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Autore: YleV    01/09/2010    2 recensioni
'Attenta, è un ninfomane, potrebbe anche provarci!'
'E tu che ne sai?'
'Non sai chi è?'
Jul fece spallucce, facendole chiaramente capire che non lo sapeva e nemmeno le fregava granchè di chi fosse.
'No, ma dubito ci proverà, mi odia già a morte, per questo sento una sensazione stupenda dentro me!'
Fece un gesto teatrale e si allontanò, avvicinandosi al tavolo del ragazzo. Notò che era solo, non aveva nessun babysitter con sè, ma solo il suo iPhone e delle chiavi di un Audi. Scelta rischiosa per andare in un quartiere malfamato di Amburgo da cui uscirai almeno con un briciolo di droga in più.
Aveva entrambi gli oggetti poggiati sul tavolo di mogano rovinato, e teneva la schiena poggiata ai cuscinetti del divanetto, con le gambe spalancate, si manteneva in una posizione annoiata, e il suo sguardo, rivolto a quello fastidioso e divertito di Jul, appariva paziente, ma ancora per poco.
Si alzò un pò, poggiando i gomiti al tavolino e fissandola serio. 'Portami una Vodka Lemon.' ordinò, senza neanche l'ombra di un per favore.
Jul era la prima a non dire mai 'per favore' , ' grazie' o checchessia, ma pretendeva quasi, che gli altri fossero gentili e rispettassero il galateo in sua presenza.
'Prego, figurati, non c'è di chè!'
Il ragazzo emise una breve risata grutturale.
'Tu ci lavori qui. Nessuno è tenuto ad essere gentile.'
'Tu sei pagato per quello che fai, chi ti paga può anche non essere gentile. Ma sono certa che lo sia, altrimenti le tue belle chiappe d'oro non sarebbero così lucide.'
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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change Quando Kathrina andava a scuola, la sua più grande preoccupazione era prendere buoni voti, con Jul, e stare attenta a lei, per quel che bastasse, dato che ancora non era in quel giro vizioso. Non troppo.

Jul, nonstante tutto, era la migliore della classe. Odiava la scuola, quell'ammasso di ragazzi che ci andavano solo per i loro comodi, e ogni pomeriggio rimaneva ore a studiare, pur di avere il massimo, senza mai nessun debito, bocciatura o altro in modo che sarebbe uscita di lì il prima possibile. Certo, uscendone, non aveva trovato di meglio, ma almeno chi aveva intorno, non la giudicava. Kathrina invece, preferiva di gran lunga, quando andavano a scuola, quando Jul si distraeva con lo studio, e la cocaina era solo una stronzata adolescenziale.

Ora la cocaina, ruotava attorno alla sua intera vita, composta ormai solo da quello.
La cosa che la salvava era la loro amicizia. Non aveva ormai un ragazzo da anni, solo qualche inutile notte con un ragazzo, spesso anche ragazzi per bene, con cui si ritrovava senza neanche saperne il motivo, ma mai nessuno come Hasen per Kathrina, lei voleva solo che la lasciassero in pace; c'era stato il figlio di un imprenditore, un pianista, uno studente e persino un novello avvocato, ma mai a nessuno aveva detto qualcosa della sua vita, più per la paura di essere commiserata che per altro. Mai nulla era durato più di una settimana. Kathrina aveva addirittura pensato a Markus quando diverse volte li aveva visti insieme, mentre si abbracciavano -da amici, ma non agli occhi di Kathrina- e non toccavano nulla di tossico. In quel momento la loro unica droga era l'uno per l'altra, le parole di uno per l'altra. Ma entrambi, divertiti, si erano affrettati a chiarire le cose, spiegando che stavano solo parlando. Ma Kathrina lo aveva visto, quella sera stavano meglio entrambi senza la polvere bianca.

