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Autore: Ninfea Blu    08/09/2010    8 recensioni
Salve a tutte. E' la prima volta che scrivo in questa sezione, ma sono affascinata dal personaggio del dottor Cullen, che trovo complesso e interessante, quindi ho voluto provare. Attraverso questa ff, affronto una tematica che mi interessa molto. Ho cercato di rispettare il personaggio e di svilupparlo raccontando la sua esistenza e le sue esperienze.
2° cap - "Mio padre: mi era capitato di pensare a lui... mi chiedevo come avesse reagito alla mia scomparsa, se mi avesse fatto cercare."
5° cap - "Heidi mi inquietava; era un misto di grazia ultraterrena unita a una fisicità fatta di carne e sangue. Sentivo nei suoi confronti una specie di repulsione che si mischiava all'attrazione."
9° cap - "Il mio incontro col destino avvenne una fredda mattina di febbraio, con la luce chiara che entrava attraverso la finestra del mio studio e illuminava il volto delicato di un'umana, una donna che all'epoca era la moglie di un altro uomo."
Non so se la dicitura spoiler sia corretta, di fatto non è una if. Accetto consigli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Heidi, Tanya, Un po' tutti | Coppie: Carlisle/Esme
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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14 – Esme: una nuova vita

14 – Esme: una nuova vita.

 

 

 

L’ampia camera da letto della mia casa era stata teatro della trasformazione di un’umana in un essere immortale. L’ambiente era avvolto nella semioscurità; la luce lunare disegnava sul pavimento attraverso la finestra un quadrato chiaro. Io e Esme, eravamo fermi alle estremità di quel quadrato; ci fissavamo, uno di fronte all’altra, forse leggermente increduli di trovarci così vicini.

Più probabilmente l’incredulità di Esme dipendeva da altri fattori: ridestarsi nel corpo granitico e freddo di una non morta, poteva essere una sorta di trauma cui non è semplice e immediato abituarsi. Davanti a me, stava una vampira, la mia futura compagna, quella che aspettavo da tempo immemore, che tante volte avevo disperato di trovare. Esme adesso, era una creatura diversa, eppure l’avrei scoperta sempre uguale alla donna di cui mi ero innamorato.

Ma era stato troppo complicato amare un’umana; non avrebbe potuto che essere tragico l’epilogo di quella nostra storia di felicità improbabile che avevo solo sfiorato con un pensiero colpevole.

Ma tutto, probabilmente era già stato scritto, prima ancora che ci incontrassimo.

Era il destino.

Il mio.

Il nostro.

Affilato e inciso sulla roccia dura del nostro corpo pallido e freddo, si incuneava tra le pieghe della nostra pelle di diamante che lo accoglieva come fosse una pagina da scrivere.

 

E sembra che la storia di questo destino si debba ripetere proprio ora per mio figlio; per lungo tempo, l’idea di averlo condannato alla solitudine mi ha angustiato come il dubbio di averlo trasformato troppo presto e ho sempre sperato che ci fosse qualcosa di più per lui. Ma ora c’è qualcosa che Edward sta vivendo sulla sua pelle, che lo spinge a cercare un nuovo confronto con me come non ha mai fatto negli ultimi novant’anni.

A lui la stessa sorte? A lui lo stesso dolore? Le medesime paure?

 

A suo tempo, lasciarla era stato un atto doloroso: la rinuncia eterna alla felicità.

Fuggire da Columbus, dove viveva lei, per andare a Chicago, era stato come dare un calcio definitivo ad ogni impossibile umana speranza; l’annientamento, lo avevo sentito nelle ossa e nella carne che pareva diventare più gelida di quanto già non fosse. Come se il respiro vitale mi fosse stato rubato di nuovo. Poi, era esplosa l’epidemia di spagnola e l’incertezza della sua sorte mi aveva fatto quasi morire, perché niente mi era dato sapere su cosa né fosse di lei.

E in un’altra città, davanti a me, nel suo letto d’ospedale, Edward malato e sofferente mi aveva dato l’immagine precisa e angosciante di quello che forse era toccato a Esme; ovunque lei fosse, non avrei mai potuto fare nulla per sottrarla al bacio gelido della morte umana, per suggellare un altro bacio altrettanto gelido che le avrebbe strappato l’ultimo respiro per concederle un alito diverso e malsano di vita fittizia.

 

Puoi amare una come me? 

 

E tu come puoi chiedermelo? Se posso amarti? Sì, posso.

Per quanto sia straordinario che una creatura quale sono, possa amare, io amo.

 

Perché io sento di amarti da prima di questo istante…

 

Prima…

Cosa c’era stato prima di noi?

Parole che mi avevano dato speranza.

Forse Esme era già disegnata sulla tela del quadro che rifletteva come uno specchio l’immagine del mio destino. Forse per questo, di me, aveva conservato nel suo animo, una traccia vaga, impalpabile come un’ombra dai contorni sfumati.

Non so se è umano questo amore che ci ha legati. Ho ragione di credere che una parte di esso non lo sia.

Io non sono umano e forse i sentimenti di un vampiro non possono esserlo. C’è sempre una componente che li trasfigura in qualcosa di più vasto e oscuro. Non possiamo vivere e neppure amare come gli uomini.

