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Autore: beesp    07/09/2010    0 recensioni
Sirius Black non è mai morto.
Un inquietante marchingegno, il container, può tutto...
Un futuro roseo per gli abitanti della terra.
Storia prima classificata al "Return contest". Ambientata nel futuro, parla di una storia contemporanea che è stata modificata.
Potrebbe esserci un pezzo della storia che potrebbe turbare alcuni stomaci. Se siete esageratamente sensibili, non è la storia che fa per voi. E se leggete solo storie con sangue - ovvero splatter - lasciate perdere in partenza.
Genere: Sovrannaturale, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da V libro alternativo
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~ Introduzione


Il duemila, per chi visse in quel periodo, fu caratterizzato da insoliti avvenimenti. Gli esseri umani narrarono leggende, miti, vi si riappassionarono. Nelle loro televisioni, sugli schermi dei cinema, proiettavano storie di eroi e di personaggi che sarebbero riusciti a salvare il loro stesso mondo.

Per gli storici del duemiladuecento in poi fu a causa delle enormi crisi che imperversavano sulla Terra, quelle economiche in particolare. Il territorio arabo-asiatico era scosso da tremende lotte interne che, per le fonti di petrolio, erano appoggiate dagli Stati Uniti e dai paesi più ricchi.

L’Africa era immersa nella povertà e nella carestia, circa cento bambini al giorno morivano per malattie come l’AIDS (che ai giorni nostri è scomparsa) o la malaria (ormai rarissima). Erano poche le persone che, nel vecchio continente, potevano vantare gli studi elementari.

L’acqua scarseggiava e le nazioni, pian piano, si preparavano a far fronte all’emergenza nel caso questa importantissima risorse si fosse estinta. Si pensava, infatti, che entro il duemilacento non sarebbe bastata nemmeno per la metà dei pochi eletti che ne usufruivano.

Molti attribuirono questi scombossulamenti a una vicina fine del mondo, datata per il Ventun Dicembre Duemiladodici. Era stato interpretato dai testimoni di Geova, adepti di una religione dell’epoca, che l’anno dell’Apocalissi sarebbe stato quello. Il Giudizio Universale. Un evento che veniva narrato perfino nella Bibbia, senza che si specificasse quando sarebbe arrivato. A infervorare le tesi il calendario Maia, che proseguiva fino al Duemiladodici.

Oltre un meteorite, nel duemilatrentasei, non vi fu null’altro di quanto previsto. Fu un sollievo, naturalmente. Ma non per tutti. Da quel momento il movimento dell’Onda, un’associazione di ragazzi italiani, si espanse per l’intero pianeta, smuovendo governi, tradizioni e comunicazioni. Gli adolescenti, che sentivano il bisogno di sostituire le mani che possedevano il potere, si unirono in un unico grido, il ruggito della pantera – simbolo del movimento del 1968 che rivoluzionò, non quanto l’Onda, il mondo. La pantera era stesa regalmente su una tavola da surf, in equilibrio su un’alta onda blu. Questa la bandiera dell’Unione.

La loro lingua ufficiale era l’Inglese, organizzavano riunioni attraverso una chat privata una volta alla settimana, discutendo dei loro piani per conquistare i parlamenti di ogni stato.

L’Otto Marzo Duemilaquaranta, la Francia, l’Italia, la Germania e l’Inghilterra furono assediate da mille tra quindicenni, sedicenni e diciassettenni ciascuna. Alla fine del duemilaquarantuno non esisteva più alcun governo presieduto da maggiorenni. Furono riscritte leggi in quasi tutto il mondo, distrutte bombe atomiche, firmati accordi di pace tra stati che, fino ad allora, erano stati ostili tra loro. Le tecnologie si armonizzarono ad ampi spazi verdi; nei paesi più caldi furono di nuovo preferite tende a palazzi che vennero abbattuti. Gli Israeliani si occuparono della fertilizzazione dell’Africa, mentre in America fu istituita una giornata di lutto nazionale, “Giorno della Commemorazione degli Indiani d’America[1]”. In Italia, in particolare al Sud (storicamente sovraffollato), furono rase al suolo centinaia di costruzioni abusive, le persone che fino ad allora vi avevano vissuto avevano avuto la possibilità di scegliere tra la Zona Equatoriale, il Canada e l’Australia.

Vigevano democrazie pacifiste, le armi erano state per lo più fuse e con il metallo da esse ricavate erano stati edificati i pilastri per nuove scuole, ospedali, negozi alimenari, dove si necessitavano costruzioni del genere.

Duecento miliardi di dollari, tra il duemilasettanta e il duemilasettantacinque, furono investiti per la ricerca medica che scoprì cure per diverse malattie fatali quali il cancro, l’AIDS e la malaria – prima citate – la tubercolosi, la progerie[2]. Dal duemilaottanta al duemilaottantatré si lavorò a un modo per rendere fertili sia uomini che donne, vi s’impegnarono medici e ricercatori da tutto il mondo e finalmente, alla fine del duemilaottantaquattro, venne pubblicata una tesi sulle cure e gli estratti necessari per poter proliferare anche se alla nascita non si avesse posseduto questa predisposizione. Si trattava di sostanze costose, ma con il tempo si riuscirono a organizzare delle culture con i vegetali necessari.


Per molti anni gli esseri umani si domandarono cosa avesse dato le capacità a quei ragazzi, che un tempo erano stati definiti fragili – e avrebbero dovuto essere analfabeti a causa del modo in cui la scuola era stata trasformata. Ipotizzavano avessero fatto parte di una sorta di setta che li istruiva e preparava alla “lotta”: un luogo dove potessero ritrovarsi e imparare tutto ciò che c’era da sapere sulle origini del loro mondo, la grammatica, le lingue, la geografia, il necessario perché potessero governare i paesi.


