AFTER THE SECOND WAR
Gli ultimi schizzi d’acqua che piovigginavano dalle grondaie creavano piccole
pozze agli angoli delle strade di Londra. I tetti delle casse erano dimessi, ed
i colori erano come spariti dalla capitale inglese, così come altrove. Un opaco
grigiore avvolgeva la città intera. Non c’erano strade affollate, non c’erano
ingorghi di automobili, non c’erano schiamazzi, e soprattutto suoni; non c’era
quasi più niente che animasse quella che fino a qualche anno prima era stato il
centro di un intero mondo. Di rado, qualche passante con il capo chino e il
volto nascosto nel cappotto attraversava a passo svelto quei desolati
marciapiedi, ed anche se il suo cammino s’incrociava con quello di
qualchedun’altro, non lo degnava neanche di uno sguardo, e proseguiva dritto
verso la sua destinazione. Era morta la fiducia a Londra, l’unico sentimento a
sopravvivere nei suoi abitanti era la paura. Ancor più raramente, l’asfalto
gelido assaggiava il sapore dei ruvidi pneumatici di automobili che proseguivano
lentamente, quasi come se avessero il timore di infastidire qualcuno. Inverni e
estati non erano mai stati così tremendamente uguali, entrambi freddi, entrambi
malinconici, entrambi spenti, come se la natura non si risvegliasse ciclicamente
nemmeno con il trascorrere dei mesi. A Diagon Alley e Hogsmeade le cose non
erano diverse. I negozi, che un tempo straripavano di accessori magici e bambini
in festa, erano barrati da travi di legno incrociate; alcune ante si erano
sganciate da cardini e restavano in bilico ciondolando al vento, vecchi
volantini e fogli di giornale erano gli unici ad affollare le strade con il loro
volo a spirale. Soltanto una strada sembrava conservare, seppur minima, una
certa attività. Un lento via vai si intravedeva a Nocturne Alley, una piccola
zona di per sé poco illuminata che ospitava gli unici negozi ancora accessibili,
tutti, eccezion fatta per nessuno, dedicati alle Arti Oscure. Il maggiore di
essi era Sinister & Burke, nonché il più fornito e fidato, essendo lo scenario
principale della vita sociale di molti illustri personaggi dediti alle Arti
Magiche dell’altro lato della medaglia, quello che per anni era rimasto celato
nell’ombra, e che adesso, più che venire allo scoperto, aveva fatto calare
l’ombra sull’intera città. Anche la Gringott era ancora aperta, ma non tutti
avevano il permesso di entrarvi, perfino chi aveva riposto nelle sue camere
ipersicure il proprio oro, perché quell’oro non era più il loro. Tutto era stato
espropriato da coloro che erano saliti al potere e che dettavano legge secondo
il proprio piacimento. Soltanto a queste persone era consentito entrare
all’interno della prestigiosa banca, che sebbene attiva, restava immobile e
silenziosa nella coltre gelida che l’avvolgeva, mossa soltanto dal raro
passaggio di singole persone ad intervalli piuttosto lunghi. La Gringott non era
di certo l’unico ufficio che era stato preso d’assalto; qualcuno aveva preso
l’iniziativa di ricostruire il castello di Hogwarts e riaprire la scuola, ma
soltanto ai purosangue era concessa l’iscrizione; delle quattro case originare
soltanto una era sopravvissuta, e il suo stemma si era sostituito alla grande H
al centro di quattro stemmi: il nuovo simbolo di Hogwarts era un serpente che
disegnava con il proprio corpo la lettera S. Infine, il Ministero della Magia,
aveva semplicemente smesso di esistere, e i suoi uffici erano diventati il
centro di un potere completamente indaffarato con il suo sterminio di Babbani,
Babbanofili e Sanguemisti, cosiddetti Mezzosangue. Mangiamorte, Dissennatori e
altre creature pattugliavano ogni centimetro quadrato alla ricerca di possibili
fuggitivi. Ogni giorno rappresentava una nuova battaglia per la vita. L’unica
possibilità di salvezza era la fuga, a nulla sarebbe valso armarsi contro un
avversario così potente, laddove addirittura il prescelto aveva fallito. Lord
Voldemort aveva preso il potere.
A un centinaio di chilometri dal cuore della cittadina inglese, due ragazzi
alloggiavano in un piccolo e diroccato lotto di pietra. La piccola abitazione
era costituita da due stanze, e ciascuna aveva la sua finestra. In una c’era un
logoro e vecchio letto le cui gambe avevano ceduto, e che si trovava, per
questo, al livello del pavimento; era coperto da una sudicia coperta la cui
caratteristica era avere dei grossi buchi grandi abbastanza da farci passare la
testa di un bambino. Il materasso era sporco e strappato lungo le cuciture, per
cui gran parte dell’imbottitura tendeva a fuoriuscire e a riversarsi sul
pavimento umido. Nell’atra stanza invece, c’era un tavolo rettangolare di legno,
che ciondolava da un lato all’altro avendo probabilmente gambe di lunghezza
differente. Oltre al tavolo, c’erano anche tre sedie, di cui una era
praticamente inutilizzabile, anch’esse di legno, e su una delle pareti, un
camino di pietra che, nonostante il freddo, doveva restare spento per non
attirare l’attenzione dei cacciatori alla visione di una nuvola di fumo
innalzatasi nel cuore di una foresta. Le espressioni dei residenti provvisori di
quest’abitazione non erano delle più felici; sui loro volti era possibile
cogliere il dolore, la rassegnazione, la stanchezza, ma soprattutto, la
consapevolezza di non poter vivere mai una vita normale, una vita felice, fatta
delle piccole gioie della famiglia. Hermione era distesa sul letto logoro, gli
occhi aperti ma assenti, fissi su un punto imprecisato della parete di pietra
che aveva davanti; aveva ormai l’aspetto di una donna matura, nonostante avesse
solo ventiquattro anni. I suoi capelli erano disordinati e sparsi in una massa
informe; ed indossava non uno, ma ben tre strati di vestiti, il cui ultimo era
un maglione grigio, di due taglie più grande, che sebbene non la tenesse proprio
in caldo, riusciva almeno a non farla assiderare. Ron, invece, era seduto su una
delle sedie, a gambe divaricate, l’addome rivolto allo schienale, e i gomiti
appoggiati sullo stesso, mentre tra le mani lasciava rigirare la sua bacchetta,
fissandola ma senza realmente vederla. Anche lui aveva un’aria piuttosto matura,
i capelli erano tagliati corti, ma davvero disordinati, segno evidente che quel
taglio era un’autonoma iniziativa, il volto era amareggiato e privo di
espressione, mentre uno strato di barba incolta veniva lasciato crescere
svogliatamente. Come Hermione, indossava più di un maglione, i cui colori
improponibili erano un tratto distintivo del gusto di Molly Weasley.
Hermione emise un profondo sospiro, e Ron, dall’altra stanza, si voltò nella sua
direzione, per vederla rigirarsi su sé stessa e spostare lo sguardo alla
finestra, dalla quale si vedevano solo ed esclusivamente alberi, sparsi nel
raggio di chilometri. Restarono per qualche istante così, ciascuno immobile
nella sua posizione, poi Ron lasciò la sedia e s’incamminò lentamente verso il
letto; Hermione sembrò non accorgersi di lui, fin quando non comparve nel suo
campo visivo. Il ragazzo si distese accanto a lei, e guardò fisso il soffitto da
cui pendevano svariate ragnatele, per un attimo si fermò a pensare che non
avrebbe mai immaginato di poter addirittura dormire con i ragni un giorno, senza
badare alla loro molesta presenza sulle sue coperte, e poi si voltò verso
Hermione, che era rimasta ad osservarlo; il braccio destro piegato sotto il
capo.
«Cosa pensi?» chiese delicatamente lei.
Ron continuò a fissarla, incrociando il suo sguardo; con il dorso delle dita le
sfiorò delicatamente una guancia.
«Che ti amo».
Hermione socchiuse gli occhi, e raccolse la mano di Ron che ancora sostava
all’altezza del suo viso. Rimasero nuovamente così, cercando di cogliere tutta
la vita che potevano da quel breve istante di dolcezza che si erano concessi.
Quando Hermione riaprì gli occhi, lo sguardo di Ron era ancora lì, travolto,
schiavo, irrinunciabilmente legato a lei.
«Sono stanca di questa vita» ammise Hermione, senza rimprovero, solo un velo di
rassegnazione.
Ron annuì leggermente.
«Vorrei potermi svegliare domani e riuscire a darti la vita che meriti,
Hermione. Una casa accogliente, due bambini, animali che scorrazzano per il
giardino, e grandi cene con le nostre famiglie, i nostri genitori, i miei
fratelli e mogli al seguito, Ginny…» ed ebbe un attimo di esitazione prima di
concludere «Harry».
L’espressione di Hermione, per quanto contrariata, appariva terribilmente dolce
e comprensiva.
«Ron» sibilò piano.
«Lo so. Ne abbiamo già parlato. Che ne dici di riposare un po’?»
Hermione annuì silenziosamente, e si avvicinò a lui tanto da annullare la
distanza tra i loro corpi, accoccolandosi innocentemente sul suo petto, cinta
dal suo braccio. Stando così abbracciati, senza dire una parola, caddero
addormentati fin quando fuori divenne talmente buio che la radura di alberi, che
si estendeva per chilometri, scomparve completamente, lasciando spazio solo a
percezioni uditive come il verso degli animali che ivi vivevano.
Ron aprì velocemente gli occhi e, come se non si fosse mai addormentato, si
concentrò immediatamente sull’ascolto di ogni percepibile rumore proveniente
dall’esterno. Istintivamente raccolse la bacchetta e si portò a sedere,
lanciando un’occhiata alla finestra, ma tutto ciò che riusciva a vedere era solo
la più profonda oscurità. Senza indugiare oltre, si voltò verso Hermione e la
trovò lì, stesa al suo fianco, persa in un sonno che le conferiva un’aria
serena; quasi si sentiva in colpa di interrompere quel beato momento, ma doveva
farlo per la salvaguardia e la sopravvivenza di entrambi. Allungò un braccio
verso di lei, e cominciò a scuoterla.
«Hermione» sussurrò «Hermione svegliati. Dobbiamo andarcene».
La ragazza aprì gli occhi, e nell’oscurità non comprese subito cosa stesse
accadendo.
«Che cosa c’è?» chiese, ancora intontita.
«Dobbiamo andarcene Hermione. Ho sentito dei rumori».
«Ma qui è pieno di rumori, lo sai» disse la ragazza mettendosi a sedere.
«No fidati, questi non sono i soliti rumori della foresta. Qualcuno si è
materializzato qui vicino».
«Ma cosa…»
Ron in un attimo fece scattare la sua mano sulle labbra di Hermione, e con un
indice coprì la sua facendole segno di non emettere nemmeno un sospiro. In quel
momento si sentirono nitidamente dei rumori insoliti provenire da fuori. Dei
passi avanzavano sul terriccio, roteando pietre e spezzando rami secchi.
«Passi» sospirò Ron, mentre ancora teneva la mano poggiata sulla bocca di
Hermione. «Sono vicini».
Ron prese per mano Hermione, ed entrambi scattarono lungo la parete, accostati
alla finestra per riuscire a vedere fuori. Si schiacciarono completamente contro
la pietra per non essere visti, abbracciati, l’uno contro l’altra. I passi si
fecero sempre più vicini, fin quando non s’intravide distintamente la luce di
una serie di bacchette; un folto gruppo di Mangiamorte era a pochi metri da
loro. L’oscurità, però, non permetteva né a Ron né a Hermione di riuscire a
vedere chi fossero i loro predatori, ma poco dopo, ai passi si aggiunsero anche
delle voci.
«Sento odore di Mezzosangue» annunciò una voce femminile che suonò
disgustosamente familiare ai due rifugiati. Era quella di Bellatrix Lestrange.
«Tu senti ovunque odore di Mezzosangue, Bella» le rispose Amycus Carrow. «E
quella che cos’è?» chiese quando intravide di fronte a sé la piccola casa di
pietra, all’apparenza deserta.
«Un perfetto nascondiglio» suggerì un Mangiamorte piuttosto giovane, molto
probabilmente una nuova recluta dell’esercito di Voldemort.
«Prendiamoli, quegli sporchi, sudici…»
«Abbiamo capito, Bella» disse Amycus alzando un braccio per metterla a tacere.
«Risparmiaci la presentazione dei personaggi».
«Magari sono gli amichetti di Potty». Bellatrix aveva un’espressione alquanto
sublime mentre pronunciava quelle parole. «La Mezzosangue è mia!» annunciò a
tutti i presenti, che non osarono contestare le sue volontà.
«Lo scopriremo subito» concluse Amycus e si avviò verso la costruzione.
Ron e Hermione restavano stretti nel loro abbracciato. Ron aveva gli occhi
chiusi, evidentemente teso, mentre Hermione si stringeva a lui per accingerne
forza e coraggio.
«Sei pronta?» le chiese, in un sussurro.
«Sì» concluse Hermione decisa.
«Al tre» annunciò Ron e cominciò a contare silenziosamente, mentre Carrow,
Bellatrix e gli altri Mangiamorte si avvicinavano sempre di più a loro. «Uno…
due…»
Proprio in quel momento la luce della bacchetta di Carrow riuscì ad illuminare
lo specchio della finestra, proiettando l’ombra di Hermione, tradita dai suoi
maglioni troppo grandi.
«Tre!»
«Avada Kedavra!»
Le bacchette di entrambe le fazioni scattarono nello stesso momento; fasci di
luce verde partirono in direzioni opposte. Istintivamente Ron si gettò a terra,
trascinando sotto il suo corpo Hermione. Dalle voci che sentirono uno dei fasci
aveva colpito in pieno un Mangiamorte, ma non si trattava né di Carrow, né
tantomeno di Bellatrix.
«Smaterializziamoci!» ordinò Ron e in un secondo sia lui che Hermione svanirono
nel nulla.
