Dedico questa storia a Luisina e vale_cullen1992
Limbo
Morire: richiede appena un breve momento. - E.D.-
La
mia mente si rianima, quasi fosse stato premuto il giusto
interruttore, dopo tempo in cui ha prevalso solo il vuoto.
Una
sensazione di estraneità mi sommerge immediatamente,
spaventandomi e confondendomi. Vorrei aprire gli occhi, ma i miei
tentativi non
vanno a buon fine.
Cosa
succede?
Mi
sembra quasi di essermi risvegliata da un lungo sogno, un
incubo spaventoso. Percepisco poco distintamente il mio corpo, o almeno
parti
di esso. Avverto il suo peso, la sua consistenza ma mi pare di non
esserne
padrona.
Un
estraneo… nulla più che questo.
Qualcosa
di lontano ed intangibile.
Non
capisco.
Dove
sono?
Chi
sono?
«
Credi si risveglierà mai? »
Una
voce, ovattata, a cui si aggiungono man mano dei suoni
striduli con una cadenza regolare, ma di cui non riesco a comprendere
l’origine. Dove sono?
Un
sospiro carico di sofferenza accompagnato da un
singhiozzo, appena trattenuto, si leva nell’angusto spazio, attorno a
me. Il
mio udito si acuisce, rendendo ogni suono più chiaro e distinto. Ma
ancora non
comprendo. Dove sono?
«
Mi dispiace, non avrei dovuto dire… »
«
Credo che andrò a fare un giro. » la risposta è appena
sussurrata, da un’altra voce, in un tono arrochito e debole, ma riesco
ugualmente ad udirla.
Dove
sono?
Mi
sento
confusa.
L’ennesimo
sospiro ed una porta che sbatte.
Una
carezza, leggera e delicata. Una mano calda e gentile ed
una voce carica di commozione. Una voce conosciuta, forse in un altro
tempo od
in un altro luogo. Una voce che riposa in antichi ricordi, di momenti
andati.
Istanti
felici? Non
riesco a ricordare.
«
Le manchi tantissimo. – un mormorio sommesso, in un tono
sofferto, esprime una sofferenza straziante, che fa vibrare le corde
più remote
del mio cuore, riportando a galla sentimenti ed emozioni confuse, a cui
non
sono in grado di attribuire un nome. – Manchi a tutti. »
Sento
il bisogno
di piangere ma le lacrime non arrivano, non le percepisco. La morsa che
stringe
il mio petto non si allevia e, nonostante il mio desidero di muovere la
mano,
per massaggiarmi e far svanire il dolore, il mio corpo pare non volermi
obbedire.
Mi
sembra di essere in un limbo.
Rinchiusa
in uno spazio angusto, buio e solitario, da cui è
impossibile fuggire.
Lui
mi contiene, racchiude il mio essere… me.
«
Mi dispiace non esserci stato, mi dispiace essere partito
quando avevi bisogno di me ed aver finto di dimenticarti. Ma lo sai
come la
penso… le storie a distanza sono sempre un’inutile sofferenza. Un
rincorrersi
continuo che non può portare a nulla di buono. »
Silenzio.
Non capisco. Chi è? Perché tanta disperazione? Lui mi
conosce?
«
Sciocco… continuo a giustificarmi e tu neanche puoi
sentirmi. »
Lo
scatto di una porta fa aguzzare il mio udito e, con
difficoltà, distinguo l’ennesima voce, apparentemente sconosciuta. «
Non è
colpa tua e lo sai benissimo. »
Avverto
uno spostamento d’aria ed il rumore di una sedia che
striscia sul pavimento, producendo quell’insopportabile stridio. Vorrei urlare di fare attenzione, ho la
sensazione di essere stata sempre infastidita da simili noncuranze.
Eppure
la mia voce resta intrappolata con me, in questo limbo.
«
Se fossi stato con lei forse avrei potuto evitarlo. »
mugugna lui, perché è un uomo, ne
sono certa.
Uno
sbuffo, connotato da una eloquente disapprovazione,
viene rilasciato. « Sai che non appoggio i deliri di onnipotenza. » è
fredda e
distaccata, quasi irritata per quel commento che sembra considerare
fuori
luogo. Le inflessioni di questa nuova voce sembrano non essere un
mistero per
me, nei recessi della mia mente lei è
conosciuta.