Nel duemilacentocinquanta comparve sulla scena uno strano documento che per molti mesi si diffuse attraverso comunicazioni in internet. Si credeva fosse uno scherzo, ma quando le notizie stavano per giungere ai mass-media il tutto venne censurato dai governi. Si citavano un certo Sirius Black, una scuola chiamata Hogwarts, e la parola in codice “magia”, chiave di quei nomi che tutt’oggi nessuno è riuscito a decifrare. Nelle poche pagine una ragazza – Ginny Wesleay – raccontava di come Sirius fosse tornato (si ipotizza da una sorta di prigione, o addirittura da un laboratorio illegale di esperimenti), dell’emozione nel vederlo comparire di suo marito e delle idee geniali che propose loro. Spiegava che avevano radunato di nuovo i membri de “L’Ordine della Fenice”: era giunto il momento per loro di aiutare i babbani a risollevare i loro Stati. Nelle ultime righe Ginny annotò brevemente sintesi poco dettagliate – e dalle quali si poteva evincere quasi nulla – degli argomenti delle loro discussioni.

L’ultima frase recitava: « Il mondo magico è stato travagliato negli ultimi sessant’anni da disavventure molteplici a causa di Voldemort. Ora le più grandi nazioni hanno bisogno di ragazzi giovani, con idee innovative, che non abbiano interessi personali nel governare il mondo, se non la voglia di poter promettere un futuro migliore ai loro pronipoti. E noi, Ordine della Fenice, assieme al Ministero Della Magia, organizzeremo tutto per far sì che questi giovani abbiano le capacità per farlo ».

Già in precedenza, qualcuno aveva accennato al nome di Sirius Black, ma in quelle note si attribuiva a lui la maggior parte delle opere del fantomatico Ordine della Fenice e alla sua amata Penelope. Sui blog nacque la moda di osannare il Signor Black e i suoi amici, si conferì a loro, per una ventina d’anni, il merito per il miglioramento visibile e radicale della Terra. Ginny Wesleay divenne – e rimase – simbolo di una generazione di donne indipendenti, che non avrebbero mai più accettato di sentirsi inferiori agli uomini.

Ma tutto venne dimenticato dopo il duemiladuecento, quando nuove leggende (e mode) furono diffuse.


Fine Introduzione ~



Quando la vita di Paco – Pacifico all’anagrafe – cambiò era il Duemilacinquecentotrentasei. Aveva appena sedici anni, un volto sempre sorridente e la speranza tipica dei ragazzi della nuova era. Conosceva meglio della media la storia degli anni Duemila: i suoi genitori erano degli appassionati, la loro casa era piena di libri e manoscritti. Paco era cresciuto tra il profumo di polvere dei volumi antichi, stando attento sin da piccolo a non sgualcire le copertine e trattare con cura le pagine ingiallite. Il suo autore preferito era Stefano Benni[3], che sembrava descrivere alla perfezione, attraverso metafore e nomi storpiati allusivi, la situazione del suo paese. Si era informato su romanzi come la saga di “Twilight” che aveva smosso masse di ragazzine e le aveva fatte appassionare alla lettura, iniziando con quel libro sopravvalutato fin troppo, arrivando a grandi della letteratura mondiale come Oscar Wilde e Shakespeare. Aveva studiato con passione le vicende politiche e gli intrighi che s’intrecciavano nel parlamento italiano, l’illegalità che regnava spesso sovrana. Ricordava con amore particolare Marco Travaglio, giornalista di quel periodo e gli eroi a cui si affidavano i ragazzini del Sud: Falcone e Borsellino[4], oppositori della mafia nel Millenovecentonovanta, più o meno.

Nel Duemilacinquecentotrentasei studiare non era un obbligo; certo, ognuno doveva scegliere, dopo le medie, se proseguire la scuola oppure lavorare come apprendista. Ma le persone sentivano come bisogno, avendo imparato dall’errore del passato di sottovalutare la cultura, quello di essere istruiti e ricavare quante più informazioni possibili dai libri.

Paco ricordava ancora le prime parole importanti che i genitori gli rivolsero a proposito dell’istruzione: « Se sai, Paco, potranno anche tentare di umiliarti, ma non ci riusciranno, non ci sarà nulla che potrà spaventarti. Se sai, figlio, senso dei nostri giorni, potrai essere tutto ciò che vorrai ».


Era una mattinata come altre; Paco varcò la soglia di casa sua allegro, lasciando sul pavimento dinnanzi l’entrata la sua cartella nera. Salutò con un bacio sulla guancia sua madre, intenta a cucinare una prelibatezza dall’aroma di carote e cipolle. Sul tavolo di legno la solita corrispondenza, un paio di quotidiani, le chiavi dell’auto – che ripose con attenzione nella cassetta apposita. Nel vassoio della frutta c’erano delle mele, qualche arancia, delle verdissime pere. I suoi genitori erano sempre attenti che non mancassero vegetali nell’alimentazione familiare, erano necessari per combattere molte malattie naturalmente, senza usufruire di medicinali. Erano alcuni principi della vitamina C che componevano, difatti, il farmaco che combatteva i più frequenti tumori[5].

« Com’è andata la giornata, tesoro? »

« Una meraviglia! Sono stato interrogato in algebra e la professoressa mi ha valutato con un otto »

« Ma è fantastico! » Qualche colpetto con il coltello sul sedano; sistemò la mano al di sotto del tagliere e vi fece scivolare i pezzetti. « Questa sera per festeggiare andremo a comprare del gelato » Alzò la fiamma della pentola con il sugo, dalla quale divampò un profumo speziato e delicato. « A proposito di festeggiamenti… in camera tua c’è una sorpresa. So che il tuo compleanno è tra tre mesi, ma tuo padre ed io abbiamo deciso di prenderlo in anticipo – non eravamo sicuri che l’avremmo trovato in futuro » A quelle parole, Paco fissò gli occhi azzurri, simili ai suoi, di sua madre sperando che non stesse scherzando. Un regalo per il quale i genitori erano tanto interessati… non poteva essere altro che una fonte d’informazioni sul Duemila – ed erano anni che chiedeva che cercassero, in particolare, qualcosa su Sirius Black e L’Ordine della Fenice.

Corse su per le scale, mentre la madre gli urlava delle parole incomprensibili ridacchiando – non capì per la troppa emozione, ma aveva a che fare con un “grazie” – scivolò su qualche gradino a causa dei calzini di lana e la cera appena usata.