I sentimenti umani possono dare sofferenza, ma non tolgono la libertà. Essi sono come la natura umana; si evolvono a volte con facilità, si sciolgono e si saldano con tranquilla naturalezza, qualche volta con dei traumi, ma quelli che governano le creature immortali, sono come la sete di sangue; non si estinguono mai, sono catene possenti che ti imprigionano e sei fortunato se non fanno troppo male.

Come la nostra natura immutabile, non sono facili al cambiamento e sembrano non variare mai.

Quindi sono costanti.

Sei fortunato quando brillano di luce propria.

Così è accaduto tra me ed Esme; un fatto certo e assurdamente semplice, ma complicato e tragico allo stesso tempo. Come un fiore spavaldo che nasce spontaneo in mezzo alla sabbia rovente del deserto, o tra il catrame nero di una strada, e rischia ogni istante di essere calpestato o strappato dal suolo.

Amo Esme, una compagna passionale, una madre comprensiva sempre presente.

Come potrebbe essere qualcosa di diverso dall’amore, questo sentimento che mi ha invaso la carne spenta, acceso fiamme sopite da troppi lustri e alitato sospiri quasi ignorati che credevo perduti per sempre? Non potrebbe esserci altro se non questo amore contorto che pure ha in sé una scintilla di umano, un amore/vampiro che si nutre di emozioni perdute nella notte solitaria e infinita che accompagna la nostra esistenza.

Nello stesso modo, amo i miei figli, così diversi uno dall’altro, così unici; sono la mia famiglia redenta, la mia benedizione insperata a cui non saprei mai rinunciare. Li amo di un amore infinito, potente, grande come l’eternità che sta davanti a noi e che sarebbe un cielo nero senza stelle, una tristissima condanna senza la loro presenza. Loro sono l’unica grazia fortuita che mi è stata data in questa desolazione di vita. Dovrei ringraziare il fato un po’ meno avverso, per averli seminati lungo il mio cammino, come gemme preziose.

Quello per la mia famiglia è un amore eterno come la dannazione cui siamo condannati.

 

Lo stesso amore marchiava ora lo sguardo di Esme, troppo acceso di rosso. Un rosso che dovevo cercare di placare in fretta. Per tutto il resto ci sarebbe stato tempo. Molto tempo.

O almeno speravo di averlo, che mi fosse concesso.

Dovevamo portare Esme a caccia e iniziare a spegnere la sua sete di neonata. Tutto era ancora da scoprire. Per lei e per me.

Sentimenti eterni albergavano in un corpo nuovo e diverso, forse dormienti sotto un cuore morto; sentimenti che avrebbero potuto restare sopraffatti da impulsi tremendi e bestiali che Esme avrebbe scoperto a breve. Io non potevo lasciare che morissero in lei.

Si trattava di ripercorrere passi già noti, sentieri già percorsi.

Con me c’era Edward; con lui sarebbe stato più facile controllarla, dirigere i suoi passi, prevedere e prevenire le sue mosse sbagliate. Come avevo già fatto in precedenza con mio figlio, le spiegai tutto quello che comportava essere un giovane vampiro, quali erano le sue potenzialità e i suoi istinti che all’inizio l’avrebbero dominata; si sarebbe sentita inevitabilmente attratta dal sangue umano, linfa vitale quasi irresistibile che avrebbe scatenato la sua sete più violenta e incontrollabile, ma le dissi che seppur con molta fatica, poteva tentare si seguire un’altra strada, quella che io ostinatamente, contro ogni logica e normalità, avevo scelto fin dall’inizio della mia esistenza, più di due secoli fa. Potevamo non essere degli assassini e ritrovare la nostra umanità. Anche se tutte le scelte parevano esserci negate, insistevo a voler credere che non fosse necessariamente così.

Avevo cercato di convincere Edward di questo, e avrei tentato di fare la stessa cosa con Esme.

“Mi sento così diversa… anche tu Carlisle, non sembri uguale ai miei ricordi, eppure… io ti riconosco come qualcuno che mi è famigliare… è così strano…”

“So come ti senti ora… le tue percezioni sono cambiate, sono più fini… il bruciore fisico, l’arsura della sete in gola che avverti ti sembrerà implacabile, ma imparerai a soddisfarla senza che essa ti travolga… Per ora hai ancora la tua memoria umana, ma lentamente essa andrà scomparendo quasi completamente.”

I suoi occhi rossi leggermente inquieti sembravano cercare conferme nel mio sguardo dorato.

“È stato uguale per te?” mi chiese. Eravamo ancora in quella stanza con la luna che entrava dalla finestra aperta, una grossa sfera bianca contro il buio della notte.

“Sì, è stato così anche per me… è stato difficile… sarà difficile, ma io sarò con te, se lo vorrai…”

Esme restò a fissarmi come se mi dovesse scrutare nelle profondità abissali dell’animo, come se cercasse qualcosa. Scambiai un’ occhiata con mio figlio e colsi uno sguardo prima incerto, poi stupefatto. Che cosa stava leggendo nella sua mente che lo sorprendeva?

Non fu Edward a parlare, ma lei.

