Capitolo 1
Da troppo tempo l’aria
è fetida e spesso malsana e il
cielo è
grigio o nero, sporcato dagli orrendi fumi dei camini delle
fabbriche... la
gente si sta dimenticando di che colore era prima.
E la paura, la paura
si è insidiata nei cuori degli uomini che stanno perdendo
ogni credo, ogni
valore. La paura della morte, ecco quale paura; perché...
perché, può esistere
un Dio? Uno qualsiasi, in questo mondo terribile, comandato da uomini
spietati,
in questa Terra sporcata di sangue... no che non
c’è.
Gli unici oppositori
ai Signori del Nord, che da tempo hanno edificato il loro regno di
morte e
terrore, erano gli stregoni; la specie più antica del mondo
che viveva in pace
e predicava la pace. Non potevano permettere ai Signori di distruggere
tutto,
rovinare il Bello.
La loro fu una
resistenza tanto coraggiosa quanto debole; gli stregoni erano troppo
pochi
contro un simile esercito di corrotti che, di umano, hanno ben poco.
Forse sono
demoni, o uomini posseduti da demoni... creature terribili e disumane,
questo è
certo.
Non ci sono quasi più stregoni
da diversi decenni, ormai. Quasi tutti arrestati, quasi tutti
giustiziati.
Degli altri si sono perse momentaneamente le tracce.
Al loro posto, a dare
spettacolo in teatri pieni di nobili o borghesi annoiati, solamente
banali
uomini, illusionisti e prestigiatori, da frivoli trucchi facilmente
risolvibili.
Solo pochi sono
davvero in grado di rievocare la vera meraviglia della Magia. Maestri, incantatori di folle, forse...
veri stregoni.
Dapprima,
quando si era aperto il sipario, era calato il
silenzio.
Lui aveva fatto la sua entrata con calma; i suoi passi
risuonavano nell’aria, rimbombando, per poi dissolversi nella
penombra del
teatro. Aveva rivolto il suo sguardo ad un pubblico ammaliato dal suo
fascino,
da quelle sue iridi color del mare e quel viso giovane e fresco; tutto
questo
sempre nel più assoluto silenzio. Aveva un’aria
assorta, pensierosa; gli occhi
perennemente lontani e riflessivi. Quell’aria meditabonda non
era scomparsa
nemmeno quando aveva curvato le labbra in un piccolo sorriso di
benvenuto e
aveva iniziato ad incantare gli spettatori con le sue parole e le sue
magie.
Ora il silenzio è stato spezzato; la sua bella voce ha
stregato il pubblico che spesso scoppia in applausi ed acclamazioni.
Ad un ennesimo applauso caloroso, il prestigiatore si
inchina un poco per ringraziare.
«Voi applaudite le mie magie, ma in realtà un
tempo
esistevano persone in grado di compiere grandi meraviglie, degne
davvero di
questo entusiasmo.» proferisce con un sospiro, raddrizzandosi
«Io non
sono che un illusionista. Ben lungi
dall’essere un vero mago.»
Tende il braccio in avanti, mostra la mano, vuota, la ruota
più volte e la muove in fluidi movimenti che quasi
ipnotizzano.
Ad un tratto la chiude, per poi voltarla e riaprirla con il
palmo verso l’alto; appena le dita si distendono, una ad una,
una candida
colomba bianca appare come dal nulla, spiccando poi il volo verso il
pubblico
meravigliato.
«Illusione.» prosegue il giovane ventenne con una
voce calda
«Distorsione della realtà. Ciò che
è impossibile, diventa possibile. O meglio:
così vi faccio credere.» si avvicina al bordo del
palco, si china, richiude la
mano e allunga il braccio verso una donna seduta in prima fila; dopo
aver fatto
ruotare il polso, un mazzo di freschissime rose gli compare in mano,
facendo
sobbalzare la spettatrice. Il pubblico applaude, affascinato.
Dopo aver donato i fiori alla donna, il giovane torna al
centro del palco, riprendendo:
«Impossibile capire il trucco; provateci, fallirete. Anzi,
vi dimostrerò un’illusione che ha
dell’incredibile. Per compierla, ho bisogno
dell’aiuto di uno di voi; chi vuol partecipare?»
