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Autore: Hakigo    03/09/2010    2 recensioni
RACCONTO IN REVISIONE!
Cit Cap. 6: [Lo guardai imbarazzata e indignata, mordendomi il labbro, aspettando la sua reazione, ma lui mi stava semplicemente guardando, imbacuccato dentro Il suo cappotto da mille dollari e la dentro la sua sciarpa firmata. Sorrideva, col naso rosso e gli occhi brillanti.
In quel momento, quando mi sporsi verso di lui e lo baciai, capii.
La mia non era una cotta. Era qualcosa di dannatamente serio, troppo serio.
Mi cacciavo sempre nei guai, ma che potevo farci se non potevo vivere senza I miei stupidi problemi? Capii che l'amore non ha ostacoli, non ha pregiudizi, non ha ragione. L'amore è come una clessidra: se si riempie il cuore, la mente si svuota. Lui, quell'uomo splendido che mi teneva stretta a sè con il giornale ancora tra le dita, era il mio amore, il Dio del mio cuore e non avrei potuto impedirlo. L'amavo, l'amavo tantissimo e non avrei permesso al mio cervello di farmelo scappare, non ora che ne avevo tremendamente bisogno.
Quel bacio di una mattina gelida di settembre, mi scaldò più della cioccolata calda che ora giaceva impotente sul marciapiede.]

Un racconto attuale, che non mette da parte le difficoltà che propone la vita. Il tutto misto ad una tenera storia d'amore della protagonista Irene, un'italiana amante dell'arte e della buona cucina.
Buona lettura.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di uscire di casa venni chiamata dal carroattrezzi: la macchina mi sarebbe stata restituita l'indomani.
Tutto il quartiere attendeva impaziente la sfilata, me compresa. Ero impaziente di vedere Fernando vestito da frate.
Anche il piccolo LJ era impaziente e non si calmava un momento, torturando le orecchie del suo orsacchiotto di peluche.
Non appena svoltarono dall'angolo I carri, la folla cominciò a fischiare ed applaudire. Mi ero posizionata quasi in mezzo alla strada, affiancata da Norman, per fare le fotografie che sarebbero poi finite sulle nostre rubriche.
Non riuscii a smettere di ridere quando vidi Fernando con l'abito e la barba lunghissimi. Penso di avergli scattato almeno un centinaio di fotografie.
La parata si interrompeva in continuazione, un po' per il traffico agli incroci, un po' per la gente che non si spostava dalla strada. Grace, come al solito, si guardava intorno, cercando di adocchiare il più gran numero di uomini possibile e talvolta mi chiedeva persino di fotografarli.
Fernando scese dal carro, andando in giro a consegnare palloncini ai bambini piccoli. Era bellissimo mentre sorrideva a quelle creaturine e come al solito stavo per sciogliermi, quando Grace mi diede delle gomitate sul braccio, dove molto probabilmente sarebbero usciti dei lividi enormi, porgendomi il piccolo Alexander, di modo che potesse rimorchiare più facilmente.
Con la scusa del bambino, il frate mi si avvicinò per cedere un palloncino.
I nostri sguardi si incrociarono. Gli sorrisi, ma lui ricambiò il mio sguardo con serietà. Mi sentii improvvisamente nuda. Nessuno mi aveva mai guardato a quel modo, quasi fossi un pezzo d'oro prezioso.
Sentivo miliardi di scatti di macchine fotografiche. Ero persa, immobile, cercando di capire col poco di sanità mentale che mi era rimasta, cosa stesse pensando. Quando lo vidi avvicinare il viso, tutto mi fu incredibilmente chiaro.
Non avevo il coraggio di tirarmi indietro. Desideravo profondamente un contatto con lui. Le gambe cominciarono a tremarmi ed il cuore a martellare alla velocità della luce. Tutto il mio mondo si concentrò su quel viso, su quesgli occhi che lentamente si socchiudevano, quelle labbra sempre più vicine, quel profumo di stoffa rovinata che m'inondava.
Socchiusi gli occhi a mia volta, sorridendo al ricordo del suo travestimento. Tutto cominciò ad andare a rallentatore. Le sue labbra si adagiarono lente ed esperte sulle mie, facendole combaciare perfettamente, quasi fossero state create per incontrarsi ancora e ancora.
Gli sguardi delle persone vicine mi soffocavano, ma io non pensavo a loro.