Qualcuno
di importante?
I
miei ricordi sono confusi… un’informe massa indistinta,
che si attorciglia su se stessa, si ritorce e si contrae lasciando ben
pochi
spiragli di comprensione. Solo
confusione.
«
Io mi domando come tu possa… - esita, quasi a voler
trattenere l’ira che permea quelle poche parole. – Come puoi essere
così
indifferente? Non ti importa? »
«
Michael, sei un idiota. » Michael…
Flashback
«
Piacere, mi chiamo Mike. »
Il
nuovo vicino di casa. Si presentò ostentando un sorriso
cordiale e stringendo a sé un cesto di frutta rossa, dall’aspetto
invitante.
Lo
scrutai attentamente, quasi a voler cogliere i
particolari della sua persona. Una felpa malandata, jeans stracciati ed
un
abbigliamento di almeno una taglia più grande.
Era
carino, non bello, ma quello che avrei definito un tipo.
Occhi castani, capelli scuri
tagliati corti, piccolo di statura ma né troppo grasso né troppo magro.
I
tratti piuttosto dolci e forse un po’ troppo infantili, considerando
l’età. Ma,
ciò che però mi colpì maggiormente, fu quel sorriso impertinente.
Sembrava
quasi non provare il minimo imbarazzo ed essere perfettamente a suo
agio, in
quella situazione nuova, a differenza mia. Le nuove conoscenze non
erano mai
state il mio forte.
«
Io sono Sarah. » mia sorella sbucò dal nulla, tendendo la
mano verso di lui e stringendola con la sua presa salda e forte. Lei è così. Siamo gemelle, ma nonostante
un’apparente somiglianza fisica,
caratterialmente siamo molto diverse. Io riservata, lei esuberante e
gioviale,
io guardinga e diffidente, lei socievole.
È
una persona particolare. Sembra quasi osservare il mondo
nella sua superficie più lucente, lasciandosi trarre d’inganno dalle
apparenze,
senza porre alcuna attenzione alla sostanza delle cose. Pare non far
caso al
deludente strato di disprezzo e finzione che ci circonda, nulla sembra
scalfire
la sua allegria. Non è così.
Il
suo non è che un modo di mostrarsi. Tutti noi ci fingiamo
diversi, esibendo al mondo solo quella parte di noi che preferiamo. Io il mondo lo temo e mi nascondo, lei lo
affronta anche se forse in modo sbagliato.
Molti
la ritengono sciocca… Io so che non lo è!
«
Piacere di conoscerti Sarah. – ribatté mesto, voltandosi
poi verso di me, in attesa. – Tu sei? »
«
Melissa. »
Fine
Flashback
«
Sarah, forse dovresti raggiungere tua madre. » Mike
rilascia l’ennesimo sospiro colpevole, mi verrebbe quasi da urlargli
che è la
solita mammoletta. Ma non è sulla sua consueta debolezza che mi
soffermo. Un
altro pensiero si fa largo prepotente in questo mio oscuro limbo.
Mamma?
Tento
di far luce sul buio che attanaglia la mia mente, alla ricerca di un
volto, di
una voce o qualsiasi dettaglio che possa rievocare il ricordo di lei.
Ciò che
ottengo, però, è una sagoma indistinta mista ad una sensazione di
calore.
In
questo luogo tutto è sensazione e nulla è corporeo.
Non
riesco a comprendere dove sono. Che sia un sogno?
Il
mite tepore che mi avvolge mi lascia supporre di si ma,
la vivida consapevolezza che accompagna ogni mio pensiero, mi lascia
intuire
non possa essere tanto semplice.
Inizio
ad avvertire la stanchezza, così resto ad ascoltare
senza compiere alcuno sforzo di reminiscenza. Quelle voci mi tengono
compagnia,
riempiendo la solitudine nel mio caldo limbo. È benevola la sensazione
che
avverto, un mite calore che mi rinfranca
e mi avvolge. Un dolce effluvio che mi stordisce e mi culla.
«
Se tu avessi evitato di deprimerla, sarebbe ancora qui. »
«
Non volevo. – si giustifica lui, a disagio. – Non oso
immaginare quanto possa essere difficile per lei, vedere la sua bambina
costretta
in un letto.»
