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Autore: Sanya    05/09/2010    2 recensioni
Alice Cullen non riesce a ricordare nulla del suo passato. Vede solo uno spesso muro nero, quando ci pensa. Ma vi siete mai chiesti cosa c'era esattamente nel suo passato? Quali sono state le decisioni che l'hanno portata a finire in manicomio e ad essere trasformata in una vampira?
E poi, siamo davvero sicuri che il suo creatore rappresentasse per lei solo uno sconosciuto?
Capitoli in via di revisione. Work in Progress
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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Ooooochei, lettori!! Bentornati!!!

Eccovi l'ottavo capitolo!!! GiàGià, l'ispirazione non si ferma (per fortuna), anzi! Sono tanto ispirata che in due giorni mi sono venute in mente due idee per delle storie nuove *.* Eheheheh! Ma bisognerà avere pazienza perchè prima volglio finire una delle due storie che ho attive (probabilmente questa, visto che per quella di Tanya dovrò mettermi a studiare ben bene i libri >.<).

'Hey, indovina ci viene a cena?' è la frase che potrebbe calzare per questo capitolo, ovviamente "cena" inteso in senso lato xD Sempre a pensare maleeee!!!

I ringraziamenti sono sempre gli stessi xD Vorrei solo dire una cosa a Mafra: mi dispiace tanto di essermi impicciata dei tuoi fatti personali. Ne avevamo già parlato nel blog ma voglio cogliere l'occasione per scusarmi ancora e per ringraziarti della seconda possibilità del contest ;)

Bene, ora vi faccio leggere!!!

Buona lettura ;)

 

CAPITOLO 7

Mi ritrovai sotto la veranda di casa Brandon in nemmeno due minuti. Nessuna luce accesa brillava nell’oscurità di quel salotto che avevo intravisto così tante volte attraverso gli spessi vetri delle finestre, ma che ora avrei visto in prima persona.

Dopo aver deciso che mi sarei presentato di persona per dare una mano avevo passato molto tempo a sistemare il mio aspetto trascurato da decenni: innanzi tutto avevo rubato un nuovo abito perché il mio era troppo sciupato, dopo di che passai molto tempo a ripulirmi e a cercare di essere presentabile. Controllai i miei occhi più e più volte negli specchi d’acqua che incontravo durante il cammino, ma il colore risultava sempre accettabile: erano di un viola talmente scuro che pareva nero. Sistemai un ultima volta i folti capelli color terra bruciata.

Presi un respiro profondo e bussai tre volte sulla superficie leggera della bianca porta d’ingresso. Aspettai qualche secondo, nel quale i miei ripensamenti galleggiarono sulla mia coscienza come pezzi di sughero, prima di udire dei tonfi frettolosi venire ad aprire la porta.

-Buongiorno- salutò Virginia, la governante che avevo visto tante volte giocare con Alice e Cynthia. Vestiva un lungo vestito color lavanda sovrastato da un grembiule stropicciato. I capelli erano raccolti precariamente in un fermaglio nero e sul viso si potevano leggere i segni della stanchezza.

-Buongiorno. È questa casa Brandon?- chiesi gentilmente, togliendomi il capello, trovato per l’occasione.

-Sì, è questa. Siete l’assistente del dottor Scott?- domandò, una vaga traccia di speranza sul volto.

-No, mi spiace. In realtà, mi chiamo Byron Chapman. Sono il nipote più grande della signora Chapman. Fa la sarta in città- spiegai, mettendo in pratica la bugia che avevo ripetuto più e più volte durante i miei preparativi. Ringraziai il cielo per aver letto il cognome di Sophie sulle vetrate impolverate della sartoria.

-Ah. Molto piacere, io sono Virginia Webb, ma chiamatemi solo Virginia. Non sapevo che la cara Sophie avesse un nipote, non ne ha mai parlato…- esclamò, lasciando la frase in sospeso. Lessi, nei tratti materni del suo viso, la confusione del mio arrivo inaspettato.