Spalancò la porta. Il suo cane, Harry, era stravaccato sul letto, leccandosi le zampe nere e pelose. Sembrava più vivace del solito quando si alzò e gli caracollò addosso, baciandogli nel modo adorabile – e umido – dei cani il viso. Finirono entrambi sul pavimento, Paco a gambe incrociate sul tappeto, e Harry con il capo poggiato sulle coscie del padrone, aspettando che quello si decidesse a scartare il pacchetto che aveva avuto il coraggio, dopo dieci minuti, di afferrare dalla scrivania. Era rettangolare. C’era qualcosa di duro sotto la carta blu lucida e il fiocco azzurro. Come una copertina rilegata, pensò. Doveva smettere di illudersi, avrebbe potuto essere anche un comunissimo manuale o una delle tante edizioni originali dei libri che avevano comprato per decenni nella sua famiglia. Eppure… sentiva come qualcosa all’altezza dello stomaco, nel battito del cuore accellerato di Harry, che era ben più di un semplice cimelio: era esattamente quello che aspettava da quando aveva dodici anni.

Scartò con estrema lentezza il rettangolo, pregando a fior di labbra che fosse quello che sperava – un diario, un’agenda, uno scritto che riguardasse Sirius Black.

Certamente era antico. In cuoio marrone. Recava una scritta dorata in basso a sinistra (“Felpato”[6]). Al lato destro c’era un’intricata serratura di cui non comprendeva il meccanismo, e poco più centrale la forma di una zampa – forse di un cane – solcata nel tessuto.

Harry sbuffò, come fosse stato impaziente di aprirlo. « Lo so, lo so. Anche io vorrei capire come- » Gli diede una zampata delicatamente sulla guancia, facendolo voltare verso di lui. Nelle pupille scure baluginò una scintilla d’oro, della stessa vivacità del Felpato della copertina. « Non mi vorrai dire che… » L’animale gli spinse il gomito con una testata, e Paco lo interpretò come un sì.

In fretta chiuse le tapparelle verdi della sua stanza: non filtrava il benché minimo raggio di luce. Chiuse la serratura della porta e si sotterrò tra le coperte del letto, assieme a Harry, per essere sicuro che nessuno li raggiungesse. Fece poggiare a Harry la zampa esattamente nell’incavo. Con uno scatto meccanico, che per Paco era più melodioso di qualsiasi arpa o violino, il libro si spalancò su una pagina miracolosamente candida, se non per una scritta che si formava pian piano, sembrava che qualcuno la stesse componendo in quell’istante.


« Voltando questa pagina giuri solennemente di non far parola a nessuno che non sia citato in questo libro a proposito di quello che leggerai.

E, allo stesso tempo, di non rimanere scandalizzato e di continuare a leggere, almeno fin quando non avrai completato il libro »


Se la situazione fosse stata meno solenne, e lo scorrimento delle lettere non l’avesse confuso, non avrebbe dato peso a quella richiesta. Ma, anzi, ne avrebbe riso. Invece la tensione calata su lui e Harry gli diceva di non scherzare con quel giuramento e mormorò a fior di labra un “prometto” stentato.

Le due frasi scomparvero come un’onda che si ritira dagli scogli – perché proprio come mare sembrava la carta – e senza che aggiungesse altro o muovesse un dito, il libro passò oltre.

Una luce purissima si diffuse al di sotto del loro rifugio, illuminando il volto di Paco e il muso di Harry, che ne fu investito in pieno. Quest’ultimo, approfittando del momento di meraviglia del padroncino, sbadigliò e si preparò.

« Oh, finalmente! Era un bel po’ che avevo voglia di aprir bocca »

Paco per poco non svenne.


Fine Prima Parte ~



Nel gennaio del 2036 si sentiva la necessità di cambiamento che aleggiava attorno all’intero pianeta. I luoghi meno illuminati, e più malfamati, decadevano giorno dopo giorno; i furti, i rapimenti, gli omicidi aumentavano il loro numero. Le persone avevano sempre meno voglia di uscire di casa, abbassavano le tapparelle e nei supermercati acquistavano scorte di cibo che sarebbero bastate per anni.

Il meteorite era stata una breve parentesi ma che aveva comunque scombussolato i governi. Era stata una situazione critica: in meno di due mesi erano stati costretti a organizzare una spedizione perché fosse stato distrutto. La NASA assunse dodici astronauti dopo lunghe selezioni e allenamenti. Furono inviati nello spazio con una bomba a sistema implosivo[7] potente abbastanza da annientare il meteorite. Il trentun dicembre duemilatrentacinque, oltre all’inizio di un nuovo anno, si festeggiò la riuscita della missione e il ritorno in patria degli uomini che avevano rischiato di rimanere travolti dall’implosione.

Il primo gennaio 2036, in una regione sperduta dell’Inghilterra, alle sette del mattino, un uomo si svegliava come da un lungo stato di catalessi. Apriva gli occhi, ritrovandosi una parete in metallo sopra la testa e domandandosi cosa fosse accaduto, e perché la battaglia con Bellatrix Lestrange, sua cugina, non stesse proseguendo. Poi, vagamente, ricordò il suono di un urlo – sicuro che fosse quello di Harry – e la sensazione di aver perso troppo. Sollevare il coperchio sopra di sé non fu complicato, ma gli provocò un enorme fastidio il rumore acuto che si diffuse dall’oggetto caduto sul pavimento. Attorno a lui c’erano ancora delle mura bianche. Filtrava da una finestra sulla destra luce solare. Vide sulla parete di fronte la sagoma di una donna nell’intento di spalancare le imposte arieggiando la stanza.

« Era ora » Gioì. Ricordava vagamente il volto che sapeva di possedere e lo associava facilmente a quello della ragazza – non più di vent’anni – che gli era di fronte. Tra lei e se stesso c’era un’evidente somiglianza. Negli occhi grandi – che la ragazza aveva verdi – e nell’espressione gioiosa che gli era appartenuta fino a quando il suo migliore amico non fu ucciso da Voldemort.

« Tu chi sei? » Le domandò, spaesato.

« È una lunga storia, credo che dovresti incontrare prima mia madre, e poi ascoltare le spiegazioni. Oh, e sarebbe meglio se prima ancora ti nutrissi, è parecchio che non mangi! »

Aperta la porta, lo aiutò ad alzarsi. Indosso aveva soltanto un costume rosso. Gli avvolse una vestaglia attorno al corpo e gli porse un paio di pantaloni e dei boxer, sostituendoli a quell’indumento fradicio del liquido in cui aveva galleggiato per trentun anni.

