Stand By Me, Nobody knows the
way it's gonna be…
Stand By Me, Nobody knows the way it's gonna be…
Stand By Me, Nobody knows the way it's gonna be…
[
Stand by me – Oasis ]
«Allora, allora
–uhm, uhm…» borbottò lui, portandomi come ogni sacrosanta mattina la colazione
a letto, e sedendosi accanto a me; a ciò seguì la solita domanda, accompagnata
dalla consueta luminosa occhiata al mio ventre. «Come stai?»
Sbuffai, piccata, e
lo fulminai con gli occhi. A detta di
tutti nel Villaggio, eravamo una coppia –sì, ufficialmente parlando, ora- decisamente fuori dall’ordinario: io
ero combattiva, litigiosa, passionale e testarda, lui invece calmo, tranquillo
e pacificatore.
«Sto come sto da
sei mesi a questa parte, idiota. Con un pancione ingombrante e un marito
cretino che mi riempie continuamente di inutili attenzioni.»
«Ok, allora stai
bene.» replicò, ridacchiando.
Schioccai
fortemente la lingua contro il palato, fiacca e stufa.
«Oh, Minato, che
palle che sei! Sto bene, sono incinta, non
sto morendo!» sbraitai, guardandolo ancora male, tuttavia iniziando a
mangiare il riso (il mio adorato ramen, continuava a
ripetere lui, poteva fare seriamente male al bambino). «Sei così assillante,
signor “Lampo Giallo di Konoha”, come quegli idioti
ti chiamano! E sei così premuroso! Ti preoccupi costantemente per me –no, no,
non hai capito, cocco, non è un
complimento! Sei eccessivo, che palle! Non ti sopporto più… tu e questo
figlio tuo! E io devo fare da
contenitore, cazzo! Ma chi diavolo me l’ha fatto fare, eh?! Ma porca miseria,
questa stupida pancia mi ingombra e tu non mi aiuti minimamente… inutile,
inutile uomo!» sproloquiai, senza un apparente filo logico, mentre continuavo
ad issarmi meglio sul letto –oramai matrimoniale, dacché eravamo entrambi
cresciuti da quando eravamo adolescenti, insomma- e non riuscivo a trovare una
posizione corretta; lui sorbì tutte le critiche senza colpo ferire, continuando
a sorridere dolcemente e a sopportare con pazienza, come sempre, d’altronde.
«E che diamine! Di’
qualcosa, Namikaze!» inveii infine, contraria perfino
a tutto quel silenzio da parte sua. Lui esalò un respiro e alzò gli occhi al
cielo.
«Hai ragione, Kushina.» borbottò poi. Sorrisi platealmente, soddisfatta
dalla sua risposta, avendo finalmente trovato la giusta posizione su quello
scomodo materasso.
«Eccellente,
Minato.» asserii, ridendo. «Ora, cosa volevi dirmi?»
Lui s’avvicinò e si
distese accanto a me; mi prese una mano e guardò la fede con curiosità, quasi
fosse la prima volta che la osservasse. Ci eravamo sposati da sei mesi, e da
quattro lui ricopriva la prestigiosissima e onorevole carica di Hokage; passava
poco tempo a casa, ma in quel poco mi attorniava di –fin troppe- attenzioni,
premure e paranoie.
«Oggi verrà a
trovarci Jiraiya-sama» rispose, sorridendo. «Non lo
vedo da un po’, quindi l’ho invitato a cena. Mi stavo chiedendo… se ti andrebbe
di nominarlo suo padrino.»
Mi girai verso di
lui, mentre continuavo a trangugiare riso alquanto rozzamente.
«Certo! Per me non
c’è problema.» asserii, convinta. «Ma… ha finito i suoi viaggi?»
«Mmmh, non credo mai che smetterà di viaggiare, in verità.»
replicò, pensoso. «Da quando Tsunade è partita e l’ha
respinto per l’ennesima volta, non sta mai fisso.» aggiunse, con un’espressione
lievemente comica.
Tre ore dopo, Jiraiya arrivò; sembrava, in effetti, decisamente afflitto.
«Questo romanzo è
meraviglioso!» sentii affermare Minato dalla sala da pranzo, mentre io ero in
cucina a preparare la cena; ultimamente, aveva preso a leggere uno dei tanti
libri del suo grande maestro, e aveva trovato l’ultimo estremamente bello.
Spesso li leggevamo insieme; sebbene all’inizio fossi piuttosto scettica, dal
momento che da quello lì non mi sarei
mai aspettata qualcosa di veramente buono, mi dovetti ricredere. Era un romanzo
straordinario: e, più di tutti, mi aveva colpito il protagonista… così
cocciuto, testardo, incaponito, ma così entusiasta e solare… e così, avevamo
preso di comune accordo una decisione.