«
Nessuna madre dovrebbe mai assistere ad una simile
atrocità. – la voce che ormai ho compreso appartiene a mia sorella,
diviene
roca e strascicata. – Tutta colpa di questa stupida. » sbotta.
Ho
la sensazione si riferisca a me. Vorrei tanto sapere cosa
mi è accaduto!
Rinchiusa
nel mio corpo mi limito ad ascoltare il flusso di
parole che scorre in quella stanza. La discussione diviene sempre più
aspra, ma
non mi viene concesso nessun indizio. Nonostante la mia consueta
curiosità sia
come una spina che puntella le mie membra, la mia mente non pare poi
tanto
interessata. Ogni conflitto sembra si stia sciogliendo nel languore del
placido
mare che mi dondola. Che luogo è mai
questo? I dettagli man mano si amplificano, malgrado il fitto buio
non
venga in alcun modo diradato.
«
Non parlarle così. » Mike l’ammonisce, non sembra contento
del suo tono e delle sue recriminazioni, quanto a me sono abituata ai
suoi
modi. Non mi scalfiscono e forse è anche la mia posizione ambigua a
rendermi
stranamente calma. Nonostante l’insieme di emozioni e timori che mi
circondano,
nulla sembra scuotermi realmente. Mi pongo domande, tento di risalire a
ciò che
è accaduto, di carpire informazioni ma… sono tranquilla.
Una sensazione di inconsueta calma pare creare uno scudo
tra me ed il mondo. Una bolla di cristallo, solo per me. Trasparente,
tanto da
permettermi di osservare ciò che mi circonda, ma abbastanza spessa da
preservare me e impedirmi qualsiasi contatto, lontana così da ogni
turbamento.
«
Perché non dovrei? - sibila e sembra
tremendamente irritata. Anzi,
no… furiosa. – Avrebbe dovuto fare attenzione. Come si può essere tanto
sciocchi, tanto sbadati. Noi ora dovremmo essere a scuola e lei
dovrebbe essere
al suo corso di teatro. »
Il
tonfo di una sedia che cade malamente e l’ennesimo
spostamento d’aria mi permettono di comprendere il perché delle sue
parole, e
del fervore racchiuso in esse. Una parte di me vorrebbe poter aprire
gli occhi,
poter consolare Sarah, accarezzare dolcemente i suoi morbidi capelli
rossi,
trasmettendole quella sorte di… rassegnazione che mi avvolge.
Rassegnazione,
ma non quella triste e macabra che deriva
dalla consapevolezza che nonostante gli sforzi tutto andrà perduto. No…
non è
quello ciò che avverto. Quello che percepisco rasenta la serenità,
perché
quella sensazione dapprima estranea mi sta avvolgendo, rasserenando.
Come se
qui nulla di tutto ciò è realmente importante.
Così
non posso che assistere inerme alla furia di mia
sorella, quella maschera dietro la quale è solita celare la sua
tristezza, ma
soprattutto la paura. Non è mai stata molto brava a gestire simili
sentimenti,
ciò che la spaventa la innervosisce. Detesta sentirsi impotente.
«
Calmati… potresti dare fastidio agli altri pazienti. – la
rimprovera. - Prendi questo. » le porge qualcosa ed il suo tono si
addolcisce
leggermente, perdendo quella sua inflessione dura. Mike è così, troppo
buono
per portare rancore.
Il
silenzio si dilata e si protrae, riempiendo la stanza
nella quale oramai si odono sono i suoni cadenzati emessi dai
macchinari. Bip, Bip, Bip…
«
Credi lei possa sentirci? »
«
No. » la risposta di Sarah è secca, senza mezzi termini.
Nessuna
titubanza, solo certezza, ed io vorrei scuotere il
capo e rimproverarla bonariamente, sottolineandole il suo errore. Anche
se una
parte di me sa che ciò che lei desidera è solo non illudersi e non
sperare in
qualcosa che potrà, in seguito, acuire il suo dolore. È
giusto così!
«
Vado a prendere un caffè. » sentenzia ed i suoi passi si
perdono nella vita al di là di quella
porta.
FlashBack
Mike
giunse trafelato, facendo irruzione nella mia camera, ostentando
la sua solita espressione allegra e spensierata. Già,
proprio quella che avevo imparato a detestare… « May-chan, che
ne dici di venire al parco con noi? » per
non parlare dell’atroce storpiatura del mio nome.
