Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Fiamma Drakon    31/08/2010    2 recensioni
Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.
Ma io, come diavolo ci sono finita in questo inferno...?!

[Linguaggio colorito; possibile cambio di rating]
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5_Informazioni da trovare (ad ogni costo) Il mattino seguente, Erika fu svegliata da un leggero rumore vicino a sé.
Si mosse, sentendo qualcosa che la copriva.
Socchiuse gli occhi, per abituarli alla flebile luce che aleggiava all’interno della stanza come polvere sospesa, per poi aprirli del tutto. Dapprima si guardò addosso - riconoscendo la giacca che aveva sopra a mo’ di coperta per quella di suo padre - poi alzò gli occhi verso la fonte del rumore che l’aveva destata.
«AAAAAAAAAH!» strillò, schizzando seduta, chiudendo di scatto gli occhi.
«Erika, sono io. Non urlare, per favore!».
La voce pacata di suo padre la calmò un poco, tanto da convincerla a riaprire gli occhi: lui era ancora in piedi davanti a lei, a torso completamente nudo. Prima le dava la schiena, ma adesso era voltato verso di lei, cosicché la ragazza poté notare, anche se confusamente, la cicatrice che gli segnava il petto, esattamente in corrispondenza del cuore.
A quella vista, una fitta di nausea e dolore le strinse lo stomaco, che fortunatamente era già vuoto: era lì che gli avevano sparato...? Anche senza occhiali, riusciva a distinguere il circolo di quella cicatrice, che scintillava ancora di rosso, anche se scuro. Ormai pareva una ferita vecchia, anche se sapeva benissimo che non lo era poi così tanto.
Rimase ad osservarla, lasciandosi cullare dalla sgradevole sensazione che le aleggiava attorno e dentro, una sensazione fatta d’abbandono, dolore, tristezza e nostalgia, sentimenti che le bruciavano immensamente.
«Ehi, tutto bene?» esclamò suo padre, avvicinandosi a lei.
Intercettò il suo sguardo e si affrettò ad infilare la t-shirt, in modo da coprire l’oggetto delle dolorose attenzioni della ragazza.
«Erika, tutto okay?» ritentò, scuotendola un po’ per le spalle.
Quest’ultima scosse il capo e sbatté le palpebre con nuovo vigore, quindi lo fissò con del sentimento negli occhi.
«C-che c’è?» chiese.
Lui si rialzò, a disagio per il contatto.
«Mi sembravi... strana»
«Niente, tranquillo» lo rassicurò la figlia, accennando un sorriso del quale, in realtà, neppure lei era molto convinta: l’immagine, anche se confusa, del segno del proiettile che l’aveva ammazzato l’aveva scombussolata alquanto.
Non voleva immaginare gli effetti che le avrebbe sortito se avesse avuto indosso gli occhiali.
A proposito di occhiali... mormorò tra sé, piegandosi a prendere la custodia dei suoi nella tracolla.
Li inforcò e si guardò intorno, prima di posare nuovamente gli occhi su suo padre, notando solo in quel momento una differenza a dir poco fondamentale, che non si peritò affatto ad esporre: «Papà, quei vestiti nuovi da dove vengono?».
Alan le rivolse un mezzo sorriso, mentre si sistemava il giubbottino nero smanicato sulla t-shirt.
«Stamattina presto Penelope è venuta a portarmi dei vestiti meno logori e da morto...» spiegò.
«Come sta?!» volle sapere subito Erika.
«Bene. Mi ha anche detto che tua madre è sotto la protezione di vari incantesimi, adesso, così puoi stare tranquilla...».
La ragazza tirò un sospiro di evidente sollievo: almeno non avrebbe dovuto preoccuparsi inutilmente per lei.
«Ah, quasi dimenticavo... ti ha portato questa» aggiunse Alan, porgendo alla figlia una busta di plastica bianca.
Erika l’osservò per alcuni istanti, chiedendosi che diamine ci fosse dentro, prima di decidersi a prenderla e aprirla: all’interno c’era del cibo.
«Immaginava che avessi fame e non fossi nelle condizioni più idonee per comperarti qualcosa da mettere sotto i denti...» le spiegò, sorridendole.
Lei distolse lo sguardo, a disagio, mentre deponeva la busta - che si curò di chiudere per bene - sul letto.
«G-grazie...» balbettò, rossa in viso.
«Tieni, ti ha portato anche qualche vestito di ricambio...» aggiunse suo padre, passandole una piccola sacca chiusa con un fiocco, che la ragazza prese con qualche esitazione.
«Non preoccuparti - la rassicurò Alan - Ha detto che è passata a prenderne qualcuno dei tuoi, a casa».
