Erano trascorse circa due settimane da quando Astrea aveva iniziato il suo alloggiare nel
palazzo ducale; in tre o quattro occasioni aveva seguito Timao
presso i ribelli e finalmente aveva rivisto più o meno tutti i suoi vecchi
amici del gruppo di Nibbio. Aveva trascorso la maggior parte del tempo tra
leggere e passeggiare nel parco, senza mai poter uscire, sempre sola se non
quando uno degli Aristidei la invitava a fargli
compagnia. Prigioniera tra il marmo, l’oro, la seta, il lusso, stretta da
invisibili catene, all’apparenza poteva far tutto ciò che desiderava,
abbandonarsi ad ogni piacere, ma quella del vizio è
una schiavitù nascosta agli occhi e le cose che voleva compiere le erano
proibite poiché impossibili da raggiungere finché lì soggiornava.
Quella sera il Duca non si era presentato a cena,
neppure i suoi fratelli ne conoscevano la cagione, era stato tutto il giorno
occupato ad ascoltare i resoconti dei suoi vassalli, aveva poi dato ordine che
il pasto gli fosse servito
nel proprio appartamento e, per il giorno successivo, aveva fatto convocare una
riunione d’urgenza del Gran Consiglio Ducale, infine si era chiuso nelle
proprie stanze, cupamente meditabondo. Intorno alle ventuno, tuttavia, mandò a
chiamare Astrea. La giovane entrò nella prima stanza degli alloggi di Agakrathos, l’unica che avesse
visto, era un salotto molto ampio, alle pareti erano appesi grandi arazzi di
seta che raffiguravano battaglie e grandi eventi storici, il soffitto era
affrescato con l’apoteosi di Zeus sull’Olimpo, ovviamente il figlio di Crono
aveva le fattezze del Duca, il pavimento era rivestito da un sottile strato di
marmo color zolfo, in modo che potesse essere facilmente riscaldato, le
finestre erano alte, strette e numerose, il lampadario a gocce reggeva una moltitudine
di candele, i mobili erano tutti di pregiatissimo ebano intarsiato, le
poltroncine eleganti e rivestite di raso. Agakrathos
era seduto e guardava fuori dalla vetrata, osservando
il Sole che calava lentamente dietro l’orizzonte e fumando la pipa. “Avvicinati”
disse come se fosse un ordine, Astrea non replicò, capiva che il Duca non era
di buon umore e inoltre doveva fingere per riottenere la libertà, per cui obbedì, si accostò al giovane e rimase in piedi
accanto a lui in attesa. “Oggi, sono venuti a rendermi conto, i miei vassalli coi loro fiscalisti ed economisti. Dicono che ci sono
problemi, c’è crisi, sostengono. A quanto pare i campi
non stanno rendendo come dovrebbero, c’è il rischio di avere scarse derrate
alimentari…”
“Comprate da altri feudi, vi basterebbe vendere
qualcuno degli oggetti di questa stanza e potrete acquistare abbastanza grano e
cereali in abbondanza.”
“Si vede che non te ne intendi di certe questioni.
Non possiamo mostrarci deboli agli occhi dei nostri vicini, se si accorgessero
che abbiamo difficoltà, non esiterebbero ad
aggredirci, benché sottostiamo ad un unico monarca. Ti dirò io cosa faremo:
aumenteremo i prelievi del fisco o inventeremo un tributo speciale, così
pagheremo di nascosto dei mercenari o briganti che vadano a razziare Mutina o Ariminum o altri
confinanti e ci procurino quanto occorre.”
“Ma se la gente già ora fatica a pagare le tasse,
come credi farà se le maggiorerai? Inoltre queste incursione violente non credi spingeranno gli altri
feudi a fare altrettanto nei nostri confronti?”
“Ti devo proprio spiegare tutto! Se qualcuno non riesce a pagare o lo mandiamo a morte o lo
vendiamo come schiavo altrove, così ci saranno meno bocche da sfamare…”
“Ma così ci sarà meno
forza lavoro!”