“Dimmi la verità: hai mai ucciso, Carlisle?”

La sua domanda mi folgorò; era l’ultima che mi sarei aspettato in quel momento, eppure pareva essere la più onesta che potesse farmi. Risposi con altrettanta schiettezza.

“No, non ho mai ucciso, Esme.”

“Hai mai desiderato farlo?” Un’altra richiesta diretta e lapidaria, che pretendeva una risposta altrettanto sincera.

Guardai di nuovo Edward; lui sorrise in un modo strano, ma non tardò a leggere nella mia mente il dubbio che forse attraversava i miei occhi come un riflesso.

“Vuole sapere se sei riuscito davvero a dominare i tuoi impulsi: se lei può essere come te… se può essere degna di stare al tuo fianco, di seguirti su questa strada che hai scelto. – Fece una pausa. - Già… domande legittime, in fondo… si sta chiedendo se può riuscirci…”

Solo allora lessi la determinazione nel suo sguardo di fuoco.

Mi rivolsi a lei con franchezza, mettendo a nudo me stesso; volevo che sapesse tutto, che fosse consapevole di ogni scelta e di ogni dubbio, delle cadute nello sconforto e del coraggio che avevo messo ogni volta nel risollevarmi, deciso a proseguire in avanti.

“Da quando sono stato creato, non mi sono mai cibato di sangue umano, Esme… ma può darsi che io l’abbia desiderato molto tempo fa, in un momento di debolezza. Ho sentito anch’io i morsi del mostro. Non ti dirò che è stato facile, perché non lo è stato per me, e non lo sarà per te. La prima volta che ho privato qualcuno della vita umana è stato quando ho incontrato Edward, e ho agito per una ragione ben diversa; ora con te ho fatto la stessa cosa. Edward stava morendo, e tu non ti saresti certamente salvata… - Esitai; non ero sicuro di quello che potevo dirle, così deviai il discorso in altre direzioni. - Il mio demone era forte, come il tuo, come quello che domina ancora Edward, ma sono riuscito sempre ad avere il controllo su di lui. Anche tu puoi riuscirci, se lo vuoi. Ne sono sicuro.”

“Capisco… - mi disse, e il suo sguardo si accese di luce ostinata. – Se tu hai potuto resistere, se mi dici che possiamo vivere senza uccidere esseri umani, allora io ti credo. E farò di tutto per non deludere la tua fiducia, per essere come te. Voglio essere degna di poter stare al tuo fianco… Se ci riuscirò, ne sarò felice… altrimenti, me ne andrò…”

“Non sarà necessario, Esme… Io ero solo, ma tu non lo sarai: ci saremo io e Edward.” ma le sue parole mi fecero tremare.

“È vero, ma hai detto che dipenderà molto dalla mia volontà. Non so ancora quanta ne avrò… se sarò abbastanza forte.”

Esme stava ponendo delle condizioni, voleva valutare le sue possibilità e mi sembrò così determinata da spaventarmi.

“Posso assicurarti che ci proverò Carlisle, con tutte le mie forze… perché sento… credo davvero di essere legata a te e non solo perché mi hai trasformata…”

“Esme, lasciami spiegare… noi due siamo…” Ma lei mi bloccò e con una mano mi sigillò le labbra livide.

“Non vorrei lasciarti, ma… se deciderò di stare con te, di abbracciare la tua vita completamente, la porterò fino in fondo, ma sarà solo mia la scelta. Non voglio che debba diventare un condizionamento.”

Non potevo pretendere nulla da lei. Non potevo aspettarmi che accettasse tutto solo perché ero io a chiederlo, o che per lei fosse tutto ovvio o naturale. Voleva essere libera di scegliere, come avevo fatto io a suo tempo.

Come forse non aveva mai scelto.

“Io lo spero e farò il possibile perché sia così… Voglio la tua felicità… non sarai obbligata a restare se non lo vorrai.” risposi.

Non puoi scegliere per lei, mi aveva detto Edward. Aveva ragione più che mai e lo capivo solo in quell’istante. Avevo voluto credere che l’amore che ci aveva legati, avrebbe facilitato le cose, quindi che sarebbe stato abbastanza facile per Esme accettare la sua nuova condizione, ma non avevo considerato che la trasformazione avrebbe posto Esme di fronte a scelte diverse. Una di queste era proprio la scelta del sangue.

“La felicità… non ricordo bene cosa sia… ma forse, una volta con te l’ho provata…”

“Potrebbe essere ancora così… credimi…” Sussurrai.

Una vaga tristezza colorò il suo tono melodioso di voce.

“Non vorrei offendere la memoria del mio bambino e diventare un’assassina… ero una madre, Carlisle e non lo sarò più… ricordo che fu una gioia immensa…”

Ricordava il suo bambino, ricordava di essere stata madre. Il passato non era ancora scomparso e solo in quello stava la mia speranza.

“Non voglio dimenticare cosa significa provare certi sentimenti… aiutami a non dimenticare, Carlisle… ti prego…perché ho l’impressione che…”

Alla tristezza si sostituì l’ansia: aveva paura probabilmente. L’incertezza delle sue parole mi rendeva inquieto perché non sapevo esattamente come interpretarle. Forse anch’io avevo paura; temevo decidesse di andarsene per sempre. Ma c’erano altre priorità da affrontare nell’immediato.