Jul sbadigliava intanto, muovendosi lentamente e barcollando tra tutta quella gente che ballava tra musica ad alto volume. Sentiva puzza di alcool e la sentiva su sè stessa, sentiva odore di sesso, di malsanità, e l'odore della cocaina, la percepiva perfino sulla sua pelle, nella sua testa.
Quando riuscì a raggiungere i bagni, si sentì trascinare dentro da Sean, il ragazzo che le aveva passato la dose di quella sera.
Non poteva fermarlo, non ne aveva le forze. Sentiva solo la sua viscida lingua scorrerle sul collo.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare era Markus, se ci fosse stato lui tutto quello non sarebbe successo, se ci fosse stato Markus, mai nessuno avrebbe osato toccarla, neanche sfiorarla. Ma Sean di lei non aveva mai avuto paura, non si era mai preoccupato del guscio che la circondava, delle sue espressioni dure, da cui tutti si tenevano lontani.
Sean era un tedesco allo stato puro, era biondo, aveva gli occhi chiari ed era virile come non ne aveva visti mai. Sean le faceva schifo, soprattutto. Aveva la cattiva abitudine di farle commenti ammiccanti ogni volta che si incontravano, ma ogni volta c'era Markus a dirgli di starle lontana.

Markus, fratello, dove sei?

Per un attimo ebbe la sensazione di dover piangere, ma si ricredette, lei non voleva far pena, voleva fare paura, e comunque mai avrebbe pianto davanti a Sean.
Riusciva solo a pensare a Markus, sentiva solo il bisogno di Markus e pregava un Dio, di aiutarla se poteva.
Forse non fu Dio, ma solo destino, ma qualche minuto dopo, quando Sean cominciò a sbottonarle i gancetti dell'abito, sentì urlare e il peso di Sean via dal suo corpo.
Si accasciò per terra, con le mani al viso e la testa in fiamme, dopo quello non ricordava più nulla.


Quando si risvegliò era sui sedili posteriori di un auto in corsa, un auto lussuosissima in corsa.
Immediatamente si alzò a sedere, pentendosene amaramente, dato il macigno che sentiva rotolarle da un lato all'altro della testa.
Non badò al guidatore, finchè non spostò lo sguardo dalla strada alle mani che aveva sullo sterzo. Le conosceva già.
Il ragazzo in treccine, che ricordò chiamarsi Tom, guidava tranquillo, con un aria seria e dura, ma sembrò non essersi accorto di lei.
Guardò oltre il parabrezza, il cielo era scuro, e pioveva a dirotto, ma c'era poca luce, evidentemente era quasi mattino.
Quando riguardò Tom, questo sembrò essersi accorto di lei, guardandola dallo specchietto retrovisore.
Aveva uno sguardo molto più duro, ora.
'Perchè diavolo sono qui?'
'Prima dovresti ringraziarmi.'
'Posso sapere per cosa, di grazia?'
'Per averti salvato.'
'Scusami?'
'Avresti preferito che ti lasciassi nelle mani di quel pervertito? Che ti lasciassi scopare, violentare o come diavolo ti pare? Se vuoi ti riconsegno nelle sue mani!'
Aveva inchiodato, voltandosi verso lei, che lo fissava spaventata.
Perchè doveva esserlo.
Da quando andava in giro con sconosciuti?
Da sempre.
Da quando era impaurita da quelli come lui?
Per la prima volta era spaventata da una star. Ma forse non era lui, in sè per sè a farle paura, probabilmente era tutta la situazione che la terrorizzava, perchè le uniche persone che la salvavano, erano Kathrina e Markus. Che erano poi gli unici che conosceva davvero, gli unici che si mischiavano con lei, perchè facevano parte dello stesso mondo, nessuno si sporcava le mani di rogne o problemi che non lo riguardavano.
E lui, invece?
Lui era di un mondo a parte, troppo lontano e diverso dal suo.
'Fammi scendere.'
'Devo portarti in ospedale.'
'Non esiste, non devi portarmi da nessuna parte!'
Tom la guardò malamente dallo specchietto retrovisore, ma neanche quello sguardo riuscì a farla tacere.
'Tu ora fermi e mi fai scendere, chiaro? Voglio scendere!'
'Mi importa poco di quello che vuoi o non vuoi. Ti stava violentando, scegli tu, o la polizia o l'ospedale.'
'Oppure una cazzo di strada.'
Tom sembrò innervosirsi.
'Cosa ti diranno i tuoi genitori, quando ti vedranno così? Cosa gli dirai?'
Per un attimo si sentì smarrita in un posto troppo grande per lei, la vita.
Si sentì sola, persa, senza nessuno. Perchè sua madre non avrebbe detto nulla vedendola così. Non avrebbe neanche notato la sua presenza forse, non avrebbe neanche controllato se fosse tornata o meno.
E in quel momento sentì la voglia di dare un pugno al ragazzo, perchè aveva toccato un tasto dolente, un nervo scoperto e per quanto ogni giorno tutti toccassero quell'argomento, dicendole che doveva trovare una soluzione, aveva sentito il coltello girare nella piaga.
Perchè lei, doveva trovare una soluzione e non sua madre?
Perchè invece suo padre non aveva trovato una soluzione per loro?
'Non diranno nulla, mia madre non mi calcola.'
'Vuol dire che dormi da me, mio fratello non si lamenterà.'


