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Autore: lady hawke    02/09/2010    3 recensioni
Quando ti accorgi che tutto quello in cui hai creduto ciecamente non esiste ed è solo illusione, non restano che due scelte: arrendersi all'evidenza dei fatti o rimediare all'errore compiuto in qualunque modo
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Questa storia è stata scritta per la sfida Drunk Challenge di Writers Arena, o meglio della piattaforma LJ di Writers Arena: http://community.livejournal.com/writersarena/ Special thanks a chi l'ha letta in anteprima e l'ha apprezzata. Sono sempre i miei adorabili quattro gatti di msn, loro sanno di essere loro XD


Regulus si era rinchiuso nella sua stanza dal momento in cui Kreacher era partito per servire l'Oscuro Signore, e da allora non si era più mosso. Attendeva da parecchie ore, ormai, con l'impazienza tipica di un bambino che desidererebbe tutto e subito. Si coricava sul letto, andava alla sua scrivania, cercava di distrarsi guardando fuori dalla finestra preda ad un’incontrollata frenesia: era rimasto immobile a guardare fuori per un bel pezzo. Da lì poteva vedere la strada con il suo via vai di Babbani: da tempo ormai gli era venuta insopportabile l'idea che loro potessero circolare liberi e da padroni del mondo, quand'erano invece così piccoli e inutili, meno dotati perfino di un Elfo Domestico. Kreacher intanto continuava a non tornare, e la cosa lo riempiva di una strana preoccupazione. Non aveva esitato ad offrirlo al Signore Oscuro per senso del dovere: era giovane e non aveva ancora avuto modo di distinguersi, non facendo praticamente nulla di utile, come Mangiamorte. Era diventato essenziale, vitale dare il proprio contributo. Era stata Bellatrix a istigarlo, ci riusciva sempre.
Aveva il dono di portare le persone sull’orlo dell’esasperazione. Sulle prime l'aveva perfino lodato per la sua scelta, così giusta ed opposta rispetto a quella del traditore Sirius, ma aveva presto cominciato a tacciarlo di vigliaccheria, resasi conto di avere a che fare con "un piccolo povero Mangiamorte mingherlino", e da quel momento non gli aveva dato requie. Bellatrix d'altronde non tollerava niente di meno che il fanatismo, era facile che attaccasse briga con qualcuno, ma lui non era riuscito a farsi scivolare via le sue parole. Per orgoglio era stato spinto a reagire. Ora però avvertiva una sorta di rimorso: il Signore Oscuro non aveva la mano leggera con chi considerava un mero strumento per la sua ascesa, e Kreacher era solo un elfo. Un oggetto, dunque. Qualcosa da usare e da buttare via. Di colpo considerò la sua decisione il frutto di un momento di impulsività che avrebbe potuto costare caro a qualcuno di innocente. Posò la fronte sul vetro, e cominciò a inspirare profondamente. Cinque minuti ancora e sarebbe impazzito.
Un Crac lo distolse dai suoi pensieri, l'elfo si era appena Materializzato in camera sua.
- Kreacher è tornato a casa, Padron Regulus.
Il ragazzo rabbrividì; c'era un che di sofferente nella voce del suo piccolo servitore. Scostò finalmente lo sguardo dalla finestra e si volse: lo spettacolo davanti ai suoi occhi era miserevole. Kreacher aveva il respiro affannato e l'aria di chi ha dovuto lottare per tornare indietro. Era bagnato fradicio e tremava.
- Cos'è successo, Kreacher?
- Kreacher è stato bravo, Padron Regulus, e ha fatto tutto quello che il padrone ha ordinato. Ha dato retta al Signore Oscuro. - gracchiava e stentava le parole come un bambino piccolo in preda ai singhiozzi. Aveva l’aria grata di chi, finalmente, torna a vedere qualcosa di famigliare.
- Cosa è successo? - ripetè Regulus, che cominciava a sentirsi a disagio. Kreacher era chiaramente spaventato a morte. - Cosa ti ha ordinato di fare?
Dovette insistere ancora per riuscire ad avere un resoconto chiaro, ma fu penoso starsene ad ascoltare: l'elfo continuava a tremare e balbettare.
- Portava un medaglione?