«Il bello di questo
racconto è che il protagonista non si è mai arreso. Proprio come voi, maestro.»
dichiarò Minato, con tutto il rispetto che provava per l’altro.
«Dici…?» borbottò
il più vecchio, alquanto imbarazzato; mentre continuavo a pulire verdure per il
ramen, sorrisi fra me e me.
«Leggendolo, ho
pensato… che vorrei che mio figlio diventasse un ninja come questo
protagonista.» continuò mio marito, arridendo a sua volta; sospirò, azzardando
infine la richiesta. «…Mi permettete
di dare il suo nome a mio figlio?»
«Ma che dici?!»
sbottò l’altro, insicuro e scontento di sé come suo solito, evidentemente colto
davvero di sorpresa. «Non essere precipitoso! Guarda che quel nome l’ho scelto
soprappensiero mentre mangiavo del ramen!»
Sbuffando, posai coltello
e grembiule e mi affacciai dalla porta della cucina, reggendomi allo stipite;
gli sorrisi, e obiettai:
«Naruto… è proprio
un bel nome.»
Il vecchio mi
guardò, stupito e compiaciuto; abbassai il mio sguardo sul ventre rigonfio e me
lo carezzai. Naruto…
«Ahah…!» rise l’altro, nervoso. «Ma tu pensa…! Quindi, sarò io il suo padrino?» azzardò,
contemplandomi mentre mi avvicinavo al mio meraviglioso
uomo e gli stringevo una spalla.
«Altroché! Voi
siete un ninja valoroso. Nessuno ha le vostre qualità!» asserì l’Hokage, orgoglioso.
E Jiraiya ci guardò, un po’ scosso e un po’ imbarazzato,
mentre gli occhi gli diventavano rapidamente lucidi.
*
Dopo tanto tempo,
avevamo imparato a sapere istintivamente ciò che passava per la testa
dell’altro; se fosse semplice sintonia di pensiero, o telepatia, o destino, non
lo so neanche io. Tuttavia… io mi sentivo enormemente in colpa… perché lui era
l’uomo della mia vita, era mio marito, era colui che avrei amato per sempre… ma
io non gli avevo mai rivelato il mio segreto.
Avevo paura. E se
mi avesse cacciato? Se si fosse sentito giustamente tradito perché non gliene
avevo mai parlato prima, in quattordici anni che ci conoscevamo…? O se lui
avesse provato vergogna per me, per ciò che…? Ma no, no… non era mai accaduta nessuna
maledizione… non era possibile, insomma! Konoha
viveva un momento d’oro, con Minato a capo; negli altri paesi c’era la pace e
il benessere; e tutti i miei compagni stavano bene… non c’era mai stato nessun
anatema… era stato solo un’invenzione di quelli di Uzu…
e basta. Sarei stata una moglie e una madre impeccabile; avrei amato la mia
famiglia (tempo fa, Jiraiya stesso mi aveva quasi comandato
“proteggi sempre e comunque la tua famiglia”: e io l’avrei fatto, davvero,
sarei stata perfetta) e sarebbe andato
tutto bene… non c’era nessun motivo per parlarne… Proprio nessuno.
Però… dopo tanti
anni e tanto tempo e tanto amore condiviso, un giorno non ne potei più fare a
meno; e l’occasione capitò quando meno me l’aspettavo.
«Naruto… Naruto Uzumaki. Bello, eh?» borbottò Minato una sera, non
appena era rientrato dal lavoro; io, abitualmente da qualche settimana a quella
parte, ero distesa sul letto, poiché ero oramai arrivata all’ultimo mese di
gestazione e il dolore alla schiena era spesso insopportabile.
Deglutii, nervosa.
«Ma… ma perché
proprio il mio cognome, Minato? Io…
vorrei dargli il tuo.»
Lui sorrise, solare
come al solito.
«Be’, credo che il
tuo gli stia semplicemente meglio… Naruto Namikaze non
suona proprio, non senti?» obiettò.
Mi sistemai meglio
sul letto, bramando una posizione più comoda; tuttavia lui capì istintivamente
il mio nervosismo –o perché io non avevo mai saputo mentire tanto bene o perché
mi conosceva da davvero molto tempo, questo non lo so- e sospirai, nervosa; con
tutta evidenza, era davvero arrivato il momento di rivelargli… di parlargli… di
far finalmente sapere a qualcuno il mio segreto… però, però… se lui avesse –
«Kushina, cos’hai?» chiese bruscamente, rizzandosi a sedere
ed avvicinandosi a me.
Lo guardai; esalai
un pesante sospiro. Lui era sempre stato corretto con me… non mi aveva mai
chiesto del mio passato, del perché mi avesse trovato –tanto, tanto tempo
prima- sporca e ferita in una pozza di fango, o di come fossi scappata dal mio
Villaggio; mi aveva sempre dato fiducia… e io, io l’avevo tradito… e continuavo
ancora a tradirlo, sebbene fosse l’uomo che amavo.