“Oh di questo non ti devi
crucciare, di bassa manovalanza ce n’è fin troppa! Per di più gli altri
che riusciranno a pagare, ma che si ritroveranno in ristrettezze, compreranno
meno cibo e quindi la carestia sarà meno evidente. Per quanto riguarda la
possibilità di venire attaccati, è sempre un modo per
eliminare il problema della sovrappopolazione.” diede
una profonda boccata di pipa e sorrise. Astrea incrociò le braccia, andò vicino
alla finestra, volgendo le spalle al duca e irritata disse: “Sei
tremendo e spregevole. Non pensi alla vita di quella povera gente?”
“Non mi importa della
plebe, una marmaglia di bestie.”
“Come puoi dir ciò? Un uomo rimane un uomo
indipendentemente dal suo ceto.”
“Oh, certo, questa è la convinzione di voi che non
riuscite ad accettare la vostra condizione, che siete
tanto presuntuosi da ritenere di eguagliarci in dignità.” Astrea non rispose,
guardò con ira fuori dalla finestra, non poteva
tollerare quelle parole, non poteva replicare se voleva andarsene da quel
luogo; si morse il labbro inferiore e per l’ennesima volta si ripeté che non
doveva sottomettersi, ma solo fingersi tale. Si voltò e chiese: “Perché,
allora, mi tieni qua, se mi reputi inferiore?”
Agakrathos la osservava e taceva,
gli occhi erano pieni di uno strano ed indecifrabile spirito; vedere quella ragazza
che si innervosiva lo divertiva, gli piaceva vederla
fremere per l’ira o la tristezza. Vedendosi negata una risposta, indispettita,
Astrea se ne andò. Il Duca non la trattenne, altra
regola aurea degli Aristidei: mai mostrare di
desiderare o avere bisogno di una persona o della sua presenza.
Nei giorni seguenti il Duca aveva fatto mette in atto i suoi propositi su come risolvere l’imminente
crisi alimentare e ovviamente il popolo non ne fu affatto contento: fin da
subito iniziò ad avvertire le dure conseguenze, già dopo una settimana c’erano
stati i primi condannati. Un pomeriggio, i più animosi dei ribelli, convocati
da Timao, si erano radunati per una riunione per
decidere il da farsi, questi giovani erano tutti amici di Astrea.
Erano seduti sparsi ma in cerchio in una stanza,
accanto al camino spento sedeva Ivan: altezza media, lineamenti sottili,
affilati, duri e netti, occhi verde oliva, capelli lunghi, lisci, biondo
intenso ma scuro e spento. Tetano era in piedi dall’altro lato del focolare, era
alto, robusto, con una muscolatura abbastanza sviluppata, occhi marroni che
tradivano il suo aspetto feroce per rivelarne il lato da cucciolo giocondo, la
capigliatura color paglia era molto lunga e leggermente mossa, la barba era
corta, fatta eccezione per il pizzetto lunghissimo. C’era poi Cornelia,
carnagione chiara, occhi nocciola, capelli che le scendevano fino ai fianchi,
erano biondo chiari e assai ricci; Biagio sedeva accanto a
una finestra e teneva d’occhio la strada, i capelli corti, color oro, molto
mossi parevano sempre spettinati, iridi castane, sguardo semplice e dolce,
labbra rosse e sorriso radioso; Nibbio era magrissimo, capelli corti e neri,
sbarbato, occhi che brillavano per gli ideali che ardevano in quell’animo; inoltre c’erano anche Carlo, Timao ed Astrea. L’ordine del giorno erano i provvedimenti
da prendere per contrastare le recenti e aspre norme istituite dal Duca: le tasse
erano già intollerabili, ovviamente la gente non voleva essere punita, per cui c’era stato un aumento dei furti, poiché le persone
cercavano di sottrarsi a vicenda il necessario per pagare i tributi. “Indiciamo
uno sciopero dei dazi, boicottiamoli, nessuno darà più un soldo finché non
saranno abbassate.” propose
Cornelia. “No, non riusciremmo a convincere tutti.” la
contraddisse Biagio “Aderirebbe si e no un quinto della popolazione e verrebbe
ucciso. Purtroppo abbiamo poca presa sulla gente, non ne
coinvolgeremmo molta…. Altre idee?” pensarono nel silenzio, ad un tratto
Tetano esclamò: “Assaliamo un gruppo di esattori e
ridistribuiamo tutto alla gente!”