Sentii una serie di urla alle mie spalle, di fischi e di scatti, facendomi irriggidire all'istante. Fernando si accorse del mio stato e passò il braccio libero intorno al mio bacino, stringendomi un tantino a lui. Il bacio non durò molto e alla fine, per concludere, mi passò la lingua sulle labbra, inaspettatamente. Si allontanò, col sorriso dolce e trionfante stampato in faccia.
La folla di curiosi tornò al proprio intrattenimento lentamente. Le donne mi osservavano invidiose, come a voler capire cosa poteva trovare un uomo simile in una reporter coi capelli perennemente in disordine ed un fisico goffo. Eppure, nonostante molte fossero più belle di me, mi sentivo superiore a loro, perchè Fernando aveva baciato me e nessun'altra.
- Complimenti – feci una smorfia quando riconobbi la voce di Norman – Chi è? - chiese acido e maleducato. Chi si credeva di essere? Non decideva certo lui chi doveva baciarmi o meno.
- Cosa ti importa? - chiesi con lo stesso tono coltandomi, mentre LJ farfugliava uno dei suoi discorsi incomprensibili.
- Mi sembrava di esser stato diretto con te, Irene. E' crudele da parte tua trattarmi così. -
- Ti ho dato la mia risposta, Norman. -
- Insomma, mi dici cosa c'è che non va tra di noi? Ci conosciamo da due anni ormai! -
- Non è una cosa che posso comandare, dovresti saperlo. -
- In ufficio dicono che neanche Joe è riuscito a scioglierti, me l'ha detto lui stesso e adesso ti trovo a limonare con un uomo che conosci appena. -
Norman e Joe avevano frequentato lo stesso college, ma non mi aspettavo che fosero così in confidenza. - Non posso comandare questa cosa. - ripetei, continuando a prestare attenzione alla sfilata – Lasciatemi in pace e smettetela di spettegolare come due comari! - me ne andai sbuffando, con il bambino. Il mio collega era petulante e mi stupiva il fatto che avesse parlato di me con Joe. Qualcosa non quadrava o semplicemente mi stavano salendo I nervi. Decisi di far un giro per le bancarelle in strada. Little Joe toccava tutto ciò che vedeva e almeno due volte mi ritrovai un oggetto rubato nella borsa, dove buttava tutte le cose che voleva.
In lontananza Grace parlava con un paio di uomini che avevano tutta l'aria di esserle molto interessati. Dopotutto, nonostante avesse partorito, non aveva niente che non andasse ed il suo fisico era decisamente invidiabile. Il suo seno non era nè troppo grande nè troppo piccolo, le spalle erano esili, la vita stretta e le gambe lunghe, per non parlare poi del suo viso quasi angelico: I capelli neri corvini le ricadevano sinuosi sulle spalle, le labbra erano carnose, proporzionate, squisito contorno di denti bianchi dritti e perfetti. Gli occhi verdi screziati di marrone. L'unico punto a suo svantaggio era la sua ingenuità, lo stesso difetto che l'aveva spinta a fidarsi cecamente di Joe in ogni caso. Pendeva ancora dalle sue labbra, lo sapevo ed era anche per questo che non mi ero mai permessa di avvicinarmi al mio capo.
Io stessa a volte la invidiavo per la sua innata naturalezza, mentre io facevo molta fatica a socializzare con le persone, richiudendomi in un guscio fatto di ironia e agitazione. Mi ritenevo fortunata ad aver ottenuto il mio lavoro attuale, che mi faceva stare a contatto con la gente il minimo indispensabile. Solitamente anche durante la pausa pranzo mi chiudevo in ufficio, leggendo le ultime notizie sulla mafia in Italia, ma da quando ero andata via non era cambiata poi molto la situazione.
- Signora, com'è bello questo bambino! - trillò una voce, svegliandomi bruscamente dai miei pensieri.
Mi voltai – Buon giorno, capo. - disse sorridendo, mentre Alexander si sporgeva allungando le braccia verso il genitore. Gli passai il bambino. - Come mai sei venuto? Abiti lontano da qui. - chiesi, inforcando la mia Nikon. Scattai una foto, mentre il piccolo allungava una manina paffuta verso il padre, toccandogli le guance perfettamente rasate.
- Grace mi ha detto di venire per stare un po' con nostro figlio. - scattai di nuovo – Vieni, facciamoci fotografare da qualcuno. - disse, tirandomi per un braccio.
Alzai semplicemente la macchina, puntandola verso di noi. - Cheese! - sorrisi, scattando. Era una foto molto carina.
- Non è male. - commentò infatti quando gliela feci vedere.
