata, andava bene guardarlo di nascosto ma se poi se ne accorgeva ero io quella a disagio. Poi considerando la frase con la quale mi aveva liquidato precedentemente, senza che io dicessi nulla in risposta, poteva fargli credere che fossi realmente una ragazzina abbagliata dal suo aspetto.
«Cavoli, non è un figo? Dio, ci sta guardando!» urlò eccitata saltellando qua e là come un grillo attirando l’attenzione degli altri.
I bisbigli fra le ragazze aumentavano a favore del nuovo individuo e tutto questo mi fece pensare a un fatto accaduto a me alle medie, in passato, infatti mi ero trovata coinvolta con un ragazzo simile quello stronzetto arrogante a cui tutti stavano rivolgendo l’attenzione e non era andata a finire per nulla bene. Ricordavo perfettamente quel ragazzo, Marco, “un bel figo” lo definivano in molte me compresa, alto, castano, occhi verdi che ti ipnotizzavano con uno sguardo: che si poteva desiderare di più?
Un giorno si era avvicinato a me dopo scuola e io, da scema, mi stavo già facendo i miei soliti film mentali, alla fine invece mi aveva solamente chiesto se avevo da accendere e io, delusa, avevo scosso la testa. Però dopo quel giorno aveva incominciato a salutarmi quando mi vedeva e fermarsi a parlare durante l’intervallo. Così qualche giorno dopo mi aveva chiesto di andare al cinema con lui e io avevo accettato.
Al cinema era stato tutto perfetto, Marco mi aveva anche baciato, il mio primo bacio. Così il giorno dopo ero andata a scuola tutta felice e gli ero corsa incontro pensando che dato ciò che era successo ora stavamo insieme, anche se non ne aveva mai fatto cenno, lo so, era un ragionamento incredibilmente stupido. Lui mi aveva allontanato ridendo e mi aveva spiegato che non gli piacevo, che quello era stato tutto un gioco con gli amici, che aveva scommesso con loro che mi avrebbe baciato entro una settimana.
Certo, eravamo ancora piccoli, a me sembrava una cosa talmente da grandi, un mondo tutto nuovo, non come adesso, ora che i ragazzi andavano a letto anche per gioco, insomma, era un grande passo. Allora io gli avevo tirato uno schiaffo e me ne ero andata piangendo mentre lui mi urlava che ero solo una bambina. Non mi ero mai sentita così male, ero stata un’ingenua, mi aveva solo fatto soffrire. Ma ero ancora alle medie, avevo qualche amica ma fra di noi non c’era la stessa grande amicizia che avevo ora con Sara, così mi rifugiai la maggior parte del tempo a piangere in bagno e una volta suonata la campanella della fine delle lezioni ero scappata a casa.
In breve tempo tutta la scuola venne a sapere di questa storia e seppur qualcuno mi veniva incontro dispiaciuto altri mi parlavano alle spalle e ridevano di me, era una cosa orrenda. Così da quel giorno non mi ero più avvicinata a un ragazzo e mi ero fatta più guardinga nei loro confronti, quando qualcuno mi invitava a uscire io li studiavo attentamente e il più delle volte rifiutavo nel terrore di un’altra delusione, aggiungeteci poi il carattere di mio fratello Daniel, che li scartava tutti come se dovesse essere lui a scegliere.
Okay, forse mi penserete pazza, era da cinque anni che questa cosa andava avanti ma non riuscivo a togliermi quel dolore dentro. Ma a me andava bene, mi ripromisi che mai e poi mai un ragazzo mi avrebbe fatto sentire così male. Okay, non ero una suora, lo ammettevo se trovavo carino un ragazzo, ma non capivo tutta questa eccitazione delle altre ragazze.
«Mmh, mi domando però che ci faccia qui, l’anno è già iniziato, no? Speriamo solo che non ci capiti in classe» commentai sbuffando, sistemandomi meglio la cartella in spalle che mi aveva provocato un incredibile mal di schiena. Mai e poi mai avrei voluto avere a che fare con quel ragazzo cinque ore al giorno.
«Beh» disse Sara con sguardo pensieroso «A me non dispiacerebbe!».
Dopodiché mi fece l’occhiolino e scappò all’interno dell’edificio facendomi la linguaccia.
«Che hai detto?! Pensavo che fossi d’accordo con me sulla fucilazione di ogni esemplare maschile!».
«Scusami se sono una ragazza!».
Scoppiai a ridere e la rincorsi all’interno della scuola, divertita da quel nostro stupido gioco.
Ma se fossi stata più attenta, mi sarei accorta di quel paio di occhi azzurri che mi scrutavano interessati.

O - O - O

Note:

Eccomi qui con il primo capitolo, ho pensato di postarlo prima così vi facevate un'idea migliore della storia.

Lo so, è abbastanza noioso, ma all’inizio volevo fare una cosa tranquilla.

Ora vi spiego:

Questo primo capitolo l’ho dedicato maggiormente alla famiglia di Denny e, poiché è numerosa (ricordo in ordine: mamma, compagno della madre, due fratelli, un fratellastro, una sorellastra, papà e compagna del padre) ho preferito dividerlo, così, dato che immagino sia difficile ricordarsi i vari nomi, in caso uno andando avanti nella storia non ricordi a chi appartiene un nome può tornare a questo capitolo e sa di trovarsi i componenti della famiglia. Non so se mi sono spiegata, volevo solamente semplificarvi le cose e invece penso di averle incasinate il doppio. >.<

Ad ogni modo poi troverete un breve schema dove riassumo in breve personaggi.

Nel prossimo capitolo parlerò degli amici di Denise, con una descrizione più dettagliata di Sara, Michele e Andrea, e con qualcosina in più anche sul ‘fantomatico’ ragazzo dagli occhi azzurri.