«Minato… devo dirti
una cosa.» bofonchiai, impallidendo un po’; per quanto fossi sempre la prima
che scherzasse o si scaldasse, in quel momento non potei fare a meno di essere
mortalmente e tetramente seria.. Lui annuì, calmo.
«Io… io non sono la
persona che tu pensi. Voglio dire… Uzumaki non è
nemmeno il mio cognome.» iniziai, partendo dal principio. Egli aggrottò le
sopracciglia e si schiarì la gola; quantunque un improvviso nodo alla gola mi
bloccasse, continuai: «In verità… vedi, il mio reale cognome è Senju. Scommetto che tu lo conosci.»
Un guizzo
improvviso animò i suoi occhi sottili; ragionò un po’, e poi borbottò:
«Sì… è il clan del
primo e secondo Hokage. E’ il clan che ha fondato la
Foglia.»
Ancora una volta,
sospirai; tuttavia, adesso che avevo iniziato sembrava tutto più facile… anche
se dubitavo fortemente di possedere il coraggio di arrivare fino in fondo.
«Esatto. Io faccio
parte di quel clan. Il motivo per cui l’ho tenuto nascosto a tutti è semplice:
il clan Senju è il clan più antico, insieme a quello
degli Uchiha. I due, tuttavia, anni e anni fa erano
continuamente in lotta fra loro. Ma c’è una verità più nascosta, che nessuno
sa…» mi fermai un attimo; presi a tamburellare concisamente le dita. Lui avrebbe capito. «I discendenti di
entrambi i clan sono eredi dei due figli dell’Eremita dei sei Sentieri; ma,
quando questi scelse come proprio erede il secondogenito, il primo attaccò il
fratello e si scatenò una guerra. Il primogenito dette poi vita al clan Uchiha, l’altro al mio. Tsunade è
mia cugina di secondo grado; è per questo che, non appena la vidi, tempo fa, la
riconobbi... sai, i suoi tratti somatici erano molto simili a una mia zia di Uzu. E anche Fugaku, dunque, è
mio parente molto alla lontana.»
Lui annuì, davvero
posato.
«Dunque, dov’è il
problema?»
Deglutii, tesa; ero
arrivata alla parte del racconto più complessa. E più dolorosa.
«Vedi… fra i due
clan c’è stata un’enorme guerra. Non
hai idea di quanti siano potuti morire… è successo anni e anni fa, ma il
terrore si tramandava ancora fino a poche generazioni fa; e l’odio che scorre
fra i discendenti è lo stesso di sempre. Ora, però, in cui i discendenti
effettivi dei clan sono pochi e quei pochi quasi neanche si conoscono, la
situazione sembra essersi calmata: vedi, ad esempio, che io vado molto
d’accordo con Fugaku, sebbene io abbia scoperto
subito la nostra relazione, quando ci siamo conosciuti. Ma… c’è un uomo… che
non può rinunciare a tutto quell’odio.» Guardai Minato, ancora e ancora; avevo
gli occhi lucidi; mi avrebbe mai potuto perdonare…? «Madara Uchiha. Ed è lui… è lui, l’uomo da cui
fuggo. E’ lui che mi terrorizza, mi spaventa, mi angoscia…» bisbigliai,
iniziando a tremare; se tanti anni prima il ricordo di lui mi preoccupava,
adesso solo sentirne il nome mi faceva ghiacciare le vene nel corpo: sarei
divenuta una madre, avrei avuto una famiglia… e se Madara
avesse deciso di vendicarsi su Minato, o su Naruto, o
sui miei amici per causa mia? Non ne
avrei retto la sofferenza; non ne avrei potuto sopportare il biasimo.
Ma tuo padre
sorrise ingenuamente, quasi stesse parlando con un bambino; mi strinse una mano,
si fece più vicino e borbottò, niveo:
«Ma, Kushina… Madara Uchiha è vissuto ai tempi del Primo Hokage.
Sarà morto da moltissimo tempo, oramai…»
Strinsi ancora di
più la sua mano.
«No, Minato… lui è
immortale! Lui non può morire! E’ ancora vivo… o perlomeno, lo era. Quattordici anni fa, quando tu mi
hai trovato… io ero riuscita a sfuggire da lui. Come ti dicevo prima, siamo
rimasti solo io, Tsunade e Nawaki
come discendenti del secondogenito dell’Eremita; ma loro due sono di un ramo
collaterale, nipoti di un figlio illegittimo di mio nonno, tant’è che non ne
conservano più neanche il cognome e ignorano le proprie origini; ma io… io sono la discendente diretta, ho il
sangue più puro. Madara voleva me, capisci? Mi ha
catturata da bambina, dopo tanti anni che mi cercava… e mi avrebbe torturato,
mi avrebbe ucciso, Minato! E io… io… sono scappata… e tu mi hai trovato. Tu mi
hai salvato.»