Bellatrix, presa dalla rabbia, si fiondò nell’abitazione e mandò per aria il
tavolo insieme ad una sedia che subì la stessa sorte.
«Dove sono quegli scarafaggi?»
Dopo aver compreso che a parte il tavolo e il letto non c’era alcunché, dovette
rassegnarsi al fatto che i due si erano Smaterializzati e cominciò ad imprecare
dimenandosi.
«Calmati Bella!» le intimò Amycus. «Non possono andare lontano. Li troveremo
ancora».
I due maghi si materializzarono in un posto a loro sconosciuto, dove
s’innalzavano alte pareti rocciose e non s’intravedeva nessun insediamento
abitato, fatta eccezione per il piccolo sentiero su cui si erano ritrovati, che
dava l’impressione di essere stato battuto da numerosi carri nel corso del
tempo. Impiegarono un po’ per cercare di prendere coscienza della nuova
situazione, e soprattutto, per capire se vi era nei paraggi un ipotetico
rifugio, e alla fine compresero che l’unica alternativa era incamminarsi lungo
il sentiero.
«E adesso? Da che parte andiamo?» chiese Ron, voltandosi in entrambe le
direzioni.
La scelta sbagliata sarebbe potuta costare loro la vita.
«Io direi di andare di qua.» suggerì Hermione, indicando il suo lato destro.
Ron, senza aggiungere alcunché cominciò ad incamminarsi, ed Hermione, dopo un
attimo di esitazione, gli fu dietro.
«Ti fidi così ciecamente di me?» chiese un sorriso appena annunciato.
Ron ricambiò l’espressione, ma il suo tono era serio. «Io mi fido sempre di te».
Camminarono a lungo, per ore, immersi nell’oscurità e senza poter accendere le
loro bacchette per paura di poter essere intercettati da qualcuno. Giunti ad un
bivio, Hermione si piegò sulle ginocchia, stremata, e guardò le due vie con la
stessa angoscia con la quale si osservano due sentieri che conducono
rispettivamente alla salvezza o alla morte, ma di cui si ignora quale sia l’uno
e quale sia l’altro.
«Credo che dovremmo accamparci qui per stanotte.» concluse Ron. «E’ notte fonda
ormai e non è detto che troveremo un posto per riposare. Per cui se vogliamo
dormire almeno qualche ora, meglio accontentarci di un albero e domani, con la
luce del sole, provvederemo a cercare un possibile rifugio».
Hermione appariva troppo stanca anche per parlare; si limitò ad annuire ed un
attimo dopo lei e Ron si accoccolavano contro il busto di un albero, tenendosi
in caldo con i loro corpi. La notte era gelida, e nel loro cuore regnava
soltanto paura, ma la volontà di sopravvivere era ben più forte.
Il mattino dopo, quando il sole ancora non era alto in cielo, e la luce era di
quel bianco a dir poco etereo, Ron fu svegliato da una gelida sensazione che gli
colpì la fronte, e da lì ricadde lungo la sua gote. Aprì lentamente gli occhi, e
fu nuovamente colpito da un altro colpo gelido. Poi due, quattro, dieci, sempre
più frequenti. Anche Hermione fu svegliata da quella cascata di goccioline
gelide, e in un attimo, cominciò a piovere a catinelle.
«Accidenti!» imprecò Hermione, alzandosi all’istante. «Ci mancava solo questa!»
Ron, immediatamente si tolse uno dei suoi maglioni, e lo avvolse addosso a
Hermione, in modo da coprirla.
«La fortuna è dalla nostra eh?» commentò. «Che si fa?»
«Corriamo!» suggerì Hermione, con un sorriso rassegnato.
I due cominciarono a correre quanto più poterono nella stessa direzione che
avevano intrapreso la sera prima. Con la luce del sole poterono constatare che
erano circondati da complessi montuosi, apparentemente desolati. La pioggia
bagnava i loro corpi ed in breve tempo erano già completamente fradici. Se
avessero mai trovato un rifugio, l’unica cosa di cui avrebbero avuto bisogno
sarebbe stato un fuoco. Corsero ancora per qualche centinaio di metri. La
pioggia intanto non aveva smesso di cadere, e alla fine, quasi nascosta, e
all’apparenza distrutta, trovarono una piccola casa di legno. Senza esitare si
tuffarono al suo interno e la trovarono deserta. Era formata da una piccola
stanza in cui vi era un letto ancora perfettamente integro, un piccolo tavolino
e un cucinino con tre fornelli. Sulla piccola finestra c’era addirittura una
tendina rosa. Con somma gioia di Ron, c’era anche un camino. L’unica pecca era
il soffitto, che era stato quasi completamente sfondato, cosa che faceva
apparire quella piccola casetta non molto diversa dall’esterno. Hermione notò
poi, in un angolo, quattro secchi di metallo, tutti con delle vistose
ammaccature, e pensò che il disagio dovesse esserci già da tempo e che i
precedenti abitanti avessero risolto così il problema. Alzò la bacchetta e disse
«Reparo!».
«Dovevano essere Babbani.» disse a Ron, facendo un cenno con il capo ai secchi.
Ron annuì, e poi notò, sul fornello, un piccolo mobiletto in legno a due ante.
Lo aprì, e al suo interno trovò viveri di vario genere, dallo zucchero al pane,
e qualche cosa conservata in scatola, all’apparenza commestibile.
«Devono essere stati qui fino a poco fa.» commentò.
Hermione annuì, e senza perdere tempo accese il fuoco nel camino con la sua
bacchetta. Si tolse i vestiti bagnati e consigliò a Ron di fare lo stesso.
Quando furono completamente asciutti, sebbene a malincuore, furono costretti a
spegnere il camino, e lasciarono solo la bacchetta di Hermione accesa per avere
una luce sufficientemente necessaria. Riuscirono anche a mangiare, dopo giorni,
grazie alle provviste trovate, ed Hermione improvvisò una specie di ricetta
mischiando insieme un po’ di ingredienti. La sera non tardò ad arrivare, anche
se per loro le giornate avevano pressoché la stessa durata di un’eternità. Ma
proprio mentre erano seduti spalle contro il muro sul piccolo lettino, qualcosa
li distolse dai loro discorsi. Qualcuno bussava alla loro porta. Entrambi
scattarono sull’attenti, scambiandosi sguardi vigili, mentre fuori, l’ospite
inatteso continuava a bussare.
Ron si alzò e lentamente si diresse verso la porta. Si voltò verso Hermione,
come per ricevere da lei una sorta di incoraggiamento.
«I Mangiamorte solitamente non bussano alle porte.» e così dicendo si avvicinò a
lui.
Ron si portò sulla stessa linea della porta, e con la bacchetta tesa, aprì la
porta di scatto puntandola deciso verso chiunque avrebbe trovato dall’altra
parte.
«Ehi!» esclamò alzando istintivamente le mani e con tono allarmato la persona
aggredita, con la bacchetta di Ron a cinque centimetri dal petto.
Ron abbassò il braccio, e dopo un primo stupore, sorrise scoprendo chi aveva
bussato alla sua porta. Sulla soglia, c’era un ragazzo alto, magro, ma che dava
l’idea di essere sufficientemente forte, i lineamenti ben definiti e degli
inconfondibili capelli bianco platino.
«Draco!» esclamò stupita Hermione, ma felice nel vedere finalmente una faccia
amica.
Ron aprì maggiormente la porta e fece segno a Draco di entrare. Il ragazzo non
se lo fece di certo ripetere più di una volta, e filò dritto a sedersi su una
sedia.
La famiglia Malfoy, nell’atto dell’ultima battaglia a Hogwarts, aveva voltato le
spalle al signore che aveva servito per anni. Draco, sopraffatto dalla tragicità
degli eventi in corso durante lo sterminio che coinvolse la scuola, si limitò a
non giocare nessun ruolo, impotente. Narcissa, nel suo piccolo, preoccupata per
le sorti di suo figlio, tentò di aiutare Harry, senza lasciarsi scoprire; mentre
Lucius, in un atto di codardia, abbandonò la guerra. Profondamente offeso per il
tradimento subito, Voldemort si impegnò, insieme alla caccia e allo sterminio
della razza mista e Babbana, anche alla cattura dell’intera stirpe Malfoy. Da
sei lunghi anni anche loro, come Ron e Hermione, e tutti coloro che avevano
combattuto nell’esercito di Harry Potter, fuggivano alla ricerca di esigui
nascondigli per un barlume di sopravvivenza; ma nel corso dei mesi quella loro
fuga diventava sempre più difficile ed estrema. Erano impossibili i contatti e
le comunicazioni, inoltre, era sconsigliato muoversi in gruppo, perché
facilmente individuabili. Come se non bastasse, l’odio più grande nei confronti
dei Malfoy, non era quello di Lord Voldemort, ma bensì di Bellatrix, sorella di
Narcissa, che si era sentita profondamente tradita dal nuovo credo adottato da
sua sorella. Durante quegli anni, Draco si era dimostrato disponibile e complice
nei confronti dei Weasley e dei componenti rimanenti dell’Ordine della Fenice e
tra le due parti nacque una sincera alleanza, costituita da aiuti, assistenza e
soffiate in qualsiasi momento, e contro qualsiasi pericolo. Era anche vero che
aiutarsi in quelle condizioni era piuttosto difficile, ma in quella continua
fuga era rigenerante il momento in cui si ritrovava un compagno di disavventura,
che pativa la stessa sorte. Per questo, sia Ron che Hermione furono felici, in
quell’attimo, di non sapersi soli.
«Come hai fatto a trovarci?» gli chiese Ron, richiudendo la porta, e accendendo
anche la sua bacchetta così da ampliare il raggio di luce.
Draco scosse leggermente la testa, ed alzò il palmo della mano dal tavolo, con
fare disinvolto.
«E’ stato difficile. Mia madre non voleva assolutamente che venissi, temeva fosse troppo rischioso. Ma le ho spiegato che dopo anni ci sono fare. So benissimo come muovermi in queste circostanze.»
Hermione si avvicinò di più al tavolo, avida di ricevere qualche notizia.
«Dicci, hai qualche notizia?» chiese preoccupata.
«Stanno tutti bene. Ancora nessuna perdita, stiamo resistendo.» e si voltò a
guardare Ron, con un sorriso stampato sulla faccia. «Tuo fratello e sua moglie
aspettando un bambino».
Ron fu folgorato da quella novità, piovuta così dal cielo, come una doccia
fredda, ma esultò sonoramente e finalmente il suo volto fu illuminato dal suo
sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
«Chi? Bill? Oddio ma è fantastico!»
Draco scosse il capo. «Il gemello».
Ron fu ancor più stupito. «George? Per la barba di Merlino! Non riesco proprio a
crederci.» e si voltò verso Hermione, che aveva accolto, come lui, la notizia
con sorpresa. «Hermione hai sentito? E’ meraviglioso!» e la abbracciò
sollevandola dal suolo.
Quando l’entusiasmo si fu spento, Ron sembrò meditare sui possibili pro e contro
dell’avere un bambino in una situazione di guerra ininterrotta.
«Certo però…» cominciò in tono dubbioso. «Forse non è proprio una grande idea
far nascere un bambino in un momento del genere! Voglio dire… già è difficile
pensare alla nostra salvezza, figurati a quella di un bambino. Ma poi… in che
mondo crescerà?»
Draco allargò le braccia, vistosamente innervosito.
«Non possiamo smettere di vivere per loro!» esclamò con vigore. «E’ proprio
quello che vuole, non capisci? Portarci all’estinzione!» ed improvvisamente si
rabbuiò, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita, con lo
sguardo fisso verso un punto imprecisato davanti a sé. «Un anno fa stavano per
prendere mio padre. E’ riuscito a sfuggirgli davvero per poco. Nell’attimo
stesso in cui l’avrebbero catturato, l’avrebbero ucciso senza pietà, senza
esitazione. Io lo avverto, sento ogni suoi richiamo. Ogni volta il mio braccio
brucia e tutto per questo marchio che ho addosso. E’ una sensazione straziante.
L’Inghilterra intera è sotto il suo controllo. L’esercito americano giunto in
nostro soccorso ha resistito una sola settimana. La Francia è già caduta, la
Germania non ha alcuna speranza, e di questo passo l’Europa intera. Babbani
muoiono di continuo…» e guardò Ron e Hermione che, restando in piedi,
ascoltavano il suo discorso senza fiatare. «Pensateci… noi maghi siamo stati in
grado di difenderci, gli stiamo sfuggendo da sei anni! Coloro che si sono
trovati impreparati sono stati proprio loro… i Babbani, che sono morti
miseramente. Il mondo intero finirà sotto il suo controllo fin quando ci saranno
soltanto lui, i suoi Mangiamorte e schiere di maghi rintanati nella penombra. In
tutto questo clima la nascita del figlio di tuo fratello è soltanto un bene».
«Sì, su questo hai ragione.» convenne Hermione. «Ma così raddoppiano i
pericoli».
Draco emise un suono in segno di approvazione.
«Davvero stavano per catturare tuo padre?» chiese Ron, facendo ricadere il
discorso su altro.
Il ragazzo biondo platino si voltò a guardalo, ed annuì lentamente.
«Non l’avrebbero risparmiato di certo.» ed aprì la piccola sacca che portava a
tracolla estraendone un sacchettino di plastica. «Voi piuttosto come ve la state
passando? Ho pensato aveste bisogno di provviste.» e poggiò la busta sul tavolo.
«Grazie Draco!» lo ringraziò Hermione.
«Anche per noi è difficile, comunque.» prese a fare Ron, ficcandosi entrambe le
mani nelle tasche dei pantaloni, così in profondità che correva il rischio di
bucarle. «Ogni giorno è un’incognita. Ci sono settimane intere in cui non
riusciamo a mangiare nulla. Altre volte in cui dormiamo allo scoperto, con il
bello e il cattivo tempo. Di questo passo se non ci ammazzano loro, ci
ammaleremo di sicuro».