Molti alzano la mano, chiamando anche a gran voce, ma
l’illusionista scende dal palco e sceglie una giovane seduta
in terza fila.
Mentre l’aiuta ad alzarsi, commenta con una voce suadente:
«Se permettete, preferisco una bella ragazza.»
Alcuni ridono e lui l’accompagna sul palco; è
davvero molto
bella, dai fluenti capelli neri e gli occhi anch’ella di un
azzurro acceso.
Il giovane le afferra quindi una mano e la bacia sul dorso;
lei gli sorride delicatamente, lusingata.
Un paio di assistenti portano una cabina di legno scuro con
uno sportello per chiuderla davanti; la cabina è posata su
dei gambi che la
sollevano di un palmo da terra e dietro è priva di pannello,
quindi aperta.
«Come notate, dietro non è chiusa; si
può dire, quindi, che
non esiste nessun “doppio fondo”.» mostra
il ragazzo, aprendo lo sportello.
«Inoltre, è rialzata da terra; perciò
non è collegata a
nessuna botola, se vi fosse venuto il dubbio. Bene.» aiuta la
ragazza a salire
nella cabina; lei alza di poco la gonna ed entra, per poi rimanere
dritta a
guardarsi intorno con il capo, mostrando curiosità.
Il giovane illusionista si porta di fianco la cabina e asserisce:
«Ora chiuderò lo sportello e, quando lo
riaprirò, la ragazza
sarà scomparsa.» volta il capo verso la giovane,
che si mostra un po’
impensierita, e la rassicura con tranquillità:
«Andrà tutto bene, non temere; non ti
accadrà nulla.»
Lei annuisce, calmandosi.
«D’accordo.» mormora la ragazza.
Lui allunga il braccio con calma e va a richiudere lo
sportello. Torna a guardare intensamente il pubblico, che trattiene il
fiato, e
rimane in silenzio per qualche istante.
«Che cos’è la
realtà?» domanda ai suoi spettatori dopo un
po’, catturandoli pienamente con la sua voce «Tutto
ciò che possiamo vedere,
toccare? E il resto? Se tutto questo può essere spiegato con
la ragione, la
razionalità, il resto, quel che non possiamo vedere o
toccare, come può essere
spiegato? O meglio... si può dare una
spiegazione?» socchiude gli occhi
«C’è
qualcosa oltre l’illusione? Forse, se
c’è, ve la sto per mostrare...»
Posa la mano sulla maniglia e sussurra con enfasi:
«Ed ecco... la magia.»
L’abbassa e spalanca lo sportello con un colpo secco.
La cabina è vuota.
Il pubblico, dapprima sbigottito ed estasiato, scoppia in un
improvviso e fragoroso applauso, acclamando il giovane a gran voce.
Lui non muta quell’espressione posata e assorta e si
esibisce elegantemente in un profondo inchino, facendo ondeggiare il
lungo
mantello bianco.
Davvero tutti i maghi
sono morti? E’ davvero possibile eliminare un popolo, una
razza, un così gran
numero di individui, in pochi anni? Certo che no. Ce ne sono altri.
L’unico
a non applaudire è l’uomo di mezza età,
dalla rada
barba e i capelli brizzolati, seduto in una fila in fondo. Si massaggia
meditabondo il mento, con lo sguardo attento puntato sul palco.
L’altra mano è
posata sul bracciolo della poltroncina e le dita tambureggiano
ritmicamente.
Ripensa alle parole pronunciate poco fa da quel ragazzo.
Impossibile capire il
trucco; provateci, fallirete.
Aggrotta appena le sopracciglia, tirando leggermente le
labbra.
«Non c’è trucco.» mormora tra
sé, osservando vigile
l’illusionista sparire dietro il sipario, ancora prostrato
nel suo bel inchino.
L’uomo quindi si alza e si allontana in fretta, non notato.