Sperando di non avervi annoiato, cosa molto probabile, giù vi lascio un breve spoiler del prossimo aggiornamento e più in basso le risposte alle recensioni.

Poi volevo domandarvi una cosa: sono più che sicura che nei miei capitoli inserirò qualche parolaccia perciò, secondo voi, il rating dovrei cambiarlo? Scusate, mi sono letta le varie spiegazioni per i rating ma non ho trovato niente che alludesse a questa cosa e volevo domandare a voi. Sono nuova e sinceramente non so molto a riguardo.

Schemino:

Protagonista: Denise, 16 anni.

Fratellino: Luca, 8 anni.

Fratello maggiore: Daniel, 17 anni.

Mamma: Katia, 42 anni.

Compagno della madre: Massimo (o Max), 41 anni.

Papà: Roberto, 43 anni e mezzo.

Compagna del padre: Monica, 39 anni.

Sorellastra: Elena, 16 anni.

Fratellastro: Matteo, 7 anni.

(Sara, Michele e Andrea, nonostante siano citati in questo capitolo, lì metterò nello schema del prossimo capitolo, insieme al biondino ;D).

Spoiler:

«Ehm ehm!» tossicchiò qualcuno per attirare l’attenzione ma nessuno di noi ci diede bada e continuammo a chiacchierare per i fatti nostri.

«Ehm ehm!».

Ci voltammo tutti scocciati maledicendo chiunque avesse osato interromperci e, non appena ci rendemmo conto che costui era il preside, ci ricomponemmo velocemente.

[…]

«Ragazzi, mi complimento con voi per la bella impressione che avete dato al nuovo arrivato, soprattutto con te, Sara, la tua esibizione è stata almeno divertente, spero solo che tu non ti sia spezzata l’osso del collo» esclamò il preside con la sua voce imponente, non era mai stato cattivo con noi, ci rimproverava solo perché era il suo dovere ma per il resto appena poteva se ne usciva con delle battute che ci facevano restare con un palmo dal naso.

Ma, aspetta aspetta... cos’aveva detto?! Nuovo arrivato?!

Solo a quelle parole mi venne come un lampo improvviso il viso di quel ragazzetto insopportabile nella mia mente, e pregando gli dei pagani in cui non credevo, oltre che Dio, sperando in un maggior aiuto divino, sperai vivamente che l'individuo che avrebbe varcato quella porta avesse i capelli di tutti i colori possibili immaginabili tranne che di quella sfumatura di biondo. Avrei accettato pure Ronald in persona, di cui già vi ho parlato prima, ma non, con assoluta convinzione, quel petulante ragazzo so-tutto-io.

 

Risposte alle recensioni:

Balenotta: Guarda, tutto ciò che hai detto è assolutamente vero. Basta guardare la mia reazione: appena ho letto ‘Rassegnati’ , dopo un colpo al cuore (xD), ho pensato “Fantastico, la prima che recensisce e già mi dice di smetterla, va beh, vedrò di togliere la storia”. Ecco, ciò dimostra che hai perfettamente ragione, invece di dire “Beh, vedrò di migliorare” ho subito pensato di non continuarla. Hai ragione, una recensione negativa ti butterebbe giù. Però forse dipende da persona a persona, bisogna anche tenere conto del carattere, no? Magari uno sicuro di sé avrebbe pensato diversamente.

Ad ogni modo non sto qui a cianciare, grazie mille della recensione, spero che continuerai a seguirmi!

CullenDipendent: Ciao, innanzitutto grazie mille per il complimento. Sono felice che ti sia piaciuta fin dall’inizio! Ecco, ho aggiornato, spero che leggerai questo capitolo. Fammi sapere, eh. :)

micia247: Ciao Masha! Grazie di aver letto e recensito. Ecco il primo capitolo, spero di non averti deluso. Bene, sono felice che mi abbiate accettato nonostante la mia scrittura non sia delle migliori, farò di tutto per migliorare, prometto. Grazie ancora, spero di risentirti. C:

sciona: Ciao sciona. Cavoli, proprio come ho detto prima a Balenotta (vedi sopra), mi è preso un colpo al cuore quando ho letto ‘Rassegnati’.

Grazie, grazie mille! Sono felice che ti piaccia e anche che continuerai a seguirla. Un bacio.

Selena_14: Ciao Selena, o Luna, sì, mi sono fatta un giretto su tutti i vostri profili prima di rispondere (come mi avevi chiesto), volevo conoscervi un po’ meglio. :)

Comunque lo so, il prologo è un po’ confuso scusa, non ho citato i protagonisti (anche se penso possiate immaginarli) ma è fatto di proposito, preferisco lasciarvi sul dubbio! Inoltre vi dico già che non è una dichiarazione ma questa parte di storia arriverà molto presto, e sarà appunto solo l’inizio.

Non so, e non credo, di aver messo in chiaro la cosa con questo capitolo, mi dispiace, spero che capirai più avanti in questo caso. :)

Grazie ancora, Selena.

__Claire__: Grazie per la recensione, mi fa’ piacere che la presentazione ti sia piaciuta. :)

Ad ogni modo non so se questo capitolo sia corto, normale o lungo, su Word contro tre pagine e non so regolarmi poi sul sito. >.<

Fammi sapere se sono ancora troppo corti e vedrò di provvedere.

Baci :)

Ringrazio inoltre chi ha aggiunto la storia fra i preferiti e i seguiti, o chi la legge solamente.

Grazie mille veramente, per me significa molto!

 

 

(Rivisionata: 06/09/2010)

(Cambio parte di capitolo: 12/07/2011)

  
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