- Sì, padrone. L'ha messo dentro al bacile.
- E non ha detto una parola per tutto il tempo?
- No, padron Regulus. Ha solo ordinato a Kreacher cosa fare, e ha insistito anche quando ha chiesto aiuto e ha riso. Dopo è andato via senza parlare.
- Ti ha lasciato lì? – assurdo sorprendersi di questo, eppure Regulus sapeva che al suo posto, si sarebbe comportato diversamente.
- Oh, padron Regulus non si deve preoccupare, ha fatto come gli è stato ordinato, è tornato a casa.
- Bene, Kreacher, ora puoi andare. - borbottò a quel punto Reg, distratto. Quasi non sentì il rumore della Smaterializzazione di Kreacher, di nuovo preda dei suoi pensieri. In realtà non riusciva a capire. Perchè il Signore Oscuro aveva avuto bisogno di Kreacher per fare una cosa simile? Perchè nascondere un medaglione prezioso in un luogo simile? Cosa c’era sotto?
Era chiaro che questo non c’entrava niente con la riconquista del mondo e la liberazione dei maghi, i veri maghi, dalla clandestinità. No, l’Oscuro Signore lavorava a qualcosa per conto suo, e ciò non gli piaceva affatto. Si sedette sul letto, e poi si lasciò cadere supino: che fosse per l’aspetto di Kreacher al suo rientro, o per quello che aveva saputo, la preoccupazione di Regulus era aumentata, anziché scemare. Si rimise a sedere e cominciò a mordicchiarsi ferocemente un’unghia, nervoso. Se fosse stato ancora ad Hogwarts, se avesse ancora avuto le sue distrazioni, probabilmente sarebbe stato tutto molto diverso.
L’idea che l’Oscuro potesse covare progetti personali senza parlarne ai suoi fedeli seguaci instillava in lui il dubbio e il sospetto. Ma forse… forse non era ancora il momento. Forse Voldemort avrebbe detto loro che stava succedendo e cosa fare a tempo debito.
Ma non avvenne niente di tutto ciò.
Quando i Mangiamorte furono di nuovo chiamati da lui non venne fatto alcun cenno a quell’episodio, e nemmeno in nessun incontro successivo. Lord Voldemort preferì compiacersi del fatto che anche i giganti, oltre ai lupi mannari, fossero sul punto di unirsi alla loro causa.
Quelle parole lasciarono il giovane Black ancora più perplesso e turbato.
Non era il solo. Diversi Purosangue storcevano il naso all’idea di avere animali e creature inferiori come alleati; lo si accettava di malavoglia e per necessità. E del resto, quando si persegue una giusta causa non ci si sofferma molto su queste cose. Il fine giustifica i mezzi. Ma che se ne sarebbero fatti dei lupi, dei giganti, e di tutti coloro che avevano schierato al loro fianco, una volta vinta la guerra? Regulus se lo chiedeva, e con angoscia non riusciva a darsi una risposta. Impossibile pensare di dargli il privilegio di fondare una nuova società magica assieme alla loro.
Voldemort sembrava ormai viaggiare su due binari: la causa dei maghi, e un disegno tutto suo, sotterraneo, che si poteva solo vagamente intuire. Egli aveva il potere e la forza per seguire entrambi, benché avesse scelto di servirsi di un gran numero di seguaci. Regulus si era ormai risolto a capire di cosa si trattasse questo secondo piano. Kreacher gli aveva descritto sommariamente l’aspetto del medaglione a cui il loro signore aveva dedicato tanta attenzione, e non aveva avuto difficoltà a comprendere che si trattava del cimelio di Salazar Serpeverde, o almeno di una sua copia. Era un oggetto di cui tutti i Purosangue avevano sentito parlare, un oggetto che si era tramandato per generazioni ai discendenti del grande mago fondatore. Di certo Voldemort non poteva interessarsi alla preziosità dell’oggetto in sé. Ogni fondatore aveva però un oggetto a lui legato, e come si diceva che il diadema di Priscilla Corvonero contenesse il segreto della sua brillante mente, il medaglione poteva contenere all’interno un potere talmente grande da interessare il Signore Oscuro. Punto da quella intuizione, il ragazzo decise di scoprire quale fosse il segreto del suo signore per intere settimane.