«In verità…» disse Draco alzandosi. «Di questo passo non concluderemo mai
niente.» e si portò dinanzi a Ron.
«Bisogna
combattere».
Draco aveva uno sguardo fin troppo serio per non credere davvero a ciò che stava
dicendo. Ron lo guardò interdetto dritto negli occhi. Anche Hermione a quelle
parole emise un piccolo gemito.
«Come se fosse facile.» concluse poi amareggiato il ragazzo dai capelli rossi.
Draco sospirò e scosse il capo, deluso.
«Certo se non trovo in voi degli alleati, in chi posso mai sperare?»
«Ci abbiamo già provato!» si fece avanti Hermione, con grinta. «E per di più
eravamo molto più numerosi, e in forze. Il nostro fisico esce da sei anni di
fatiche, come potremmo mai combattere in queste condizioni? E poi, se non ci
siamo riusciti sei anni fa quando…»
Draco si dimenò alzando le braccia.
«Ok, ok, va bene. Ho capito. Continuate pure così. Siate pure pronti a vivere in
questa continua fuga per sempre. Io intanto vedrò se riesco a farmi ascoltare da
qualcuno!» e così dicendo prese la via della porta.
«Draco!» lo richiamò Ron, e l’amico si voltò. «Sono pronto ad aiutarti quando
vuoi, ma anche tu, renditi conto che non possiamo di certo combattere in tre».
Draco, fermo sulla soglia, gli rivolse un sorriso soddisfatto. «Radunerò il
nostro esercito.»
E così dicendo uscì chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Ron e Hermione
fermi lì a fissarla. Fu Hermione che, poco dopo, interruppe la contemplazione,
per far notare a Ron il suo grande sbaglio.
«Non avresti dovuto.» disse risoluta.
«Cosa?» chiese il ragazzo, come se non si rendesse conto del problema.
«Combattere? Ma cosa ti è saltato in mente?» continuò Hermione, incrociando le
braccia.
«Ma Hermione… ha ragione! Non possiamo continuare a scappare per sempre».
«Non siamo pronti Ron. Non abbiamo alcuna possibilità».
«E se ci fosse Harry?» incalzò Ron muovendo un passo in avanti. A quella domanda
Hermione si bloccò, cercò di aprire più volte le labbra per controbattere, ma
non riuscì a pronunciare alcuna frase di senso compiuto, fin quando si limitò a
dire «Ma lui non ci sarà. Harry non c’è più, Ron! E’ così da sei anni!»
Ron divenne improvvisamente aggressivo.
«Non è morto!» urlò con tutto il fiato che aveva, ma Hermione non sembrò
spaventata.
«Sarà anche così, ma ha avuto sei anni per farsi vivo… quindi ne deduco che
qualcosa debba essergli successo perché l’Harry che conoscevo non avrebbe mai
abbandonato i suoi amici così per tutto questo tempo».
Ron si placò, e non aggiunse altro. Sapeva perfettamente che il discorso di
Hermione non faceva una piega, e lui stesso non aveva di certo bisogno che
Hermione gli ricordasse quanto Harry tenesse a cuore gli amici. Se non si era
fatto vivo per sei lunghi anni, allora, evidentemente, era inutile continuare a
mentire a sé stessi. Lo sapeva… ma non voleva accettarlo.
La discussione con Hermione si spense a quel punto, dopodiché entrambi,
evidentemente stanchi, si strinsero nel piccolo lettino troppo stretto per
contenere entrambi. Spensero le luci delle loro bacchette, e si addormentarono
dopo molto tempo, pronti per affrontare una nuova giornata di fughe ed
incognite.
A chilometri di distanza, una sagoma appariva lungo una stradina deserta di
Londra. Dopo la pioggia di quei giorni, si era alzato un forte vento e le ante
delle case disabitate sbattevano in continuazione, con un ritmo petulante. La
sagoma apparteneva ad un uomo, aveva indosso dei pantaloni scuri ed un esile
maglione, il volto era provato e coperto da una folta barba; gli occhi, stanchi
e scavati, erano coperti dalle lenti degli occhiali. Camminava a passi lenti e
pesanti, con le mani in tasca per proteggerle dal freddo, quando calpestò un
foglio dall’aspetto logoro che il vento aveva fatto rotolare fin sotto le sue
scarpe. Abbassò lo sguardo e notò che il pezzo di carta ingiallito e strappato
portava la foto di un ragazzo, poteva avere all’incirca sedici, o diciassette
anni, era un’adolescente, aveva dei capelli neri disordinati e una vistosa
cicatrice sulla fronte. Lo raccolse e lesse la dicitura al di sotto della foto
in primo piano “Harry Potter. Indesiderabile N°1”. Una folata di vento
improvvisa gli fece volare l’esile foglio dalle mani. Decise di non curarsene, e
continuò a camminare per la sua strada.
L’indomani, Ron si svegliò piuttosto tardi rispetto ai suoi orari abituali,
dovevano essere pressappoco le dieci visto che il sole nel cielo era già alto e
irradiava completamente l’intera stanza. Ancora assonnato ed intontito, si
stropicciò gli occhi, e si stiracchiò allungandosi tanto da oltrepassare con i
piedi il limite del letto. Lasciò ricadere un braccio al suo fianco, ed
inaspettatamente, si accorse di essere solo. Si alzò raccogliendo la sua
bacchetta e la prima cosa che vide fu una tazza preparata sul tavolo,
evidentemente per lui, accompagnata da una teiera già pronta sui fornelli. Si
guardò intorno, chiedendosi dove si fosse cacciata Hermione, e poi decise di
controllare fuori. La trovò che stendeva i suoi vestiti su un filo teso fra due
alberi, mentre indosso aveva una gonna di stoffa, un vecchio golfino di un
giallo pallido, e una vestaglia azzurra, per resistere al freddo.
«Che cosa stai facendo?» le chiese curioso, arrivandole alle spalle.
Hermione si voltò appena e sorrise.
«Dammi i tuoi vestiti.» gli ordinò. «Dentro ho trovato quello che si direbbe un
armadio. C’è qualcosa che potrebbe andare anche per te, così lavo i tuoi
vestiti. Non sarebbe poi una cattiva idea cambiarci ogni tanto.» e finì di
sistemare l’ultimo dei suoi tre maglioni, per voltarsi finalmente verso Ron, con
aria sorridente e soddisfatta. Ron, invece, era ancora vistosamente intontito,
anche se entusiasta nella novità.
«Il tè è per me?» chiese, vistosamente sorpreso.
«E per chi dovrebbe essere? Non aspettiamo nessuno!» disse Hermione e lo superò
con aria divertita.
La giornata trascorse in maniera un po’ diversa da tutte le altre. Nonostante
facesse molto freddo, il lieve sole che era comparso al di sopra di loro, li
riempiva di speranza. Ron, passò tutta la giornata in giro tra la vegetazione e
le rocce circostanti la piccola casa di legno, alla ricerca di possibili cose
commestibili o, ma era di gran lunga più difficile, di qualche preda da
cacciare. Hermione mise sottosopra l’intero armadio-sgabuzzino doveva aveva
trovato gli indumenti per lei e per Ron, e l’unica cosa interessante che riuscì
a reperire fu un vecchio libro impolverato, che successivamente scoprì essere un
romanzo rosa per Babbani. La lettura non era decisamente delle sue preferite, ma
dopo tutto ciò che le piaceva di più al mondo era proprio leggere, per cui si
accontentò; prese posto su una sedia della cucina e in un paio d’ore era già
oltre la metà.
Quando Ron fu di ritorno, puntuale per la cena, la trovò semidistesa sul letto e
con un braccio piegato sotto la testa per sorreggerla, mentre il libro era
aperto, quasi alle ultime pagine, sul tavolo. Si avvicinò silenzioso e si
sedette accanto a lei, accarezzandole i capelli. A quel lieve contatto,
Hermione, che evidentemente dormiva sempre in stato di veglia per prevenire
qualsiasi pericolo, aprì gli occhi e ritrovò il volto di Ron a pochi centimetri
dal suo.
«Mi dispiace, ti ho lasciata da sola tutto il giorno.» disse dolcemente.
Hermione scosse appena il capo, e si mise a sedere, con la schiena contro la
spalliera del letto.
«Oddio ma è già ora di cena! Ed io non preparato niente!»
Stava cominciando ad agitarsi, ma Ron le prese entrambe le mani nelle sue e la
tranquillizzò. «Non preoccuparti.» ed indicò il fagotto di stracci che aveva
risposto sul tavolo. «Ho avuto fortuna».
«Che cos’è?» chiese Hermione curiosa, e allo stesso tempo spaventata.
Ron sorrise. «Be’… è la nostra cena!»
La cena fu ampiamente gradita da entrambi, e Ron dovette complimentarsi con
Hermione per l’ottimo pasto che era riuscita a preparare; anche se non era
un’opera spettacolare, era sicuramente la cosa più commestibile che avesse
mangiato negli ultimi anni. Hermione raccolse soddisfatta i complimenti, e
s’aspettò una ricompensa, che giunse poco dopo sotto forma di un bacio. Erano
ancora seduti al tavolo, alla lieve luce della bacchetta di Hermione, quando Ron
si bloccò, catturato evidentemente da qualche rumore sospetto.
«Cosa c’è?» chiese Hermione, in un sussurro.
Ron scosse il capo e alzò un braccio per far segno ad Hermione di tacere, ma
soprattutto di ascoltare. Poco dopo, anche la ragazza sentì uno scrosciare di
foglie e rami; qualcuno stava avanzando attraverso le folte piante che
circondavano la casa. Ron si alzò lentamente, ed ordinò ad Hermione di spegnere
la bacchetta; dopodiché raccolse la sua e lentamente si avvicinò alla finestra
per sbirciare all’esterno. All’apparenza non c’era nessuno, ma i rumori
continuavano, e poco dopo, una scura ombra apparve dal nulla. Non fu possibile
metterla a fuoco, dal momento che era tutto immerso nell’oscurità, ma Ron
avrebbe giurato che si trattasse di un uomo.
«Sta giù!» ordinò ad Hermione, mentre anche lui si fiondava sul pavimento.
Ed ecco, poco dopo, un toc toc sulla
porta di legno. Ron e Hermione si guardarono interdetti.
«Ma…»
«Allora non sono Mangiamorte!» dedusse Hermione, che si rialzò in tutta
tranquillità. Ron la trattenne per un braccio «Non possiamo ancora dirlo» le
disse, cauto.
Il toc toc si sentì per la seconda
volta, ed era ancor più forte. Ron si alzò lentamente dal pavimento, e si
avvicinò alla porta senza fare il minimo rumore. Hermione trattenne il respiro.
«Uno… due…»
Aprì la porta di scatto, puntando la bacchetta. «Chi sei?» urlò in un sol fiato,
e rimase allibito quando si ritrovò di fronte un uomo dall’aria stanca e
distrutta, che dava l’idea di aver tanto bisogno di riposo. Ron non l’aveva mai
visto, era un uomo dalla folta barba nera, e portava un comunissimo paio di
occhiali. Restarono così, immobili, sulla soglia, la bacchetta di Ron tesa
contro il petto del nuovo arrivato. Anche Hermione, sul momento, fu privata di
tutte le sue facoltà comunicative.
«Vuoi schiantarmi contro una Maledizione, Ron?» chiese l’uomo sulla porta, e Ron
apparve ancor più confuso. «Posso entrare?» chiese poi l’ospite, fiondandosi
nella piccola casetta. Prese la sua bacchetta, e con un solo gesto fece
illuminare la lampada a olio che fungeva da lampadario, improvvisamente fu luce
in tutta la stanza.
«Ma sei impazzito?» lo ammonì Ron, nervoso. «Così rischi di farci scoprire!»
«Se è destino vi troveranno comunque.» disse con fare sereno lo sconosciuto, e
poi, dopo essersi guardato attentamente intorno, si voltò verso Ron e Hermione
spalancando le braccia. «Allora? E’ così che si salutano i vecchi amici?»
Ron e Hermione ancora non capivano chi potesse essere l’uomo che avevano di
fronte, quando Ron, concentrato sui suoi occhi verdi, ebbe un piccolo dubbio.
«Non può essere…» sibilò. Si avvicinò lentamente all’uomo e con la punta della
bacchetta gli scostò una folta ciocca di capelli e lì, sulla fronte, trovò
quello che sperava di vedere: una cicatrice a forma di saetta.
«Oh Merlino…» ebbe solo la forza di sussurrare Ron, immobile, con la bacchetta
che ancora sorreggeva i capelli di Harry.
«Harry??» disse Hermione più che stupita, muovendo un passo in avanti, e
portandosi le mani alla bocca. «Sei proprio tu?». Si avvicinò all’amico che
appariva così diverso da quello che ricordava, gli cinse un braccio con una
mano, quasi come per sentirne la consistenza, ed assicurarsi che non si
trattasse di un’illusione.
«Sono proprio io, ragazzi!» annunciò entusiasta Harry, e spalancò le braccia. Un
istante dopo, lui, Ron e Hermione si trovarono uniti in un abbraccio di quelli
che non vivevano dai tempi della scuola. Restarono stretti per svariati secondi,
forse più di un minuto, ma era il minimo dopo un’attesa durata sei anni;
un’attesa in cui sia Ron, che Hermione, avevano temuto il peggio, nonostante la
speranza di rivedere il loro amico tornare da un momento all’altro.
Quando placarono il loro reciproco desiderio, sciolsero l’abbraccio, e rimasero
in piedi, in mezzo alla stanza, a fissarsi gli uni con gli altri. Ron e Hermione
ancora faticavano a parlare, completamente travolti dell’entusiasmo e dal grande
stupore. Harry, nonostante l’aspetto trasandato e stanco, appariva sorridente e
tranquillo, immensamente felice di aver ritrovato i suoi più cari amici.
«Ma…» cominciò Hermione a fatica «…oddio Harry, ancora non ci credo! Dove sei
stato? Cos’hai fatto in tutti questi anni? Devi raccontarci tutto!»