2 Maggio
Gli
uomini non sanno cosa significhi vedere. Non hanno mai aperto gli
occhi. Li tengono lì, sulla faccia, facendone solo un
ornamento. Forse non li
hanno mai usati perché non sanno dove o cosa guardare.
“Ma cosa c’è da vedere?” non
fanno che chiedermelo.
“Tutto” rispondo sempre io.
Immaginate solamente che in realtà voi state vivendo un
sogno; che
tutto ciò che toccate, che respirate, che vedete - per
così dire -, sia frutto
della vostra immaginazione... Non vorreste svegliarvi? Alzare le
palpebre,
sbadigliare ad un sole vero,
guardare
vere cose, annusare veri profumi...
Oh, come vorrei svegliarmi. Mi sento prigioniero di questa fantasia, di
questo sogno, che m’impedisce di destarmi. Ma come posso
raggiungere quella
terra meravigliosa? Come?
Non tarderò a scoprire il segreto, se continuerò
a cercarlo con tutte
le mie forze.
Qualcuno
bussa alla porta e l’illusionista si riscuote,
chiudendo il diario che stava leggendo e voltando il capo verso
l’uscio.
«Sì, avanti.»
La porta si apre ed entra un uomo di mezza età, con rada
barba e capelli brizzolati; lo stesso spettatore che prima non ha
applaudito.
«Tu devi essere Aaron.» esordisce l’uomo,
chiudendosi la
porta alle spalle «L’illusionista.»
sembra pronunciare la parola con una punta
di disprezzo.
Il ragazzo gli sorride leggermente per cortesia e china di
un poco il capo.
«In persona. In effetti, siete nel mio camerino.»
L’altro si dà una fugace occhiata intorno, senza
soffermarsi
troppo sui mobili scuri, le tre scrivanie ingombre di roba, il piccolo
divanetto su cui sono stati gettati diversi vestiti, di quella piccola
stanzetta illuminata dalla luce fioca di un unico lampadario al centro.
Troppo
caos per i suoi gusti.
«E voi siete...?» lo esorta a parlare il giovane,
rimanendo
composto sulla sua sedia.
L’uomo torna a guardarlo e risponde con un’aria
professionale:
«Ispettore Scott Brown. Sezione antitruffa.»
Aaron mostra un lieve sorriso ironico, prima di commentare:
«Un modo carino per indicare il reparto speciale di polizia anti-stregone. Proprio come il vostro
nome; siete sicuramente sottocopertura.»
L’ispettore rimane serio e pacato.
«Sei un ragazzo sveglio.» si complimenta con un
tono piatto
e incolore.
Il giovane alza le spalle e sospira:
«Immaginavo sareste passati prima o poi.»
«Non lo avresti pensato se non avessi avuto qualcosa da
nascondere.» gli fa notare l’uomo.
Aaron ridacchia un attimo, per poi dire:
«Oh, ma io non sono uno stregone. Sono un semplice
illusionista.»
«Vorresti farmi credere che i tuoi sono solamente
trucchi?»
chiede l’ispettore, alzando un sopracciglio.
Il ragazzo appoggia i gomiti sui braccioli della sedia e
intreccia le dita con tranquillità.
«Assolutamente.» asserisce con calma.
«E cosa mi dici dell’ultimo trucco?»
insiste l’ispettore, ancora serio «Quello della
ragazza
che scompare.»
«Oh, quello...» il ragazzo volta il capo verso una
piccola
porticina alle sue spalle.
Anche l’ispettore Brown alza gli occhi in quella direzione.
Si odono dei passi e la porticina si spalanca di scatto; una bella
ragazza
giovane, dai capelli lunghi e biondi e gli occhi di un azzurro intenso,
entra
trafelata nella stanzetta.
«Uff, per un pelo; stava per piovere.» sbuffa e
lancia una
borsa sul divanetto al suo fianco, togliendosi intanto il cappotto di
pelle
«Aaron, questa è l’ultima volta che ti
vado a comprare la tisana di rospo
bruno; potresti tranquillamente alzare tu le tue chiappe e farti un bel
giro
fuori, invece di rimanere chiuso qua dentro come un topo nella sua
tana,
circondato dal suo...» fa un gesto con la mano, mostrando
disgusto «...
letame!»