Continuò a servirlo scrupolosamente, non mancando a nessuna missione, non sottraendosi a nessun incarico: si scontrò più volte con l’Ordine della Fenice, dovendo difendersi anche dal suo stesso fratello di sangue, Sirius. Non c’era più paura per quegli scontri, per quelle missioni. Il tarlo che gli consumava la mente era ormai più grande di ogni altra cosa. Il suo terrore più grande era invece quello di non riuscire a celare all’Oscuro i suoi pensieri; sapeva che non li avrebbe affatto graditi, e non voleva in nessun modo esporsi alla sua ira.
- Impiastro! Ti sei lasciato sfuggire quel Prewett! Era davanti a te! – gli aveva urlato una sera Rookwood, spintonandolo, al rientro da una caccia al babbano, come avevano cominciato a chiamarle. Impegnato com’era a cercare e a nascondersi non riusciva più a concentrarsi su niente altro.
Cominciò a consumarsi in ricerche sui fondatori, sui loro poteri, sui loro cimeli. Si sentiva straordinariamente solo: non poteva parlare a nessuno dei suoi dubbi o dei suoi sospetti, poiché si sarebbe reso reo di tradimento, a stento ormai riusciva a sopportare la vista dei Mangiamorte come lui. Più si addentravano nella guerra più, lo vedeva chiaramente, si abbassavano a diventare creature animalesche, senza più raziocinio, con il solo istinto della caccia e delle distruzione altrui. Non era questo che voleva. Non era questo quello che gli si era prospettato il giorno in cui si era fatto marchiare il braccio sinistro.
Ogni volta che ci pensava si ritrovava a sollevare la manica e a rabbrividire osservando lo scempio che aveva inflitto alla sua carne.
Continuò le sue ricerche con impeto sempre più febbrile; più cercava, meno riusciva a trovare qualcosa. Si buttò allora sui libri di magia oscura: il potere ossessionava il suo signore più di ogni altra cosa, e lì avrebbe potuto trovare la risposta, non altrove.
Fece la sua scoperta una sera di ottobre, quasi per caso. Aveva già letto il titolo del paragrafo, senza darvi troppo peso, perché non l’aveva considerata una possibilità probabile. Fu quindi quasi per noia che si mise a leggere.
Quand’ebbe finito sudava freddo. Alla luce della candela, nella sua stanza che aveva assunto in quelle settimane un’aria spettrale, cercò elementi che contraddicessero la teoria che si stava formando nella sua testa, ma non fece altro che trovare conferme. Era disgustato come mai era stato nella vita. Una morsa gli aveva improvvisamente stretto lo stomaco. La fatica fatta per leggere con quella scarsa illuminazione, per illudere sua madre e farle credere che stesse già dormendo, era scemata.
Il Signore Oscuro aveva uno scopo ben chiaro, e aveva scelto di non porsi più limiti. Regulus aveva accettato una guerra civile fratricida, come aveva accettato l’idea che si dovesse passare per vie tortuose e oscure per raggiungere uno scopo: migliorare la sua vita e quella dei suoi simili. Non era pronto a questo. Voldemort puntava all’immortalità, a farsi signore perpetuo del mondo magico. I maghi erano nati liberi, al di fuori di ogni potere che andasse oltre a quello del ministero; un mago immortale così potente sarebbe di certo diventato niente altro che un unico padrone, un sovrano. Ma non era niente, al pensiero di un uomo disposto a separare la sua anima e a seppellirne una parte lontano da sé. Regulus era spaventato e tremava come aveva visto tremare Kreacher tempo prima.
Non avevano più a che fare con un uomo, dunque. La foga con cui si buttava negli scontri non era coraggio, ma la sicurezza di non poter essere scalfito. Black si passò una mano fra i capelli neri, annichilito. Andava fermato. Ora che sapeva non poteva in alcun modo permettere a Voldemort di andare avanti.
Il problema però ora poneva altre difficoltà: era chiaro che non c’era modo di uccidere l’Oscuro secondo modalità convenzionali. Non esisteva modo per ucciderlo, almeno così sembrava. Regulus cercò ancora: chiaramente se l’anima di qualcuno sopravvive, seppur smembrata, seppur dilaniata in due continua ad esistere, e non può morire. Era dunque necessario distruggere quel pezzo di anima imprigionato nel medaglione.
