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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    30/08/2010    1 recensioni
Minako non è destinata a diventare Geisha come tutte o quasi le ragazze della sua città, comprese le sue due sorelle. Per lei, suo padre, ha riservato un destino particolare: sin da bambina, infatti, ha ricevuto lezioni per diventare una perfetta arciera. Una volta cresciuta verrà inviata presso lo Shogun – un uomo austero, freddo e carismatico a detta di tutti - per diventare un’arciera del glorioso esercito imperiale. Ma, spesso il destino muta i piani. [4° Classificata al Contest "Le Sette Barriere Psichiche" di May8Rose - Storia Valutata da Bimba_Chic_Aiko, a cui va un sentito grazie di cuore!]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sesto Capitolo


    Quel nuovo mattino, nonostante i raggi di un tiepido sole filtrassero attraverso la finestra della mia stanza, io non ci vedevo nulla di buono.
Avevo preso la mia decisione, eppure era complicato attuarla. Ma dovevo.
Non potevo più ingannare lo Shogun, mio padre, ma soprattutto me stessa.
Mi vestii lentamente, sistemando meglio il kimono di un marrone scuro con semplici rifiniture sul giallo, come una serie di ghirigori senza senso che sfioravano la schiena. Legai un obi dorato alla vita, e vi fissai all’interno il Tanto imperiale che mi era stato consegnato dopo la mia prima lezione. Raccolsi i miei lunghissimi capelli d’ebano con una coda alta, in una maniera forse più femminile.
Una volta pronta, mi soffermai qualche istante davanti allo specchio e quello che vidi era una donna con uno sguardo fermo e deciso, i cui tratti apparivano severi, rigidi, ma i suoi profondo occhi scuri dalle sfumature violacee erano spenti, vuoti, annegati in un mare di profonda tristezza e delusione.
Scossi il capo, non permettendomi di piangere ancora, e afferrai l’arco e la faretra, amati compagni, che fissai sulla spalla. Feci scivolare di lato la porta e mi accinsi a percorrere tutto il corridoio che conduceva alla sala d’addestramento. E’ lì che avrei incontrato lo Shogun, ne ero certa.
Una volta giunta a destinazione, iniziai a guardarmi intorno. Lasciai spaziare il mio sguardo lungo tutto il perimetro dell’area, osservando i soldati che si allenavano continuamente, desiderosi di dimostrare il loro valore e rispettare il loro giuramento, cosa che io non avevo, infine, fatto.
Sospirai al pensiero e ripresi a guardarmi in giro. Mi soffermai in particolare su una parete sulla quale erano affissi gli archi imperiali, in dotazione a coloro che, una volta superato il periodo da recluta, decidevano di diventare dei veri e propri arcieri. Erano lunghi e di un legno chiaro e pregiato, e provai una fitta al cuore al solo pensare che uno di quelli potesse essere mio.
Avanzai di qualche passo, fino a raggiungere il terrazzo, dove non sarei stata d’intralcio ai vari addestramenti che si stavano svolgendo. Respirai un poco d’aria e, quando tornai a voltarmi, subito il mio sguardo incrociò il suo.
Il mio cuore prese immediatamente a battere più forte nel petto, temevo che potesse essere udito da tutti, ma soprattutto da lui, e sarebbe stato terribile! Non doveva accadere, quindi cercai di fare un altro profondo respiro, ma non si può comandare al cuore, purtroppo.
Non appena lui mi vide, si avvicinò con fare stanco verso di me. Al battere incessante del mio cuore, si aggiunse una fitta tremenda al basso ventre, all’intestino, che mi spinse a posarvi sopra una mano con la mera speranza di alleviare tanto dolore.
Nell’osservarlo meglio, restai allibita: appariva più vecchio e più stanco, quasi fragile, seppure potesse sembrare una cosa priva di senso. Il grande Shogun, austero e imperioso, capace di uccidere con pochi colpi, ora sembrava un uomo troppo stremato, come se il peso del suo ruolo e delle sue decisioni lo avessero abbattuto di colpo e non riuscisse più a sostenerlo con le sue sole spalle.
Mi faceva male vederlo così, in quel momento avvertivo il bisogno di aiutarlo, di abbracciarlo come per alleviare un poco quella sofferenza che sembrava provare e alleggerire un poco il carico che portava.
Ma, trattenni immediatamente l’impulso, sapevo bene, infatti, che ciò non era possibile.
Lui si fermò a pochi passi da me, mi guardò serio e allo stesso tempo stanco e poi mi rivolse parola:
« Konnichiwa Minako-san. » un semplice saluto, prima di sedersi a terra, ignorando tutto e tutti. « Sono troppo vecchio ormai, ho fatto il mio tempo…» non mi guardò minimamente, ma si limitò ad osservare dinanzi a sé, un punto non ben decifrato nella stanza.
Le sue parole mi apparvero incomprensibili: cosa voleva dire? Lui troppo vecchio? Perché si sentiva così? Mi fece cenno di sedermi accanto a lui e subito obbedii, pur rimanendo un poco discostata da lui, per non sfiorarlo minimamente.