**


Si era immaginata di dover dormire in una camera degli ospiti, perchè uno come lui una camera degli ospiti doveva pur averla, invece aveva dormito nella sua camera, perchè quella degli ospiti -gli ospiti a sorpresa e indesiderati- era in ristrutturazione.
Si era offerta di rimanere sul divano, visto che neanche doveva essere lì, ma lui, chissà per quale assurdo motivo, aveva preso un cuscino bianco e si era buttato sul divano bianco in pelle, in una posizione atroce, senza neanche una coperta.
Si aspettava la sua camera ben diversa, per quanto aveva provato a immaginare nei trenta secondi precedenti all'entrata nella stanza.
Credeva di trovare poster ovunque, preservativi usati e mutandine lasciate ovunque, una stanza caotica e vivace, piena di colori, invece la sua fervida immaginazione aveva completamente toppato.
La camera era luminosa, per quanto fosse sera, ma era grande, spaziosa, ed era bianca, pallida, immacolata, le tende beige e qualche quadro con la cornice scura attaccata al muro.
Non c'erano preservativi, nè mutandine, nè altro lasciato sul pavimento, i muri erano sgombri da qualunque poster volgare e l'unica cosa disordinata che c'era erano i pantaloni e una felpa poggiati su una sedia.
Anche il letto era bianco, lenzuola bianche, coperta bianca e spalliera mogano.
Era una bella camera, e non c'entrava nulla con lui, quella camera era 'calma'.
'Dunque, avrai bisogno di un cambio credo. Bhè, le mie magliette sono larghe ma se vuoi, prendine una e dormi con quella.'
Si grattò il capo imbarazzato.
'Grazie.'
'In bagno ci sono degli spazzolini puliti, anche degli asciugamani puliti, ah e degli slip, mia madre ogni tanto li lascia qui quando viene a trovarci!'
Ora forse era ancora più imbarazzato.
'Grazie, sei gentile.'
'Bhè, allora buonanotte.'
'Notte.' disse, chinando un pò la testa.
Quando lui uscì, chiudendo lentamente la porta, lei si avvicinò all'armadio, sfilnadosi i suoi vestiti scomodi e prendendo la maglia più che vecchia che avesse trovato, non voleva rovinargli una nuova di zecca.
Era bianca, con delle scritte colorate e le arrivava oltre le ginocchia, quasi.
Poggiò poi i vestiti su una sedia libera, piegati ordinatamente e si avvicinò al comò.
Lo aveva notato dal momento in cui era entrata in quella stanza, era pieno di foto, tutte contornate da cornici scure e sistemate ordinatamente sulla superficie di legno e marmo scuro. Ne prese una, osservandola attentamente e cercando di capire chi diavolo fossero quelli in foto.
Per un attimo si sentì stupida perchè voleva sapere, senza però conoscere nulla di lui.
Osservò bene il bambino fermo in un cortile, vestito con una salopet e una maglia rossa, i capelli biondi perfettamente ordinati, un sorriso luminoso e allegro, e in mano un schuletüte azzurro con dei nastri e della carta crespa dello stesso colore.
Lo teneva con una mano, con difficoltà, mentre con l'altra faceva il simbolo della pace.
Non lo avrebbe mai riconosciuto se non fosse stato per la terribile somiglianza della faccia buffa.
Era lui, lui ma da piccolo, lui ma bello come sempre.
Che cazzo dici, Juliette?
Passo alla foto successiva, ignorando la vocina che le teneva tanta compagnia quando diceva stronzate.
Era più grande delle altre e raffigurava lui e quello che, se non errava, era il batterista della band, Gustav. Dovevano essere agli inizi, lui aveva ancora i dread e la loro statura era molto ridotta rispetto a ora. Erano entrambi vestiti con jeans e t-shirt nere, ed entrambi avevano un cappellino nero in testa, sorridevano, abbracciati, con delle facce felici e serene, e in mano avevano delle mutandine rosse, chiaramente da donna.
Sorrise, involontariamente.
Le altre erano sue e della sua famiglia, con suo fratello, con delle espressioni più serie e rigide, rispetto alle altre, con la band e i loro premi, tra i grattacieli di New York, mentre facevano smorfie o pose impensabili e una con il suo cane.
Ogni foto comunque, aveva avuto la capacità di scuoterla e di farla sorridere.
Di solito sorrideva involontariamente, di solito lo faceva mentre guardava foto o qualcosa che la inteneriva.
Mentre osservava l'ultima foto, quella che ritraeva lui che dormiva in un letto enorme e con una coperta altrettanto grande, la porta si aprì, lentamente.
'Ehi, senti..' disse entrando con Scotty, il cane dietro lui.
Voleva sotterrarsi. Sotterrarsi davvero. Aveva la sua maglia addosso, e fin qui ok, dopotutto lo aveva detto lui di prenderne una, ma aveva la foto più bella e dolce di tutte tra le sue mani e un sorrisino ebete stampato sul viso che proprio non riusciva a togliersi.
Rimise velocemente apposto la foto e si voltò verso lui, reggendo -per quanto fosse facile- il suo sguardo.
'Scusa, non volevo impicciarmi, solo che..'
'Non fa nulla -la interruppe- puoi guardarle!'
Non rispose, e calò un silenzio imbarazzante per entrambi.
'Ero venuto per chiederti se volevi cenare, mio fratello non c'è stasera, è da un mio amico, e quindi possiamo cucinare e fare rumore quanto vuoi.'
Juliette lo guardò stranita.
'Fare rumore, intendo usare le pentole, accendere fornelli, luci..'
'Ce l'hai una mela e del caffè?'
'Certo.'
'Mi farò bastare quelli, grazie Tom.'
'Prego..'
'Juliette, mi chiamo Juliette.'
Tom annuì, sorridendo.
Juliette.
Le piaceva.