Era rimasto
totalmente senza parole; attonito e confuso, ma anche terrorizzato, biascicò:
«Lui… lui… che cosa
ti ha fatto?! Perché non me l’hai mai detto, Kushina?!»
Presi entrambi le
sue mani fra le mie, e lo guardai fissamente; mi misi a sedere e mi diedi della
sciocca per ciò che avevo detto. Porca miseria!
«Minato… lui non mi
ha fatto niente: sono fuggita, ti ripeto, prima che potesse sfiorarmi… ma se
così non fosse stato… sarei morta.»
Non risposi alla
sua seconda domanda: aveva pienamente ragione… e io lo sapevo.
«Ma… tutto questo
non ha senso! Non ha senso!» scattò in piedi, nervosissimo e preoccupato;
tremava tanto vistosamente da non poter star fermo; e, per la prima volta da
molto tempo, lo vidi scaldarsi e perdere la sua tipica calma.
«Ma perché te, Kushina?! Perché ha preso te?! E i tuoi genitori non hanno fatto niente?! O… quelli del
Villaggio, non sono venuti a cercarti?! Sei rimasta sola, totalmente sola di
fronte a quel pazzo…?! Cosa ne è stato di lui?» urlò; non sembrava arrabbiato
con me, ma semplicemente molto preoccupato.
«Minato, che
cavolo, calmati! I miei genitori erano già morti… e quelli di Uzu… mi odiavano tutti. Erano solo contenti che me ne fossi
andata.»
Presi a tremare.
Era questa, la parte peggiore.
«Perché?! Perché, Kushina?! Perché lui voleva proprio te? Cosa può mai nascondere una bambina di dieci anni?!»
Gli occhi mi
diventarono rapidamente lucidi; portai una mano al petto, angosciata.
«Io… ho con me un
segreto terribile da sempre. E’ per questo che tutti mi odiano. Ed è per
questo, Minato… se non te ne ho mai parlato. Avevo paura.»
Egli rimase ancor
più spiazzato da questa sentenza; mi si avvicinò e, ancora scosso e tremante,
chiese:
«Paura…? Paura di
cosa, Kushina?!» e poi, realizzò; e fu la prima,
primissima volta –e unica, già- in cui lo vidi arrabbiato con me. «Avevi paura
di me, Kushina?!
Sono tuo marito! Da quanto mi conosci, eh? Penso di meritarmi un po’ di
fiducia, specie dopo tanti anni in cui non ti ho mai chiesto niente del tuo
passato!»
Scostai gli occhi
dai suoi e iniziai a piangere sommessamente; io, io che solo qualche anno prima
mi ritenevo tanto invincibile e tanto fredda, io che ero sempre stata tanto
sicura di me… piansi come un bambino. Ero diventata così debole…?
«Ma non capisci?!
Io sono sempre stata sola! SOLA!»
urlai, sconvolta. «Tu sei sempre stato l’unico a starmi vicino e a volermi
bene! E qui alla Foglia… mi sono sentita subito a casa… nessuno mi guardava
male, nessuno malediva la mia nascita, nessuno mi voleva morta! Non potevo dire
nulla, non volevo! E s-se poi fosse accaduto di nuovo? Se poi anche voi
mi aveste cacciato…?! Cosa avrei fatto? Io… io non potevo… non volevo… tu non
hai idea di come sia stata la mia infanzia, Minato!»
Continuai a
singhiozzare, sempre di più; e lui, capendo la situazione e vedendomi per la
prima volta così intimamente afflitta, si calmò e mi venne vicino.
«Kushina… Kushina… ma cosa è
successo? Qual è, questo segreto?»
Alzai gli occhi,
continuando a piangere; tirai su col naso e, tremante, bisbigliai:
«Io… porto una
maledizione con me. Dove vado io, Minato… accadono disgrazie. E’ così.»
Lui sorrise ancora,
come prima; mi asciugò qualche lacrima, dolce, e replicò pacatamente:
«Oh, suvvia… nessuno può portar male… Forse ti starai
–»
«No.» confutai,
scuotendo la testa. «No.» Presi ancora fiato, asciugandomi rozzamente le
guance. «Tu, insomma… avrai notato, credo, che intorno all’ombelico ho un
sigillo. E’ un sigillo pentastico.»
Ovviamente, io
avevo sempre saputo che lui avesse intuito cosa fosse quello strano simbolo
intorno al mio ombelico; ma lui aveva sempre taciuto, confidando che prima o
poi gliene avrei parlato.
«Sì. L’ho visto.»
ammise infatti.
«Ecco… be’… vedi, i discendenti puri di… del primogenito
dell’Eremita dei Sei Sentieri applicarono questa maledizione ai rispettivi
cugini, che d’altra parte erano i veri eredi.»