Nella cucina c’era una donna bionda che si spostava da un lato all’altro, era visibile il tremorio che la scuoteva ma che non le impediva di cucinare e di sistemare i piatti sul tavolo a cui erano seduti un bambino dai capelli rossi e un altro uomo della stessa età della ragazza che sfogliava un giornale.

Quando la donna si voltò, Sirius ondeggiò pericolosamente. L’avrebbe riconosciuta tra mille. Era proprio Penelope[8], l’unica donna che avesse mai amato. L’ultima volta che l’aveva incontrata era stato prima di andare in aiuto del suo figlioccio al ministero. Avevano trascorso delle ore dopo che lui l’aveva incontrata in un pub malfamato, scappato di nascosto dalla casa in cui era relegato. Lei l’aveva ammirato con uno sguardo pieno d’odio, amore e furia. Aveva cercato di scappare quando l’aveva raggiunta. Ma si era persa facilmente nei suoi occhi e, sospirando, acconsentì a una rimpatriata. Anche quel giorno tremava, eccitata ed emozionata, così vicina dopo tempo al suo amato.

« Penelope! » Pensava che non l’avrebbe mai più rivista. Quando aveva sentito un colpo freddo e aveva visto Harry esterrefatto il senso di perdita l’aveva avvolto, s’era convinto che non avrebbe più incontrato Harry e seppe anche che nemmeno Penelope sarebbe stata più al suo fianco. E poi, dopo il tempo infinito di – quanto? Una notte? Mesi? – era di fronte a lui, con la sua aura di spavento e affetto. Gli gettò le braccia al collo e singhiozzò sulla sua spalla, lui le carezzava i capelli e le baciava il capo. Accanto a loro, la ragazza, suo marito e il loro figlio si sentivano a disagio e, nonostante l’essere ingombranti, orgogliosi e commossi. « Penelope, t’amo. Non ho avuto il tempo di dirtelo quella sera, ma io ti amo. Ti ho sempre amata » I due si strinsero l’un l’altro quanto più riuscirono, volevano allacciare le loro anime ancor di più, quanto i loro stupidi corpi umani gli avrebbero permesso. « Penelope… »

« Sirius, adesso è arrivato il momento di discutere » Lo informò, il volto si fece di nuovo serio mentre con il grembiule da cucina se lo asciugava e si accomodava alla sedia, accanto a sua figlia. Gliene indicò un’altra, esattamente di fronte, mentre elegantemente si legava i capelli in una crocchia disordinata e scombussolata, proprio come il suo petto. « Non vogliamo sconvolgerti, ma… hai dormito per trentun anni. Per tutti quanti Sirius Black è morto »

« Eh? »

« Quando sei andato a combattere al ministero, Bellatrix Lestrange, in un momento di distrazione, è riuscita a colpirti. Tu sei finito in uno degli “Archi del coma”, e sei ricomparso in questa casa, in cui m’ero rifugiata. La fattoria della mia famiglia, da sempre abbastanza potente per permettersi uno dei container del coma, è stata per molti anni rifugio dei malati e delle persone che non volevano invecchiare. Occorre trascorrere una notte all’interno di uno di quei marchingegni per poter sopravvivere per molti anni e mantenere l’aspetto che si ha quando vi si entra. Ti ho lasciato lì, sperando che tu ti svegliassi. Ma dopo due settimane decisi che mi sarei calata anch’io in uno di quei contenitori, così che quando avessi aperto gli occhi mi avresti trovata uguale a quando avevi lasciato casa tua. Io, però, ero incinta e dopo nove mesi improvvisamente aprii gli occhi. Mi aiutarono i miei genitori a dare alla luce quella che tu vedi ora – sì, nostra figlia – il suo nome è Hope. Questo è suo marito Frank, e il loro figlio Sirius – sei anche nonno. Dopo vent’anni nei contenitori si ottiene la vita eterna e ci si risveglia automaticamente. Forse, i primi undici anni sono serviti per le cure alle tue ferite. Quello che ti lanciò Bellatrix fu un anatema molto potente. Ma ora, dunque, sei immortale » Era evidente che Penelope avesse celato qualcosa a Sirius, ma l’uomo non lo ritenne importante in quell’istante. Aveva la donna della sua vita, una figlia, un genero e perfino un nipote.

« Santo Cielo… »

« Immagino sia difficile per te accettare tutto questo, ma- »

« No, no. È splendido. Non avrei mai creduto che avrei ricevuto tutti questi doni »

« E scommetto che ora tu voglia correre da Harry e mostrarti »

« Oh, Penelope… » Sirius, però, era turbato da altri pensieri. « Come avrei voluto che anche James avesse avuto la mia possibilità! » Penelope lo strinse a sé, come una mamma che tranquillizza il figlio, e lo cullò.

« Adesso è ora che tu modifichi questo mondo. Gli umani stanno vivendo a stento, è giunta l’ora che i maghi si occupino dei problemi dei babbani »


« Wow! » Paco era entusiasta di quella storia avvincente di cui comprendeva quasi ogni dettaglio. « Quindi la magia esiste davvero? Sei sopravvissuto per trentun anni con l’aspetto che avevi quando ti sei addormentato… formidabile. Cosa ne è stato di tua moglie e della tua famiglia? »

« A dire il vero, Paco, non lo so »

« Cosa? »

