“Che fai stasera?”
“Oh, non saprei. Pensavo di chiamare un po’ di amiche e organizzare un’orgia a
casa di McGee, ma lui dice di non poter mancare l’incontro settimanale degli
Elfi Anonimi…”
“DiNozzo, questa è vecchia” mi ammonisce McGee dalla
scrivania di fronte. “E comunque stasera ho un appuntamento.”
“Con un’elfa?”
“Con una donna. Oh, ma perché ti do ancora retta?” sbuffa, immergendosi di
nuovo nel lavoro.
“Perché vuoi sapere cosa faccio stasera, Ziva?”
Fa una strana smorfia e alza le spalle, fingendo indifferenza. “Gibbs mi ha
appropinquato un sacco di lavoro giù in archivio, ma da sola rischio di finire
tra dieci anni.”
“Beh, non credo di essere libero. E comunque ti ha appioppato il lavoro, non appropinquato.”
Sono le otto e un quarto. Il mio turno è finito da quindici
minuti, e di solito a quest’ora sono a duecento metri da casa. Sono uno
stronzo. Ziva mi ha chiesto aiuto e io l’ho elegantemente silurata. Eppure una
parte di me voleva dirle di sì. Era la parte di me attratta da lei. Sì, come se
esistesse una parte di me non attratta da lei. Il fatto è che sto cercando di
convincermi che non provo nulla, che non farei di tutto per sapere se anche lei
mi desidera come io desidero lei. Non faccio che ripetermi che Ziva non mi
interessa, e più lo dico più mi accorgo che ne sono innamorato.
Oh, al diavolo. Tanto che farei a casa? Finirei per
addormentarmi davanti alla TV, mi alzerei con la schiena a pezzi e il morale a
terra.
“Chi va là?” sussurra la sua voce a un pelo dal mio
orecchio. Sento il freddo metallo della sua pistola a contatto con la mia
tempia.
“Ziva, sono io. Puoi abbassare il ferro.”
“Oh, scusa, DiNozzo. Non aspettavo visite.”
“Mi avevi chiesto di aiutarti.”
“Mi pareva avessi detto che avevi da fare.”
“Veramente ho detto che… ah, lascia perdere. Allora, che genere di lavoro ti ha
appioppato Gibbs?”
Mi porge un pennarello. “Riscrivere tutte le etichette dei
fascicoli dal 1980 al 1985.”
“Per questo non esistono gli archivisti?”
“Ehm, più o meno.”
“Più o meno?”
“Vuole che lo faccia io. Sai, per colpa di quello che ho fatto con il
vicepresidente.”
“No, aspetta. Gibbs ti ha spedita qui per punirti per aver
puntato la pistola alla testa del vicepresidente?”
“Se vuoi metterla così…”
“E tu stai chiedendo a me di aiutarti
con la tua punizione?”
“Puoi sempre andartene, se non ti va.”
Sbuffo e afferro un po’ di fascicoli, senza risponderle.
Non parliamo molto, ma è bello stare in sua compagnia,
guardarla ricopiare con cura ogni lettera, ogni numero, osservarla mentre si
allontana una ciocca di capelli dagli occhi. Sono contento di essere tornato
sui miei passi, e mi ritrovo a sorridere.
“Grazie, DiNozzo. Sei stato… gentile.”
“Dovere, Ziva.”
“Allora… ci vediamo domani?”
“Ci vediamo domani. Ah, come torni a casa?”
“In autobus. Perché?”
“Ziva, è mezzanotte. Non…” Non mi sento
tranquillo a lasciarti andare da sola. “Non credi sia un po’ pericoloso?”
“Ti preoccupi per me?”
“Mi preoccupo per i criminali” la prendo in giro. “No, a parte gli scherzi… non
sono un gran guidatore, ma credo sarebbe meglio se ti accompagnassi io.”
“Che c’è dietro?”
“Dietro? Niente. Insomma, qui in America i colleghi si
accompagnano a casa, qualche volta. Una volta mi sono dovuto far accompagnare
da McGee, pensa.”
Sorride, e poi la vedo mordicchiarsi un labbro. Buon segno,
vuol dire che ci sta riflettendo su. “Ok.”
“Non sapevo vivessi qui.”
“Che intendi dire?”
“Niente. È una bella zona. Ho sempre sognato di comprarmi un appartamento da
queste parti.”
“Perché non lo hai fatto?”
“Non lo so. Forse perché qui vendono case adatte alle famiglie, e io non ho una
famiglia.”
“Se ti piace, forse dovresti venire a vivere qui.”
Non fa una piega. “Forse dovrei sbrigarmi a trovare qualcuno
con cui venirci ad abitare.”
“Allora non ci verrai mai” ride.
“Stai dicendo che non sono in grado di trovare una donna che
voglia vivere con me?” rispondo, piccato. In realtà vorrei sorridere.
“Sto dicendo che sei un tipo troppo evidente.”
“Evidente?”
“Ma sì, uno che non si accontenta mai.”
“Esigente, allora.
No, non è vero!”
“Sì che è vero.”
“E perché sarei un tipo esigente?”
“Perché ci sono tante ragazze che ti girano attorno, ma tu non le degni nemmeno
di uno sguardo.”
“Beh, evidentemente non fanno nulla per farsi notare.”
“Mi stai dicendo che con te deve essere la donna a fare il
primo salto?”
“Il primo passo, intendi? Sì, è
quello che sto dicendo.”
“E che cosa può fare per farsi notare da te?”
“Non lo so. Condividere le mie stesse passioni, regalarmi i biglietti per il
Super Bowl... insomma, deve trovare il modo per stupirmi.”
“Baciarti all’improvviso sarebbe un modo per stupirti?”
Ci rifletto su per qualche istante. “Sì, immagino di sì.”
“Ok.”
La vedo rilassarsi sul sedile, e poi all’improvviso
slanciarsi verso di me. Non ho il tempo di capire che cosa stia cercando di
fare; lo capisco quando sento le sue labbra posarsi sulle mie, decise e senza
esitazione. Cerco di contare i secondi: uno, due, tre… nei dintorni del sei si
stacca e cerca a tastoni di aprire lo sportello. Mi servono un paio di secondi
per realizzare quello che è successo, ma quando ci riesco, una sensazione
meravigliosa mi prende lo stomaco. Ziva voleva stupirmi.
Mi protendo verso di lei, le faccio scivolare una mano tra i
capelli, e lei si volta verso di me. Ha le guance arrossate e gli occhi lucidi…
soltanto Dio sa che cosa vorrei farle in questo momento. Mi guarda con aria
smarrita, senza sapere che cosa dire.
“Eh no, Ziva, non ti lascio andare via così” le sussurro,
prima di attirarla verso di me e baciarla ancora. Le sue labbra premute contro
le mie hanno il sapore del miele, le mie dita si fanno strada tra i suoi
capelli, trattenendola contro di me. Ben presto smetto di pensare, e lascio che
siano i nostri corpi a parlare per noi.