Sospirai. «Quest’anatema, una volta applicato ad un membro, diventa congenito:
si passa da padre in figlio. Tuttavia, col tempo s’è visto che esso è un gene
recessivo: e, col passare degli anni, esso è divenuto sempre più raro nei
membri del clan Senju. Salta spesso le generazioni, e
non appariva da cinquant’anni… prima che nascessi io. Io, perciò… porto questa
maledizione. Dove vado io, ci sono
sventure, Minato.»
L’uomo deglutì,
serio e spaventato.
«Ma… non può
essere. Da quando ci sei tu…» sorrise un attimo, come era sempre stato solito
reagire quando parlava di me «la mia vita è totalmente cambiata. Tu… hai
portato solo gioia. Non è possibile, Kushina.»
Schioccai la lingua;
come al solito, lui era così ingenuo… e così tanto buono.
«Il problema è che…
il mio Villaggio ha iniziato ad essere povero dall’anno in cui sono nata io. I
miei genitori sono morti quando avevo due anni. Ad Uzu,
l’anno dopo, è salito al potere un tiranno che ha piegato il paese e tolto
tutti i diritti. E sono continuate ad accadere una serie di sventure… che
però…» deglutii ancora, e ancora tremai. «Mi odiavano tutti. Nessuno mi poteva
vedere. Madara voleva il mio potere… perché io… porto
un demone in me.»
«Un… demone?» m’interruppe lui, guardandomi
con occhi vacui.
«Sì.» sospirai.
«Non so di che demone si tratti… fatto sta che ne possiedo metà. E’ quello che
influisce così tanto sui miei cari o sulle persone intorno a me… è lui la causa
di tutte le disgrazie. Madara voleva il potere di
quel demone per distruggere la Foglia.»
Si scompigliò un
attimo i capelli, frastornato e sudato.
«No, Kushina. No. Mi
rifiuto di crederci.» asserì, convinto. «Da quando ci sei tu, alla Foglia va
tutto benissimo. Noi siamo sposati, io sono Hokage, e
avremo un bambino…! Come può andare male? Non vedi che va tutto benissimo?»
Era vero, era vero…
però…
«Lo penso anche io…
Sono anni che non succede niente; l’unica cosa che mi ha fatto preoccupare è
stata la morte dei tuoi genitori, il giorno dopo che avevamo litigato…
ricordi…? Allora, ebbi davvero paura…
Però… oramai sono undici anni che la Foglia vive nella prosperità…
quindi, magari… sono state tutte coincidenze… oppure» ricominciai a sorridere,
raggiante «oppure il potere è svanito, dopo tanti anni. E io… ho iniziato
davvero a crederlo, Minato.»
Egli arrise a sua
volta, e mi prese una mano fra le sue –dando, al solito, una rapidissima
occhiata all’enorme ventre.
«D’ora in poi,
andrà tutto bene.» conclusi.
E io ci speravo, ci
speravo davvero.
«Però… Naruto lo chiamiamo Uzumaki. Oh,
mi suona così strano il nome Kushina Senjo, che credo non mi ci abituerò mai…!» esclamò,
sorridendo ancora. «E poi, è con questo nome che ti ho conosciuto. E con questo
nome continuerò ad amarti… mi spiace.»
*
Sai… tu sei la cosa
più bella della mia vita. Dicono che
l’amore di una madre per un figlio sia una delle cose più forti che ci sia in
natura: e ciò è tremendamente e meravigliosamente vero.
Sei bellissimo. Sei
in tutto e per tutto uguale a tuo padre; hai i suoi stessi occhi, gli stessi
capelli, gli stessi tratti… tuttavia, dalla tua caparbietà e dai tuoi continui
lamenti credo che caratterialmente tu sia la mia copia. Il che non credo sia un
bene per te. Ma ti assicuro che questo non può che rendermi enormemente felice.
Mi spiace… mi
spiace così tanto essere stata tanto poco vicina a te… A conti fatti, ho
passato con tuo padre qualcosa come tre quarti della mia vita; e di questi, tu
non hai occupato che pochi mesi. E tutto, probabilmente, per colpa mia.
Perdonami. Ti chiedo solo questo.
Madara, alla fin fine, mi ha trovato.
Sebbene in tutto questo tempo non si fosse mai fatto vivo, e quantunque avessi
da sempre sperato che fosse morto… lui, una sera, mi ha scovato, semplicemente
bussando alla nostra porta. E’ successo tutto così velocemente… e così…
dolorosamente… che ricordo tutto con molta confusione… io sono così stanca, adesso… e così sola… Minato è subito intervenuto; mi ha
urlato di scappare e di portarti con me, mentre combatteva; ma io non ce l’ho
fatta. Avendo ferito l’altro, Madara s’è gettato su
di me; e… e poi, è diventato tutto buio… una ridda di parole, di urla, di grida
concitate, di “Kushina!”, di tintinnii riecheggiano nella mia
mente… non ricordo più… nulla…
So solo che, al mio
risveglio, intorno a me c’era l’inferno.