« Vissi con Penelope molti anni felici dopo che nel duemilaquaranta completammo l’opera di miglioramento della Terra assieme all’Onda. Trenta, più o meno. Dopo questi, però, lei, Hope, Frank e mio nipote scomparvero. Penso che Penelope stesse per morire e lo sapessero tutti – tranne me. Puoi intuire quanto fosse di nuovo difficile, ripiombò su di me il dolore che avevo coltivato da quando James, il mio migliore amico, nonché padre del mio figlioccio, morì. Quella volta fui arrestato con l’accusa di aver aiutato Voldemort a uccidere la famiglia Potter – Lily e James, appunto – sterminato tredici tra babbani e maghi che mi stavano ostacolando nella fuga. In realtà, durante il terzo anno in cui Harry frequentò Hogwarts gli fu chiarito da me e un altro mio compagno di corso, Remus Lupin, che ad aiutare Voldemort a uccidere Lily e James, da lui ricercati, era stato Minus, altro membro della compagnia dei malandrini, il nostro gruppo d’amici. Aveva rivelato al mago oscuro – Voldemort – il luogo in cui i Potter si nascondevano. Scappando, inseguito da me in cerca di vendetta, aveva ucciso dodici persone, trasformandosi in un topo – se dovessi spiegarti anche questo, divagherei troppo e c’è ancora tempo. Finse che fosse stato ucciso perfino lui, lasciando un dito della sua mano sulla scena del delitto. Fui arrestato e portato ad Azkaban, il carcere dei maghi e delle streghe – un posto orribile e aspro – dove rimasi fino al duemilatré. Allora fuggii: avevo visto l’immagine di Minus su un giornale. Era l’animale di compagnia di Ronald Weasley, il miglior amico di Harry. Questo portò scompiglio nel mondo dei maghi, ero considerato un uomo pericoloso. Quando riuscii a parlare con Harry escogitammo un piano: avremmo raccontato alle autorità la realtà e sarei stato libero di vivere la mia vita assieme al mio figlioccio. Ma Remus era un lupo mannaro e questo non l’avevamo messo in conto; c’era la luna piena quel giorno e si trasformò, lasciando libero Minus che scappò. Fui costretto a vivere da latitante. Nel duemilacinque da Azkaban fuggirono i seguaci di Voldemort. Il Ministero della Magia negò che fosse un sintomo del ritorno dell’uomo che aveva sconvolto per un decennio sia il mondo umano che quello magico per non turbare l’equilibrio acquisito con difficoltà. L’universo magico si divise in due fazioni e nel duemilasei tutti furono convinti che fossi morto – e innocente: sai come si dice, “La morte nobilita l’uomo” – quando al Ministero della Magia si consumò la battaglia tra alcuni seguaci di Voldemort e gli schierati dalla parte del bene. Da quel momento iniziò la seconda guerra – e come puoi intuire, vinse il bene. Io non fui presente, mi risvegliai nel duemilatrentasei e proposi i piani di Penelope all’Ordine della Fenice, un gruppo di maghi che avevano combattuto nel primo e nel secondo conflitto. Quando tornai, però, erano rimasti soltanto i discendenti di questi – ed io. Mi elessero come capo dell’Ordine della Fenice, essendo il più anziano. Le decisioni che prendemmo fino ad aprile non furono particolarmente rilevanti per noi, ma nonostante questo ci sentimmo responsabili, se avessimo sbagliato il mondo degli umani sarebbe addirittura peggiorato. A maggio raccogliemmo l’Onda e l’aiutammo a diffondersi, li istruimmo fino al duemilaquaranta » Sirius posò lo sguardo al cielo, cercando di rammentare perché quel flusso di ricordi del passato fosse comparso, poi riprese da dove era rimasto: « Stavo dicendo, quindi, che fui investito dalla tristezza per la scomparsa di Penelope. Per molti mesi la cercai, invano. Mi arresi e mi trasferii a New York dove, con i miei poteri, aiutai gli abitanti di quella città sfortunata. Affascinante, ma piena del male più feroce: l’indifferenza. Lì fui definito in molti modi: L’uomo nero, Batman (come un eroe dei fumetti del duemila e addirittura antecedente). Nel duemilatrecento, dopo quasi duecento anni in cui avevo prestato servizio a New York, mi spostai in Italia. Mi sembrava che fosse ritornata all’antico splendore per cui era famosa »

« E poi? » Chiese Paco, divorato dalla curiosità.

« E poi devi continuare a leggere il libro, altrimenti non scoprirai mai perché è nelle tue mani e cosa sei destinato a fare da quando hai deciso di leggerlo »


Fine Seconda Parte ~



L’Italia fu per Sirius un luogo di pace. L’infelicità della sua intensa vita non fu cancellata, ma anzi aumentò; si sentì in colpa per gli errori commessi e il tempo che gli era stato da sempre nemico. Ma trovò in quel luogo un fedele amico con cui visse per duecento anni, Dario Ferri. Questo mago conosceva l’intera storia di Sirius Black e con precisione ogni dettaglio della seconda guerra dei maghi di cui mise al corrente Sirius. Insieme si acculturarono, scoprendo sempre più pezzi del puzzle che era l’Italia. Frequentarono belle donne, di tanto in tanto, corteggiandole, facendole sentire speciali. Insegnarono privatamente l’inglese e per ben tre anni di seguito lavorarono a Hogwarts. L’un l’altro si sostenevano, risanavano le ferite provocate dalle disgrazie moltiplicate dai decenni che li legavano al mondo. Dario, difatti, aveva una vita completamente diversa da quella di Sirius, ma nonostante questo, era dolorosa almeno quanto quella di Black. Durante la prima guerra tra i maghi aveva perso i suoi genitori babbani. Da quel momento si era rinchiuso in se stesso e aveva smesso di parlare. Quando in orfanotrofio una civetta gli consegnò una lettera da un istituto con un nome buffo, i suoi giorni furono di nuovo pieni di gioia. Si diplomò a Hogwarts con ottimi risultati e per qualche anno lavorò nell’ufficio del Ministero della Magia più ambito, quello degli Auror. Ma Voldemort tornò e uccise la sua fidanzata, Bella High. Come Sirius, per qualche strana ragione rimase per molto tempo in un container del coma. Svegliatosi, trascorse i suoi anni in Italia, la sua patria, cercando nell’albero genealogico della sua famiglia possibili maghi. Nel 2200 tornò in Inghilterra perché si era diffusa la notizia che una certa Bella – un nuovo fantasma – infestava il castello di Hogwarts, schierata con i Grifondoro. La maggior parte dei suoi discorsi erano incentrati sul suo amato Dario. Dario, speranzoso, vi si recò. Quando vide Bella rimase pietrificato. Si convinse che avrebbe trascorso in quel modo – lui in carne e ossa, lei ectoplasma – il resto dei suoi anni, gli sarebbe bastato. Ma ciò per cui Bella era stata trattenuta sulla terra non era altro che poter sfiorare per un’ultima volta Dario. Svolta la sua “questione in sospeso” scomparve definitivamente. Fino al 2300 si occupò del ruolo di “Insegnanti di Magie e Arti oscure” al castello, ma poi tornò nel luogo dove era nato. Poi incontrò Sirius.