Gli
rivolsi un’occhiata di sbieco. « Smettila di chiamarmi
con quello stupido soprannome, la tua fissazione per i manga sta
diventando
molesta. » Tanto è come parlare al vento.
«
Ma non piacevano anche a te? »Trasecolò, inorridito dal
mio commento acido.
Alzai
lo sguardo al cielo, palesemente irritata. « Se
decidessi di strangolarti mi darebbero le attenuanti. » sbottai,
rivolgendo
nuovamente le mie attenzioni al libro che stringevo tra le mani,
accarezzandone
la copertina, con aria sognante. Dark
Lover, di J.R. Ward, il primo di una serie di libri che avrei di
certo
acquistato. L’attesa sarebbe stata
estenuante.
Avvertii
uno sbuffo contrariato, accompagnato da un sobbalzo
del letto che mi fece trasalire. « Ma che diamine… Mike. – urlai
stridula,
voltandomi verso di lui. – Togli immediatamente le tue scarpe dalla mia
trapunta. »
Fissai
inorridita le sue Nike, sporche di terra, in
prossimità del mio piumone preferito. La sua risata dispettosa
riecheggiò per
la camera indisponendomi ulteriormente e, armata del massiccio libro
che avevo
tentato invano di leggere, mi scagliai su di lui, percuotendo
giocosamente
quello sciocco del mio ragazzo.
«
Idiota. Così la smetti di darmi fastidio! » esclamai tra
le risa, attorcigliando le gambe attorno al suo busto, per impedirgli
di
scappare. « Smettila di divincolarti come un’anguilla impazzita! »
continuai,
tentando di evitare di cadere, nonostante i suoi strattoni.
Giocammo
in quel modo, sino a quando i nostri respiri non
divennero affannati, per lo sforzo e per le risa, costringendoci a
fermarci.
Naturalmente non fui io la prima a cedere.
Le
sue mani si alzarono, sventolando un pezzo del mio
candido lenzuolo. « Mi arrendo, mi arrendo. -
mormorò, ansimante. – Da ora in poi sarò un bravo bambino. »
Ridacchiando
soddisfatta, gli stampai un bacio veloce sulle
labbra, prima di scattare fuori dal letto. « Andiamo. Ho una gran
voglia di
sdraiarmi su una delle panchine del parco. »
Scosse
il capo, fingendosi indignato, ancora disteso sul letto.
« Ma se fino a due minuti fa non volevi saperne? »
Scrollai
le spalle con disinvoltura, afferrando la borsa. «
Ma adesso l’ho proposto io. » ghignai, prima di scappare giù per le
scale,
seguita da quel ragazzetto un po’ nerd di cui, all’epoca, mi ritenevo
innamorata.
Fineflashback
«
Dovresti uscire, il medico deve visitarla. »
Una
donna ha fatto irruzione nella camera. Ha una voce
materna e gentile. Mi pare quasi di poter immaginare la sua espressione
bonaria
ed il sorriso consolatorio, dipinto sul suo volto.
«
Certo. » Mike sospira solennemente, stringendo un’ultima
volta la mia mano, nella sua, prima di allontanarsi.
Nuove
voci si accalcano in quello spazio angusto. Non mi va
di essere lasciata sola con degli sconosciuti, vorrei obiettare.
«
Cambi le garze, devo controllare le ustioni. »
«
Si, dottor Renor. »
Dottore?
La
sua voce non mi piace granché, è sottile e dura.
Le
mani di una donna si poggiano sul mio viso e poi sulle
mie braccia. I suoi movimenti sono un po’ bruschi ed il suo respiro
accelerato,
non sembra a suo agio.
«
Povera ragazza. »
Il
rumore di una penna che scivola veloce su di un foglio,
sospiri sommessi e suoni striduli si sovrappongono, inquietandomi. Gli
indizi
captati dalle parole dei presenti non sono un buon presagio, riguardo
le mie
attuali condizioni.
«
Tutta colpa di una stufa. » Quindi è questo che è accaduto?