La nostra casa era stata sventrata; rimaneva una sola parete e qualche
brandello di muro. Provavo un dolore lancinante all’addome, lì dove fino a
qualche ora prima c’era il sigillo; e la Volpe a Nove Code giaceva nel bel
mezzo del mio amato Villaggio,
enorme, assassina, e dilaniava la gente.
Mi sono rialzata,
tremante, e ti ho preso in braccio mentre piangevi. Mi sono fatta forza,
nonostante fossi debolissima, e sono uscita di casa; tutto intorno a me era un
mucchio di cadaveri, di pianti, di singhiozzi… ho iniziato a correre, correre,
correre a perdifiato, ma Minato non era da nessuna parte… con l’angoscia e il
terrore che mi opprimevano, l’ho cercato per tutto il Villaggio… per poi
trovarlo in una vasta radura, dove prima c’erano case e strade, proprio ai
piedi della Volpe. Stava combattendo insieme ad altri ninja; tutt’intorno a me
c’erano mogli, bambini, anziani che urlavano o che si disperavano; poco lontano
da lì ho trovato perfino il cadavere del mio sensei, Akira… Ho deglutito, scossa, e mi sono lanciata in corsa;
ma sono stata prontamente bloccata da qualcuno. Totalmente folle e confusa, ho
urlato ancora e ancora e mi sono divincolata dalla sua forte presa; ho ripreso
a correre, con te attaccato al mio petto, che condividevi il mio stesso
terrore; e Minato, Minato… continuava a combattere… ma stavano inesorabilmente
perdendo… la maggior parte dei ninja vicino a lui erano morti; oramai, erano
rimasti in pochi superstiti. E ho continuato a correre; finché, a pochi metri
da lui, un tremendo boato non ha scosso la terra. Tutti i ninja lì riuniti sono
stati sbalzati via, ma lui, l’Hokage, ha continuato a fronteggiare il mostro.
«Minato! Minato!»
ho urlato, scioccamente; piangevo.
Lui s’è girato per
un solo secondo verso di me, per poi seguitare a combattere, impavido e
meraviglioso.
«Kushina –sta’ lontana!
Porta via N-!»
Ma non ha finito di
parlare, che è stato sbalzato vicino a me; tremante e piangente, l’ho aiutato a
rialzarsi.
«Minato… Minato… mi dispiace così tanto…» ho balbettato;
ero inutile, debole, piangevo e blateravo… proprio le cose che tanto tempo
prima avrei giudicato così sciocche…
«Kushina… la Volpe…» ha mugolato, toccandosi una profonda
ferita all’addome «… la Volpe non si può fermare… c’è un unico metodo…»
Per un singolo e
brevissimo istante, ci siamo guardati contemporaneamente, entrambi troppo
terrorizzati per esprimere ciò che egli aveva appena enunciato; trattenendo il
respiro, abbiamo fatto scivolare lo sguardo sul fagotto stretto a me, che tenevo
come fosse più importante della mia vita. E lo era…
«Naruto… lui
deve…» biascicò, pallido e sudato. «fare… da contenitore.»
Ho scosso la testa,
mentre le lacrime ricominciavano ad uscire. Ma come, come poteva pensare che…?
«Io… ora sigillerò
l’anima del demone… dentro di lui. Ma solo una metà…» ha tossicchiato un’enorme
quantità di sangue e poi, noncurante, ha ripreso a parlare: «l’altra… rientrerà
dentro di te. Tu possedevi la metà cattiva della Volpe a nove code… e Madara l’altra, quella buona. Riunendo le due, ha scatenato
il demone, e adesso vuole impossessarsi del Villaggio… era questo, il suo
scopo…»
L’ho fermato,
scossa; troppo agitata per formulare un pensiero concreto, ho mugugnato:
«Ma Naruto… Naruto crescerà… e tu,
Minato, tu…?»
«Kushina… io morirò.»
La sua risposta
secca e concisa è giunta come un fulmine a ciel sereno; l’ho mirato e rimirato
in modo pazzo e affannato.
«NO! No! Minato, no
–tu non puoi!», ho urlato,
stringendogli convulsamente una mano, mentre tu –quasi ti sia accorto di ciò
che stava inevitabilmente per accadere- hai ricominciato a piangere.
Lui ha sorriso,
come ogni dannatissima volta in cui si rivolgeva a me, e ha solamente
commentato:
«Io devo farlo.»