Harry annuì vigorosamente. «Oh lo farò! Puoi contarci che lo farò, Hermione. Non
vedo l’ora!»
Hermione, presa da un altro impeto di affetto per Harry, si gettò nuovamente al
suo collo, cingendolo con le sue braccia. Ron giurò che fosse ad un passo da una
crisi di lacrime, e sorrise. «Oh, Harry, menomale che sei tornato. Ti abbiamo
aspettato a lungo!»
Harry, sorpreso e compiaciuto, le accarezzò dolcemente i capelli, mentre la
ragazza dava sfogo dalla sua felicità, confermando le previsioni di Ron.
«Sapevo che non eri morto, amico! Credimi… tutto sembrava suggerire il contrario
ma…. Io no… me lo sentivo. Non potevi essere morto!» disse quest’ultimo, dando
una pacca sulla spalla all’amico, ed unendosi nuovamente all’abbraccio. Hermione
si trovò stretta tra i due.
Quando quest’ultima riuscì a calmarsi e ad accettare finalmente l’idea che Harry
fosse lì con loro, si accinse a preparare tre tazze di tè, mentre Ron e Harry
avevano preso posto a tavola e discutevano sull’attuale situazione.
«Malfoy? Quel Draco Malfoy?» chiese incredulo Harry, mentre Hermione gli serviva
la sua tazza fumante di tè.
Ron asserì con il capo, mentre prendeva la sua tazza e cominciava a girarne il
contenuto.
«Ti sarai reso conto da solo, Harry, che le cose sono decisamente cambiate da
quando te ne sei andato».
«Sì, lo vedo» si limitò a dire Harry e Ron continuò. «Voldemort ha preso il
potere. Non sono stati anni facili. Viviamo in continua fuga, sempre alla
ricerca di un nascondiglio. Draco e la sua famiglia ci hanno aiutato in molte
occasioni. Sai com’è… durante la battaglia a Hogwarts hanno avuto paura, e sono
tornati sui loro passi. Ne dedurrai che Voldemort è rimasto profondamente deluso
dal loro voltafaccia e per questo è sulle loro tracce da anni. Stavano quasi per
prendere Lucius, ma è riuscito a scappare. Per il resto, Hermione non vede i
suoi genitori da quando ha cancellato loro la memoria, e non sappiamo niente di
loro, purtroppo; mentre io, non vedo i miei da tre anni. L’ultima persona che ho
visto della la mia famiglia è stato Charlie, tre anni fa appunto, arrivò giusto
in tempo per una soffiata e riuscimmo a metterci in salvo in quell’occasione. Ho
saputo, sempre da Draco, che George e Angelina avranno un bambino».
Harry ascoltò tutte quelle informazioni senza proferir parola, mentre
sorseggiava il suo tè.
«Mi dispiace!» disse dopo svariati istanti di silenzio. «Forse sarei potuto
tornare molto prima, ma ho perso completamente la cognizione del tempo! Non
credevo che fossero già passati sei anni! Nell’attimo stesso in cui ho preso la
mia decisione, sapevo che le cose non sarebbero andate per il meglio, ma avevo
fiducia nel fatto che sareste rimasti voi, e che vi sareste fatti valere. Non mi
sbagliavo» concluse con un sorriso.
«In verità, Harry» contestò Hermione «ci siamo dati alla fuga».
«E Ginny? Come sta?» chiese Harry, serio e malinconico, quasi come se non avesse
ascoltato l’ultima affermazione di Hermione. I due compagni si scambiarono
un’occhiata preoccupata, chiedendosi se fosse il caso di parlare apertamente di
Ginny con Harry, e poi fu Hermione ad assumersene il compito. «Ginny non la
vediamo da quattro anni, Harry. Sappiamo che viene ancora con Molly e Arthur e,
questo è certo, ti ha aspettato a lungo. Indubbiamente è stata la persona che ha
sofferto di più la tua assenza, e credo che, dopo tutti questi anni, sia giunta
alla conclusione alla quale ero approdata anch’io, e cioè che non ti avremmo più
rivisto. Di recente, si era riavvicinata a Dean, che aveva aiutato lei e i suoi
genitori in un tentativo di fuga, ma non credo si vedano molto spesso,
considerati i tempi».
Harry abbassò il capo, chino. Sapere Ginny soffrire per lui, ed appartenere ad
un altro, lo angosciò terribilmente, considerato anche il fatto che lui aveva
scelto di andare via. Ci furono lunghi attimi di silenzio, che furono interrotti
prontamente da Ron.
«Draco Malfoy vuole combattere!» disse schiettamente, senza rimuginarci su
troppo. La notizia folgorò completamente Harry, tanto che il tè che aveva
ripreso a sorseggiare con amarezza, per poco non gli andò di traverso.
«Malfoy vuole combattere? Che intendi dire?»
«Esattamente quello che ho detto! Ieri è stato qui, come ti ho detto, e ci ha
chiesto se vogliamo unirci a lui nella lotta contro Voldemort».
«Draco non sa quello che dice!» ribatté Hermione, decisa. «Siamo troppo deboli
per riuscirci, per di più in minoranza numerica. Le nostre speranze sono pari a
zero!»
«Ma adesso abbiamo Harry!» si agitò Ron, alzando una mano per indicare l’amico,
seduto al suo fianco. Hermione alzò gli occhi al cielo, spazientita. Harry aveva
un leggero sorriso dipinto sul volto. «Non c’è niente da ridere, Harry» precisò
Hermione, infastidita, e l’amico provvide immediatamente a giustificarsi. «No,
pensavo… che non siete cambiati per niente! Non avete idea di quanto mi sia
mancato tutto questo!»
«I nostri battibecchi, dici?» chiese Ron divertito, e Harry annuì. «E pensare
che non abbiamo quasi litigato per anni! Vero?» chiese conferma a Hermione, ma
lei gli rivolse solo una smorfia infastidita.
«Oh, aspettavate me allora! Grazie ragazzi, ve ne sono grato!» esclamò Harry
entusiasta, e alzando la tazza in segno di ringraziamento. «Per quanto riguarda
Malfoy» riprese tornando improvvisamente serio «sono d’accordo con lui!»
«CHE COSA?» si animò Hermione.
«Sei l’unica a non capire che le cose così non possono continuare!» puntualizzò
Ron. «Non possiamo vivere così! Questo non è vivere, Hermione, è sopravvivere, e
sinceramente mi sono stancato! Voglio essere libero di vedere la mia famiglia
quando voglio, di costruirmi una famiglia solo mia, di camminare per le strade e
i luoghi del mio paese senza dovermi nascondere o comportarmi come un criminale.
Troppe persone hanno pagato per la nostra debolezza. Adesso abbiamo Harry, è
giusto che mettiamo fine a questa continua carneficina e ridoniamo all’Europa
intera la proprio libertà!»
«Ben detto!» intervenne Harry, battendogli una pacca sulla spalla. «Ron ha
ragione. E infondo, sono tornato anche per questo. Se anche Malfoy è dalla
nostra parte, ben venga, lui sarà di certo un aiuto fondamentale per il nostro
schieramento. Penso che porterà dalla nostra tutti i Mangiamorte pentiti.
Fidatevi, le forze si reclutano, di sicuro non mancheranno».
Hermione non sembrava essersi ancora convinta.
«Ehi! Sei la miglior strega che io abbia mai conosciuto!» le disse Harry,
serissimo. Il suo non era un tentativo di convincimento, ma quello che realmente
pensava. «Non puoi tirarti indietro proprio tu! Sei smettiamo anche di crederci,
siamo già sconfitti in partenza!»
«Perché questa volta dovrebbe essere diverso?» chiese seria, incrociando le
braccia. «Perché non sei anni fa?»
Harry lasciò la sua tazza sul tavolo, e si portò indietro contro la spalliera
della sedia. «Per quello che è successo in questi sei anni!»
L’aria di Hermione era interrogativa e dava tutta l’idea di esigere una
risposta, ma Harry, battendo entrambe le mani sul tavolo, ed alzandosi, la
congedò con un sorriso. «Vi dirò tutto domani, promesso».
Hermione non si oppose, e Ron osservò l’amico voltarsi verso il letto. «Ehm…»
cominciò un tantino imbarazzato. «Vedi… il letto è singolo e…»
«Posso dormire anche sul pavimento» si affrettò a dire Harry. «Di certo non mi
spaventa».
«Ok» concluse Ron. «Allora, Hermione, tu prendi il letto, ed io e Harry
dormiremo sul pavimento, va bene?»
L’espressione imbronciata di Hermione scomparve in quell’istante e fu sostituita
da un sorriso divertito. «Stai cercando di comprarmi, Ron?»
Ron alzò gli occhi al cielo, sorridendo. «Potresti fare a meno di
sottolinearlo?»
Anche Harry sorrise, vedendo i suoi amici, ancora in grado di scambiarsi
amorevolmente prese in giro dopo tutti quegli anni, ma soprattutto ancora uniti
da quel profondo legame che lui stesso aveva conosciuto nei sette anni in cui
avevano convissuto. Ron e Hermione si salutarono con un veloce bacio sulle
labbra, poi fu spenta la luce che irradiava tutta la stanza, e si sistemarono
per la notte. Una volta immersi nelle tenebre, si abbandonarono a scherzi e
aneddoti che quasi avevano dimenticato, riattraversarono gli anni della loro
adolescenza, e quelli della loro separazione. Restarono ore a parlare fin quando
Ron non crollò lasciando i suoi amici in compagnia del suo sonoro concerto
nasale. Harry e Hermione risero, e dandosi dolcemente la buonanotte, si
abbandonarono anche loro in un sonno profondo.
Il giorno dopo, quando tutti furono svegli, e parteciparono ai convenevoli
mattutini, l’aria di Hermione era ancor più stupita nel vedere il nuovo Harry
avvolto dalla luce del sole. Era come se si sarebbe aspettata di non ritrovarlo
lì al suo risveglio, come se fosse stato solo un sogno. Harry, invece, era
sereno e sempre irriconoscibile per via della sua barba nera. Decisero di
ispezionare i dintorni della casa, oltre la foresta e le montagne rocciose, in
cerca di qualcosa di commestibile, tutti e tre come ai tempi in cui in tenda si
spostavano per l’Inghilterra intera in cerca di nascondigli. Era come esser
stati catapultati nuovamente in quel passato, fatta eccezione per gli anni in
più e per le cicatrici che avevano lasciato.
Tornati a casa con un bel bottino, Hermione si cimentò nei preparativi per il
pranzo ed era a dir poco raggiante quando poggiò il piatto sul centro di quella
tavola imbandita per tre persone. Dalla solitudine sua e di Ron si era passati
quasi ad una festa di vecchi compagni di scuola. L’argomento principale,
ovviamente, era il combattimento che avevano intenzione di intraprendere contro
Voldemort, con l’appoggio di Draco.
«Allora» esordì Harry sfregandosi le mani. «Chi abbiamo dalla nostra parte?
Dell’Ordine chi c’è?»
«Vediamo…» cominciò a meditare Ron, guardando un punto imprecisato del soffitto.
«…i Weasley ovviamente, mia madre, mio padre, George, Angelina, Charlie, Bill,
Fleur» cominciò a stilare una lista mentre Harry annuiva vigorosamente.
«Aberforth, che al momento, dopo Lucius Malfoy è il più ricercato dai
Mangiamorte. Addirittura noi ignoriamo dove si trovi. Poi chi c’è…»
«Hagrid!» gli suggerì Hermione «E Olympe Maxime ovviamente».
«Shacklebolt.» continuò Ron.
«Gli insegnanti di Hogwarts? La McGranitt?» chiese Harry, come per venire in
contro ai suoi amici nel ricordare tutti i membri asseriti alla loro causa. Ma a
quella domanda, Ron e Hermione si scambiarono un’occhiata malinconica, ed
abbassarono lo sguardo, in silenzio.
«Ecco Harry…» cominciò Hermione, ma lui aveva già capito nell’attimo in cui
aveva fatto quella domanda.
«No…» sibilò, quasi senza voce.
«…vedi, era la più anziana, e gli ultimi anni hanno fatto invecchiare tutti più
velocemente. Anche Vitious non è più in grado di combattere» spiegò Ron.
«L’abbiamo saputo con molto ritardo, quando siamo riusciti ad incontrare Hagrid.
Ha scosso tutti questa notizia. Stentavo a crederci».
«Come me adesso!» affermò Harry, addolorato. «Ma ditemi che non è stata presa da
loro, vi prego».
«Oh no, no!» sopraggiunse Hermione. «Non è stata presa dai suoi uomini. Si è
spenta semplicemente perché era arrivato il suo momento, Harry. E’ vero le sue
condizioni sono molto peggiorate da quando abbiamo cominciato a vivere così, ma
io credo che abbiano solo velocizzato un processo che sarebbe stato inevitabile.
Avrebbe recuperato quanto? Cinque o due anni? Comunque ha vissuto la sua vita a
pieno, ha insegnato al più grande mago tutt’ora esistente, essendone la
rappresentate di Casa quando lui era a scuola. Lei era semplicemente onorata di
averti avuto con sé, Harry. E non si è lasciata prendere da Voldemort, non
l’avrebbe mai permesso».
Harry sembrò un tantino risollevato al pensiero che la professoressa McGranitt
non fosse morta per mano di Voldemort (e che quindi non fosse stato
indirettamente lui il vero responsabile), ma gli ci volle del tempo per
accettare il fatto che la sua insegnante preferita, la rappresentate della sua
Casa, fosse scomparsa mentre lui era lontano miglia e miglia.
«Allora» riprese Hermione dopo tempo, a pranzo ormai terminato. «Vuoi dirci
cos’hai combinato in questi sei anni? Dove sei stato?»
Harry si voltò verso di lei ed incrociò il suo sguardo scrutatore. Non era mai
riuscito a sfuggirgli, sin dai tempi della scuola. Si rese conto che era giunto
il momento di parlare. Doveva dire tutto a Ron e Hermione del perché della sua
scomparsa improvvisa, durata per così tanto tempo. «Che cos’è successo, quella
notte?»