La ragazza si interrompe, notando solo in quel momento
l’ispettore ancora immobile accanto la porta
d’entrata.
«Oh... non sei solo.» constata la ragazza,
arrossendo
leggermente.
«Ben tornata, Erin.» la saluta Aaron, sorridendo
appena,
forse divertito, poi indica con un gesto l’ospite
«Erin, l’ispettore Scott Brown.
Signor ispettore, lei è Erin, mia sorella.»
La giovane sorride calorosamente.
«Onorata.»
L’ispettore fa un cenno con il capo, rimanendo in silenzio.
La sta scrutando attentamente.
«Lei sembra...» dice ad un certo punto, increspando
un po’
la fronte, come nello sforzo di riconoscere qualcuno.
«Eh sì, ispettore.» annuisce Aaron
«Forse con quei capelli
non vi viene bene in mente chi sia.» si volta a guardare la
sorella «Erin,
potresti...?»
Lei alza le sopracciglia.
«Oh sì, certo.» da sopra una sedia
afferra una parrucca di
lunghi capelli neri e se la posiziona sul capo, coprendo perfettamente
la sua
chioma bionda. Poi fa un elegante inchino.
«Ecco qua!»
L’ispettore rimane sorpreso.
«E’ la tua aiutante?» chiede subito,
guardando
l’illusionista.
Aaron annuisce con il capo.
«Suvvia, ispettore; sapete molto bene che noi
“maghi”
usufruiamo di piccoli aiuti... Mia
sorella mi aiuta per il gioco della “scatola
magica”.»
«E anche altri.» aggiunge lei, togliendosi la
parrucca.
L’ispettore non sembra ancora del tutto convinto.
«E come funzionerebbe questa...
“scatola”?» lo interroga.
Aaron rimane pacato, quando risponde:
«Non pretenderete che vi sveli i trucchi del
mestiere.»
«In effetti è così.» ribatte
l’altro.
Scende un attimo il silenzio.
«Sapete bene che non vi risponderò; nessun
illusionista
serio lo farebbe.» mormora il giovane, fissando con fermezza
l’ispettore negli
occhi.
Brown non dice ancora nulla. Il suo viso pare pietra.
«Molto bene, molto bene, Aaron.» si aggiusta meglio
il
cappotto «Per ora me ne vado. Ma ricorda...» gli
lancia uno sguardo di monito
«Ti tengo d’occhio.»
Aaron annuisce con il capo.
«Nessun problema.»
L’ispettore tira leggermente le labbra e, senza ribattere,
se ne va.
Erin rivolge lo sguardo al fratello, chiedendogli:
«Cosa voleva?»
«Sta indagando.» risponde il giovane, alzandosi in
piedi.
«Riguardo che?»
«Crede che io sia uno stregone.» alza le spalle con
fare
noncurante.
Erin si mostra sorpresa.
«Davvero ti sta sorvegliando per questo?»
«Erin...» lui le rivolge un piccolo sorriso con
un’espressione sicura e tranquilla «Va tutto bene,
non preoccuparti.»
Lei scuote il capo, sospirando.
«Come faccio a non preoccuparmi per te? Sei sempre in mezzo
ai guai.»
«E’ la mia indole.» ridacchia lui
«Se non fossi sempre in
mezzo ai guai, dovresti preoccuparti davvero.»
Lei gli rivolge uno sguardo tra il divertito e il
rimprovero.
Aaron afferra il suo mantello e apre la porta secondaria del
camerino.
«Dove vai? Ancora al casinò?» lo
interroga subito la
sorella, accigliata «Non mi piace che tu vada in quel
posto.»
«Eppure vinco sempre, dovresti esserne felice.»
ribatte lui
tranquillamente.
«Prima o poi si chiederanno il
“perché” di questa tua
fortuna sfacciata.» insiste Erin, decisa «E tu
allora cosa risponderai?»
Aaron mostra un sorriso furbo.