Ho aperto la bocca
un’altra volta, ma l’altro mi ha bloccato e, calmo, anche in quest’estremo
momento, ha continuato: «La Volpe ucciderà tutti… Anche te, anche me, anche lui, se non farò qualcosa.» ha esalato
un pesante respiro, per poi concludere: «Lui non ne risentirà: il demone
crescerà con lui, e Naruto imparerà a dominarlo. Io…
ho fiducia in lui. E tu… tu continuerai la tua esistenza… sebbene non
sopravvivrai molto. E’ l’unico modo che abbiamo.»
La mia gola era
talmente secca e arida che non mi è stato possibile replicare; dunque lui, non
perdendo altro tempo, si è alzato in piedi, ti ha preso in braccio e mi ha dato
un ingenuo bacio sulla fronte.
«Kushina… ti ho sempre amato, lo sai?» ha mormorato
solamente, sorridendo ancora; troppo debole e stanca per corrergli appresso, ho
osservato la sua figura allontanarsi, la sue mani muoversi in maniera
straordinariamente veloce e un incantesimo riuscire. D’un tratto, mi sentii
incredibilmente più potente; dopo attimi di puro dolore e panico, ho vomitato,
mi sono accasciata al suolo, ho tremato… il demone era tornato dentro di me… ma
era una parte più dura questa, più cattiva…
Il piano dell’Hokage era riuscito; le due metà della
Volpe a Nove Code sono state sigillate per l’ultima volta.
E, nel giro di
qualche secondo, è tutto scomparso: il demone, il cielo di un rosso così
straordinario e mefistofelico, e quell’aura tanto maligna; è ritornata la
notte, ed è stato più buio che mai.
Silenzio. Mi sono
avvicinata, ancora tremante, e ho osservato la scena: lui era accovacciato per
terra, con le gambe totalmente nere, mentre ti teneva fra le braccia; tu
dormivi.
«M-Minato…» ho
esalato, accosciandomi vicino a lui, e prendendone la testa sule ginocchia; egli
ha vagamente sorriso.
«Kushina… stammi
vicino, mentre muoio.» ha detto l’altro, con fermezza e vigore; che strano…
lui che chiedeva a me di stargli vicino… il destino, alle
volte, è davvero strano, sai…? Proprio lui, che era sempre stato vicino a me,
chiedeva ora il contrario…
Man mano che il
tempo è passato, ogni parte del suo corpo è diventata via via
più nera; Minato stava morendo. Ma non poteva essere… noi, noi dovevamo stare
insieme per sempre… noi ci conoscevamo da così tanto tempo… e noi ci amavamo…
ci amavamo… ma adesso…
Allora… allora era
vero… la mia maledizione c’è sempre stata. Per tanti anni ho creduto che fosse
scomparsa, o fosse solo un’invenzione… e invece… la malignità s’è solo
accumulata, per poi ritornare più feroce e verace che mai… e, ancora una volta,
tutti i miei cari ne sono stati coinvolti.
«Mi spiace, mi
spiace così tanto, amore mio…» ho
ripetuto, mentre mi accovacciavo su di lui, con gli occhi talmente carichi di
lacrime che a stento riuscivano a scorgere le persone che si stavano
avvicinando; era tutto troppo vivo e intenso per essere vero… il cuore sembrava
diviso in due dolorose metà: una realizzava ciò che sarebbe accaduto nei
successivi minuti, l’altra chiedeva solamente di valorizzare ogni singolo
secondo di adesso, poiché non sarebbe mai più tornato; il cervello mi urlava
contro parole troppo gravose e veritiere; e i miei sensi erano totalmente
sconvolti da non percepire nient’altro che noi tre. «E’ tutta colpa m-mia…
m-mia, solo mia… E tu, tu ci sei andato di mezzo…»
«Non dire così.» ha
ribattuto, fermo, quasi sia stato arrabbiato con me. «Io sono l’Hokage… ho dovuto… farlo.»
Ha respirato
ancora, stavolta in modo più pesante. «E io… sono fiero di te… e di mio
figlio.»
Ho deglutito,
mentre in modo quasi meccanico gli accarezzavo la sua zazzera, che in tanti e
tanti anni non è davvero mai cambiata. Come lui, in fondo.
«Anche io fra poco
morirò… la forza del demone, stavolta, è t-troppo forte, e… che ne sarà di lui,
Minato? Che cosa farà, tutto solo?»
Tu ti sei
svegliato, calmo, e mi hai vagamente guardato; e hai sorriso. Come tuo padre…
anche lui, sai, sorrideva sempre, e in qualunque occasione; e il suo sorriso
–credimi- è sempre stata la cosa più bella
di tutte.
«Il Villaggio della
Foglia… lo tratterà bene, vedrai. Nessuno lo isolerà…» un lamento, forte, è
fuoriuscito dalla sua bocca «perché è grazie a Naruto Uzumaki se il villaggio è salvo… sarà un
eroe… un giorno… lo so.»