Un ultimo sguardo ad entrambi i suoi amici, e un ultimo attimo di esitazione,
prima di ricomporsi e sistemarsi nella posizione a lui più comoda. Distese
entrambe le braccia sul tavolo ed incrociò le dita, cominciando a fissarle
intensamente, in modo da non poter inciampare negli occhi accusatori di Ron e
Hermione. Ai suoi compagni, tuttavia, sembrò che Harry stesse per intraprendere
un viaggio in un’altra dimensione; perdendosi in visioni a cui loro non potevano
partecipare. Harry si schiarì la voce un’ultima volta, e poi, finalmente,
cominciò il suo racconto. Ron e Hermione non osarono far percepire nemmeno un
sospiro.
«La mia bacchetta… è entrata in contatto con quella di Voldemort. Entrambi
sapete cosa succede quando questo si verifica. Per l’ennesima volta sono stato
come travolto, trasportato, in un mondo parallelo dove tutte le persone che
amavo e che erano scomparse, si ripresentavano al mio fianco, dandomi il loro
sostegno. Eppure, quella notte, c’era qualcosa di diverso. Sentivo che qualcosa
non stesse andando per il verso giusto. Mi stavo indebolendo, e il raggio di
Voldemort mi avrebbe sicuramente sopraffatto. Per un attimo pensai di
interrompere il contatto, ma non potevo sapere come sarebbe andata a finire.
Allora, nel mentre in cui la mia forza veniva meno, ho realizzato l’unica
opzione possibile: smaterializzarmi! E così ho fatto. Mi sono concentrato sulle
mie tre D per quanto potessi, ma evidentemente, ho fallito di nuovo, perché non
sono riuscito nel mio intento. Non mi ritrovai nel luogo in cui avevo deciso di
essere, ma inaspettatamente a migliaia di chilometri di distanza, in un altro
continente. Qualcosa, forse il grande campo magnetico che si era venuto a
formare durante il combattimento, aveva interferito con la mia
Materializzazione. D’altronde ero stato anche un pazzo a pensare di riuscirci
dal momento che la Materializzazione non funziona ad Hogwarts, ma seguendo il
mio intuito, conclusi che essendo la scuola ormai in rovina, tutte le forme di
sicurezza erano praticamente cadute e, quindi, magari avrei avuto qualche
speranza. Così lasciai Voldemort, lasciai il campo di battaglia,
involontariamente ovvio, e nessuno ebbe più mie notizie. Sarei potuto tornare
anche subito, questo è certo, ma ciò che trovai dall’altra parte, non me lo
permise. Ero finito, inaspettatamente, in un luogo dove regnava la Magia, una
Magia che i Babbani conoscevano e di cui non avevano paura. Era un posto
meraviglioso. Inizialmente stentai a crederci, e credevo di essere svenuto e di
vagare nella mia mente, ma poi, qualcuno venne in mio soccorso. La cosa che mi
spinse a restare fu il fatto che nessuno conoscesse il mio nome, o la mia
storia. Per loro ero un individuo normale. Mi portarono dal capo del loro
villaggio, un saggio a cui mi sono legato molto, forse perché vi ho sovrapposto
l’immagine di Silente. Tra l’altro, ho perdonato Silente. In questo lungo
viaggio di formazione, ho avuto modo di riflettere e di pensare a lungo e sono
arrivato alla conclusione che ha agito semplicemente per il fatto di essere un
uomo. Ero io che l’avevo troppo idealizzato, e l’avevo reso l’uomo incapace di
sbagliare, ma lui stesso mi aveva sempre sottolineato quanto fosse un uomo
comune. Comunque, il capo del villaggio pretese di sapere tutta la mia storia e
fui costretto a raccontargli tutto per filo e per segno. Gli spiegai che dovevo
tornare al mio dovere. Dovevo salvare le persone che amavo, che avevo lasciato
sole e che stavano ancora combattendo. Ma lui non accettò di lasciarmi andare,
mi spiegò che sarebbe stato tutto inutile se non avevo alcuna possibilità di
vittoria, e in questo, aveva ragione. Decise che avevo bisogno del suo aiuto, ed
io l’accettai. Da quel giorno sono diventato il suo allievo e mi ha insegnato
cose che ignoravo, non saprei dire se lo stesso Silente le conoscesse. Il mondo
della Magia è sterminato, e differente nei vari posti del mondo. Lui mi ha
insegnato tutto ciò che sapeva e mi ha seguito per anni e anni di apprendistato.
E’ per questo che non mi sono reso conto del tempo che passava. Lì era come se
il tempo non esistesse. Quando il maestro mi disse che ero pronto per andare, io
mi trattenni, perché non mi sentivo ancora all’altezza, volevo ancora
migliorare, perfezionarmi. Volevo essere sicuro di tornare a casa e sconfiggere
Voldemort. Così rimasi, ancora, non saprei dire per quanto tempo, forse anni.
Per questo, dovete scusarmi. Ma oggi sono qui, sono sicuro di poter vincere
contro Voldemort, e voglio farlo con voi al mio fianco».
Harry sembrò avere altro da dire, ma si fermò, ed alzò lo sguardo per
controllare che i suoi amici fossero ancora lì ad ascoltarlo. Ron era come
pietrificato; da quando era cominciato il racconto di Harry non si era mosso di
un millimetro, e se ne stava fermo e rigido, seduto accanto a lui, con il busto
in avanti, e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Hermione, dall’altro lato del
tavolo, era seduta così come l’aveva lasciata prima di eclissarsi nei suoi
ultimi sei anni di ricordi, e aveva un’espressione impercettibile, anche se il
suo sguardo tralasciava trasparire una certa confusione.
«Siete liberi di odiarmi, comunque. Ne avete ogni diretto.» riprese Harry,
cercando di scatenare in loro una reazione.
«Odiarti?» chiese Ron, sconvolto. «E perché dovremmo? Cavolo, Harry, ti rendi
conto di ciò che hai vissuto? Sembra che… il destino abbia voluto farti arrivare
in quel posto».
«No, non il destino.» precisò Hermione. «La volontà di Harry. Evidentemente,
quando si è Smaterializzato, la sua volontà di poter vincere e sconfiggere
Voldemort era così forte, che inevitabilmente l’ha condotto nel luogo in cui
avrebbe trovato la soluzione. Certo… ce ne hai messo di tempo però».
«Ve l’ho detto, è stato un vero e proprio apprendistato il mio».
Ron riportò su la schiena e rivolse a Harry un sorriso raggiante. «Quindi…
praticamente è già fatta! Voldemort è sconfitto!»
«Non lo so, Ron. Indubbiamente non credo che risulterà una passeggiata. Ho sei
anni di esperienza in più sulle spalle, questo è certo, ma bisogna vedere lui
cos’ha prodotto intanto».
«Non ha prodotto niente, fidati.» esclamò secca Hermione. «Sono sei anni che
Voldemort non tocca una bacchetta. Tutti i Babbani e i maghi catturati e uccisi
non hanno sporcato le sue mani con il loro sangue. Fa fare tutto ai suoi fedeli
Mangiamorte, e intanto se ne sta comodamente nella sua tana a godersi la
gloria».
«Ma che razza di…» esclamò Harry, ma trovò le parole per descriverlo.
«Lo sai, Harry» continuò Hermione «lui si pone in prima linea soltanto quando si
tratta di te».
«Allora dovrà uscire dalla sua tana stavolta, perché sono tornato!»
«Ma, cosa ti ha insegnato questo saggio maestro non è possibile saperlo?» chiese
Ron, incredibilmente curioso.
Harry fece per cominciare un discorso sugli insegnamenti ricevuti durante il suo
lungo apprendistato, ma nel giro di pochi secondi, si rese conto che gli era
impossibile. «Ecco, vedi, è dovrei sottoporti a sei anni di allenamenti
intensivi.» disse sorridendo.
Anche Ron rise, e si alzò dal suo posto dirigendosi verso Hermione e puntando un
dito contro Harry. «E chi ti dice che io abbia i tuoi stessi tempi di
apprendimento?» e così dicendo, arrivò alle spalle di Hermione, e si abbassò su
di lei, abbracciandola.
«Hai ragione, Ron» convenne lei «ce ne vorrebbero minimo dodici».
«Non sei divertente.» disse Ron fingendosi amareggiato.
Harry rideva divertito, nuovamente contagiato dai battibecchi dei suoi due
amici, che per troppo tempo aveva pensato di non sopportare, ma che in quel
momento gli apparivano come la cosa più preziosa che avesse al mondo. Era
finalmente tornato a casa, e si sentiva bene. Quasi stentava a crederci. Anche
se aveva difficoltà ad ammettere a Ron di essere terribilmente spaventato
riguardo al combattimento, sentiva che se ci avesse davvero creduto, e se avesse
avuto loro al suo fianco, tutto sarebbe andato per il meglio.
«Allora» riprese interrompendo le scaramucce affettuose tra Ron e Hermione
«aspettiamo che torni Malfoy, o ci muoviamo noi?»
Gli altri due si voltarono immediatamente verso di lui, e restarono per qualche
attimo in silenzio.
«Andiamo!» affermò, infine, Ron con sguardo deciso.
Hermione non disse nulla, ma annuì energicamente.
«Stanotte?» chiese Harry dall’alto dei suoi comuni occhiali, e i due si
scambiarono un’occhiata d’assenso.
Ore ed ore più tardi, con un quasi impercettibile suono, tre sagome scure si
Materializzarono oltre una siepe. Si guardarono intorno furtivamente e, facendo
ben attenzione a restare nascosti dagli esili rami della pianta, poterono
constatare come si trovassero completamente avvolti nell’oscurità. Attorno a
loro poterono scorgere giusto ombre di fitti alberi, appena riconoscibili dal
loro stagliarsi contro il cielo stellato, essendo più simili ad un grande buco
nero, che ad una foresta. Tutto appariva, inoltre, calmo e silenzioso. Gli unici
rumori captabili erano gli spostamenti di foglie veloci, causati da qualche
animaletto in fuga, e il bubbolare dei gufi.
«Mi spaccherò con tutte queste Materializzazioni una dietro l’altra!» esclamò
Ron, seccato, e ripulendo una manica del suo maglione da uno strato di polvere.
Harry, la cui attenzione era dedita all’ispezione dell’intera zona, non lo degnò
di uno sguardo.
«Lo so, amico, ma finché non troviamo i Malfoy non possiamo fermarci.» esclamò
sottovoce.
«Auguriamoci che siano qui allora!» continuò l’amico.
Fu in quel momento che, in lontananza, Harry avvistò una fievole luce provenire
molto probabilmente da un casolare lì vicino. Non sapeva dire con precisione
quanta distanza li separasse da quello che sembrava proprio il
Lumos di una bacchetta, ma era
fortemente intenzionato a scoprirlo.
«Che cos’è quella?» chiese Hermione, che come Harry aveva notato il leggero
bagliore luminoso.
«Credo che sia la luce di una bacchetta!» disse voltandosi verso l’amica. «Che
ne dici, Hermione? Potrebbero essere loro?»
«Non ci resta che provare.» convenne la ragazza.
S’incamminarono lentamente fra i rami e gli sterpi, e quando giunsero ad una
sufficiente distanza poterono constare come la luce che avevano intravisto,
illuminasse proprio una stanza al pian terreno di un vecchio casolare. Harry si
voltò per un attimo, prima di avanzare, e fece segno a Ron e Hermione di fare il
massimo silenzio. Camminarono lentamente, calpestando foglie ormai morte, e
giunsero alla porta della grande abitazione. Harry aspettò l’assenso dei suoi
compagni, e poi, senza esitare oltre, bussò alla porta, con due colpetti quasi
impercettibili. Sentirono diversi rumori provenire dall’altra parte: sedie,
passi, scricchiolii. Harry capì che gli abitanti di quella casa stavano provando
la stessa diffidenza che aveva coinvolto anche Ron e Hermione quando aveva
bussato alla loro porta. Per questo motivo non si scoraggiò, e bussò di nuovo.
Lui, Ron e Hermione attesero ancora svariati secondi, in silenzio, poi la porta
si aprì, e Harry si ritrovò una lunga bacchetta proprio puntata contro il naso.
Alzò lentamente lo sguardo, e scorse lunghi capelli di un biondo sporco, ben
lontani dall’essere rilucenti come un tempo. Erano quelli di Lucius Malfoy, che
dall’alto della sua austerità, sebbene Harry fosse cresciuto molto in altezza,
lo squadrava con aria severa. Per una frazione di secondo nessuno parlò, nessuno
capì cosa stesse accadendo, ma Draco non impiegò molto ad apparire oltre la
spalla di suo padre.
«Ron! Hermione!» esclamò il ragazzo e Lucius esitò per un attimo. Guardò suo
figlio, e poi nuovamente i nuovi arrivati alla sua porta. Spostò bacchetta
illuminata alla sua destra, e notò una giovane donna con i capelli arruffati e
l’immagine di una grande bellezza trascurata e persa chissà dove, gli occhi
castani erano stanchi, e i vestiti vecchi e rattoppati.
«Ma tu sei…» furono gli unici fonemi che riuscì ad emettere. «E tu sei…» e
spostò la bacchetta verso Ron, dall’altra parte, alla sua sinistra.
«Allora tu sei…» concluse Draco per lui, spostandosi in avanti, di fronte ad
Harry, ed osservandolo attentamente. Occhiali, occhi verdi, capelli neri. Era la
barba a deviarlo, ma decise che per sedare il suo dubbio c’era una
sola cosa da fare. Allungò una mano verso la fronte dell’uomo che aveva
di fronte e gli scostò i capelli. Una cicatrice a forma di saetta conferiva a
quel viso, a quell’individuo, un’intera storia, un intero passato, un passato in
cui figurava anche lui. Harry Potter, il suo ex acerrimo nemico era di fronte a
lui, dinanzi alla sua porta.
«Harry Potter» sillabò Lucius, quasi senza fiato.