«
Se si fosse svegliata prima… »
«
Non si torna indietro. » sentenzia lui lapidario. «
Abbiamo finito. »
«
Signora, può entrare. » la voce dell’infermiera precede
quella affannata di mia madre. È preoccupata e mi dispiace essere io la
causa
della sofferenza che permea ogni suo mormorio.
«
Ci sono novità? »
«
Monitorando le onde cerebrali abbiamo notato un piccolo
picco, ma nulla di apparentemente rilevante. »
«
Ci sono speranze? »
Ecco
la fatidica domanda, quella che io stessa avrei voluto
porre al dottore, oltre alle innumerevoli altre che ronzano
vorticosamente
nella mia mente confusa. Man mano che il tempo trascorre in questo
oscuro limbo
sento quasi le forze venir meno, i legami che mi tengono stretta e
salda in
questo mio cantuccio sembrano diventare sempre più labili.
Questa
cosa un po’ mi spaventa, ma stranamente più ciò
accede più il languido mare che mi culla diviene più caldo ed
avvolgente. Il
suo tepore consolatorio mitiga il timore che dovrebbe insorgere in me.
«
Per ora non possiamo assicurarle nulla. » afferma lui ed
io un pochino mi scuoto.
Sta
tergiversando. Mi verrebbe quasi voglia di gridare,
rimproverandolo circa l’inutilità di una qualsiasi falsa speranza,
sebbene io
sia cosciente di essere lì, con loro. Almeno
la mia mente.
«
Passerò più tardi. » ed ecco che il dottore vigliacco si
dilegua senza averci concesso alcuna reale spiegazione. Assurdo.
Come
una cantilena, un mantra, una donna ripete tra i
singulti le medesime parole: La mia
bambina, la mia piccola bambina.
Le
carezze della mamma. Le percepisco, sono così tenere e
gentile, così accorte. Le sue mani un po’ ruvide, ma profumate. Gelsomino e vaniglia.
« Avrei dovuto
convincerla a venire con noi, ma lei era
sempre così testarda. » la sua voce è smorta, ridotta ad un debole
sussurro. Povera mamma.
«
È così testarda,
se non lo hai notato non è ancora morta. » rimbecca acidamente mia
sorella.
«
Sarah. »
Uno
sbuffo contrariato è l’unica risposta che ottiene da lei.
Mi viene quasi voglia di sorridere. Adoro i loro battibecchi che
portano nostra
madre sull’orlo dell’esasperazione.
Questa
è una di quelle cose che mi mancherà…
Che
strano pensiero. Qualcosa dentro di me mi lascia
supporre che non sarà ancora per molto, che presto non potrò più godere
della
loro compagnia e del loro affetto. Sono un po’ turbata, ma non come
dovrei.
Avverto come se questo fosse il giusto epilogo, non ci sono alternative.
«
Dovresti tornare a casa, stanotte resterò io con lei. » la
proposta di mia sorella sembra scuotere leggermente l’aria attorno a
noi.
«
Non voglio lasciare sola la mia bambina. » la mamma sembra
molto preoccupata, per nulla intenzionata a cedere. Ma lei è così… sono
certa
sia stata al mio capezzale, senza mai allontanarsi. Deve essere
distrutta…
«
Papà tornerà a casa da lavoro e potrebbe fargli piacere
averti con sé. » la sua voce si addolcisce. Sa sempre essere molto
persuasiva,
sebbene di rado decida di usare la dolcezza. Forse ha compreso che la
mamma è
troppo scossa e che l’unica alternativa non è che quella. Sebbene la
discussione si protragga ancora a lungo, io mi estraneo, turbata dalla
sofferenza di mia madre. Non mi piace esserne la causa, benché
comprenda sia
inevitabile la sua reazione. Vorrei reagisse diversamente.
Alla
fine cede e, dopo un bacio carico d’affetto, posato
delicatamente sulla mia fronte, avverto i suoi passi allontanarsi
mesti.
Sospiro di sollievo e mi concentro completamente sul respiro spezzato
di mia
sorella. Credo stia piangendo. Percepisco nell’aria l’odore salmastro
delle
lacrime, intenerendomi, sperando che con esse possa sfogare il suo
dolore.