Edward mi chiamò.

“Carlisle… sarà meglio andare: è assetata…”

Rivolsi un cenno d’assenso a mio figlio, prima di incoraggiarla nuovamente.

“Ti aiuterò Esme, non sarai sola. Usciamo adesso: dobbiamo portarti a caccia…”

Uscimmo nella notte di luna, inoltrandoci nel bosco attorno.

Esme colse l’ebbrezza quasi delirante della sua nuova natura, aspirando odori, profumi di resine e fragranze di piante fiorite, all’interno della boscaglia che si estendeva rigogliosa e fitta per chilometri oltre la nostra casa. La notte scura era illuminata dalla luce dell’astro notturno; il suo chiarore lunare filtrava tra i rami intricati e faceva risplendere di candore mortale e inquietante, la pelle nuova e fredda di Esme. Se occhi umani l’avessero vista nell’atmosfera ambigua, quasi surreale di quella semioscurità, sarebbero rimasti affascinati dalla bellezza eterea e forse, atterriti dallo sguardo di brace.

Esme si abbandonò al suo istinto come io e Edward le dicevamo di fare; seguire le tracce olfattive che restavano come scie nell’aria, sul terreno, sotto l’erba smossa, fiutare e riconoscere le prede che non potevano sfuggire a tre vampiri assetati e famelici.

Quando Esme fiutò la sua prima possibile preda, successe una cosa strana, che mai mi sarei aspettato di veder accadere a un membro della nostra specie.

Esme correva attraverso la vegetazione, saettando tra le sagome nere degli alberi, i sensi scatenati dall’euforia dell’inseguimento tesi a cogliere suoni, sibili, toni, movimenti di polvere nell’aria, l’odore di umori, mentre l’adrenalina spingeva al massimo sforzo i muscoli del povero animale; lo sentiva come lo sentivo io. Il cuore del cervo pompava furioso il flusso del sangue impazzito, che correva nelle vene del collo dell’animale impaurito. Il cervo non avrebbe avuto scampo in circostanze normali. Ma quella non si sarebbe rivelata una circostanza normale, anche se di anormale non aveva nulla in verità. Pochi chilometri, ed Esme avrebbe raggiunto il cervo senza difficoltà, non c’era alcuna possibilità che fallisse. Ma non andò così.

All’improvviso, come se avesse avvertito un odore differente a confonderla, Esme smise di correre arrestandosi di colpo; sul suo volto si era palesata un’ aria dubbiosa come di chi percepisce qualcosa di famigliare che si è perso nella memoria nebulosa di un ricordo. Esme aveva bloccato la sua corsa e noi con lei.

Si avvertiva perfettamente l’odore dell’animale, era vicino e non poteva sfuggire, ma Esme si rifiutò di continuare l’inseguimento. Emise un ringhio, si girò dall’altra parte e prese a correre in direzione opposta; per un attimo ebbi timore che avesse percepito delle presenze umane e che fosse partita all’inseguimento della traccia.

Guardai Edward e per l’ennesima volta, lo interrogai con lo sguardo; lui sapeva certamente cosa passava per la testa di Esme. Mio figlio manteneva il passo senza sforzo, e intanto, nella mia mente si affastellavano interrogativi di ogni sorta, mentre cercavo di capire se ci fossero umani in giro, cosa che sarebbe stata assai strana a quell’ora di notte. In risposta, Edward pronunciò solo una frase che mi lasciò supporre molte cose, senza arrivare a intuire una verità quasi incredibile. Non capivo cosa stava succedendo.

“Non è quello che credi… Ha sentito l’odore di una femmina…”

“Ma perché si è fermata? L’animale non ha cambiato direzione e io non avverto nulla d’insolito…”

“È più semplice di quanto credi, ma sarà lei stessa a spiegarti tutto, credo…”

Alla ricerca di altre prede ci inoltrammo nell’interno del bosco, percorrendo ancora notevoli distanze.

Quando Esme uccise la sua prima preda, un vecchio cervo malato, con dei grossi palchi sulla testa, lo fece senza quell’aggressività tipica dei neonati; lo dissanguò in fretta concedendo al nobile e mite animale una morte rapida e quasi indolore, placando solo in parte l’arsura della sete. Le ci vollero altri due animali giovani e forti prima di ritenersi soddisfatta a cui prima spezzò l’osso del collo con un movimento repentino delle mani.

Solo in quel momento, alla fine della caccia le chiesi spiegazioni sul suo strano comportamento di poc’anzi; mi era venuto un sospetto su quale potesse essere il motivo, ma giudicavo incredibile che una vampira neonata di poche ore, potesse fare con tanta immediatezza, una scelta così razionale.

“Esme, cosa è accaduto prima? Perché hai smesso di inseguire la tua preda e l’hai lasciata scappare?”

“Ho sentito un odore che non era quello del sangue; era poco piacevole per me, ma era dolce. Mi è sembrato stranamente famigliare, come se per qualche motivo mi appartenesse, eppure non lo riconoscevo. Poi ho capito che era latte…”

“Latte?” domandai incredulo. Non avevo avvertito l’odore, o comunque, non vi avevo prestato troppa attenzione.