«Cosa succede caro?» sopraggiunse il quel momento la voce di Narcissa.
«E’…» e cercò le parole più adatte da usare, ma senza riuscirci. «E’… Harry
Potter, tesoro.» concluse con leggerezza.
«Harry Potter?» chiese Narcissa interdetta, e giunse anche lei sulla soglia,
dove trovò i tre fuggiaschi guidati da un uomo barbuto e con gli occhiali. La
sua perplessità non svanì dinanzi a quella visione.
«Non posso crederci!» esclamò Draco con un sorriso, e poggiò entrambe le mani
sulle spalle di Harry. «Dopo tutti questi anni…»
Harry annuì. «Ebbene sì.»
«Siamo qui per combattere, Malfoy.» tagliò corto Ron, che non voleva rivivere i
preliminari del ritorno di Harry. Ogni momento per loro era prezioso, e
soprattutto, era un momento in più che vedeva Voldemort al potere.
«Ehi, ehi, ehi! Aspettate un momento.» intimò Lucius «Combattere? Cosa
significa?» ed in quel momento sembrò capire tutto, e si voltò verso suo figlio
con aria autoritaria. «Draco?»
Il ragazzo dai biondi capelli come quelli di suo padre non si fece di certo
intimorire, e non ricorse a mezzi termini.
«Vogliamo armarci contro Voldemort!» disse deciso.
«CHE COSA?» esclamò Lucius che appariva sconvolto alla notizia. «Volete farvi
uccidere?» chiese in tono severo mentre il suo sguardo ricadeva su tutti.
«Volete farci uccidere tutti quanti?» e il suo sguardo si fermò in particolare
su Harry. I loro occhi si incrociarono, così come era accaduto molte volte,
eppure in quel momento Harry non avrebbe saputo dire se lo sguardo duro di
Lucius Malfoy fosse semplicemente un rimprovero o fosse più che altro un’accusa
per aver abbandonato tutto e tutti nel momento del bisogno.
«Posso farcela, stavolta.» ammise semplicemente Harry, sincero, senza
interrompere il contatto visivo con Lucius. Questi continuò ancora a fissarlo,
in silenzio.
«Harry Potter» disse lentamente. «Tu, dopo sei lunghi anni di assenza,
finalmente, giungi alla mia porta e mi assicuri, su non so quali basi, che
dovrebbe essere diverso, questa volta?» e c’era una piccola punta di sarcasmo
nella sua voce.
«Precisamente.» sottolineò Harry, senza aggiungere altro, mentre un leggero
sorriso prendeva vita sotto la sua barba.
«Harry è pronto, Lucius, te l’assicuro!» disse energicamente Hermione, che si
era finalmente convertita alla loro causa.
«Lo sei davvero?» chiese Draco entusiasta, guardando Harry, e trovò in lui un
suo segno di approvazione. «Ma non sarà facile.» lo avvertì il ragazzo dalla
cicatrice sulla fronte. «Sappiamo tutti che c’è un gran prezzo da pagare, ed una
profezia in gioco. Non posso rischiare. Ho bisogno dell’aiuto di tutti voi» ed
alzò lo sguardo su Lucius e Narcissa. «Voi compresi».
«Io ragazzo?» chiese Lucius, con un tono che era tra l’offeso e il meravigliato.
«E’ stato al servizio di Voldemort per anni, e per anni il suo Mangiamorte più
fedele. Se non conosce lei i suoi punti deboli…» e continuò a guardare Malfoy
con una sincerità che non aveva mai provato, per la prima volta senza una punta
di rabbia. «Non posso non giocarmi questa carta jolly».
Gli occhi di Harry trapassarono quelli di Lucius Malfoy, che gli tenne testa.
«Non puoi dire di non conoscerlo anche tu, molto bene, o sbaglio? Dopo tutto…»
«Sì, non sbaglia.» si affrettò a dire Harry.
Lucius restò per qualche attimo in silenzio, e così tutti i presenti, per le più
svariate ragioni, ma soprattutto per l’inverosimiglianza di quella situazione.
Era la prima volta, dopo la battaglia ad Hogwarts, che Harry si trovava di
fronte ai Malfoy ormai arruolati nel suo schieramento, e non poté negare a sé
stesso che era una sensazione fin troppo strana. Dopo che ebbe fissato a lungo
il ragazzo di fronte a lui, sul volto di Lucius comparve un sorriso malinconico
e rassegnato.
«Sembri un vero stratega. Parti esattamente come lui. Mi sembra di rivederlo… lo
stesso sguardo, gli stessi discorsi, la stessa determinazione e capacità di
comando. Per non parlare di un intero esercito di devoti al tuo seguito. Quand’è
che hai cominciato a somigliargli tanto?»
«A chi si riferisce?» chiese Harry, sorpreso, che tutto si aspettava tranne un
commento del genere.
«Ad Albus Silente.» concluse lentamente Malfoy.
Harry fu mosso da un brivido di commozione, al pensiero di suscitare in qualcuno
il ricordo di Silente. Dopodiché, senza indugiare oltre sulla soglia, i Malfoy
fecero accomodare i tre fuggiaschi in casa e lì, attorno ad un lungo tavolo e ad
una tazza di tè, cominciarono a discutere del piano di battaglia, delle persone
da arruolare e di come rintracciarle, delle tecniche da usare e del momento in
cui sferrare l’attacco decisivo. Era un periodo, quello, in cui le forze dei
Mangiamorte stavano vivendo un leggero calo, e quindi era molto propizio per
cercare di rovesciare Voldemort. Parlarono anche di Harry, del suo viaggio,
della sua scomparsa, e lui fu ben felice di raccontare nuovamente la sua
incredibile avventura. Soprattutto, furono i Malfoy a raccontare le più
terribili storie sul “secondo dopo guerra” e sul Ministero Voldemort. Harry fu
profondamente colpito da tutto ciò che era accaduto dopo la sua partenza, ed
anche Ron e Hermione, la cui condizione di esiliati non gli permetteva di sapere
tutto ciò che avveniva nel loro mondo Magico.
Qualche ora più tardi, nella profondità della notte, i padroni di casi fecero
accomodare i loro ospiti in due diverse stanze, una per Harry, ed una per Ron e
Hermione, che furono emozionati di trovare nella loro camera un vero letto e
delle calde coperte. Narcissa aveva offerto loro anche dei vestiti, che tutti
avevano accettato ben volentieri. Così, dopo aver parlato a lungo, Lucius e
Narcissa rimasero seduti nella piccola cucina, Ron e Hermione, stanchi e
provati, si abbandonarono all’adulazione del comodo letto, e Harry, che era
sicuro di non riuscire ad addormentarsi tanto facilmente, rimase in camera sua a
discutere con Draco. Il ragazzo biondo andava avanti e indietro lungo la piccola
stanza semi-vuota, mentre Harry sedeva comodamente sul suo letto e lo osservava.
«Siete organizzati bene qui» constatò Harry. «Non vi hanno mai trovati?»
Draco scosse lentamente il capo. «No, per il momento no».
«Da quanto siete qui?»
«Soli due mesi.» ammise Draco. «Ci spostiamo frequentemente».
Harry annuì lentamente, e rimase in silenzio. Per un attimo si sentì nuovamente
un adolescente, e dal momento che lui e Draco non erano più gli acerrimi nemici
di un tempo, che passavano il loro tempo ad insultarsi e sfidarsi continuamente
a colpi di bacchetta, tutta quella situazione gli appariva piuttosto strana.
Adesso erano entrambi due uomini, cresciuti, maturi, e permanevano entrambi
nella stessa stanza, senza ostilità.
«E’ strano.» ammise Harry, sincero.
Draco sorrise per un attimo. «Oh lo dici a me?»
Harry non smetteva di distogliere gli occhi da Draco, mentre lui si era fermato
e stava contemplando l’oscurità dalla finestra. «Ron e Hermione mi hanno detto
che li hai aiutati in molte occasioni».
Draco annuì lentamente, ed impiegò un po’ per rispondere. «Anche loro hanno
aiutato me.»
Nessuno dei due aggiunse altro, facendo morire la conversazione. Harry pensò che
avrebbe fatto meglio a coricarsi, ma non lo disse per non apparire scortese.
Risultò fortunato poiché Draco si voltò proprio in quel momento, e lo osservò
con un velo di gratitudine.
«Ho sperato che tornassi. Io, Ron e Hermione avremmo fatto sicuramente del
nostro meglio, ma forse non ce l’avremmo mai fatta, senza di te.»
Harry non riuscì ad aggiungere alcunché, e Draco si catapultò verso la porta,
chiudendola alle sue spalle. Harry rimase ad osservare il legno levigato e la
maniglia d’ottone, e poi spense la sua bacchetta, e si distese sotto le coperte.
Poco dopo, quando tutti in casa si erano lasciati andare in un sonno profondo,
Lucius era da solo, in cucina, con lo sguardo vigile. Sezionava ogni minimo
rumore o spostamento d’aria e teneva tutto sotto controllo, anche se
completamente al buio. Era teso. L’idea di avere Harry Potter in casa lo rendeva
più sicuro da una parte, ma dall’altra terribilmente irrequieto. Sentiva che il
suo arrivo avrebbe mosso le acque, che magari Voldemort avrebbe potuto avvertire
la sua presenza, e ciò non gli consentiva di riposare serenamente. I suoi
presagi impiegarono poco a manifestarsi, poiché mentre era nel bel mezzo dei
suoi pensieri, avvertì un rumore insolito.
«Dannazione!» esclamò fra sé, e scattò in piedi, sull’attenti, la mano dritta
alla bacchetta.
Lì fuori, a pochi metri, un gruppo di figure si era appena Materializzato e
cammina a spasso spedito verso il casolare. Tra di loro, vi era anche una donna,
piuttosto appariscente, con una grande massa di capelli, un lungo vestito nero
ed uno sguardo spietato.
«Non vedo l’ora di abbracciare la mia adorata sorellina.» squittì con una vocina
sottile ed irritante.
L’uomo al suo fianco le intimò di fare silenzio.
«Se continui così la farai nuovamente scappare, Bella.» commentò acido, e
Bellatrix in tutta risposta gli fece una smorfia, che il Mangiamorte ignorò.
Intanto, Lucius era piombato nelle camere di Narcissa e Draco e li aveva
svegliati, costringendoli a cadere giù dal letto. Quando stava per accorrere
anche da Harry, lo trovò già in piedi alla base delle scale, e nel giro di pochi
istanti sopraggiunsero anche i suoi fedeli compagni, vistosamente storditi, che
come loro avevano avvertito il pericolo.
«Sono qui vero?» chiese Ron, per conferma.
Lucius annuì lentamente.
«E’ Bellatrix!» esclamò Narcissa, stringendosi in uno scialle.
«Dobbiamo andarcene da qui.» intimò Draco a tutti i presenti, mentre i passi dei
Mangiamorte divenivano sempre più vicini.
«Sì, ma dove?» chiese Harry, mentre guardava Lucius muoversi freneticamente e
raccogliere varie cose sparse per la casa.
«Andiamo da Arthur e Molly!» esclamò questi, ricongiungendosi al gruppo.
In quel momento, qualcosa sbatté contro la porta del casolare, e poco dopo si
spalancò. Carrow era sulla soglia con la bacchetta puntata, e al suo fianco
Bellatrix guardava i suoi topi in gabbia con aria folle e soddisfatta.
«Oh ma che abbiamo qui… c’è anche la Mezzosangue e il suo amichetto!» non poté
far a meno di notare con una nota di disgusto.
«Sporco traditore!» esclamò Carrow, rivolto a Lucius, mentre questi teneva la
bacchetta puntata, come il suo avversario. «Avada Kedavra!» urlò poi il
Mangiamorte senza perdere tempo. Prontamente, Lucius si gettò da un lato,
abbracciando Narcissa e trascinandola con sé. Draco si mosse altrettanto
velocemente, così come Harry, Ron e Hermione si lanciarono dalla parte opposta.
Il fascio di luce verde si schiantò sulla parete di fronte, provocando una
grossa voragine e la caduta di alcune travi, ed un attimo dopo tutti gli
abitanti della casa erano spariti. Carrow imprecò, e batté un piede per terra.
«No! Ci sono sfuggiti di nuovo!»
Qualche chilometro più a nord, i sei erano ricomparsi in un terreno piuttosto
fangoso, caratterizzato da una grande umidità e forti odori. Narcissa tossì
all’impatto con il nuovo ambiente, ed anche gli altri trovarono quell’aria
piuttosto pesante per i polmoni.
«Ma dove siamo finiti?» chiese Harry, sicuro che gli altri non avrebbero potuto
dargli una risposta.
«Sarà qui che sostano i Weasley per il momento.» spiegò lentamente Lucius, che
cominciò a guardarsi intorno.
A qualche metro di distanza, nascosta dagli alberi, si stagliava una piccola
abitazione, in cui tre persone dormivano profondamente. Molly non poté vederlo,
ma sul suo orologio la lancetta che contrassegnava Ron passò da “pericolo” a
“casa”. Qualche minuto dopo, comunque, tutti sobbalzarono a causa delle forte
battute contro la loro porta. Ginny si precipitò, senza esitare, all’uscio, con
il cuore in gola, mentre i genitori, più lentamente, la raggiunsero preoccupati.
Arthur copriva con un braccio Molly, e la teneva indietro, mentre con l’altra
mano tendeva verso l’alto la bacchetta.
«Ginny allontanati da lì» esclamò in tono protettivo.
Ginny si ritrasse, e suo padre avanzò verso la porta, con le sue donne alle
spalle. «Identificarsi, prego.» si limitò a dire, in tono secco.
Lucius, dall’altra parte della porta, stava per dire qualcosa quando, senza
perdere tempo, Ron, con Hermione aggrappata ad un braccio, si precipitò in
avanti.
«Sono Ron!»
Molly sussultò, mentre lo sguardo di Ginny si accese speranzoso. Arthur rimase
impassibile.
«Provalo!»
«Ho paura dei ragni!» esclamò Ron, oltre la porta.