Il ragazzo di alzò e si stirò la schiena ormai a pezzi dopo le ore passate alla scrivania. Si mise a letto vestito, deciso a riposare almeno qualche ora. Dormì male, e al risveglio era di pessimo umore. Si mise in piedi e tornò alla finestra come aveva fatto settimane prima per aspettare Kreacher. Il cielo era color piombo e minacciava pioggia da un momento all’altro. Sospirò profondamente; agguantò uno dei libri di magia oscura che aveva consultato e si chiuse in uno dei sontuosi bagni di casa Black. Lanciò il libro per terra e aprì il rubinetto della grande vasca di porcellana bianca, di modo che si riempisse di acqua bollente; poi riprese il libro, lo posò sulla mensola accanto al rubinetto, si spogliò lasciando i vestiti in disordine e si immerse. L’acqua era quasi troppo calda, per i suoi gusti abituali, ma non riusciva a cancellare la sensazione di freddo che lo pervadeva dalla sera prima. Rimase immobile per diverso tempo, riflettendo su quello che poteva fare; se ripensava al suo passato recente sentiva salirgli dentro una rabbia cieca. Si era lasciato ingannare, aveva creduto a troppe cose sbagliate. Se tutti avessero saputo…
Regulus si bloccò, spaventato: se i Mangiamorte avessero saputo si sarebbero fermati o avrebbero continuato per quella strada fino alla fine? Non poteva prevederlo, e anzi temeva che ormai fossero così corrotti, scavati e plagiati da quel potere che niente, niente li avrebbe fermati. Solo era stato nelle ricerche e tale sarebbe rimasto. Bisognava prendere il medaglione di Salazar Serpeverde e distruggerlo. Così facendo, però, se ne sarebbe accorto. Poteva però sostituirlo con un falso; un oggetto talmente conosciuto e ammirato da molti lo si poteva trovare forse nelle mani di uno di quei venditori di cianfrusaglie che si trovano a Notturn Alley. Il difficile era tornare alla grotta: solo Kreacher conosceva la strada, e obbligare quell’elfo a rivivere l’incubo a cui era stato sottoposto era crudele, ma indispensabile. Si figurò in mente tutta la storia, come gli era stata raccontata; il lago, la pozione, il bacile e le creature.
Kreacher non le conosceva, ma lui sì: inferi. Difficili da combattere, quasi impossibili da controllare se soli. Regulus sentì improvvisamente che l’avere solo diciassette anni gli avrebbe reso l’impresa ardua. Era un mago senza la giusta esperienza, e Kreacher sarebbe stato troppo spaventato per fare qualunque altra cosa, salvo fuggire. Se gliel’avesse ordinato si sarebbe lasciato di certo morire in quel posto; ma non sarebbe stato giusto.
S’immerse del tutto, sparendo al di sotto della superficie dell’acqua, e ne riemerse solo quando si sentì mancare il fiato. In breve il piano si era fatto semplice nella sua testa, e non prevedeva il suo rientro a casa.
Quando riuscì a trovare la forza per farlo uscì dalla vasca e finì di lavarsi in modo da rendersi presentabile agli occhi della madre. Prese il libro che aveva portato con sé ma che non aveva avuto bisogno di consultare, e lo rimise in biblioteca. Addusse una scusa per mancare alla colazione, e uscì di casa. Nessuno lo vide né per il pranzo, né per la cena. Tornò a casa a notte inoltrata, portando con sé un piccolo sacchetto di velluto nero. Quando fu di nuovo al sicuro, nella sua vecchia stanza, aprì il cordoncino e fece cadere sulla scrivania il contenuto: un medaglione d’oro. Prese un pezzo di pergamena pulita, penna ed inchiostro e si mise a scrivere rapidamente con la sua calligrafia chiara e pulita. Sventolò il foglietto per farlo asciugare. Aprì il medaglione, che scattò con un piccolo clic e vi ripose la pergamena.
Se Voldemort fosse malauguratamente tornato a vedere lo stato di quella piccola parte di sé, era giusto che sapesse che ne era stato.
  
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