A
pensarci, raramente ho avuto modo di vederla piangere. Non
parlo di quei casi in cui si versano lacrime per le sciocchezze, quando
lo si
fa semplicemente per capriccio o a causa di una piccola offesa. No… io
intendo
quelle lacrime colme di angoscia e delusione. Di certo c’erano state
occasioni
in cui si era rintanata nel bagno e, complice del rumore prodotto dallo
scorrere dell’acqua, aveva dato sfogo alla sua afflizione. Detesta
mostrare la sua fragilità, quasi percependola come una
fonte di vergogna. Non ne ho mai compreso il reale motivo…
«
Si incolpa perché non è riuscita a convincerti. È una cosa
stupida, sei tu che hai deciso di restare a casa. – mormora,
schiarendosi la
voce, con un piccolo colpo di tosse. - è
con te che bisogna essere arrabbiati. »
Flashback
«
Melissa, zia Margareth non ti vede da mesi, potresti
concederle l’onore di una visita? »
«
Ma’. – l’apostrofai, mortalmente irritata. – non rompere.
La zia neanche si ricorda chi sono, ormai ha tutte le rotelle fuori
posto.
L’altra volta continuava a chiamarsi Louise e credeva fossi la figlia
della
vicina»
La
risata di Sarah riecheggiava per la casa, accompagnata
dai suoi soliti commenti sarcastici, mentre papà ci sgridava per la
nostra
mancanza di rispetto.
Non
era certo colpa mia se, a centodue anni suonati, la
nostra povera zia aveva raggiunto il culmine della demenza. Era pur
sempre una
cosa fisiologica.
«
Cosa ti costa staccarti un po’ da quel maledetto computer,
ti farà male agli occhi. »
Sbuffai
contrariata. « Sto studiando. » mentii, per nulla
intenzionata a darle ulteriori delucidazioni. Dopo una giornata di
scuola ed il
cumulo di compiti anche io avevo bisogno dei miei attimi di relax.
«Fosse
vero, lo so che stai sempre davanti a quel coso che
piace a voi giovani. »
Corrugai
la fronte fingendomi perplessa. « Cosa ma’? » la
rimbeccai in attesa di udire per l’ennesima volta il nome, di uno dei
social
network più famosi sul globo, brutalmente storpiato.
«
Andiamo!» urlò, facendomi ghignare internamente. Sospetto
abbia capito…
«
Muoviti, non accetto repliche. » continuò, imperterrita.
Sbuffai
contrariata, decidendo di ricorrere alla mia ultima
carta. « Ma Sarah non viene. » protestai animatamente. – Perché io
vengo
torturata e lei no? »
La
testa di mia mamma fece capolino nella stanza e
dall’occhiata che mi rivolse potei intuire fosse realmente stufa di
discutere.
« C’è la festa della sua migliore amica a cui aveva promesso di
partecipare da
tempo, tu invece sarai a casa a far nulla. Potresti almeno andare con
lei. »
Certo,
fare la candela al suo appuntamento con Samuel
appariva una prospettiva allettante. Mi morsi la lingua per evitare di
ribattere. Sarah non avrebbe esitato a torcermi il collo se avessi
osato
rivelare i suoi progetti serali.
Festa
della sua migliore amica? Una balla colossale per
poter uscire con la sua nuova fiamma, uno dei giocatori della squadra
di basket
del nostro liceo. Un diplomando come noi.
«
Non vengo. » asserii decisa, puntando i piedi, come una
brava bambina capricciosa.
Mi
madre alzò gli occhi al cielo, palesemente stufa. « Fa
come vuoi, mi arrendo. »
Venti
minuti dopo udii finalmente la porta chiudersi ed il
silenzio immergere la casa. Finalmente un
po’ di pace.
FineFlashback
Credo
di essermi assopita. Non sapevo fosse possibile, o
almeno non era mai capitato prima.
Con
un sospiro interno tento invano di dare qualche stimolo
al mio corpo, sperando in una risposta.
Nulla.
Aguzzo
l’udito, facendo leva con il mio unico contatto con
il mondo esterno, lasciandomi cullare dal respiro profondo della
persona che
probabilmente dorme accanto a me.
A
pensarci, deve essere una stanza privata. Non mi è parso
di sentire nessuna voce insolita.
Mi
annoio. Credo siano trascorsi svariati giorni da quando
mi sono risvegliata in questo limbo e la situazione non sembra mutata
granché,
almeno non il mio corpo.