«Troppo semplice.» disse secco Arthur, senza battere ciglio. «Molly, una
domanda.»
Molly, presa in contropiede, cominciò a pensare, ma Ginny intervenne
tempestivamente.
«Come ti chiamava Lavanda quando stavate insieme, Durante il sesto anno ad
Hogwarts?»
Ron in quel momento odiò sua sorella con tutto sé stesso, ed Hermione, al
ricordo di quegli eventi, si sganciò dal braccio di Ron. «Ma non ne avevi una
migliore?» chiese, infastidito.
«E’ la prima cosa che mi è venuta in mente.» ammise sinceramente Ginny.
Ron sospirò, esasperato, mentre dietro di lui i Malfoy assumevano espressioni
perplesse ed interrogative.
«E va bene, allora, RonRon. Potete aprire adesso?»
La porta si spalancò immediatamente dopo, e con grande stupore, i Weasley si
trovarono di fronte un bel gruppetto di ospiti. «Non credo che riusciremo tutti
a stare in casa.» esclamò istintivamente Arthur, senza neanche verificare con
esattezza chi fossero i presenti, ma un attimo dopo, Ron lo stava abbracciando
con tutta la forza che possedeva. Harry notò subito come Arthur e Molly
sembrassero invecchiati di vent’anni. Erano entrambi molto provati, e le rughe
avevano scavato a fondo i loro visi. Gli sguardi tristi e malinconici non
nascondevano una ferita ancora aperta in loro, e che forse non si sarebbe mai
cicatrizzata.
«Figlio mio!» sopraggiunse Molly, che occupò le braccia di suo figlio non appena
si fu liberato da quelle di suo padre, e lo stritolò con doppia intensità.
Ci furono tutta una serie di abbracci e strette di mano. Arthur e Molly furono
abbastanza colpiti di vedere entrare in casa insieme a Ron e Hermione, anche
Lucius con consorte ed erede. Ma la vera perplessità giunse quando si accorsero
che c’era un’ulteriore persona nel gruppo, qualcuno che non notarono subito, che
di primo acchito gli sembrò di non conoscere. Si paralizzarono tutti, e
puntarono gli occhi sull’uomo con gli occhiali e la barba, e prima che chiunque
potesse esclamare alcunché, Ginny, ascoltando solo il proprio istinto e non la
ragione (che le avrebbe dato sicuramente torto), si portò di fronte al nuovo
arrivato.
«Harry.» sussurrò quasi senza fiato, e prima che lui potesse rispondere
affermativamente, gli si gettò al collo, abbandonandosi in un pianto disperato.
«Harry?» chiese, quasi pietrificato, Arthur, e fece volare gli occhi su Ron e
Hermione, che si limitarono ad annuire.
Anche Molly scoppiò in lacrime, e senza separare Ginny da Harry, si fiondò su di
lui, e gli prese il volto fra le mani. «Oh figliolo, sei proprio tu.»
Gli accarezzò i capelli con fare materno, e nello scostarglieli distrattamente,
notò la cicatrice che portava sulla fronte. Rimase per vari istanti a guardarlo
negli occhi, sempre in preda alle lacrime, e poi gli scoccò un bacio sulla
fronte. «Non sai quanto siamo stati in pena per te.»
Harry si godette l’abbraccio di gruppo, salutando anche il signor Weasley, e
poco dopo si trovò costretto a raccontare anche alla sua famiglia acquisita, ciò
che gli era successo. Ron, puntualmente, dopo il suo racconto, presentò ai
genitori e a sua sorella il loro progetto di battaglia che in un primo momento
non accettarono, ma che dopo, con la persuasione anche dei Malfoy, compresero
fosse l’unica carta da giocare. Parlarono talmente tanto che passarono la notte
insonni, e quando il cielo cominciò a schiarirsi, Harry e gli altri cominciarono
ad avvertire segni di stanchezza. Per tutta la notte, sebbene distratto da
discorsi impegnativi, Harry non aveva fatto a meno di posare i suoi occhi su
Ginny, mentre lei fingeva di non accorgersene. Così, continuò ad osservarla
anche quando tutti decisero di concedersi qualche ora di riposo finché il sole
non sarebbe stato alto in cielo.
«Vieni» gli disse gentilmente Ginny, chiedendogli di seguirlo. «Ti do delle
coperte, così ti sistemi. Lo spazio non è molto per tutti, dovremmo
sacrificarci.»
«Non importa.» disse tranquillamente Harry, mentre le osservava la schiena ed i
lunghi capelli rossi che, da quel che ricordava, le erano cresciuti ancora di
più. Anche Ginny, come Hermione, sembrava una donna adulta, costretta a
trascurare la proprio bellezza per le condizioni gravose in cui viveva. Eppure
lui la trovava ugualmente splendida, terribilmente affascinante come lo era
stata nell’anno in cui erano stati insieme. Si disse che sei anni non avevano
cancellato l’amore che provava per lei, e nuovamente si maledisse, per essere
stato lontano per così tanto tempo.
Ginny lo ridestò poco dopo, dai suoi pensieri, mettendogli in braccio una
coperta. «Ecco. Mettiti pure dove vuoi».
La ragazza passò oltre per andare ad aiutare gli altri, ma Harry, voltandosi
prontamente, le bloccò un polso.
«Ginny…» riuscì solo ad esclamare, visto che lei non gli permise di aggiungere
altro.
«Adesso riposati Harry. Parleremo quando ti sarai svegliato. Ho tante di quelle
cose da dirti.» e per un attimo esitò, ma poi, fattasi coraggio, lo guardò
intensamente negli occhi e proseguì. «Credo che tu mi abbia appena fatto il
regalo più bello di tutta la mia vita, riapparendo così sulla mia porta. Mi
sembra ancora un sogno. Non hai idea di quanto io sia felice di saperti con me.»
e gli diede un delicato bacio sulla guancia, lasciandolo prima che lui potesse
replicare.
In quello stesso momento, nel centro di Londra, Bellatrix Lestrange era al
cospetto del suo venerabile signore. Si trovavano in una camera buia, illuminata
fiocamente solo da deboli fuochi verdi che rendevano l’ambiente a dir poco
spettrale. Voldemort sedeva su una logora poltrona, che un tempo doveva essere
stata splendente, e di fronte a sé aveva un lunghissimo tavolo con una ventina
di altri posti a sedere, momentaneamente vuoti. La donna, giunta per fare
rapporto sulla caccia notturna, avanzò lentamente, con il capo chino, fino a
giungere a metà del tavolo. Voldemort, la osservò in silenzio, e dalla sua sola
andatura comprese che non portava buone nuove. Il suo aspetto era sempre quello
di un serpente intrappolato nel corpo di un uomo, sei anni non sembravano aver
apportato alcun tipo di cambiamento alla sua immagine. Le sue pupille erano come
sempre ridotte a due fessure serpentine, ed i tratti del viso scarni e
scheletrici, senza fisionomia. Dopo aver osservato in silenzio il profondo
inchino della sua devota, si decise finalmente a parlare.
«Mi auguro che tu abbia portato a termine il tuo lavoro, Bellatrix.» disse molto
lentamente, quasi scandendo ogni parola.
«Mio signore…» esordì la donna, sempre a capo chino, ma Voldemort la interruppe
praticamente subito. «Non è un buon inizio!» tuonò, rabbioso, battendo un pugno
sul bracciolo della poltrona.
Bellatrix accusò il colpo, indietreggiando di poco con il capo, ma si riprese
subito. «Mio signore… ho cose molto preziose da dirle, se permette.» si
giustificò la donna, che cercò di riparare l’ennesimo fallimento.
«Ti ho affidato un compito Bellatrix! E sono sei anni che collezioni fallimenti.
Mi sono stancato.» commentò Voldemort seccato.
«Mi rammarico per questo, ma…»
Nuovamente Voldemort la interruppe. «Sentiamo queste cose preziose allora!»
disse agitando svogliatamente una mano. «Ed augurati che siano davvero cose
interessanti».
Bellatrix esitò per un momento, e poi cominciò. «Stanotte, signore, abbiamo
trovato la mia cara sorellina e il suo consorte Malfoy in un vecchio casolare
abbandonato, ma non erano soli. Con loro, oltre al ragazzo, c’erano anche il
sudicio Weasley e la Mezzosangue!» disse Bellatrix, con un tono di stizza.
Voldemort sembrò essere profondamente interessato dalla notizia, e ci meditò su
per qualche secondo.
«Anche i due cari amici di Potter erano a casa loro?» chiuse incuriosito,
cercando di riorganizzare una specie di puzzle mentale, mentre Bellatrix annuiva
con un sibilo. «Questo è inaudito. Non si spostano mai in gruppo.» continuò.
«Proprio per questo sono rimasta colpita signore.» ammise Bellatrix, ma un
attimo dopo fu scaraventata una decina di metri indietro da una fattura partita
dalla bacchetta di Voldemort, che balzò tempestivamente in piedi. «E tu ti sei
fatta scappare i Malfoy, il Weasley e la Mezzosangue in un solo colpo?» le urlò
contro, mentre era anche riversa al suolo.
«Mio signore…» riprese Bella, portando le mani in avanti e prostrandosi in un
completo inchino, ma Voldemort sembrò ignorarla. «C’era anche un’altra persona
con loro. Un uomo. Non l’ho riconosciuto.» concluse la donna, credendo che quel
dettaglio fosse irrilevante.
Voldemort si voltò di scatto verso di lei e rimase come pietrificato. «Un uomo
hai detto?»
Bellatrix annuì.
«Se quei due erano andati dai Malfoy, in compagnia di un uomo, e credimi
Bellatrix, c’è solo un uomo con il quale quei due possono viaggiare, mi chiedo
se non stiano tramando qualcosa. Alzati Bellatrix!» le intimò e la donna si alzò
prontamente. «Sta succedendo qualcosa! Adesso! Dammi il tuo braccio!» e senza
attendere una risposta di Bellatrix, Voldemort prese il suo braccio sinistro e
spinse a fondo la bacchetta sul suo Marchio Nero. Bellatrix fu scossa da un
dolore lacerante. «Radunerò tutti i Mangiamorte. Controllate in ogni metro
quadrato del paese! Voglio scoprire se Potter è tornato!»
«Mi scusi, mio signore, ma come avrebbe potuto?» chiese Bellatrix, senza
pensarci, e Voldemort si animò nuovamente. «Quell’uomo non è mai morto! Il mio
Anatema non l’ha mai raggiunto. Sei anni fa mi è semplicemente sfuggito! E se
adesso è tornato so esattamente cos’ha intenzione di fare, sta mettendo insieme
tutti i suoi amici per tentare di sferrare un’offensiva! Finalmente metterò fine
a questa storia, per sempre. Ed ora va’!» ordinò in fine, e Bellatrix si congedò
con mille inchini.
Con un urlo disumano, Draco si svegliò di soprassalto, costringendo alla levata
forzata anche tutti gli altri. Lamentò un forte dolore al braccio sinistro, dove
aveva il Marchio Nero, così come lo avvertirono anche i suoi genitori, che dopo
anni, avevano però imparato a gestire il bruciore lacerante. Tutti compresero
che Voldemort stava radunando i suoi uomini, e si sentirono improvvisamente in
pericolo. Ma l’emergenza si presentò quando, poco dopo aver aperto gli occhi,
anche Harry fu scosso da un profondo dolore alla cicatrice, che lo costrinse a
contorcersi nella sua coperta.
«Harry!» urlarono quasi tutti in coro, correndo al suo fianco.
«E’ arrabbiato. Lo sento. Sa che sono tornato.» spiegò Harry tra un gemito e
l’altro, e la preoccupazione assalì tutti i presenti.
«Dobbiamo muoverci!» esclamò Ron, in tono pratico. «E dobbiamo farlo ora!»
«Ma come facciamo a raggiungere tutti i nostri alleati in breve tempo?» chiese,
ingenuamente, Lucius Malfoy.
Il signor Weasley, che era al suo fianco, gli mise una mano sulla spalla, e gli
sorrise.
«Vedi, Lucius, mentre voi Mangiamorte avete il Marchio Nero, noi maghi buoni
usiamo altro per comunicare.» e guardò gli altri in tono allusivo e vagamente
divertito, rendendosi conto che Lucius non comprendeva a cosa si stesse
riferendo.
«Ma certo, i Patronus!» esclamò, Hermione. «Crede che ne abbiamo a sufficienza?»
«Ne manderemo più di uno a testa.» spiegò il signor Weasley. «Sempre se riuscite
a richiamare due Patronus a distanza così ravvicinata.» e si voltò verso i
Malfoy. «E’ un incantesimo che richiede molte energie. Viene usato per
allontanare i Dissennatori.» spiegò.
«Questo lo so benissimo.» rispose Lucius, offeso. «Ma non vedo come possano
comunicare.»
«Puoi far giungere la tua voce a chilometri di distanza utilizzando la figura di
un Patronus.» continuò il signor Weasley, e abbassò lo sguardo su di Harry, che
sembrava essersi leggermente ripreso. «Che dici? Te la senti?»
Harry lo guardò dal basso in alto, la sua immagine gli appariva capovolta. Non
riuscì a dire alcunché dal momento che era ancora scosso, ma annuì lentamente.
«Benissimo!» esclamò il signor Weasley. «Allora, chi c’è da chiamare?»
Nel giro di un minuto stilarono una lunga lista di persone, conoscenti e
componenti dell’Ordine della Fenice, che avrebbero richiamato a rapporto, mentre
dall’altra parte, anche Draco Malfoy aveva la sua bella pergamena di Mangiamorte
pentiti, ben felici di unirsi alla causa di Harry.
«E’ un bell’esercito!» commentò il signor Weasley scorrendo le due liste.
«Ma avremo bisogno di un luogo per radunare tutte queste persone.» constatò
Ginny. «Non ci aspetteremo di certo di passare inosservati. Una volta che
cominceranno ad intercettare le varie Materializzazioni, ci troveranno subito, e
lì praticamente avrà già inizio la battaglia».