-Già, lei e mia madre non erano in buoni rapporti. Ma, come si suol dire, quando c’è bisogno di un aiuto, i parenti sono sempre pronti- spiegai, cercando di mascherare l’imbarazzo e l’indecisione che il raccontare bugie comportava. Virginia mi squadrò per qualche minuto ancora, cercando di trovare delle somiglianze che non c’erano. Scosse la testa, tornando alla realtà.

-Che maleducata che sono! Non è carino lasciare un ospite fuori di casa! Prego, entrate!- esordì. Io entrai titubante nella casa in cui avevo sempre desiderato vivere, ma che non avrei mai potuto abitare. Era strano trovarsi lì, ora. Mi persi a osservare il mobilio semplice ma elegante che arredava il salotto: le poltrone rivestite di morbida pelle beige invitavano anche il più restio degli ospiti a sedersi, la legna secca scoppiettava indisturbata nel caminetto, le ceste piene di giornali e pizzi ricamati avevano un’aria accogliente e familiare. La scalinata di innocente legno bianco si inerpicava tranquilla dal corridoio fino alle stanze superiori. Nulla avrebbe preannunciato che in quella casa si stava combattendo una battaglia con la morte.

-Venite, signor Chapman. Seguitemi nella cucina- intimò gentilmente la governante. Mi guidò attraverso il lungo corridoio che portava ai piedi della scala, ma, poco prima di raggiungere il primo gradino, Virginia sviò verso una piccola porticina sul lato destro del corridoio.

Lo stanzone in cui ci ritrovammo mi stupì particolarmente: era immenso, quasi era difficile credere che fosse celato da una porta così minuscola. Nell’angolo più nascosto, un possente cammino dominava l’intera stanza. Un lungo tavolo di noce, simile a quelli che si trovano nelle locande, riempiva la stanza in tutta la sua lunghezza. Hai lati, c’erano innumerevoli pentole di rame, mestoloni e dispense contenenti ingredienti di vario genere.

-Sedetevi, vi prego- mi invitò Virginia.

-Grazie- dissi, sorridendole con gratitudine. Scostai la sedia e mi misi a sedere nell’angolo più vicino al camino.

Virginia, nonostante continuassi a declinare, insistette nel prepararmi un buon tè. Restammo nel silenzio più assoluto mentre lei metteva a bollire l’acqua nella stufa a legna e sceglieva tra i tanti infusi a sua disposizione. Quando tutto fu pronto, versò il liquido color ambra in due tazze di porcellana dipinta e si mise a sedere accanto a me. Sorseggiò per qualche minuto la sua bevanda mentre io mi perdevo negli sbuffi di fumo che si disperdevano nell’aria.

-Signor Chapman…- cominciò dopo qualche minuto.

-Chiamatemi pure Byron…- la interruppi. Lo fece più per guadagnare tempo che per scortesia.

-Byron, non vorrei sembrare scortese, ma…vorrei sapere cosa l’ha spinta a venire a farci visita- chiese, fissandosi le mani, imbarazzata. Tentai di concentrarmi e di raccontare la storia come l’avevo imparata.

-Bhe, mia zia e mio zio hanno deciso di trasferirsi dai miei genitori, che hanno una residenza in campagna, per qualche tempo. Sapete, con tre figli così piccoli anche un raffreddore potrebbe essere pericoloso; l’hanno fatto per precauzione, più che altro…- spiegai.

-Ancora non capisco…- disse, guardandomi confusa.

-Diciamo che io sono qui solo di vedetta. Visto che sono il più maturo della famiglia, zia Sophie mi ha pregato di venire qui a controllare che tutto procedesse per il verso giusto. Mi ha anche parlato di voi, molto: mi ha raccontato che era molto amica della signora Brandon. Mi ha scongiurato di venire a farvi visita ogni volta possibile per sapere come procede la loro malattia, ovviamente se ciò non arreca disturbo…- raccontai.