“Sì. Proprio latte. Era una madre che stava allattando il suo cucciolo. Non so cosa sia stato, ma qualcosa dentro di me, come una specie di nausea, mi ha impedito di darle la caccia per ucciderla. Così ho cambiato direzione.”

Fu troppo sorprendete sentire la sua risposta. Sia io che Edward, benché lui lo avesse capito prima di me, ci guardavamo pieni di sconcerto, quasi senza parole. Nella mia mente presero a vorticare così tanti pensieri, tutti associati all’immagine delicata di Esme, che non fui capace di controllare le mie emozioni, un miscuglio tra confusione, sollievo e un certo compiacimento simile all’orgoglio.

“Sei molto confuso, Carlisle… ma anche felice…” mi disse Edward. Mio figlio mi guardava con una strana espressione nello sguardo, velata di un’insolita tristezza, eppure anche lui era contento per me, né ero sicuro. Però indubbiamente, qualcosa lo turbava, e questo fatto mi lasciava addosso una vaga inquietudine che offuscava di poco la serenità che sentivo in quel momento.

Sì, ero inspiegabilmente felice che Esme non avesse ucciso quella femmina di cervo.

Esme aveva avuto compassione; quella di una madre per un’altra madre. Il fatto straordinario non poteva che essere legato alla sua tragica esperienza umana. Era incredibile, ma era così. La speranza che avesse delle affinità con me, metteva in agitazione il mio cuore di vampiro e solleticava i miei pensieri.

Lei doveva essere quella giusta, non avevo dubbi. Era perfetta, volevo crederlo; in qualche modo inconscio lo sentivo fin dentro le ossa, eppure lei poco prima mi aveva fatto chiaramente capire che non era sicura di poter abbracciare il mio stile di vita. Un animale va bene, ma di fronte a un uomo sarebbe stata capace di fare dietrofront? Di resistere al suo demone?

Guardai Edward per l’ennesima volta, come se potessi trovare in lui le risposte ai miei dubbi. Ma anche lui sembrava perplesso.

“È troppo presto per fare qualsiasi considerazione… certo è incredibile; è come se avesse ancora un inspiegabile istinto materno…”

 

Mi ero ripromesso di chiarire altre questioni che la riguardavano e che avrebbero potuto essere importanti per lei; il suo passato doloroso, che io ancora quasi ignoravo, se non per alcuni fugaci dettagli scoperti per caso solo grazie a mio figlio. Avrebbe conservato il ricordo del suo gesto umano e del perché lo aveva compiuto? Volevo sapere, ma avevo timore di aprire la porta di una stanza segreta che avrebbe dovuto restare sigillata.

Cosa restava davvero della sua memoria umana?

Cosa ricordava davvero di me, di quello che ci aveva legati in un'altra vita che sembrava lontana anni luce? E soprattutto cosa rammentava del suo passato tragico e penoso? Volevo scoprirlo. Ne avevo un disperato bisogno.

Terminata la caccia tornammo verso casa rapidamente.

Esme camminava di fianco a me con incedere tranquillo, ma deciso. Stava albeggiando; il cielo si schiariva mano a mano, facendo apparire le sagome degli alberi un po’ meno spettrali e inquietanti.

Raggiungemmo la nostra casa. Ci fermammo in salotto dove c’era un tavolo piuttosto grande con alcune sedie. Io e Esme ci sedemmo, Edward rimase fermo in piedi a un lato del tavolo, apprestandosi ad ascoltare il colloquio che di lì a poco si sarebbe svolto nella stanza.

Guardai Esme con tutta la dolcezza che potevo riversare nei miei occhi dorati, prima di incalzarla con le mie domande. Non volevo che si sentisse oppressa, temevo che potesse rivelarsi restia ad aprirsi, ma l’incertezza di non sapere, mi turbava rendendomi nervoso. Sarei stato più tranquillo se avessi saputo la verità, anche quella più scomoda, anche se fosse stata un pegno doloroso da portare. Per lei potevo sopportare tutto.

“Esme, cosa ricordi della tua vita umana? Ti ricordi quando ci siamo incontrati io e te?”

Iniziai con assoluta calma, imponendomi quasi di essere paziente. Dentro smaniavo.

Lei nell’immediato, si dimostrò assai disponibile a quel confronto e fui meravigliato dalla totale fiducia che mi dimostrava; mi sembrò una buona partenza, una nuova occasione che mi veniva concessa contro ogni mia aspettativa.

“I ricordi sono un po’ confusi, ma alcune immagini sono più vivide di altre… mi ricordo di te, Carlisle… di noi insieme in un parco tra foglie morte… ricordo bene il nostro addio… quello che ho provato…”

A quelle parole tornò un lieve dolore che non avevo mai soffocato del tutto.

“Oh, Esme… Cosa è accaduto dopo che me ne sono andato da Columbus?” sospiravo.

Lei iniziò a raccontare, e ogni parola che pronunciava era come un fiore delicato che mi porgeva, ma recava sempre la controparte di erba amara e cattiva.