Be’, non è proprio confortante l’idea di qualcuno che ti entra in camera mentre non ci sei... commentò tra sé e sé, comunque accettò di buon grado la sacca che le stava porgendo, riponendola con cura nella sua tracolla, che non era esattamente piccola, anzi, talvolta la definiva addirittura “la borsa di Mary Poppins moderna”.
«Oh... grazie» disse, anche se si accorse subito di aver detto una cavolata, dato che Penelope non era lì con loro.
A quel punto scivolò fin sul bordo del materasso, stringendosi nelle spalle.
«Qual è il programma per oggi?» chiese, fissando ininterrottamente suo padre.
«Andiamo a cercare informazioni sulla presunta setta di corvi» dichiarò Alan, deciso.
A quell’affermazione, Erika si alzò, risoluta.
«Allora dovremo andare alla Lirys Library: là ci sono libri per tutti i gusti. Troveremo di certo qualcosa in proposito» affermò la ragazza, cogliendo alla sprovvista il redivivo, che però annuì comunque.
«Okay... andiamo» disse, quindi precedette la figlia fuori della stanza.
Alla luce del giorno il cimitero non appariva così spaventoso e poco ospitale come di sera o, peggio ancora, di notte.
Le lapidi c’erano ancora, l’atmosfera cupa persisteva, ma non era acuita in modo inquietante dall’oscurità notturna.
Erika non riuscì ad evitarsi d’indirizzare qualche sguardo interrogativo al padre, il quale sembrava addirittura più guardingo della sera precedente, quand’erano arrivati.
Probabilmente perché alla luce del sole è più facile che ci individuino... anche se si è nutrito, c’è ancora una forte traccia del pallore cadaverico originario sulla sua carnagione... commentò tra sé, senza riuscire ad evitare di formulare quell’ultimo appunto.
Aveva notato la differenza immediata non appena si era nutrito del suo sangue, il rossore che si era diffuso sulle sue guance. Adesso, non c’era più traccia di quel caldo e vivo porpora né sul suo viso, né nel resto della pelle scoperta.
«Come fai ad essere così sicura che in quella biblioteca ci sia quello che stiamo cercando?» domandò all’improvviso Alan, rallentando il passo per tenere il suo.
«Ci sono stata... un paio di volte» replicò Erika, arrossendo e distogliendo lo sguardo.
Be’, un paio di volte era solo un misero eufemismo: aveva passato interi pomeriggi immersa tra quegli scaffali polverosi in cerca di testi su Alchimia, rituali antichi e similia. Aveva una certa esperienza in merito.
«Almeno uno di noi saprà orientarsi un po’...»
«Non eri tipo da biblioteca?» chiese Erika, curiosa.
Lui si strinse semplicemente nelle spalle, leggermente a disagio.
«Ero più un tipo pratico. Era tua madre quella appassionata di lettura» replicò Alan.
In effetti, non aveva tutti i torti: sua madre, in camera da letto, aveva una libreria quasi piena di libri, ai quali se ne aggiungevano uno o due di tanto in tanto.
Era una vera appassionata di libri ed era da lei che aveva ereditato il piacere del leggere.
Arrivati alla macchina, smisero di parlare e partirono.
La Lirys Library non era particolarmente lontana dal cimitero, però si trovava in una strada piuttosto trafficata, per cui impiegarono una mezz’oretta ad arrivare.
Trovare un posto per la macchina non fu difficile.
Scesi, si avviarono su per la grande scalinata di marmo che conduceva alla porta, immensa e di legno, ovviamente aperta.
Appena varcata, Erika sentì il profumo dei libri vibrarle nei polmoni: finalmente qualcosa di familiare, in quello sconvolgimento assoluto.
L’interno era immenso, come sempre, e poco illuminato, per non dire affatto, eppure lei non aveva problemi a muoversi nella semioscurità: che senso avrebbe avuto, altrimenti, stare giornate e giornate chiusa nella sua stanza a lume di candela?
Per sviluppare la sua incredibile “vista al buio”, aveva dovuto esercitarsi per un bel po’.
«Qui dentro non si vede un... niente!» commentò Alan, arrabbiato.
Erika sorrise: aveva colto l’esitazione di suo padre, segno che avrebbe volentieri utilizzato un’altra espressione per manifestare la sua irritazione.
«Vieni, per di qua» sussurrò la figlia, prendendogli una mano e conducendolo all’interno.
Si trattenne a stento dal lasciarla immediatamente: era fredda come ghiaccio.
Che scema... i morti non hanno circolazione. Per forza sono freddi... e pallidi.
Passarono davanti alla scrivania dove sedeva la bibliotecaria.
«Buongiorno» salutò Erika, sforzandosi di essere allegra come al solito.
Nessuna risposta da parte della donna, che, notò la ragazza, era intenta a leggere un giornale.