«Non è fortuna, è bravura.»
dichiara, sicuro di sé.
Lei scuote il capo.
«Aaron, non andare sta sera...»
«Va tutto bene, Erin.» le strizza un occhio per
rassicurarla
«Ci vediamo a casa.» dopo di che esce.
Lei sospira ancora.
«Ogni volta che mi dici “va tutto
bene”... subito dopo ti
succede qualcosa.»
L’ispettore
gira la chiave nella vecchia serratura lentamente,
cercando di non fare troppo rumore. Dopo uno schiocco, la porta si
apre. Entra
in silenzio, accompagnando la porta finché non si chiude,
poi posa la chiave su
una mensola, lancia il cappello sulla poltrona accanto
l’uscio e inizia a
slacciarsi il lungo cappotto nero.
D’improvviso viene accesa la luce.
«Manuel... ti ho aspettato tanto.» mormora
preoccupata una
donna sui quaranta, in abiti da notte, appoggiata con una mano al muro
all’entrata del soggiorno.
«Nives, ti avevo detto di non attendermi sveglia.»
sussurra
l’ispettore, togliendosi del tutto il cappotto e lanciandolo
sopra il cappello,
per poi avvicinarsi immediatamente alla moglie, prendendole una mano e
accarezzandole il pancione «Forza, torna a letto.»
«Dove sei stato tutto questo tempo?» insiste la
donna,
ancora impensierita «Non ti vedo da questa mattina presto...
è quasi l’una...»
«Sono molto impegnato in questo periodo, te l’ho
detto.»
taglia corto lui, accompagnandola intanto in camera.
«Questo lavoro ti sta uccidendo.» gli stringe con
forza la
mano «Manuel, hai cinquant’anni, aspetti un figlio
da me... perché non trovi un
altro impiego?»
«Perché nella città sono il migliore
nel mio campo e questo
i miei superiori lo sanno bene.» l’aiuta a sedersi
sul letto «Non mi lasceranno
andare via dalla polizia tanto facilmente.»
«Potrebbero minacciarti?» la donna trattiene il
fiato «Lo
hanno già fatto?»
L’ispettore si fa scuro in volto.
«No, non l’hanno fatto.» mormora, cupo.
«Manuel...»
«Non preoccuparti.» le accarezza dolcemente una
guancia «Non
mi accadrà nulla.»
E questo lo spera fermamente.
«Vedo
e gioco tutto!» con decisione, il grasso e calvo uomo
con il sigaro in bocca afferra tutto il denaro rimastogli e lo piazza
al centro
del tavolo con un gesto secco della mano. Poi, riducendo gli occhi a
due
fessure e dirigendo lo sguardo al giovane biondo seduto alla sua
destra, dà una
boccata al sigaro, rilascia con calma il fumo in direzione del ragazzo
e
chiede:
«Che cosa fate voi?»
Aaron, lasciando con indifferenza che il fumo gli accarezzi
il volto, curva appena verso l’alto, lentamente,
l’angolo destro della bocca,
senza staccare lo sguardo impassibile da quegli occhi ridotti a fessure
dell’uomo grasso.
«Io lascio.» sospira un uomo dall’aria
trasandata seduto al
tavolo con loro; un commerciante con il vizio del gioco e ben poca
fortuna.
«Anch’io.» sbotta un altro con
un’espressione seccata, un
ricco borghese in viaggio d’affari, lanciando le carte sul
piano, slegandosi la
bella sciarpa di raso che ha al collo con uno scatto nervoso e poi
abbandonando
il tavolo, seguito dalla sua guardia del corpo.
L’uomo calvo e grasso tira le labbra in un sorriso
soddisfatto senza distogliere l’attenzione da Aaron.
Il giovane biondo posa con calma la mano sul suo mucchietto
di monete d’oro e le spinge sul “piatto”
al centro del tavolo.
«Vedo.» afferma senza emozioni, senza scomporsi.
L’uomo grasso ridacchia, facendo sussultare il sigaro che ha
ancora in bocca, e scopre le sue carte.