Nel 2525 Dario morì, il tempo a sua disposizione ottenuto dal container era terminato. Sirius, per l’ulteriore dolore, riprese la sua forma di cane, quella che usava a Hogwarts per trasformarsi assieme ai suoi amici Remus, James e Minus. Fece un incantesimo a un diario di modo che questo raccontasse la sua storia all’anima pura che avrebbe avuto origini dalla famiglia di Dario Ferri. La sua voce fu intrappolata nel libro, sarebbe stato un semplice animale come altri e avrebbe promesso fedeltà alla famiglia Ferri fin quando questa non avesse trovato il modo per ucciderlo – alla fine del suo racconto.

Sirius, nell’ottobre 2525, fu presente alla manifestazione di Penelope. Quella comparve tra le rovine di un castello Toscano, seguita dalle note malinconiche di una chitarra, sotto una luna piena dolorante quasi quanto il cuore di Sirius. Penelope lo guardava, lamentandosi e svegliando il paese che abitava nei dintorni. Non era uno spirito buono, Sirius pensava fosse una parte dell’anima di Penelope corrotta. Si sentì obbligato a muovere la sua volontà nella direzione giusta per l’umanità ancora una volta. Distrusse il fantasma di Penelope, coprendosi di infinito male… quello fu l’ultimo incantesimo da essere umano, il giorno dopo stesso si tramutò in cane, sigillando la sua bocca e la sua volontà.


« Oh, Sirius » Paco strinse il cane contro il suo corpo. Era stato il suo migliore amico sin dalla nascita e non avrebbe mai sospettato tali travagli. « mi dispiace così tanto » Erano spiegati i suoi uggiolii alla luna piena, il suo affetto nei confronti dei Ferri.

« Anche a me, soprattutto di costringerti a leggere tutto questo e a uccidermi »

« NO! Io non ho promesso di fare ciò che il libro mi avrebbe chiesto, ho soltanto giurato che non avrei aperto bocca »

« Ti prego, Pacifico. Non ho avuto altro che sofferenza su questa terra, avrei dovuto morire quando anche Penelope se ne andò. E l’avrei fatto, se avessi saputo come. Negli ultimi mesi in cui Dario era vivo – e sapeva che sarebbe morto – m’impegnai a cercare tutte le informazioni necessarie per scoprire come avrei potuto porre fine ai miei giorni. Nelle pagine finali di questo libro troverai tutto quello che ti serve. Voglio che, una volta che sarò morto, tutto questo sparisca. Brucialo, nascondilo, fa’ quello che ti pare. Se il governo ha deciso di tenere all’oscuto l’umanità ha le sue buone ragioni. Hogwarts esiste da quasi due millenni e non è giusto che sia io a svelarne i segreti »

« Ma Sirius! Non posso farlo, non posso! »

« Devi, ti prego… » Paco promise a Sirius che ci avrebbe riflettuto, perché si erano susseguiti fin troppi cambiamenti nella sua vita, e mancavano tre mesi al suo compleanno.

« Magari potresti restare fino al trenta marzo »


~ Fine Terza Parte



I giorni che seguirono quel ventisette gennaio furono ben diversi dalla vita che aveva vissuto Paco fino ad allora. Non c’era più l’ombra della serenità sul suo volto, Sirius pensava che assomigliasse particolarmente a lui e che aveva scelto l’opzione migliore: rivelargli subito per quale ragione fosse importante la famiglia Ferri, forse, l’avrebbe sconvolto ancor di più.

Sirius pensava che fosse stato ancor più egoista quando aveva deciso di trascrivere le sue memorie e affidarle ai Ferri. Aveva incantato il suo diario di modo che fosse comprato esclusivamente da un discendente di quella famiglia, non poteva essere altrimenti.

Gli amici di Pacifico spesso gli domandarono cosa fosse accaduto, ma a metà febbraio si stancarono dei tentativi inutili e cominciarono a ignorarlo. A tavola mangiava il necessario, senza abbondare; si rifugiava nella sua stanza, trascorrendo parecchie ore sui libri. Poteva finalmente rivolgersi al suo cane ricevendo risposte, ma aveva smesso di parlargli come un tempo, in imbarazzo – e un po’ innervosito dalla voglia di lasciarlo di Harry-Sirius[9]. Quando i compiti non erano abbastanza, si stravaccava di fronte il televisore e seguiva qualche documentario, mentre Sirius sbuffava al suo fianco e tentava di rinvigorirlo. Gli unici contatti tra i due erano le carezze che Paco concedeva a Sirius, mentre soffocava a stento le lacrime. Paco sapeva, sin da quando glielo chiese, che avrebbe accontentato Sirius. Si odiava – e odiava Sirius – per la sua poca forza di volontà e per concedere all’amico più sincero che avesse di abbandonarlo.

Il tempo volava, tutti correvano nella direzione peggiore per Paco, volevano che il suo diciassettesimo compleanno si avvicinasse, gli rammentavano di continuo che si sarebbe approssimato alla maturità, tempo tre anni e avrebbe affrontato l’Università, avrebbe avuto l’opportunità di creare una famiglia propria. Alcuni compagni di classe gli proponevano possibili regali uno dopo l’altro per decidere quale, infine, avrebbero acquistato – come sempre, probabilmente, un costoso manufatto del duemila.

Perfino i suoi insegnanti, accortisi delle continue crisi di malumore, tentavano di coinvolgerlo nelle lezioni, di farlo sorridere.

La notte del ventinove marzo Paco si avvicinò di nuovo al libro. Sirius, non appena il ragazzo si alzò dal letto, spalancò le palpebre e seguì i suoi movimenti con lo sguardo, accovacciandosi accanto al padrone quando quello riportò il diario sulle coperte mettendosi comodo. « È arrivato il momento » Decretò Paco, tirando sù col naso. « Ma ti ucciderò soltanto il trentun marzo, non prima »


Manuale per l’omicidio di Sirius Black


Vi sono tre modi per uccidere un uomo che è stato a contatto con i container del coma.