- Te ne manderò una copia via mail. - dissi spegnendo la macchina. - Lo tieni tu? Grace è laggiù. Vado ad aiutare Norman con le foto. -
- Ah, povero Norman – gemette mentre giocherellava con Alexander.
Mugugnai, alzando gli occhi al cielo.
- Oh, Irene! Non capisci che così gli spezzerai il cuore? -
- Mi ha detto che ne avete parlato. A me sembra solo una scommessa che avete fatto tra voi due. - dissi senza pensare. Lui rimase in silenzio, con aria colpevole. Lo osservai stupita. - Non ci credo! - urlai indignata e lui mi fece cenno di abbassare la voce – Voi avete scommesso su chi mi avrebbe portata a letto per primo! - dissi indignata fra I denti, cercando di contenermi.
- E' solo una scommessa. -
- E se io mi fossi innamorata? -
- A Norman piacevi già in quel periodo. -
- E se mi fossi innamorata di te? -
- Forse avrei potuto farci un pensierino. -
- Siete soltanto due pervertiti! - feci per andarmene ma lui mi fermò.
- Le cose sono cambiate. Norman è innamorato di te. Abbiamo perso entrambi, hai vinto tu, Irene. -
- Yuhu! Cos'ho vinto? - sputai ironicamente.
- Irene, tu non capisci come potresti sentirti in una sola notte con me. - arrossii in modo involontario.
- Cosa stai.. - sussurrai. Non feci in tempo a finire che mi tirò a sé.
- Io credo che tu non voglia accettare perchè hai paura di non esser brava...Quello spetta a me deciderlo. O magari sei solo una verginella che piange davanti ai film d'amore che danno in televisione. - mi sussurrò all'orecchio mentre la mano passava dal polso alla mia schiena, scendendo lentamente verso il basso. Mi sentivo terrorizzata, terribilmente terrorizzata. Avrebbe fatto male di nuovo, lo sapevo e ne avevo paura. - Irene io.. - lo sentii allontanarsi d'improvviso e un profumo di stoffa lacera mi riempì le narici. Il bambino gemette ed il palloncino volò via.
- Signore, un palloncino per questo splendido bimbo. -
Approfittai per andarmene a gambe levate. Avrei ringraziato dopo Fernando, tanto abitavamo nello stesso condominio.
Corsi tra la folla, allontanandomi il più possibile. La mia mente pensava solo a correre, fuggire e così fu, fino a quando le gambe e I piedi cominciarono a farmi male. Mi fermai, poggiandomi le mani sulle ginocchia, riprendendo fiato.
- Irene? Cos'hai? - sentire la voce di Norman mi fece passare attraverso il corpo una scarica di nervi, tanto che mi alzai di scatto e gli tirai un ceffone, tanto forte da fargli girare la testa di lato. Non mi sarei mai pentita di quel gesto. Mai, per un dannato giocatore d'azzardo. Rimanemmo entrambi in silenzio.
- Cosa...? - gemette, portandosi una mano sulla guancia offesa. Solo guardando il suo viso mi resi conto di quanto mi fossi sbagliata. Lui non era Joe. Lui mi amava e io lo avevo schiaffeggiato per una scommessa persa in partenza. Tirai su con il naso e solo in quel momento mi resi conto che stavo piangendo.
- Scusami, mi hai spaventata. - mi giustificai.
- Cos'è successo? - disse eclissando il discorso.
- Ho incontrato Joe...è un fottuto maniaco. - gemetti, mentre le lacrime mi tornavano agli occhi. Il pianto non era stato causato da ciò che era appena successo, assolutamente, non ero tanto emotiva. Probabilmente avevo cominciato a piangere per colpa dei ricordi che mi erano tornati alla mente la notte, l'unica notte, in cui Andrea mi aveva stretto fra le sue braccia. Joe voleva rovinarmi tutti I ricordi.
Lui non rispose.
- La parata è finita comunque. Fra poco inizierà la messa. - m'informò. Sapeva che ero credente e gentilmente mi aveva avvisato. Norman era uno dei pochi amici su cui potessi veramente contare. Mi piaceva la sua tenacia, mi faceva sentire protetta, ma non avrei mai potuto amarlo. Il suo amore non avrebbe mai guarito la mia ferita e io dovevo farcela da sola. Senza il suo aiuto.
- Grazie. - dissi facendomi aria con la mano – Ci vediamo domani in ufficio. - tagliai corto. Ci salutammo ed io mi diressi verso la chiesa.