«Poker!» esclama, mostrando quattro carte del
medesimo
valore, poi torna a guardare il giovane «E voi?»
ridacchia ancora.
Aaron dispone le sue carte sul tavolo, ancora impassibile.
«Scala di colore.» annuncia, indicando cinque carte
dello
stesso seme e in sequenza.
Le labbra grassocce si dischiudono in un’espressione di
incredulità; il sigaro cade a terra con quasi una lentezza
irreale e finisce su
una scarpa lucida del suo proprietario. Le dita sudate stringono
convulsamente
un bracciolo della sedia, rischiando di spezzarlo.
«Voi siete il giovane più fortunato che abbia mai
incontrato.»
commenta con un sospiro il commerciante seduto alla destra di Aaron,
per poi
alzarsi in piedi «Mi ricorderò di non giocare
più con voi.» se ne va scuotendo
il capo con sconsolazione.
Aaron accenna un sorriso divertito e allunga un braccio per
afferrare la vincita.
Con un movimento rapido e un colpo secco, un bastone di
legno lucido e lavorato blocca all’improvviso la mano del
giovane sul tavolo, a
pochi centimetri dai soldi, impedendogli di muoverla.
Aaron dirige immediatamente lo sguardo all’uomo grasso,
rimanendo immobile.
«Voi barate.» sibila questi, spingendo con
più forza il
bastone sul tavolo e continuando, così, a immobilizzare la
mano dell’altro.
«Siete voi che non sapete perdere.» ribatte il
giovane con
gelida calma.
L’uomo grasso avvicina di colpo il volto a quello di Aaron,
sussurrandogli a denti stretti:
«So riconoscere chi mi truffa. Di sicuro gioco a poker da
molto più tempo di voi.»
«Non avete prove.» ribadisce il ragazzo, deciso.
«Non ho bisogno di prove.» riduce ancora gli occhi
a due fessure
«Ne sono certo.»
Aaron indurisce i tratti del volto.
«Spostate il bastone.» ordina con fermezza
«Devo prendere la
vincita.»
«Chi mi truffa finisce male.» chiarisce
l’uomo, facendo poi
un cenno con il capo a due energumeni seduti ad un altro tavolo alle
spalle del
giovane.
Aaron lancia un fugace sguardo indietro, notando i due
compagni dell’uomo grasso alzarsi con aria minacciosa, quindi
torna a guardare
l’uomo, che sembra proprio deciso a non lasciarlo scappare, e
si mostra
tranquillo, dicendo:
«D’accordo, tenetevi la vincita. Io me ne
vado.»
«Non credo proprio; oltre la vincita voglio chiarire per
bene la questione...» ribatte l’altro, alludendo
con sadico divertimento ai due
uomini sempre più vicini intenti a scrocchiarsi le dita con
fare minaccioso.
Aaron raddrizza la schiena e afferma con sicurezza:
«In questo caso, allora, la mia vita ha un prezzo.»
Il giovane alza un pugno all’improvviso, colpendo con forza
l’uomo
al mento e facendolo sbilanciare indietro con un gemito; Aaron quindi
sfila la
mano da sotto il bastone, di un po’ sollevato dal movimento
dell’uomo grasso, e
lo afferra rapidamente, ruotando su se stesso e colpendo con esso il
fianco uno
dei due uomini che si stanno lanciando contro di lui. Si abbassa poi
per
schivare l’altro uomo e afferra la sedia scagliandogliela con
forza contro una
gamba; l’omone cade a terra con un urlo. Mentre il secondo
energumeno tira
fuori un pugnale da sotto la giacca e l’uomo grasso si alza
dalla sedia urlando
di rabbia, Aaron balza in piedi sul tavolo per poi saltare dalla parte
opposta
e scappare rapidamente tra il caos generatosi nel locale.
In quel momento, l’uomo grasso abbassa gli occhi sul tavolo;
i soldi sono spariti.
«Fermatelo!» grida, furioso, e i suoi due uomini
partono
all’inseguimento.