-No, Byron, assolutamente! Voi non arrecate nessun disturbo!- mi tranquillizzò.

-Mi ha chiesto di aiutarvi in ogni modo possibile, se ce ne fosse bisogno. Con denaro, medicinali, anche con solo la mia presenza, se potesse tornare utile- continuai.

-Oh, vostra zia è veramente una persona d’oro. Non pensavo che si preoccupasse così tanto delle nostre sorti. Ringraziatela tanto, non appena avrete occasione di sentirla- esclamò. Uno spesso velo di gratitudine le ricopriva la voce.

-Sono scortese se vi chiedo come stanno il signor Brandon e sua figlia?- chiesi, ormai scalpitante di curiosità.

Vidi i tratti del suo viso irrigidirsi per poi intristirsi. Abbassò lo sguardo e cominciò a passare le dita sul bordo della tazza. Quando rialzò lo sguardo un velo di lacrime separava le sue iridi color muschio dalle mie scure e pericolose. Capii al volo: la situazione non era migliorata, peggiorata, se mai.

-Non ci sono stati molti miglioramenti- riuscì a biascicare, –Il signor Brandon è stazionario, ma Alice…- scosse la testa, -Il dottore ci ha detto di continuare ad avere fede: se Dio è clemente, farà un miracolo…- aggiunse, abbassando lo sguardo e congiungendo le mani in grembo.

-Mi dispiace molto- dissi, cercando di rimanere estraneo alla situazione. Ma come potevo? La mia piccola stella stava morendo nella stessa casa! Come potevo anche minimamente convincermi a recitare una parte che non era mia?

Una parte di me avrebbe voluto volare su per quelle scale, aprire la porta della sua stanza e stringerla al petto. Avrei sofferto con lei la malattia, l’avrei aiutata a combattere.

-La signora Brandon ha deciso di mandare la sua primogenita Cynthia a casa di sua sorella che vive a St. Louis così almeno starà lontana dalla malattia. È partita stamattina all’alba. Margaret invece ha deciso di rimanere qui a prendersi cura del marito e della figlia; non so quanto questo possa durare: Meg è molto debole, sia mentalmente che fisicamente- continuò.

-Virginia, sappiate che è per questo che sono venuto qui, per dare una mano, per rendermi utile. Farò qualsiasi cosa perché il signor Brandon e Alice sopravvivano. Lo prometto- mormorai, posandole una mano sulla spalla.

-Avete un cuore d’oro, Byron, sul serio. Prendersi cura di sconosciuti solo per amor loro e della zia. Siete gentile- mormorò, posando a sua volta la mano sulla mia. Rabbrividì al contatto con la mia pelle di ghiaccio e, d’istinto, allontanai la mia mano da lei.

Si schiarì la voce e cercò di sistemarsi meglio i capelli.

-Farò di tutto per dare una mano- promisi ancora.

Virginia annuì e si alzò per riporre le tazze da tè nel lavabo. Le sciacquò più volte e le ripose ad asciugare sopra uno straccio sull’immenso tavolo. Improvvisamente sentii dei tonfi stanchi provenire dalle scale. Poco dopo, la porta della cucina si aprì con uno scatto e apparve la figura sfinita della signora Brandon, Margaret.

-Virginia, abbiamo bisogno di altra acqua fresca. Questa si è già riscaldata troppo- farfugliò.

Appena scorse la mia presenza si immobilizzò come se avesse visto un fantasma. Non c’era paura che attraversava il suo volto, solo titubanza.

-Buongiorno, signora Brandon- salutai, facendo un vago cenno del capo.

-Buongiorno- ricambiò lei, cercando di essere gentile, ma evidentemente perplessa. Schioccò uno sguardo di rimprovero a Virginia che prontamente spiegò la situazione.

-Lui è il nipote di Sophie Chapman, la sarta che ha la bottega giù in paese- puntualizzò.