« Cosa vuoi dire, mio Shogun? » proferii a bassa voce, assecondando il suo tono usato, e non smisi mai di guardarlo, ignorando il dolore che avvertivo, troppo preoccupata per lui.
« Un mese fa ho condannato a morte un uomo senza prove; dovevo trovare un colpevole di omicidio, e lui era perfetto. Poco fa ho interrogato un uomo che ha cercato di uccidermi e l'ho lasciato andare, perché non ho più voglia di uccidere... » si fermò qualche istante, soffermando poi i suoi occhi pece su di me ed io non distolsi il mio sguardo. Sentivo che aveva bisogno di sfogarsi e, pur non capendo perché avesse scelto proprio me, mi sentii lusingata e felice, ma allo stesso tempo provavo una tal sofferenza nel vederlo così e mi sentivo incapace di aiutarlo. « Per troppo tempo sono stato Shogun, troppo a lungo ho dovuto prendere decisioni, stabilire chi doveva vivere e chi morire, ucciso in battaglia, difeso questi luoghi e il divino imperatore, ma ora sono stanco. » sorrise tristemente e poi il suo sguardo oltrepassò la mia stessa figura, facendosi lontano, come se sognasse ad occhi aperti « vorrei avere qualche amico, vedere mio figlio un uomo che cavalca, e mia figlia una perfetta Geisha. ».
Non riuscii a parlare. Avrei voluto stringere le sue mani alle mie e fargli forza, fargli capire che io c’ero per lui e, se avesse voluto, ci sarei sempre stata. Ma per lui ero solo la figlia del suo migliore amico no? Probabilmente solo una bambina ai suoi occhi.
« E’… è così triste vederti così. Sentire che lo Shogun, l’uomo che ammiro di più al mondo…  » e che amo – avrei voluto aggiungere « … dica tali parole. Forse è solo un momento, forse, se mi è concesso dirlo, hai soltanto bisogno di riposare, per poi tornare ad essere lo Shogun che eri e che sei ancora nel profondo. » non sapevo se potevo rivolgermi così a lui, ma volevo dire qualcosa, giacché a gesti non era possibile far nulla.
Lui scosse il capo e poi posò una mano sulla mia spalla, ed io mi trovai a sussultare un attimo. Una miriade di sensazioni mi avvolse a quel semplice contatto. L’amore ed il dolore si fondevano insieme e non sapevo se sentirmi male o bene.
« Sai cosa penso di questo posto, Minako? Credo che sia ora di rinnovarlo, forse è venuto il momento di lasciare il mio posto a un altro venerabile Shogun. » allontanò la mano dalla mia spalla, nonostante una voce dentro di me gridasse per sentire ancora quel semplice, innocente, tocco, e poi sembrò di nuovo perdersi nei suoi sogni.
« L'ho sognata... la Cascata di Gelsomini, il fiore perfetto finalmente trovato. » la sua voce sembrò un semplice sussurro, come la voce del vento. « mia figlia che lo riceve e viene mandata al Castello per la cena ed io che sorrido e mi addormento per sempre... »
Quelle parole erano terribili. Perché mi parlava così? Perché si rivolgeva in questo modo proprio a me? Perché pensava così presto alla morte?
Non riuscii più a trattenermi: i miei occhi si fecero lucidi e lacrime vi si addensarono. Lo guardai ancora e, incurante di tutto e tutti, pur mantenendo un tono basso, presi parola:
« Perché parlare di rinnovamento ora? Ci sei tu, un grande Shogun. Colui che mi ha accolta qui e mi ha insegnato tanto. Colui per il quale sin da bambina ho provato una profonda ammirazione. Colui che tutti lo venerano e di cui tutti parlano. Guarda quei soldati, guarda come si allenano. Loro vogliono seguire le tue orme, diventare dei perfetti uomini d’arme come te, pieni di onore, lealtà, rispetto, orgoglio. Lottano per diventare uomini. Lottano per amore della propria terra, del proprio imperatore, ma anche di te, dello Shogun che insegna loro a vivere, oltre che combattere. » le lacrime iniziarono a scorrere dai miei occhi, non riuscendo più a trattenerle. « Ti prego Shogun-sama non parlare della tua morte. Come starà tua figlia? Credi che tua moglie e tuo figlio sarebbero felici di sentirti parlare così, se fossero ancora qui? Come faranno qui senza una persona valida come te al comando del glorioso esercito imperiale? » e come starò io senza di te? Altro pensiero da tenere nascosto. « E’ triste vederti così, davvero tanto. E mi risulta ancora più difficile dirti la mia decisione. »
Sembrò non ascoltarmi, seppure mi guardasse intensamente. Non smisi di piangere, anche se mi sentivo fragile e sciocca, ma le sue parole mi avevano notevolmente turbata e non potevo rimanere in silenzio a guardare. Dopo qualche secondo di silenzio, interrotto solo dal rumore delle spade, dalle urla dei soldati e dalle mie lacrime capricciose, disse:
« Cosa devi dirmi Minako-san? Sei arrivata dunque alla tua decisione? »
Annuii, asciugando poi le lacrime con la manica destra del kimono.