Ancora un respiro
pesante. Mi ha guardato. E –che cosa banale da dire, già–
ha sorriso… per l’ultima volta.
«Ciao, Kushina.»
Le palpebre sono
calate, il colorito s’è fatto più pallido, ma il sorriso è rimasto; e, quasi
egli stesse dormendo, la sua testa è scivolata di lato.
Tutto questo è
successo solo qualche ora fa… e io… io… mi sono gettata a scrivere, perché
sento le forze venirmi sempre meno… per farti sapere, amor mio, le tue origini,
e farti conoscere i tuoi genitori. Fra qualche minuto morirò, credo; ti ho
lasciato davanti alla casa del Terzo Hokage, dove so
che si prenderanno cura di te.
Saranno tempi duri
e difficili per te. Lo so… ci sono passata anche io, sai. E tu… sarai così
abbandonato… al solo pensiero, rabbrividisco… ma fatti forza, bambino mio. La
tua mamma sarà sempre vicino a te, ovunque tu sarai, ovunque io sarò… e vedrai
che anche tuo padre ci sarà.
E… sebbene noi due
abbiamo potuto stare insieme, a conti fatti, solo cinque mesi… devi sapere che
quei mesi sono stati i più belli di tutta la mia vita. E tuo padre
acconsentirebbe, ne sono sicura –oramai, credo di conoscerlo abbastanza bene da
poterlo giudicare, sai.
Ti starò sempre vicino. Sempre. E, quando ti sentirai
solo… pensa a me, a tuo padre, e ai ninja che sono stati: vedrai che andrà un po’
meglio.
Ti amo… e lo farò
per sempre. E, questa volta, il tempo non cambierà le cose; stanne certo.
Sii forte, bimbo
mio.
Mamma.
************
And here we go.
Finito ^^.
Be’, che dire… spero sinceramente vi sia piaciuto. Queste ultime righe sono state
così pesanti da scrivere…! Poveretti, che brutta fine ;__; mi spiace.
Oh, ma
questi due sono MERAVIGLIOSI; ringrazio Kishimoto per
aver inventato una storia così bella nei flash back. Non so voi, ma a me sembra
sia fatta apposta per scriverci su tonnellate di fanfic
X3 MERAVIGLIOSI, non dico altro; chi
ha letto le scans sa.
Quattro
piccole note:
-Non so se
l’ho già scritto o_O ma Akira
è il padre di Iruka. Mi pareva bello che fosse il
maestro della madre di Naruto.<3
-Tutta la fanfic prende forma dalle ultime parole di Minato: “Kushina… stammi vicino, mentre
muoio”. Ho immaginato questa scena, ed è da lì che è partito tutto :D e poi,
casualmente il giorno dopo sento dall’Ipod di mio
fratello la canzone degli Oasis, che sembrava quasi
fatta apposta, e voilà!
-La scena
con Jiraiya è presa direttamente (per una volta xD) dal manga. Naruto numero 42, cap 382 (le parole sono copiate-incollate dal manga
italiano!)
-Sì, per
farmi venire in mente tutta questa storia su Madara e
Kushina c’è voluto un bel po’. xD
Ma spero vi piaccia comunque!
E adesso,
passiamo alle recensioni *-* Scusate il ritardo, ma luglio è stato un mese davvero
osceno, e ad agosto sono partita e ho dovuto studiare parecchio per i test dell’università
;__;
Avis: la
citazione del cap precedente (ho fatto una ricerca su
internet visto che manco me la ricordavo XD) era di Red e Toby,
nemici/amici! Cartone mai visto, deve essere una palla xD
Anyway, ti ringrazio tanto, come al solito, davvero
*_* Spero che sto capitolo ti sia piaciuto, aspetto commenti!! E sull’idea che
loro finiscono a letto, beh, ci ho riso parecchio anch’io xD
povero Minato, questa qui lo maltratta proprio, eh! Sono stupendi, già già (l’ho detto mille volte ma non smetterò mai di
ripeterlo…) Ti ringrazio ancora dei complimenti, davvero! ^_^
Ranocchietta: sei gentilissima come al solito. Grazie davvero!! Aspetto un commento
per quest’ultimo, eh! :D Grazie mille! E spero sia andata bene anche a te la
maturità!!
Pinkpunk:
ehi, sei impaziente? xD Eccola qui! Aspetto un
commento, davvero! Grazie comunque!! :D
C’est la fine! Ringrazio tutti, davvero, quelli che l’hanno commentata e
quelli che l’hanno messa fra i preferiti (se commentaste, magari, sarei più
felice... ^_^). Sono orgogliosa di questa fanfic,
seriamente.
E GRAZIE
KISHIIIII CHE CI FAI FANGIRLARE TUTTI INSIEME X3
Alla
prossima fanfic, fra non molto,
Clahp