Con
uno scricchiolio la porta si apre e, con passi leggeri,
due persone fanno il loro ingresso. Non parlano, almeno non subito, ma
avverto
i loro movimenti accorti e silenziosi, all’interno della mia camera.
Probabilmente sono le infermiere o il dottore, le loro visite sono
frequenti e
negli ultimi tempi l’ansia che trasmettono è aumentata. Le mie
scottature e le
lesioni superficiali sembrano essere sulla via della guarigione,
eppure…
I
due si scambiano sussurri, sommessi, ed io ascolto,
attenta. La loro discussione è incentrata sui valori riportati dai
macchinari e
sui risultati delle nuove analisi, pervenute dal laboratorio. Non
sembrano
affatto buone notizie, anche per me che ne capisco ben poco.
Un
sospiro colmo di rimpianto e desolazione mi lascia
intuire il responso del dottore, prima che le parole giungano alle sue
labbra. «
Le funzioni vitali peggiorano ed ormai è attaccata al respiratore. I
polmoni
sono collassati e probabilmente è arrivato poco ossigeno al cervello
per chissà
quanto. Se anche riuscisse a svegliarsi non sarebbe che in uno stato
vegetativo. Non possiamo fare nulla. » un’ammissione che mi
destabilizza.
No…
Stato
vegetativo?
Ma
io sono viva, il mio cervello assimila, percepisce.
Io
vi ascolto. La mia
mente è viva… io sono viva.
Mi
sento oppressa e mi pare che il mio cuore acceleri i suoi
battiti, quasi per confutare quelle tesi assurde. Il mio limbo mi
appare
tremendamente più angusto e opprimente che mai. Io sono viva. Vero?
«
Bisogna comunicarlo alla famiglia. »
«
Già! – esclama, quasi a volersi far forza. – Chiederò ai
genitori di seguirmi nel mio studio, non appena arriveranno. Lei segni
i
parametri e poi mi porti tutto. »
«
Certo dottore. »
Con
passi pesanti l’uomo si allontana e nella stanza ripiomba
il silenzio.
______________________
Sono
passate ore da quando il mio capezzale è rimasto vuoto.
Probabilmente il medico deve aver comunicato la lieta
novella. Sono ancora in
grado di fare dell’ironia, a quanto pare.
Il
mio animo è turbato ed il mio limbo appare ancora meno
definito del solito. Credo dipenda tutto dal mio umore, che non mi
permette più
di percepire l’assoluta calma che mi aveva sommersa nei giorni
precedenti.
Avverto
la stanchezza. La stanchezza per questa ambiguità,
per le parole cariche di sofferenza che mi vengono rivolte, per
l’immobilità
del mio corpo e per la mia mente vigile. Ho desiderato più di una volta
che
tutto terminasse… ma credo di non aver mai avuto il coraggio di
sperarlo
veramente. Non credo di riuscire a comprendere ciò che mi attenderebbe
in quel
caso e questo mi spaventa, anche se… questo luogo distorce le mie
percezioni ed
i miei pensieri. La placida calma che irradia influenza la mia mente,
quasi
inducendola a non temere quel fatidico “dopo”.
Potrei
scivolare via e abbandonarmi a tutto questo. Voglio
realmente svegliarmi e non poter avere nessun reale controllo su di me
e sul
mio corpo? Voglio davvero che questo mi racchiuda, come un involucro
rotto? No.
Chiudo
internamente gli occhi, su quello che mi circonda e
che percepisco, lasciandomi trasportare da quella corrente calda che è
la mia
unica compagna, in questo limbo. Ascolto il suo flusso e mi concentro
su di
esso, rilassandomi completamente. Non
voglio pensarci, non ora.
______________________
Qualcuno
mi stringe la mano. Lo avverto appena.
Anche
la voce sembra quasi più lontana, distante. «
Ci hanno detto che non ci sono speranze. –
parole spezzate dai singulti. – Hai combinato un bel guaio, sorellina.
» Sarah.
«
Secondo me si sbagliano! – esclama, con maggior vigore,
continuando il suo soliloquio. – Tu starai bene. »
Rilascio
un sospiro colmo di rassegnazione. Non voglio si
illuda, non desidero si lasci cullare da futili speranze.