« La decisione è stata presa. Ci ho pensato a lungo, per un intero giorno, valutando i pro e i contro e, alla fine, ho capito che non posso più ingannare né te, né mio padre, né me stessa. Mi sento triste nel doverti dire ciò, ma ho deciso di non restare qui. Non è questa la mia strada ed io non sarò mai un vero soldato. » abbassai per un attimo lo sguardo, poi ripresi. « mi dispiace dirti ciò, so che ti deluderò, come ho deluso profondamente me stessa e come deluderò mio padre vedendomi tornare tanto presto. Ma qui non mi trovo bene, non è questo il mio posto. E’ venuto per me il tempo di partire: tornare da mio padre o forse andare altrove, chissà. Amo l’arco, è ormai parte di me stessa, e continuerò sempre ad usarlo, ma non posso divenire arciera dell’esercito imperiale. » nonostante la tristezza, la delusione, il dolore e le lacrime, il mio tono era deciso e il mio sguardo tornò a soffermarsi su Azumamaro che mi fissava a sua volta.
« Non posso dire di essere felice di questa tua decisione, però se questa è la tua strada che gli antenati ti proteggano sempre. » mi disse, sfiorando con lo sguardo il mio viso, per poi lasciarlo ricadere sul tanto che spuntava dall’obi stretto alla mia vita.
« Ti ringrazio mio Shogun. » non so perché continuavo a rivolgermi così a lui, mio. Lui non sarebbe mai stato mio. Poi sfilai il Tanto che avevo all’obi e glielo porsi. « quindi devo ridarti questo. Non sono meritevole di portarlo ancora con me ».
Lui lo prese tra le sua mani, senza dire una parola. Temevo che mi cacciasse in malo modo e invece…
Rimasi ad osservarlo in silenzio, attendendo una sua parola, il suo congedo. Non potevo alzarmi e andarmene di mio libero arbitrio.
Lui osservò con cura il Tanto, muovendolo tra le sue mani, poi lo sentii sussurrare.
« I fiori… »
Inarcai le sopracciglia non capendo che volesse dire, ma poco dopo riprese:
« Ho visto il fiore perfetto venticinque anni fa e lo sposai. Dicono che nel nostro Impero, non ci si può sposare per amore, ma io lo feci… » quelle parole mi trafiggevano l’anima ed il dolore aumentò, ma rimasi di sasso nel vedere ciò che stava per fare: puntò il Tanto al suo stomaco, con la parte affilata e tagliente, e iniziò a dare una leggera pressione, non così esagerata da trafiggersi, ma delle piccole gocce di sangue uscirono dalla lacerazione.
Allarmata quasi mi ritrovai a gridare un « NO! », mentre, incurante di tutte le etichette da rispettare, allungai le mie mani nel tentativo di allontanare quell’arma da lui. No, non potevo sopportare di perderlo così. Già non potevo averlo, ma vederlo morire sarebbe stato ancora più doloroso. « No, ti prego Shogun-sama. Non fare così, non devi… ti scongiuro. » sembravo una bambina, mentre lasciavo scorrere di nuovo quella dannate lacrime e mi sforzavo di impedirgli di uccidersi.
Lui, a differenza del mio dolore, mi sorrise ed annuì di fronte al mio fare. Mi lasciò allontanare quell’arma da lui e poi, fissandomi, replicò:
« L’ultima lezione è fatta. » sembrava quasi commosso nell’osservarmi. « non morirò così, non temere. » non si curò affatto della piccola ferita che si era inflitto. Sarebbe guarita in breve tempo. Si alzò da terra, e si guardò intorno, prima di rivolgermi ancora sguardo e parola.
« Saresti stata un’ottima arciera, ti avrei già promossa. Ma hai preso la tua decisione, ed io non posso far altro che accettarla. » fece una piccola pausa, e poi concluse « puoi andare Minako, stasera potrai dormire qui, nel tuo alloggio. Ma… guarda la strada, un giorno potrai vedere lo Shogun dietro di te.»
Le sue parole mi apparvero ancora una volta incomprensibili. Mi avrebbe seguita? E perché mai? Allontanai ogni pensiero, riservandolo per dopo, quando sarei stata di nuovo sola ed annuii. Mi alzai da terra e gli riservai un perfetto inchino. Lui accennò un altro lieve sorriso, denso di stanchezza forse, e poi si allontanò scomparendo nei corridoi.
Quella sera sistemai tutte le mie cose e dormii ancora un’ultima volta nel mio alloggio.
L’indomani, con unicamente l’arco, la faretra, e una semplice sacca con cui ero arrivata, ripresi il cammino verso casa, dove avrei trovato sicuramente delusione, ma almeno sarei riuscita ad allontanare da me quel dolore e quel sentimento troppo grande che non potevo provare per lui.



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Il prossimo capitolo sarà l'epilogo.
Spero che finora vi sia piaciuta. :)
   
 
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