Appena finita la celebrazione, con I vari canti e tutto il resto, tornai verso il condominio. La strada era deserta, tranne qualche turista appiccicato alle bancarelle. Le macchine passavano di nuovo in strada, rovinando I nostri amati disegni. Sarebbero scomparsi da un momento all'altro, ormai.
In chiesa non avevo trovato posto a sedere e I piedi mi facevano malissimo per la fuga di prima. Non me la sentivo di salire le scale, avevo gli occhi ancora gonfi e la testa mi martellava per il chiasso che c'era in chiesa.
Mi sedetti sul secondo scalino, in attesa che la voglia di salire mi arrivasse alle gambe. Sospirai, guardando verso il quadro appeso sul muro, vicino alla cassetta della posta. Era astratto, solo il pittore sapeva che sentimenti c'erano racchiusi dentro. A me non piacevano I disegni di quel genere, quindi di conseguenza il quadro non m'interessava, ma visto che non volevo sbirciare nella posta dei condomini, era l'unico passatempo che avevo a disposizione.
Il portone si aprì. Non mi curai dell'impressione che avrei fatto stando seduta sulle scale e continuai a fissare quell'insignificante tela.
Ben presto trovai altro da fare, quando sentii per Il corridoio la voce di Fernando.
- ...se per Novembre non sarà in Inghilterra, perderà tutto il lavoro! - disse una voce che conosceva.
- Non me la sento di venire. -
- Con I venditori di strada stiamo guadagnando una fortuna, non puoi tirarti indietro adesso che ci sei in mezzo. - insistette la voce.
Cominciai a sospettare qualcosa. Fernando non mi aveva mai detto che lavoro facesse e sicuramente una macchina simile non poteva permettersela chiunque.
- Voglio prendermi una pausa. - disse stanco il mio vicino.
- Pensaci bene. Una volta che hai cominciato non puoi tirarti indietro. Richiamami e fammi sapere. -
Sentii il portone sbattere pesantemente e dei passi venire verso di me. Quando Fernando girò l'angolo, lo vidi scaraventare una busta verso il muro, arrabbiato. Sussultai, era la prima volta che lo vedevo così.
Si accorse della mia presenza e si girò verso di me, arrossendo. Sul suo viso passarono miliardi e miliardi di espressioni, fermandomi poi sul solito sorriso che mi faceva gelare il sangue.
- Come mai qui? Mi aspettavi? - chiese venendomi incontro.
Quando vidi le sue labbra muoversi avvampai, ricordandomi cosa era successo in strada. Avrei voluto alzarmi, ma I piedi mi facevano un male tremendo, quindi rinunciai.
- In realtà mi fanno male I piedi e sto aspettando che mi venga la voglia di salire. - confessai senza peli sulla lingua. Passai le braccia intorno alle gambe, guardandolo imbarazzata.
- Che ne dici se ti porto su io? -
- Dico di no. - tagliai corto, scuotendo la testa velocemente.
- Forza, sei leggera, non ci metterò niente. - insistette allungando le braccia.
- Sono più pesante di quanto pensi. - mi affrettai a dire afferrandogli il polso.
- Non fare la bambina. Se non ce la fai è meglio che ti porti fino al letto.. - si fermò quando vide la mia espressione indignata - ...o il divano. - si corresse.
Mi tirò in braccio senza troppi complimenti e rimase per un attimo fermo, come se mi stesse pesando. Sicuramente non m'importava cosa avrebbe detto o se gli fosse venuta l'ernia del disco. Io l'avevo avvertito e mi sentivo in pace con me stessa.
- Credo che sia meglio che tu mi metta giù – dissi dopo un interminabile minuto di silenzio. Eravamo ancora fermi al terzo scalino, era ora che si muovesse.
- No, sei leggera come una felpa. - decisamente strano come complimento.
- Ai miei tempi si dice “leggera come una piuma” -
- Se hai addosso una piuma neanche te ne accorgi. Tu sei leggera, calda. Come una felpa. -
- Sei un tipo decisamente strano... - commentai, sussultando quando cominciò a muoversi. Mi spaventai quando mi resi conto che stava salendo due scalini alla volta. - Rallenta! - urlai quasi, spaventata e lui obbedì, ridacchiando. Mi voltai verso di lui. Il suo profumo mi assalì. Mi faceva sentire al sicuro.
- Spero che prima non ti sia andata a finire la barba in bocca. - mi chiese serio.
- N-No. Niente del genere. - risposi girandomi subito dall'altra parte.