«
Ti staremo accanto, ti terremo sempre compagnia, tutti i
giorni. Non ti abbandoneremo mai. » queste che possono apparire
rassicurazioni,
atte a confortarmi, nella loro dolcezza assumono il suono di una
condanna.
Non
per me… ma per
loro.
Mesi
trascorsi al capezzale di una persona che presto
avrebbe perso anche la sua coscienza e le sue facoltà. Giorni gettati
al vento
sperando in un risveglio impossibile, lasciando accumulare il dolore e
l’angoscia fino a scoppiare. Ansia mista ad illusioni alimentate dal
nulla, per
qualcosa che non ha alcun rimedio e su cui nessuno di loro ha controllo.
Non
voglio!
Percepisco
il panico attanagliarmi, spronarmi, ridestarmi
dal torpore che mano mano mi stava sopraffacendo ed il desiderio di
urlare
aumenta, mi colma.
Eppure
dalle mie labbra non esce alcuna sillaba.
Mi
agito, mi dimeno, mi divincolo dalle catene che mi
tengono prigioniera.
Eppure
il mio corpo resta bloccato nella sua immobilità, come una statua di
cera
malandata.
Piango,
piango e mi dispero. Lascio che lacrime di amarezza
e preoccupazione scorrano, palesando la mia angoscia.
Eppure
nulla scivola sul mio viso smorto.
Così
mi arrendo, lasciando le forze mi abbandonino, insieme
a quella vita a cui fili invisibili sino ad ora mi legavano. I labili
nastri
del destino si sciolgono per permettermi di scivolare verso l’oblio.
Il
mio limbo viene scosso.
Urla,
grida indistinte, singhiozzi, sono tutto ciò che
percepisco, ovattato, mentre i miei sensi odono e si aggrappano per
l’ultima
volta a ciò che li circonda.
E
poi… nulla.
II°
classificata(a pari merito): Limbo di Shinalia
-Grammatica: 9.5/10 Noto con piacere che questa storia è molto corretta
dal punto di vista grammaticale, e molto ben scritta. Hai fatto un
errore di battitura(vd. chiamarsmi) e qualche errore di punteggiatura:
ci sono troppi puntini di sospensione, lo so è un piccolo errorino di
stile, ma penso che piacciano a tutti perché ricalcano l’attesa che c’è
tra le parole nel parlato xD ma non è nulla di trascendentale:).
-Lessico: 10/10 Il lessico che utilizzi è davvero ottimo. Si può notare
già ad una prima lettura che è curato, oltre che piacevole ed usato con
perfetta coerenza.
-Stile: 10/10 Il tuo stile è ottimo, non ho parole! Riesce a emozionare
e a far vivere la storia al lettore. La lettura non è mai appesantita,
le frasi sono sempre della lunghezza giusta e il tutto è davvero
scorrevole.
-Originalità: 10/10 Dieci come punteggio è troppo basso. Questa storia
è troppo originale, non so proprio come ti possa essere venuta un’idea
del genere. Complimenti!
-Attinenza alla citazione: 10/10 Ti sei saputa attenere alla perfezione
alla frase da te scelta e le hai dato il giusto spazio.
-Trama: 5/5 La storia non è lunghissima eppure la trama è ben
sviluppata. Si nota che la vicenda è conclusa, sviluppi tutti i punti
in modo tale da non lasciare niente in sospeso.
-IC: 10/10 I personaggi sono ben caratterizzati. Melissa è una persona
riservata, guardigna ma testarda, Sarah è una ragazza esuberante,
socievole che non si vuole rassegnare e continua a sperare ad una
ripresa della sorella, Michael è il personaggio più particolare della
tua storia, ha una personalità forte, tenace ma anche molto gioviale,
insomma è il vicino della porta accanto che tutte noi vorremmo…comunque
mi sarebbe piaciuto sapere le motivazioni che l’hanno spinto a partire.
-Giudizio personale: 5/5 Questa storia mi è piaciuta immensamente,
peccato per quei pochi errori. Devo dire che è stata molto originale la
tua idea, mi è piaciuta molto, non potevo non darti il massimo anche in
questa voce!
Hai dimostrato di avere veramente molta fantasia, hai saputo creare una
trama per nulla scontata e coinvolgente. Ottima davvero, complimenti:)!
Totale: 69.5/70
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