“Carlisle, mi sei mancato così tanto. Questo lo ricordo. Subito dopo la tua partenza, mi sono sentita male; non avevo più un motivo per andare avanti, la mia vita  non aveva senso, mi pareva piatta e senza prospettive future. Senza di te mi sentivo sola, abbandonata…”

“Adesso puoi capire perché fui costretto a farlo; mi stavo lasciando coinvolgere troppo, stavamo scivolando su una china pericolosa, soprattutto per te… Non immagini quanto mi sia costato andare via, Esme.”

“Certo, e non è colpa di nessuno quanto è accaduto. All’epoca, ero una giovane donna sposata, ma infelice. Profondamente infelice. Mio marito non si curava di me. Il nostro non fu mai un matrimonio d’amore, anche se a momenti,  ho sperato che potesse diventarlo, ma presto ho imparato a guardare la realtà per quello che era. Nessuna favola per me. Charles, semplicemente non mi amava, e io del resto, non amavo lui. Sapevo che mi tradiva abitualmente, ma non mi importava poi così tanto. Lo lasciavo fare, bastava che mi lasciasse in pace. Vivevo una vita falsa e lo sapevo; accettavo ciò che era inaccettabile perché ero convinta di non poter cambiare nulla, finché quell’esistenza divenne insostenibile. Solo allora, ho deciso che doveva cambiare qualcosa…”

Seguitai ad ascoltarla, senza interrompere quel flusso impetuoso di ricordi che si erano mantenuti straordinariamente nitidi, che mi investivano e mi trasportavano lontano, con la forza di un fiume in piena che rompe gli argini. E mi lasciai travolgere dall’acqua senza opporre resistenza.

 

*****

 

Più l’ascoltavo, più mi sembrava che una comune sofferenza ci accomunasse; era come se avessimo vissuto lo stesso vuoto esistenziale, lo stesso tormento scatenato da una vita con pochi slanci e motivazioni reali.

Un’esistenza assurda la mia come la sua.

Le nostre vite erano state menzogne meschine quasi senza scopo e solo apparentemente normali.

Io ero un vampiro che per secoli aveva finto di vivere come un uomo, cullandosi dentro una chimera di umanità, e lei era stata una giovane donna sposata, chiusa dentro un’illusione di felicità, sufficiente a suggerire all’esterno, l’immagine di una donna soddisfatta del traguardo raggiunto. Mi tornò alla mente un discorso che avevamo avuto un tempo; secondo Esme, eravamo tutti attori sul palcoscenico del mondo, che interpretavano una parte a beneficio del pubblico. Quanta era l’umanità che si prestava a quella recita quotidiana senza fine?

Anche i vampiri - io più di tutti gli altri - recitavano in quello stesso teatro, senza essere mai veramente sfiorati nel profondo dalla storia che si andava rappresentando.

Per  tutte queste ragioni, insieme potevamo completarci.

Eravamo due solitudini che si erano trovate sullo stesso terreno fragile, due vite che potevano avere un senso, solo tra loro. Eravamo assolutamente affini nel sentire, nel porci verso le cose.

Forse per questo, ci eravamo trovati uno sulla strada dell’altro. Per le medesime esistenze. Per gli stessi bisogni.

 

 

- Cominciai a desiderare un bambino…

Iniziai a pensare che un figlio potesse creare un legame autentico tra me e Charles. Se fossimo stati veramente una famiglia, avrei avuto qualcuno da amare sul serio. E forse anche Charles mi avrebbe guardata in modo diverso. Poi, un giorno, sei arrivato tu, e tutto è cambiato in un modo che non avevo previsto…

Incontrare te, è stato come riscoprire me stessa, imparare a conoscermi, ritrovare sentimenti che credevo di non poter più provare verso qualcuno che mi faceva sentire amata, che sapeva ascoltarmi e comprendermi. Sentivo che quell’amore era totalmente esclusivo, unico. Non lo avevo mai provato prima e benché fosse sbagliato, mai più avrei amato con la stessa intensità un altro uomo.

Mi sentivo così affine a te…  Erano vere affinità elettive, Carlisle. Era qualcosa di straordinario.

Eppure mi rendevo conto che c’era un abisso a dividerci, qualcosa che era insormontabile e che ci avrebbe allontanati, come poi è successo. Quando esplose l’epidemia di spagnola, Charles si decise ad abbandonare la sua amante, e insieme, ci allontanammo dalla città di Columbus. Sperai fosse un nuovo inizio. Dicevo a me stessa che potevo imparare ad amarlo… devo averci anche provato…

Tu improvvisamente eri uscito dalla mia vita. Doveva esserci una ragione. Non è accaduto subito, ma col tempo, forse per cercare di dimenticarti mi sono riavvicinata a mio marito. Dovevo tentare di rassegnarmi in qualche modo, per non impazzire del tutto, e ho pensato che quella fosse la soluzione più semplice e immediata. All’inizio, per un certo periodo ha funzionato…

Charles aveva abbandonato la sua amante che forse gli faceva troppe pressioni.