Saliva gli scalini uno alla volta, piano piano. Il viaggio sembrava terribilmente lungo e un silenzio imbarazzante piombò tra di noi. Arrivammo al mio piano e mi abbassò un tantino per farmi aprire la porta. Presi le chiavi goffamente e aprii. Grace non era ancora tornata. Mi portò dentro, svoltando a destra fino alla mia camera da letto. Quando sentii il materasso soffice sotto la mia schiena sospirai e chiusi gli occhi.
- Gra- - mormorai quando riaprii gli occhi, trovandomelo vicinissimo, seduto vicino a me.
- A me è piaciuto tantissimo, Irene. - sussurrò vicino al mio orecchio.
Non mi usciva una parola per l'emozione.
- Le tue labbra sono così morbide...La tua pelle così profumata... - continuò, intrappolandomi il lobo tra le labbra, giocandoci un tantino, facendomi ansimare. La mia mente si era svuotata all'istante.
- Irene.. - mi chiamò ancora.
La porta si aprì e ci irriggidimmo entrambi.
- Grazie per aver tenuto il bambino. - era Grace.
- Non c'è problema. - rispose Joe. Mi tirai a sedere.
- Lo porto nel box. - si sentirono dei passi veloci e altri più lenti, probabilmente I due erano entrati.
Cominciarono a mugugnare e io e Fernando ci guardammo interrogativi.
- Cosa ti importa? Irene non c'è. - disse Joe.
- Joe... - ansimò Grace. Diventammo rossi entrambi. Ormai non c'erano più dubbi su ciò che stessero facendo. Mi portai una mano sulle labbra.
- Usiamo..Usiamo la camera.. - ansimò lei e si udirono passi. Mi prese il panico. Dovevo nascondermi o farmi vedere? Dopotutto il letto era il mio, come l'appartamento e sinceramente non volevo che facessero qualcosa proprio dove avrei dormito quella stessa notte.
- No, aspetta! - gemette di nuovo Grace – Sul mio lettino sarà meglio. Le molle cigolano. -
Altri passi e un tonfo.
Come potevano fare una cosa simile davanti al bambino?
Mi voltai verso Fernando, che ascoltava, con una strana smorfia, quasi si stesse immaginando la scena. Quando iniziarono I gemiti, guardò verso di me con occhi liquidi. Era una situazione dannatamente strana, quella. Quegli occhi mi avrebbero fatto finire al manicomio. Non poteva usarli contro di me, non avrei resistito e forse era proprio quella la sua intenzione. Si inumidì le labbra.
Tutto successe con un secondo. Si tuffò sulla mia bocca, leccandola avidamente, chiedendomi il permesso di approfondire il bacio. Glielo concessi. Non sarei andata oltre.
Mi sentivo svenire per la sua audacia. Sembravo una ragazzina alle prime armi, ma la verità era solo che avevo perso la mano per quelle cose. Mi baciò in modo passionale, lentamente, in modo da farmi rispondere con abbastanza calma. Sentii un accenno di caffè in bocca, probabilmente era quello che aveva preso con l'uomo con cui aveva discusso per il corridoio. Giusto, quel discorso. Mi irriggidii e lui smise di baciarmi, guardandomi interrogativo. Come avevo potuto lasciarmi andare?
Fernando non mi aveva mai rivelato il suo vero lavoro, mi aveva sfidato a scoprirlo. Io venivo da un paese mafioso. Non volevo farmi inghiottire anche da un circolo di droga, avevo sofferto abbastanza. Però se tutto quello era vero, probabilmente se avesse sospettato che avevo ascoltato la conversazione, probabilmente mi avrebbe fatto tacere in qualche modo. Non dovevo sottovalutarlo, ma se l'avessi trattato freddamente dopo quell'episodio avrebbe sospettato qualcosa. Piombai nel panico.
Mi tirai indietro e diedi una gomitata allo stipite del letto senza volerlo. I gemiti si fermarono all'istante.
Sentii dei mormorii e un rumore di zip che veniva tirata su. Grace arrivò ancora rossa in viso alla porta della mia camera. Inizialmente aveva dipinta sul volto una smorfia di paura, poi passò all'imbarazzo e dopo aver riconosciuto il mio ospite mi mandò un'occhiata ammonitrice.
Fernando mi salutò con un bacio sulla guancia. Joe era già andato via.