Si mise a letto quando Tom già dormiva, davanti alla tv, così si era preoccupata di spegnerla e di coprirlo con il piumino che aveva fatto cadere muovendosi e dal momento in cui aveva poggiato la testa al cuscino alle sei di mattina, nulla era riuscito a svegliarla, neanche Scotty che di tanto in tanto dava fastidio al padrone nel sonno.
Si mise seduta, controllando l'ora e si alzò poi, dirigendosi in bagno.
Quando ne uscì, reggeva tra le mani uno spazzolino quasi nuovo, che aveva intenzione di buttare via.
La maglietta che indossava, quella di Tom, l'avrebbe fatta lavare e stirare in tintoria e fatta consegnare a domicilio, per non preoccuparsi di doverlo necessariamente rivedere.
Magari sarebbe ripassato dal locale, ma avrebbe benissimo potuto fingere di avere troppo lavoro.
Se la sfilò, sentendone l'odore agrodolce del ragazzo, e si rimise i suoi vestiti, racchiuse poi la maglia e lo spazzolino, avvolto nella sua custodia nello zaino e dopo aver rifatto il letto, si recò fuori dalla camera.
Si muoveva lentamente e nel silenzio assoluto, non si era neanche infilata le Dr. Martens per paura di svegliarlo, si era solo recata fuori dalla porta di ingresso, guardandolo dormire.
Si sedette sul gradino d'entrata, infilandosi gli anfibi, e pregando che nessuno la vedesse, paparazzi soprattutto.
Che cavolo ci faceva una come lei, nell'olimpo, nella zona in di Amburgo?
Si incamminò, silenziosamente e gettò poi lo spazzolino usato in un cassonetto, non doveva rimanere nulla di sè in quella casa.
Che poi non era proprio suo quello spazzolino, ma comunque era lei ad essercisi lavata i denti.
Si incamminò di nuovo, lentamente e con le cuffie nelle orecchie.
Stand Inside Your Love, Smashing Pumpkins.



Who wanna stand inside your love?




Note:
Musica: Smashing Pumpkins, Stand inside your love.


Ringrazio memy881, l'unica ad aver commentato, questo capitolo è dedicato a te ;)




  
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