Il primo, il più semplice, è possibile usarlo soltanto se il soggetto è rimasto per un anno – o meno di dodici mesi – all’interno dei contenitori.


  • Si organizzi il tutto per una notte di luna piena.

  • Il necessario: un coltello d’oro e un filo di paglia.

  • Alla mezzanotte bisognerà aver posato il soggetto, steso, con la testa al di fuori di un balcone e il corpo all’interno della casa. Dovrà essere legato a una superficie di legno sul pavimento con il filo di paglia attorno al corpo.

  • A mezzanotte e un minuto bisognerà tagliare la testa all’individuo.

  • Se il legno sarà puro, e il coltello completamente d’oro, il soggetto perirà.


Il secondo: funziona soltanto su persone che sono state nei contenitori dai dodici mesi e un giorno ai venti anni.


  • Il tutto deve essere pronto per il mezzogiorno di un ventinove febbraio (anno bisestile, dunque).

  • Si acquisti un coltello d’oro e la pelle di un daino.

  • Alle dodici in punto l’individuo dovrà essere legato a testa in giù a una parete bianca in direzione nord.

  • Alle dodici e un minuto bisognerà incidere (attorno al coltello dovrà essere legata la pelle di daino, di modo che si recida la pelle del soggetto con l’arma che prima avrà tagliato la purezza dell’animale) il collo. Dopo un’incisione di profondità cinque centimetri, attendere trenta minuti e poi amputare di netto la testa.

  • Se la pelle sarà di daino, e il coltello d’oro, il soggetto perirà.


Il terzo modo: funziona su persone che sono state nei contenitori dai vent’anni e un giorno in sù.


  • Possono essere uccisi soltanto dalle persone che li hanno tirati fuori dai contenitori o dai discendenti (o avi) di questi ultimi.

  • Non ci sono restrizioni di tempo.

  • Sarà necessario che l’assassino abbia tra le mani un oggetto che appartenga all’individuo che deve essere ucciso.

  • Si mangi un capello / pelo del soggetto.

  • Si recida di netto la testa con un qualsiasi oggetto affilato – che sia d’oro.

  • Se l’arnese sarà d’oro, il pelo / capello appartenente alla vittima, e l’elemento davvero dell’individuo, questo morirà.


« Perché nell’ultimo caso venite chiamati “vittime”? » Domandò Paco per distrarsi, impallidito e sconvolto.

« Perché è il container a decidere quanto tempo si possa rimanere al suo interno. Se una persona permane più di vent’anni è per certo pura »

Paco non poté fare a meno di sentirsi ancor di più in colpa – e sporco.


~ Fine Quarta Parte



La festa di compleanno di Paco si tenne dalle sei del pomeriggio a mezzanotte. Gli invitati furono in molti, tra compagni di scuola, amici di vecchia data, parenti, alcuni dei quali quasi mai visti.

I genitori di Pacifico allestirono il salone di un prestigioso locale di modo che fosse elegante e che, allo stesso tempo, i ragazzi vi si potessero divertire. Fu chiamato un importante dee-jay. Paco pensò fosse tutto fantastico, si rallegrò dopo parecchio tempo che non rideva. Costrinse tutti ad abituarsi al suo cane, che scorrazzava da un lato all’altro della sala, scodinzolando e lasciandosi coccolare dalle belle dame e i gentili cavalieri.

Una ragazza si era fatta avanti e aveva dichiarato i suoi sentimenti a Paco che, invaso dall’orgoglio, l’aveva resa la sua accompagnatrice per quel trenta marzo. Danzavano e volteggiavano attorno alle altre coppie, mentre il tavolo adibito per i regali si riempiva sempre più.

Tutti pensavano che Paco fosse tornato il ragazzo divertente e dolce di sempre, che non avrebbero mai più assisitito a quella decadenza di quei circa novanta giorni.

Le bevande erano squisite, il buffet formidabile, l’atmosfera rilassante nonostante la musica a un discreto volume che, con la professionalità del DJ, non era fastidiosa nemmeno per i più anziani.

Si complimentarono spesso con gli organizzatori del party – i genitori di Paco – che guardavano il loro adorato figlio sorridere e baciare, ringraziare con gratitudine, i suoi ospiti. Non avrebbero potuto desiderare niente di più che la felicità di Pacifico, il loro unico figlio.

Sirius si rassicurava constatando che la maggior parte delle persone che erano intorno al suo padroncino quella sera erano davvero in quel luogo per il bene di Pacifico, e non per godere di cibo o bevande di buona qualità. Era un orgoglio sentire lodarlo in così tanti modi! Sperava che quegli stessi presenti alla festa l’avrebbero aiutato quando lui sarebbe andato via, tornato alla sua bella Penelope. O magari Lily, la giovane che stringeva Paco, si sarebbe occupata di lui.

Quando Paco aveva scoperto di essere un discendente di Sirius e del fratello di Dario aveva lanciato qualche oggetto all’aria per venti minuti, ma quando s’era calmato aveva dormito tanto a lungo da saltare perfino la colazione del mattino seguente. Ripeteva che non era giusto, che avrebbe dovuto rifiutarsi. Ma avrebbe comunque ucciso Sirius, forse perché aveva compreso che era ciò che l’amico voleva davvero.

Paco, mentre fingeva di essere completamente allegro, pensava a come dovesse essere stato perdere tutto ciò che è più importante. Aveva notato, riflettendoci, che Sirius non aveva menzionato le morti del suo figlioccio e dell’amico Remus, né aveva discusso più del necessario di quelle di Lily e James Potter. I cinquecento anni in cui aveva vissuto dovevano essere stati tremendi, domandandosi perché la morte fosse così evidente intorno alla vita di un immortale, tormentato dai sensi di colpa che dovevano distruggerlo nei suoi sogni, in qualsiasi gesto quotidiano. Il chiedersi cosa sarebbe accaduto se non avesse permesso a Penelope di abbandonarlo, o se l’avesse costretta a rientrare nel container per qualche anno. Paco era sicuro che ogni giorno pensasse a come sarebbe stata la sua vita se Penelope fosse rimasta con lui per tutti quegli anni, magari assieme a sua figlia, suo nipote e il genero.