Credo che nonostante tutto, lui tenesse alle apparenze, ed era essenziale mantenere la facciata di uomo rispettabile nella buona società. Un divorzio lo avrebbe danneggiato; per calcolo, era preferibile far funzionare un matrimonio che sfasciarlo e si era riavvicinato a me anche per questo.

Più ci pensavo, più mi sembrava una cosa meschina dovermi adattare a quelle maledette convenienze, ma non avevo valide alternative. Così mi sono adattata a vivere in un modo che non era congeniale per me, pensando di poter trovare un punto d’equilibrio, o forse un compromesso. Di comune accordo lasciammo Columbus e ci trasferimmo ad Ashland.

 

L’ascoltavo ed ero avido di ogni parola, di ogni sospiro, di ogni pausa che inseriva nel suo racconto; parlava e ogni parola evocava immagini a me sconosciute, momenti che non avrei mai condiviso con lei, che invece, erano appartenuti a un altro uomo, quel marito che l’aveva resa infelice, ma che si era decisa ad accettare.

Ero in parte sbalordito dalla forza che aveva messo nella sua determinazione. Dal coraggio che aveva saputo trovare per proseguire la sua vita. Potevo capirla; cos’altro avrebbe potuto fare, se non tentare di mettere le sue energie in quel matrimonio ancora troppo fragile?

I sentimenti sono come piante delicate che vanno curate e innaffiate regolarmente, se vuoi che crescano rigogliose e sane. Le risorse umane sono sorprendenti, la loro capacità di adattamento è molto spesso quell’elemento che li salva dalle situazioni peggiori e drammatiche. Ma il destino a volte gioca delle carte che tu non ti aspetti e non sempre si hanno in mano le figure giuste per contrattaccare.

Ogni tanto la mia attenzione si spostava su Edward, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, assolutamente immobile a braccia conserte, contro una parete della stanza.

Il suo sguardo mutevole era indecifrabile, ma capivo che era turbato dal lungo racconto che si era trovato ad ascoltare. Quello che io potevo solo immaginare attraverso le parole di Esme, lui lo poteva vedere da una diversa prospettiva, attraverso i pensieri che leggeva. Forse le sfumature che riusciva a cogliere erano diverse dalle mie. Ma Esme stava entrando nella parte più drammatica del racconto. La sua voce melodiosa lentamente diventò grave, carica di un dolore intenso che pareva essersi inciso nella sua carne dura, come un fossile nella pietra. E lì sarebbe rimasto, come un marchio indelebile sul suo cuore senza battiti.

 

- Qui passammo un periodo relativamente tranquillo, addirittura sereno. Fummo quasi felici, ma i ricordi mi assalivano sempre perché molto spesso pensavo a te; mi chiedevo dove fossi e se ci saremmo mai incontrati di nuovo. I sentimenti che provavo per te non erano scomparsi, erano lì, da qualche parte, li avevo solo nascosti in fondo al cuore. Quando non ci speravo più, restai incinta.

Mi sembrò qualcosa di meraviglioso, come se la vita mi stesse dando una nuova occasione per essere felice e anche Charles, accolse la notizia con gioia profonda.

Si dimostrò entusiasta di diventare padre e l’evento ci fece avvicinare ulteriormente. Posso dire con estrema convinzione che fu il periodo più bello del nostro matrimonio. Quando Derek, il nostro bambino venne alla luce, mi sembrò davvero di aver superato tutto; era un nuovo inizio, avevo fiducia nel futuro, mi sembrava che la vita mi si aprisse davanti in tutta la sua meraviglia. Quanto lo avevo desiderato…

Ma la gioia fu di breve durata, perché un destino infausto incombeva su di noi e su mio figlio.

Derek si ammalò di un’ infezione polmonare a pochi mesi dalla nascita.

I medici dissero che era grave, ma che poteva guarire e noi sperammo, fino alla fine. Ma fu tutto inutile.

Un mattino troppo luminoso di fine estate, gli occhi del mio piccolo Derek si chiusero per sempre, dopo una notte di agonia passata a pregare accanto a lui. La mia vita finì in quel momento.

Il mio matrimonio finì in quel momento perché Charles si allontanò di nuovo, chiudendosi in se stesso, ignorandomi, lasciandomi annegare nel mio dolore, facendomi sentire colpevole. Per lui semplicemente non esistevo più, tornò a essere l’uomo indifferente che era stato un tempo.

Sono andata avanti qualche mese, come un automa. A volte non mangiavo e non mi lavavo nemmeno più. Restavo ferma tutto il giorno su una sedia a dondolo a guardare una culla vuota che avevo davanti a me, fino a che il vuoto non mi ha risucchiata.

Non ricordo con esattezza, dopo quanto tempo mi sono alzata da quella sedia. Non ricordo se ci fosse il sole, se c’era luce, se era giorno o sera; mi sono allontanata da casa, e non so per quanto tempo ho camminato senza governare le mie gambe. Era come se avessero una volontà propria. Devo aver percorso chilometri, ma senza una meta da raggiungere. O forse, quello che volevo raggiungere non era lì, ma altrove. Non avevo pensieri di alcuna sorta. Senza sapere come, mi sono trovata in prossimità di quel dirupo, poco fuori città.