Non si preoccupò molto: la bibliotecaria era mezza sorda, per cui con ogni probabilità era talmente assorta nella lettura che non l’aveva comunque sentita, indipedentemente dall’essere sorda o meno.
Tirò avanti, ringraziando silenziosamente la semioscurità che regnava ovunque e che impediva a chiunque di vedere il pallore di suo padre: era certa che, se i loro inseguitori avessero chiesto in giro, un tipo così pallido se lo sarebbero ricordato in parecchi. L’ultima cosa che voleva era lasciare indizi che potessero mettere in pericolo sia lui che sé stessa.
«Erika...» sussurrò Alan.
«Sì?»
«Sei sicura che non ci siano interruttori della luce qui intorno?»
«Sei davvero così cieco?»
«Non vedo... nitidamente neppure con la luce».
Dal tono, pareva aver confessato una delle cose che più gli bruciava ammettere.
«Oh... sei miope?».
Che razza di domanda idiota... osservò tra sé subito dopo.
«No, ma in teoria sono un cadavere semovente. Circe mi aveva avvertito che avrei perso qualche cosa, in cambio della forza fisica»
«Hai perso dei decimi di vista?»
«A quanto sembra sì... ma pare un problema più serio di quel che è al buio....».
Maledizione! Ci mancava solo questa...!
La ragazza rinsaldò la presa sulla sua mano, mentre procedeva spedita tra gli scaffali, diretta a quelli in fondo, riservati all’esoterismo e a pratiche antiche. Era più che certa che avrebbero trovato qualcosa circa ciò che cercavano.
Quando scorse finalmente lo scaffale che le interessava, istintivamente lasciò la mano di suo padre e vi corse, lasciandolo indietro.
«Ah... Erika? Erika dove vai?» la chiamò Alan, tastando in qua e là nell’aria in cerca della figlia.
«Papà è qui!» esclamò la figlia, nella voce un filo d’eccitazione, voltandosi indietro.
«N-no, non di l...!».
Non finì neppure la frase che suo padre cadde con un pesante tonfo a terra, trasportandosi dietro la sedia in cui era inciampato.
«Ahio, che male...!» sibilò a denti stretti, massaggiandosi un braccio.
La ragazza ritornò indietro e lo aiutò a rialzarsi.
«Scusa, non avrei dovuto lasciarti» sussurrò, imbarazzata.
«Non importa... l’hai trovato?» chiese invece l’uomo, alzando il capo.
«Sì, da questa parte».
Lo scortò quindi fino allo scaffale in fondo.
«D-dov’è?»
«Ce l’hai davanti».
Alan protrasse un braccio in avanti e sfiorò le costole dei volumi. Erika non poté trattenersi dal paragonarlo ad un cieco che cerca qualche contatto col mondo esterno dal quale è visivamente escluso.
«Come posso aiutarti? Non vedo niente»
«Non preoccuparti: posso fare da sola»
«No, voglio aiutarti! Se siamo in questa situazione è soprattutto per colpa mia!».
La giovane Reagh rimase a fissare suo padre per alcuni istanti: nei suoi occhi dispersi nel buio leggeva distintamente un fuoco che ardeva come mille incendi, una decisione che, lo sapeva, non avrebbe mai potuto spazzar via.
Perciò ficcò una mano nella tracolla e iniziò a cercare: cellulare, chiavi di casa, la sacca dei vestiti... possibile che non avesse niente di utile, in quel momento?
Scansò un libriccino e una penna e, inaspettatamente, sfiorò qualcosa di solido, lungo e cilindrico, che si affrettò ad estrarre.
Con suo immenso sollievo, scoprì trattarsi proprio di una torcia elettrica.
«Papà, tieni questa» disse, afferrandogli la mano più vicina, mettendoci la torcia, accendendola.
«Una torcia?» domandò Alan, perplesso, muovendola, indirizzando il fascio di luce in varie direzioni.
«Così puoi vedere»
«Perché hai aspettato solo ora a darmela, se l’hai sempre avuta dietro?».
Stava per dire che si era dimenticata di averla, quando la luce traballò, fornendole una scusa migliore.
«La batteria è quasi esaurita. Mi sembra più utile adesso che per camminare, ti pare?».
Riuscì a zittirlo.
«Bene, che aspettiamo? Iniziamo a cercare» disse dopo un po’ lui, scostandosi dalla figlia.





Angolino autrice
*hero* Riesco ad aggiornareee! ù___ù Finalmente <3
Be', comunque u.u non dilunghiamoci troppo in chiacchiere inutili e passiamo ai ringraziamenti.
Per le recensioni:
Sachi Mitsuki
xXxNekoChanxXx
E chi ha aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Fiamma Drakon