Il momento di aprire i regali fu uno dei più divertenti. Pacifico stringeva i pacchetti e la folla, tutta attorno a quella zona adibita a tale scopo, urlava un “Ooooh” di incoraggiamento, esultando quando finalmente erano visibili gli oggetti. C’erano in gran quantità libri, ma anche apparecchi elettronici, indumenti, CD musicali. Si sentiva amato come non mai. Spesso rivolgeva lo sguardo a Sirius che aveva un’espressione simile a un sorriso, nonostante un cane, di norma, non avrebbe dovuto esserne capace.

Dai regali si spostarono di nuovo alla lunga tavola dove i camerieri si occuparono di tagliare e distribuire la grande torta alla panna con ripieno al cioccolato. Al di sopra una foto significativa: la prima di Paco – era a cavalcioni su Harry-Sirius.


Pacifico si accomodò accanto a Sirius, guardava la luna sul terrazzo della camera del padroncino, immerso nei suoi pensieri.

« E così, finalmente, poni fine alle tue sofferenze » Sirius ridacchiò del tono di voce del ragazzo, gli ricordava da sempre Harry, il suo figlioccio. Ed era per quel motivo che gli era davvero facile essere suo amico. Era un po’ come recuperare il tempo perduto.

« Già, finalmente »

« Seicento anni sono un bel po’, scommetto. Ne avrai visti di cambiamenti »

« Paco, dici bene »

« Non hai paura, Sirius? » Proprio come Harry – pensava Sirius – aveva il dono di essere sincero e di sembrare un bambino, anche con gli atteggiamenti più maturi e sensibili.

Finalmente Sirius si voltò a guardarlo, scorgendo gli occhi lucidi.

« No, Paco, non ne ho. So che dovunque andrò potrò sperare di rivedere le persone che ho perso nel corso degli anni – Dario, Penelope, mia figlia, Sirius, James, Lily, Harry »

« Io sono sicuro che tu li troverai, sarete di nuovo insieme e io aspetterò con ansia di raggiungervi »

« Oh, no, no – ridacchiò Sirius – hai una vita davanti. Quella dolce Lily con cui, magari, sposarti. Già me li immagino i tuoi figli. Vieni a trovarci più tardi possibile, sono sicuro che anche Dario vorrebbe così »

« Mi mancherai » Singhiozzò Paco. « davvero tanto » Si strinse per l’ultima volta al suo cane, al suo amico, al suo patrigno.

Sirius, finalmente, sentì scorrergli nelle vene la felicità di un tempo, quella stessa che aveva sentito quando aveva rincontrato Harry, Penelope, Dario, che avrebbe fatto parte dell’aldilà.

Sirius Black scompariva dalla terra e dietro di sé lasciava la traccia indelebile di un uomo che aveva cambiato il mondo, che aveva sacrificato se stesso, la sua felicità, per il bene dell’umanità.

« Eccoti, amore mio » Lo salutò Penelope. Era bella proprio come la ricordava.


~ FINE















[1] Come ogni essere umano dovrebbe sapere, nel continente americano, quando i perseguitati dalla chiesa anglicana si spostarono con la May Flower in america, cominciarono le sfortune dei popoli originari di quel luogo. Furono sterminati, in circa duecento anni, e furono sostituiti dai popoli europei, che cercavano nell’America un nuovo inizio di vita.

[2] Le progerie è una malattia che colpisce i bambini fin dalla nascita, è rarissima. Attualmente ci sono cinquantatre casi. I colpiti da questa malattia non hanno lunghe aspettative di vita, di solito arrivano ai 13/15 anni. Colpisce i geni in modo che questi accellerino la crescita. A tredici anni si ha l’organismo di una persona anziana.

[3] Stefano Benni è uno scrittore dell’Emilia Romagna che ha composto opere come “Margherita Dolcevita” tradotto addirittura in Inghilterra. Ultimamente è stato proprio in Inghilterra a produrre un’opera teatrale, il suo ultimo libro si chiama “Pane e Tempesta” uscito a fine 2009.

[4] Falcone e Borsellino sono due giudici che hanno combattuto perché la magia, in Sicilia in particolare, fosse distrutta. Sono stati uccisi nel 1992 in un attentato nell’auto in cui viaggiavano. I documenti a loro disposizione riguardanti la mafia furono distrutti proprio nello scoppio della vettura. A loro sono dedicate numerose piazze e vie.

[5] È stato testato che la vitamina C, come prima si diceva, non immunizzi contro l’influenza ma che invece possa aiutare la prevenzione dei tumori.

[6] Felpato è il nomignolo di Sirius Black.

[7] Il sistema deve essere per forza implosivo, altrimenti si rischierebbe di distruggere la terra. Ovviamente, c’è anche il rischio che si formi un buco nero, ma questo non accade.

[8] Per quelli che hanno studiato l’Odissera sarà abbastanza semplice capire perché l’amata di Sirius si chiami Penelope. Nell’Odissea Penelope rimane fedele a Odisseo per ben vent’anni durante i quali non sa se lui sia vivo, morto o disperso. Un po’ come la Penelope dell’Odissea è quella della mia storia, perché attende per ben trentun anni che il suo amato si svegli – con la differenza che quella della mia storia sa per certo che prima o poi Sirius uscirà dal container – senza sposarsi o fidanzarsi con qualcun altro.

[9] Adesso potete immaginare per quale ragione il cane si chiami Harry.


Angolo dell’Autrice: Questa storia ha partecipato al concorso “Return Contest”, indetto da amimy, classificandosi al primo posto (di tre). So che può essere noioso leggere così tante pagine di una one-shot, ma spero che qualcuno l'abbia fatto, e che sia arrivato fin qui giù. Sono molto soddisfatta di quest’opera, perché parla di una speranza per il futuro, di un personaggio che io amo davvero molto, e di un gruppo di studenti che due anni fa ha cambiato, se pur di poco, le nostre generazioni. Cos'altro dire? Spero che abbia infuso un po' di speranza, e che vi sia piaciuta.

   
 
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