“In base a quale
criterio?” lo interruppe Carlo, Timao aggiunse: “Così
si rischia solo di peggiorare la situazione, mio fratello potrebbe prendere
provvedimenti ancor più tremendi.”
“Allora” intervenne Ivan “Liberiamo i prossimi poveretti
che verranno deportati per ‘evasione fiscale’. Io mi offro per forgiare armi e protezioni.” tutti approvarono, solo l’Aristideo non era pienamente convinto ma accettò, iniziò a
dire: “Almeno un paio di noi devono condurre l’operazione e guidare il
drappello degli uomini che si offriranno. Dunque: in
caso si fallisca io non posso espormi, Nibbio ci occorre come figura accentratrice,
Carlo ha già rischiato ed è meglio che stia nascosto. Cornelia non ha capacità
di combattimento, Ivan si occuperà di forgiare le spade… Rimangono solo Tetano
e Biagio che sono fratelli, quindi soltanto uno di
loro potrà partecipare.”
“Ehi, ci sono anch’io!” esclamò Astrea. Timao ribatté: “Tu sei nella mia stessa situazione, non
puoi rivelare che fai il doppiogioco…”
“No! Non mi importa; non
ha senso per me starmene in quel palazzo a far compagnia ai tuoi fratelli. Io voglio
far qualcosa di concreto per aiutare la gente e sono disposta anche a rischiare
di perdere la mia vita.”
Timao sapeva che forse un
destino peggiore attendeva l’amica se fosse stata
scoperta, tuttavia si mi limitò a dire: “E va bene, ma sta attenta, nel caso
sciagurato venissi arrestata non farti scappar detto nulla su di me.” L’azione venne programmata per la settimana successiva.
La sortita sarebbe avvenuta poche ore più tardi,
Astrea si stava dirigendo nelle stanze di Timao per utilizzare
il passaggio segreto; era in un lungo corridoio, svoltato un angolo, vide Agakrathos che, come infastidito, diceva ad una cameriera
che trasportava molti panni: “Spostati, incapace, non vedi che avanza il Duca?!” e l’allontanava colpendola elegantemente col suo bastone
da passeggio, la donna s’allontanò rapidamente, testa china, chiedendo perdono.
L’Aristideo avanzò e s’accorse dell’ospite e le
chiese: “Come mai quell’espressione accigliata?”
“Ti sei reso conto di come hai trattato quella
domestica?”
“Certamente.”
“Nel caso non te ne fossi accorto, sappi che sei
stato sgarbato.” replicò la
ragazza innervosita. “Nel caso non te ne fossi accorta, sappi che sono il Duca.”
“Sei superbo e tracotante.”
“Tratto la gente come merita per il suo rango,
sciocca idealista.”
Sempre più alterata l’attrice ribatté: “Despota
borioso.”
“Libertina irrispettosa!”
“Tiranno arrogante!”
“Taci plebea!” Agakrathos
le diede uno schiaffo poi l’afferrò per la maglia, la
spinse contro al muro con veemenza, appoggiò le proprie labbra sulle le sue e iniziò
a baciarla. Astrea non si ribellò.
Agakrathos, quando si staccò,
osservò come smarrito l’ancor più confusa giovane, si voltò e fece per
andarsene, ma lei gli prese il polso domandando: “Perché?”
“Lasciami!” con un movimento brusco si liberò
dalla stretta e si allontanò lesto.