Appena fuori dal casinò, Aaron continua a correre per la
strada, imboccando i vicoli più bui e stretti, evitando
più di una volta di un
soffio di venire investito da una carrozza, e infine giunge senza fiato
davanti
la porta di una piccola casetta di pietra. Bussa con forza diverse
volte,
posandosi intanto con la spalla contro il muro della casa per cercare
di
regolarizzare il respiro.
Infine, dopo diversi tentativi, la luce viene accesa e un
giovane uomo, sui trenta, dai capelli castani arruffati e il torso
nudo, apre
di un poco l’uscio, chiedendo bruscamente:
«Chi è?»
«Deam, sono io.» si annuncia il giovane, lanciando
uno
sguardo verso la strada ancora deserta.
Si ode un sospiro sonoro e la porta si apre del tutto. Aaron
entra e l’uscio viene richiuso.
I due energumeni raggiungo la strada in quel momento, si
guardando intorno rapidamente e proseguono a cercare da
tutt’altra parte.
«Ha ragione tua sorella: se non finisci nei guai non sei
contento.» sbuffa Deam, grattandosi assonnato la barba, ma
mostrando comunque
un’espressione seria «Che cosa hai combinato questa
notte?»
«Niente, sono andato a giocare.» risponde
noncurante
l’altro, sedendosi sul divanetto e appoggiandosi stancamente
allo schienale.
«Al casinò?» Deam storce le labbra con
disappunto «Non
dirmelo; hai barato e ti hanno scoperto.»
Aaron si infila due dita in una manica, commentando con un
sopracciglio alzato:
«Quell’uomo grasso aveva un occhio
attento...» estrae un
paio di carte dalla manica, osservandole un attimo per poi gettarle nel
posacenere sul tavolinetto davanti a lui.
Deam si passa una mano sul volto, esasperato.
«Aaron, prima o poi ci rimani secco...»
«No, non c’è problema.» lo
tranquillizza il biondo, posando
il capo indietro contro lo schienale e chiudendo gli occhi.
«Chi c’è Deam?» chiede una
giovane mora e minuta, entrando
nel salottino in camicia da notte e piedi scalzi.
«Aaron.» Deam indica l’amico con il capo.
Aaron riapre gli occhi e sorride in direzione della ragazza.
«Perdona il disturbo, Lidia... è solo una breve
visita.»
«Ah, sì, suppongo.» si limita a dire
lei, poco contenta
della “visita”, avvicinandosi a Deam e abbracciando
i suoi fianchi nudi.
«Torni a dormire, amore?» gli chiede, decidendo di
ignorare
Aaron.
«Sì, solo un momento.» annuisce lui,
accennando con lo
sguardo l’ospite.
Lei tira le labbra, scocciata, e se ne ritorna in camera
senza aggiungere altro.
«Io posso dormire sul divano; per quando ti sarai svegliato
me ne sarò andato da un pezzo.» gli propone Aaron.
Deam scuote il capo, trattenendo a stento un sospiro.
«Inizio a stancarmi di farti da balia.» fa notare,
afferrando poi uno straccio da cucina e bagnandolo con acqua fredda.
«E’ un ruolo che ti si addice.» Aaron
mostra un piccolo
sorriso divertito.
«Ah, fantastico.» sbotta l’altro,
avvicinandosi al divanetto
e tirando lo straccio contro il petto del biondo «Mettitelo
su quella mano: si
sta gonfiando.» aggiunge, per poi girarsi e dirigersi in
camera.
Aaron abbassa lo sguardo sulla mano colpita dal bastone
dell’uomo grasso; in effetti ha un brutto colorito. Vi posa
lo straccio freddo
e si sdraia supino, appoggiando le gambe sul bracciolo del divano
troppo
piccolo.
Con gli occhi socchiusi lancia uno sguardo al piccolo
pendolo della stanza. A momenti sarebbero state le due e mezzo del
mattino.
Lentamente abbassa le palpebre, sfinito, e si addormenta.
Continua...
Spero che questo primo "assaggio" sia stato di vostro gradimento... a breve il prossimo capitolo! Grazie in anticipo a chi leggerà. :)