-Sì. Mi chiamo Byron. Mia zia mi ha chiesto di starvi vicino in questo momento così delicato. Spero di non creare alcun disturbo…- aggiunsi, mentendo ancora una volta.

-Bhe, mi fa piacere che a Sophie stia a cuore la nostra situazione- commentò, svuotando la bacinella. –Comunque, è un vero onore; due mani in più fanno sempre comodo- aggiunse apatica, come se le venisse chiesto il parere di una trasmissione radiofonica di cui non conoscesse nemmeno l’esistenza.

-Perfetto- annuì Virginia, asciugandosi le mani sul cotone consunto del grembiule –Preparerò una stanza da letto, allora- propose. Cominciò ad avviarsi, sempre con quel suo passo frettoloso e maldestro, verso la porta della cucina.

-No!- urlai. Non potevo vivere notte e giorno in casa con loro, era escluso: come avrei giustificato le mie ripetute assenze? E il mio infaticabile, insonne fisico? Inoltre, sarebbe stato rischioso: la mia sete instabile avrebbe potuto trasformarmi da un momento all’altro da paladino della giustizia ad assassino bramoso di sangue, nel vero senso della parola.

Le due donne mi fissarono stupite della mia reazione: la signora Brandon fece traboccare un po’ d’acqua dal contenitore che teneva tra le mani, Virginia mi fissava con sguardo vivido.

-Bhe, immagino che il signor Byron abbia già trovato una sistemazione. E poi si dovrà occupare degli affari di famiglia. Non è vero, signor Byron?- puntualizzò la signora Brandon; sembrava volesse scusare quella mia reazione esagerata come fa una madre col proprio figlio.

-Sì, infatti- assentii, cercando di far sparire il nervosismo dal mio volto.

-Oh, d’accordo- accettò Virginia.

-Però prometto di essere da voi ogni volta mi sarà possibile- rassicurai con un sorriso sforzato.

-Scusate, ma ora devo proprio lasciarvi, signor Byron. È stato un vero piacere fare la sua conoscenza e la ringrazio immensamente per la sua disponibilità- si congedò con un movimento stanco del capo.

-Arrivederci, signora Brandon. A presto- salutai.

-Ah, Virginia- si ricordò improvvisamente sulla soglia della stanza –Prova a preparare un po’ di minestra calda per pranzo. Voglio vedere se riesco a far mangiare loro qualcosa, per lo meno a Christopher- ordinò.

-Certamente- rispose gentilmente la governante.

Dopo che la signora Margaret lasciò la stanza, rimanemmo per qualche secondo in silenzio: Virginia occupata a spentolare con i suoi mille e più ingredienti, io giocherellavo con il bordo della tazza ancora piena che avevo sott’occhio.

-Adesso devo proprio andare- annunciai, alzandomi lentamente dalla sedia.

Virginia mi lanciò uno sguardo da dietro le spalle e si voltò verso di me –D’accordo, vi accompagno alla porta-.

Camminammo fianco a fianco fino alla porta d’ingresso, ripercorrendo a ritroso il percorso dell’andata.

-Byron, mi scuso per come si è comportata la signora Margaret oggi. È molto in pena per i suoi cari e non riesce a concentrarsi su altro…- abbassò lo sguardo, fissando le sue mani screpolate.

-Non vi preoccupate, Virginia. Capisco che è un momento difficile per tutti voi- sussurrai.

Uscii dall’uscio e cominciai a scendere i tre gradini della veranda. Dietro di me, sentii la porta bianca cigolare sule giunture. Poi sbatté e il rumore dei passi picchiettò sul pavimento. A passo d’uomo mi diressi verso il possente cancello di ferro battuto che divideva la strada sterrata dalla casa. Affidai i miei pensieri a Dio e pregai con tutto me stesso che la situazione si concludesse nel migliore dei modi.

 

   
 
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