La giornata proseguì nel più profondo imbarazzo tra di noi, tanto che parlammo di cose stupide e banali. Prima di andare a dormire, presi la macchina fotografica per rivedere le foto che avevo scattato, tutte buone e a fuoco. Avrei selezionato quelle migliori per il mio articolo.

Il mattino successivo, Fernando mi accompagnò in macchina, come d'accordo. La radio disse che c'era un traffico sulla strada che portava al mio ufficio, quindi si offrì di pacheggiare nei pressi e di andare verso l'azienda a piedi. Accettai. Dopotutto se non avessi fatto parola di ciò che avevo sentito, non mi sarebbe successo assolutamente niente. O almeno speravo.
Mentre eravamo in strada parlammo di argomenti vari. Si fermò all'edicola per prendere il New york Times.
- Irene! - mi chiamò mentre leggeva un articolo di una rubrica.
- Si? - chiesi sorseggiando la mia cioccolata calda che gentilmente mi aveva offerto.
Mi mostrò un titolo in fondo alla prima pagina.
Little Italy – San Gennaro: That's Amore.
Mi accigliai a leggere un titolo simile.
Andò alla pagina indicata e là, poprio al centro del foglio, c'era stampata la nostra foto, QUELLA foto. Sbiancai all'istante. No, non potevo reggere una cosa simile. Strabuzzai un po' gli occhi. Forse avevo sbagliato, eppure la foto era chiarissima. Lui chino sulle mie labbra e io con una mano sulla sua guancia, che non mi ero neanche accorta di aver alzato.
Lo guardai imbarazzata e indignata, mordendomi il labbro, aspettando la sua reazione, ma lui mi stava semplicemente guardando, imbacuccato dentro Il suo cappotto da mille dollari e la dentro la sua sciarpa firmata. Sorrideva, col naso rosso e gli occhi brillanti.
In quel momento, quando mi sporsi verso di lui e lo baciai, capii.
La mia non era una cotta. Era qualcosa di dannatamente serio, troppo serio.
Mi cacciavo sempre nei guai, ma che potevo farci se non potevo vivere senza I miei stupidi problemi? Capii che l'amore non ha ostacoli, non ha pregiudizi, non ha ragione. L'amore è come una clessidra: se si riempie il cuore, la mente si svuota. Lui, quell'uomo splendido che mi teneva stretta a sè con il giornale ancora tra le dita, era il mio amore, il Dio del mio cuore e non avrei potuto impedirlo. L'amavo, l'amavo tantissimo e non avrei permesso al mio cervello di farmelo scappare, non ora che ne avevo tremendamente bisogno.
Quel bacio di una mattina gelida di settembre, mi scaldò più della cioccolata calda che ora giaceva impotente sul marciapiede.

NOTE FINALI_________

@babyblack:Non sai quanto mi abbia reso felice leggere la tua prima recensione! Beh che dirti? Non posso far altro che ritenerti un'anima Pia per aver letto questo racconto nato decisamente dal nulla. Sono felice che i miei personaggi come la mia scrittura siano molto apprezzati da te. Spero di non annoiarti con i prossimi capitoli e che tu continui a leggerli con la stessa euforia. Baci haki-chan <3

@momi87:Cavoli, ho una lettrice e neanche lo sapevo?! Sai, io sono del parere che la vita non sia perfetta e ho deciso di puntare molto sul realismo con questa fanfic, anche se potrebbe sembrare pesante per qualcuno. Volevo raccontare qualcosa di vero, che accade realmente, ma non ho certo intenzione di offendere il mio Paese con questo scritto, perchè io stessa lo amo tantissimo. Per concludere, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto molto e che continuerai a seguirmi. Sai che ti dico, ti lascio nel dubbio, presto scoprirai le origini di Fernando. Baci haki-chan <3

Grazie ad entrambe per le vostre splendide recensioni. Mi avete tirato molto su il morale. Stavo quasi decidendo di eliminare tutto, ma ecco che dal nulla più assoluto spuntate voi due. Gentilissime. Non ditelo a nessuno ma mi sono venute le lacrime agli occhi quando ho letto entrambe le vostre recensioni. Ecco sfornato un nuovo capitolo per dimostrarvi la mia gratitudine, ed ecco un triangolo che viene a formarsi pian piano. Ho già creato una scaletta per aiutarmi con il prossimo capitolo e spero di pubblicarlo a breve. La citazione in corsivo l'ho presa da un fumetto di Dylan Dog. E' una frase di Groucho, tanto per mettere i crediti xD A presto cari lettori, vi adoro.
   
 
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