Mi parve così facile, lanciarmi nel vuoto e lasciarmi andare nell’aria, senza opporre resistenza.

Farla finita col dolore, con la disperazione, con il senso di vuoto che soffocava la mia vita.

Mentre cadevo, ho avuto solo il tempo di pensare al volto del mio piccolo Derek.

Pochi secondi… ho sentito l’attrito freddo dell’aria che mi schiacciava i vestiti addosso…

poi, il buio mi ha inghiottita.

Quando mi sono svegliata per il dolore, ti ho visto.

Non capivo; credevo fosse un sogno o forse, era un incubo. Stavo malissimo e soffrivo in un modo disumano. Forse era una punizione per le mie azioni. Poi è arrivata la verità incredibile delle tue parole…

 

Siamo davvero maledetti, Carlisle?

 

Il racconto di Esme si era concluso con la domanda più difficile e più dura che potesse rivolgermi. La mia risposta sarebbe stata forse altrettanto dura, ma non priva di speranza.

“Molto probabilmente sì… la nostra condizione è quella di esseri dannati. Ma non dobbiamo per forza rassegnarci a questo. Possiamo tentare di alleggerire il nostro fardello, scegliendo di vivere senza il sangue umano…”

“Prima hai detto di aver trasformato Edward perché stava morendo…”

“Sì, è esatto.”

“Mi avresti mai trasformata, se non avessi tentato il suicidio? Hai mai desiderato farlo per te stesso?”

La guardai fisso per un attimo. Dovevo dirle la verità? Dovevo dirle che per un istante, il mio egoismo mi aveva fatto desiderare di non essere più solo?

Rivolsi un’occhiata a Edward, sempre immobile contro la parete della stanza. Lui colse la mia esitazione.

Non distolse mai i suoi occhi ambrati che mi scrutavano lievemente ironici. Eppure, nello sguardo calmo aveva sempre quell’ombra grigia indefinita che non comprendevo e mi metteva un po’ in ansia. Sapevo che si aspettava il massimo da me; il coraggio della verità. Se avessi deluso questa sua aspettativa, sarebbe stato un ulteriore motivo di scontro con lui. Non avevo il suo potere, ma riuscivo a immaginare quello che stava pensando…

Coraggio, Carlisle… dille la verità…

“Hai indovinato.  - Mi confermò - Devi essere onesto con lei, non credi?” Aggiunse, scostandosi di poco dal muro. Non potevo mentire, non potevo più nascondermi. Esme attendeva la mia risposta e il suo sguardo vagava tra me e Edward, nel tentativo di decifrare il nostro strano linguaggio.

Forse non aveva ancora capito che Edward riusciva a leggere i nostri pensieri.

“Esme, a dire il vero, c’è stato un momento… in cui ho desiderato trasformarti. Mi dispiace, sono fuggito anche per questo… Non volevo scoprire di poter essere debole…”

Il suo viso bellissimo si aprì in un sorriso di comprensione, mentre con una mano mi accarezzò una guancia.

Era la prima volta che mi sfiorava intenzionalmente.

“Ci vuole più forza a confessare una cosa così… ti ringrazio di non averlo fatto allora; mi hai dato la possibilità di essere libera, di lottare ancora per la mia vita.”

 

Una libertà durata poco, che si era scontrata con la realtà più amara e terribile.

Il destino più crudele e spietato si era accanito su Esme. Forse anche in me, c’era qualcosa d’impietoso.

Io forse, per paradosso ero stato la sua mala sorte. Se non ci fossimo mai incontrati, la vita di Esme sarebbe proseguita senza scosse violente a mutarne il corso degli eventi?

In quel attimo, davanti a lei, avevo la forte sensazione che ogni cosa, dalla più lieta alla più tragica e angosciosa, fosse accaduta allo scopo di ricongiungere e saldare insieme le nostre vite, i cui fili si erano intrecciati in un arabesco misterioso, complicato e contorto, non facile da leggere. Ancora lo ignoravo, ma quei fili, che avevano imbastito la nostra sorte dolce amara, mai più si sarebbero sciolti…

 

 

Continua…

 

 

Scusate davvero l’enorme ritardo, ma prima non ho potuto aggiornare. Spero che non vi siate stancate di seguire la mia storia.

Ho visto che si sono aggiunti nuovi lettori tra chi preferisce, ricorda o segue questa ff. La cosa mi fa un enorme piacere e spero che avrete voglia di lasciarmi un commento, se vi andrà, e dirmi come avete trovato quest’ultimo capitolo.

Non è stato facile da scrivere; l’ho modificato tante di quelle volte che ho perso il conto, spostando su e giù, tagliando e aggiungendo. Ho fatto del mio meglio, ma mi resta qualche incertezza su come l’ho impostato.

Ho qualche perplessità, più che altro nella forma, temo che verso la fine, possa apparire discontinua, perché ho voluto spezzare il racconto di Esme, inframmezzandolo di riflessioni di Carlisle. Accetto consigli a riguardo, mi riservo di modificare quella parte.

Vi ringrazio sempre di cuore per ogni vostro commento che è sempre bene accetto.

Intanto vi saluto, e ancora grazie infinite. Alla prossima.

 

   
 
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