«Sì, hai ragione.» asserì Draco. «Qualche idea?»
«C’è un posto…» cominciò a Ron, attirando tutta l’attenzione dei presenti su di
sé «…dove qualche anno fa io e Hermione abbiamo trovato rifugio. Ci sono poche
abitazioni, una foresta, ed un ampia distesa pianeggiante con un fiume ed una
cascata. Forse, se siamo fortunati, riusciamo anche a non farci scoprire subito,
e potremo accamparci».
«Mi sembra un’ottima idea!» commentò entusiasta suo padre. «Sapresti dire
vagamente dove si trova?»
«Sì, vagamente sì.» rispose Ron.
«Allora è tutto deciso.» precisò Harry. «Dobbiamo solo inviare i Patronus e… si
comincia?»
Nessuno dei presenti disse nulla, ma tutti annuirono con forza. Era proprio
giunto il momento. Harry addirittura stentava a crederci, era tornato solo da
poche ore e già si trovava catapultato in una battaglia, già era stato messo al
comando di un nuovo esercito e già si preparava all’idea di dover affrontare
nuovamente Voldemort, faccia a faccia, proprio come sei anni prima nel cortile
di Hogwarts. In cuor suo, riconosceva di avere paura, ma l’entusiasmo dei suoi
compagni non gli permetteva di manifestarla. Avrebbe deluso le loro aspettative
se si fosse dimostrato spaventato, per cui finse di essere coraggioso, e di
avere la certezza di vincere a portata di mano. Mentre tutti attorno a lui si
preparavano a lanciare i loro Patronus per richiamare i nuovi combattenti,
spostò nuovamente lo sguardo su Ginny, e pensò che questa volta non poteva
assolutamente rischiare, proprio perché c’era una guerra alle porte e poteva
essere un’ultima occasione. Doveva mettere in chiaro le cose con lei una volta
per tutte, non poteva permettersi di perderla una seconda volta, e soprattutto,
se le cose sarebbero andate per il verso giusto, non poteva rischiare di vederla
ancora tra le braccia di Dean. Era determinato, sia per Ginny che per la
battaglia, e mentre la guardava giurò a sé stesso che sarebbe riuscito in
entrambe le cose.
Un’ora più tardi tutti i Patronus erano stati invocati ed erano giunti a
destinazione. Dai vari destinatari ne sarebbero poi partiti degli altri che
avrebbero così dato vita ad una catena di passaparola che, infine, avrebbe
condotto tutti nel medesimo luogo, per combattere in nome di un’unica causa.
L’appuntamento era fissato per due ore dopo, nel luogo stabilito da Ron, e Harry
già sapeva che quelle ore sarebbero state interminabili. Avrebbe contato ogni
minuto, ogni secondo; ma sapeva anche che quelle due ore potevano concedergli
l’opportunità di parlare con Ginny, prima che fosse troppo tardi. Mentre i
signori Weasley si intrattenevano in una conversazione con i Malfoy e Ron e
Hermione si godevano i loro ultimi momenti di quiete, Harry approfittò di un
momento di solitudine di Ginny e si congedò da Draco che voleva pianificare ogni
mossa del combattimento. Cercando di passare inosservato abbandonò la
conversazione, e trovò Ginny in un piccolo stanzino, mentre metteva da parte
alcune cose.
«Che cosa fai?» le chiese delicatamente, comparendo nello specchio della porta,
e portando entrambe le mani nelle tasche superiori dei jeans. Ginny si voltò per
un secondo, gli sorrise, e tornò al suo lavoro. «Oh, sei tu.» constatò. «Ho
pensato che ci potrebbero tornare utili.»
Harry non aggiunse altro, in realtà la domanda era stata solo un semplice
pretesto per attaccare bottone, e non era realmente interessato.
«Ginny… ascolta…» esordì, impacciato, ma Ginny non gli diede ulteriore tempo per
formulare una possibile frase; abbandonò quello che stava facendo, e si voltò
verso di lui.
«Cosa devi dirmi Harry?» fece in tono quasi esausto.
«Voglio spiegarti.» si affrettò a dire Harry.
Ginny scosse il capo, amareggiata.
«Non c’è niente da spiegare».
Harry fece un passo in avanti, si sentiva sicuro e determinato. Forse il suo
potersi nascondere dietro ad una folta barba gli conferiva uno scudo e lo
rendeva più intraprendete, o semplicemente, la lontananza e il suo duro
apprendistato gli avevano insegnato a non perdere tempo, e così afferrò uno dei
polsi di Ginny.
«I miei sentimenti per te sono gli stessi di sei anni fa.» le disse confondendo
i suoi occhi verdi con quelli di lei.
Ginny rimase per qualche istante interdetta, e non riuscì a dire alcunché.
«Non puoi negare che non sia così anche per te.» continuò Harry.
«Harry! Sono trascorsi sei anni! Ti credevo morto!»
«Ed è una buona ragione per ripiegare su Dean?»
Ginny spalancò gli occhi, e rispose con toni accesi. «Che cosa? Io non ho
ripiegato su Dean!»
«Ron e Hermione dicono…»
«Ron e Hermione non sanno come sono andate le cose! Se ci tieni proprio a
saperlo mentre tu eri chissà dove ad imparare le più segrete arti magiche, Dean
mi è stato molto vicino, e mi ha aiutato. E… siamo amici.» e non staccò neanche
per un attimo gli occhi da quelli di Harry, tenendogli testa.
«Lo so Ginny, lo so, me ne sono andato, ma c’era un motivo e lo conosci
benissimo! Avresti preferito che Voldemort mi uccidesse in quella battaglia?
Adesso sono qui, sono tornato, sono io!» disse animandosi e battendosi il petto
con entrambe le mani.
Ginny si limitò ad osservarlo, senza dire una parola. Il suo sguardo era
indecifrabile, ovviamente in lei si mischiavano le più disparate emozioni, a
partire dall’imminente battaglia, al ritorno del suo grande amore che credeva
deceduto. Di fronte alla sua passività, Harry fece un ultimo tentativo.
«Stamattina hai detto che anche tu avevi molto cose da dirmi. Sentiamo.» e portò
le braccia ai fianchi, in un tipico gesto. Ginny lo osservò, da capo a piedi, e
poi si concentrò sui suoi occhi verdi. Allungò una mano sulla sua guancia, e
l’accarezzò delicatamente. «Mi sembra quasi di non riconoscerti. Eppure i tuoi
occhi sono sempre gli stessi.» disse con un filo di voce, mentre Harry aveva lo
sguardo fisso su di lei, senza capire. Poi, senza fare alcun tipo di premessa, e
continuando a guardarlo negli occhi, Ginny prese la sua bacchetta, e la fece
scivolare lungo le guance e il mento di Harry, da una parte all’altra del suo
viso. Al tocco della bacchetta con la sua pelle, ogni singolo pelo della sua
barba svanì nel nulla, ed in pochi secondi, Harry si ritrovò ad avere la pelle
liscia di un adolescente. «Eccolo, il mio Harry. Adesso sì che sei davvero
tornato».
Harry non ebbe la forza di dire alcunché, e Ginny gli si avvinghiò addosso,
abbranciandolo con quanta più forza avesse, come se temesse che potesse
andarsene di nuovo. «Mi sei mancato.» concluse, e due lacrime rigarono i suoi
zigomi.
Due ore più tardi, utilizzando una comoda Passaporta, i Weasley e i loro ospiti
giunsero nel luogo prescelto per il raduno delle forze armate. Una volta presa
coscienza del posto in cui si trovavano, constatarono che non erano stati i
primi e già una trentina di persone era lì ad attenderli. Maghi e Streghe
provenienti da ciascun angolo del paese, si Materializzarono uno dopo l’altro,
senza sosta. In poco tempo comparvero anche George e Bill con le loro consorti,
e Charlie che viaggiava da solo. Per Harry non fu affatto difficile scorgere le
sagome di Hagrid e Olympe anche a distanza di centinaia di metri. Ma colui che
rimase a dir poco stupito fu Ron, quando gli si parò davanti Viktor Krum, venuto
direttamente dalla Bulgaria. Il suo sguardo geloso si posò immediatamente su
Hermione, che infastidita dalla poca mancanza di fiducia di Ron, gli spiegò con
toni accesi che non era stata lei a chiamarlo, e Krum, poco dopo confermò la sua
versione, sostenendo di essere stato avvisato dal Patronus di Fleur. Ron ne fu
sollevato e cercò il perdono di Hermione che gli tenne il muso per circa
mezz’ora, prima di concedergli un bacio. Harry e Ginny, mentre cercavano di
radunare tutti i presenti e dar loro un possibile schema di attacco, si
limitavano a tenersi per mano, per trascorrere vicini gli ultimi attimi di
serenità. Quando Dean, appena Materializzatosi vide quella scena, capì
all’istante, senza neanche il bisogno di fare domande. L’euforia che contagiava
tutti era un segnale positivo. Non c’era una sola persona che non fosse rimasta
totalmente folgorata dal ritorno di Harry Potter, giunto dopo sei anni per
salvare tutti loro dal terrore. Harry fu costretto, però, anche a sentirsi
ripetere per ore le stesse frasi. C’era chi voleva sapere dove fosse stato per
tutti quegli anni, e chi si limitava a chiedergli come mai avesse impiegato così
tanto per tornare. Il commento più sincero gli giunse inaspettatamente dalla
professoressa Cooman, che non appena lo vide, gli disse «Tu hai sconfitto ogni
mia profezia, non c’è dubbio che tu sia davvero chi tu dica di essere. Già sai
cosa dicono le stelle per te, oggi, Potter. E’ inutile che te lo dica». Harry
rimase profondamente colpito. Ma il suo sguardo si accese quando vide camminare
nella sua direzione Aberforth Silente, che non appena gli fu davanti, gli
strinse la mano con somma gratitudine. Fu in quel momento che Harry capì che
tutte quelle persone contavano su di lui, e si aspettavano che vincesse.
«Come ti senti?» chiese Hermione, avvicinandosi a Harry, in un raro momento in
cui lo vide solo e sovrappensiero.
Harry si voltò lentamente in direzione della voce, e vi trovò Ron e Hermione, in
piedi, l’uno accanto all’altra. Erano lì, come sempre. Erano lì, dopo anni.
Erano lì, i suoi fedeli amici, senza i quali sapeva che probabilmente non
avrebbe mai potuto vincere. Se non ci fossero stati loro, dall’inizio, forse non
sarebbe sopravvissuto nemmeno contro Raptor, non avrebbe neanche salvato la
Pietra Filosofale. Harry vagava all’indietro nei suoi ricordi e quello era fin
da bambino una delle sue più grandi consapevolezze. Sentì un motto di
gratitudine nei loro confronti, talmente grande da non riuscire a trovare le
parole giuste per descriverlo. Si limitò a guardarli, e a mentire, sapendo che
loro avrebbero capito. «Bene… benone».
Hermione, senza dire alcunché, dopo averlo guardato negli occhi, gli si avvicinò
lentamente per abbracciarlo. Ron seguì il suo esempio.
«Noi saremo al tuo fianco, va bene?» disse l’amica ed Harry annuì lentamente.
«Grazie ragazzi.»
«Non devi ringraziarci.» gli fece Ron, battendogli una mano dietro la schiena,
mentre lo abbracciava. «Per gli amici questo e altro no? E che amici!»
Harry sorrise, e socchiuse gli occhi per un attimo. Si abbandonò ai suoi ultimi
pensieri prima dell’inizio di quella che si preannunciava come la Terza Guerra.
Fu in quel momento che, in lontananza, avvertì uno strano boato. Improvvisamente
il vento cambiò, e i tre sciolsero l’abbraccio, portando immediatamente i loro
sguardi a valle. Una massa informe nera avanzava verso di loro, ed Harry riuscì
a notare, fra tutte, la figura serpentina di Voldemort. Dopo sei anni, di certo,
non l’aveva dimenticata. Guardò Ron, poi Hermione. Non avevano alcun bisogno di
parole in quel momento. Ginny accorse alle loro spalle, e in poco tempo, al loro
fianco si schierarono tutti gli altri, con l’intero esercito al seguito. La
testa di una ragazza bionda dai capelli lunghi sbucò dal nulla; era sorridente
ed armata di bacchetta, pronta ad entrare in azione. Quando Harry si voltò per
capire chi fosse, questa gli rivolse un enorme sorriso: Luna Lovegood non era
mancata al richiamo dei suoi vecchi amici. Dall’altra parte, era comparso in
quel momento anche Neville, vistosamente in ritardo, che si schierò in prima
fila sebbene avesse ancora l’affanno. La massa informe avanzava sempre più verso
di loro. Harry era rigido, fermo, mentre ascoltava gli scalpitii di quella
marmaglia confondersi con il rumore delle cascate alle sua spalle. Era giunto il
suo momento; il momento di riscattarsi dopo sei anni, il momento di mostrare al
mondo quanto valesse, e quanto in realtà non fosse un codardo. Aveva atteso
troppo a lungo per continuare a starsene con le mani in mano. Alzò la bacchetta
ed urlò «ALL’ATTACCO!».
THE END
Ebbene sì, finale aperto. Spero non mi odiate adesso. E' la prima volta che lascio una storia concludersi senza un finale ben definito, ma questo perché, da quando ho cominciato a pensare a questa fanfic, avevo ben chiara l'idea che dovesse concentrarsi solo sul cosiddetto "dopo guerra", sulla condizione di terrore, paura e sfiducia che attanaglia gli animi di tutti coloro costretti a vivere come fuggiaschi, in un mondo dove Voldemort è al potere e il Prescelto ha fatto perdere le sue tracce da anni. Non ho mai avuto l'intenzione di raccontare della grande guerra, anche perché vorrei che il finale lo immaginaste da soli, magari facendolo coincidere con la vera battaglia uscita dalla penna della Rowling, che personalmente amo. Spero non vi abbia deluso, e che la storia vi sia piaciuta. Un bacio. Sam