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Autore: Charlotte Doyle    25/10/2005    2 recensioni
Spero tu sia contenta, ora che stai scegliendo questo; spero ti dia felicità immensa; spero davvero tu l’ottenga, e che non finisca per pentirtene (…) Andromeda e Narcissa Black a confronto.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Narcissa Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: I Hope You’re Happy

Autrice: Livia B. (CharlotteDoyle)

Data di creazione: 8 ottobre 2005

Beta-lettura: Diana, Laura, Maria. Grazie!

Personaggi: Andromeda, Narcissa.

Rating: PG

Genere: Drammatico

Spoiler: dall’Ordine della Fenice. Da HBP no; anche se scritta dopo il sesto libro non contiene nessuno spoiler particolare, è ambientata nel passato.

Sintesi: Spero tu sia contenta, ora che stai scegliendo questo; spero ti dia felicità immensa; spero davvero tu l’ottenga, e che non finisca per pentirtene (…) Andromeda e Narcissa Black a confronto.

Note dell'autrice: la fanfiction che leggete è alla sua seconda versione. La prima è stata scritta a luglio pochi giorni dopo l’uscita (e la mia lettura) del sesto libro, e non è mai stata pubblicata. Qualche mese dopo, ho ripreso lo stesso soggetto e l’ho riscritta daccapo completamente. Molte cose sono cambiate, ma sono cambiamenti che non potete apprezzare, e quindi c’è ben poco da elencarli. Spero che il mio lavoro vi sia gradito.

Ulteriori ringraziamenti: a Stephen Schwartz per Defying Gravity (da Wicked the Musical). Al mio iPod che ha mandato tale canzone a ripetizione ininterrotta durante la prima stesura della prima versione.

**

I Hope You’re Happy

“E il tuo futuro?”

“Non prevede limiti… il mio futuro… non prevede… limiti.”

E come, esagitata, si era alzata ed era uscita dalla sala da pranzo, sbattendo la porta, ora se ne stava quieta a fare il suo baule. Dentro la sua testa un desiderio di pace per la sua testa, che non era già pace, perché pace non era neanche fuori. Altrove, forse. Altrove.

“Spero sarai contenta adesso!”

Il rumore della porta che si spalancava, la luce del corridoio che invadeva con violenza la sua cameretta mezza spoglia, e poi quel grido. Un’ombra soltanto, e poi, voltandosi, ecco la figuretta della sorella minore, il suo visetto delicato storto in un’espressione piena di irritazione.

“Cissy…” cominciò Andromeda, come a voler rimproverare la ragazzina per il volume della voce.

Se la sua educazione gliel’avesse permesso, Narcissa avrebbe sputato. A terra, in aria, addosso alla sorella. Ma non era concesso, e comunque non era importante farlo davvero, l’importante era il pensiero, l’intenzione. E Andromeda aveva capito benissimo, solo, non voleva darlo a vedere. Immobile davanti al suo letto, fissava la sorella senza segni di cedimento, mentre in aria le sue calze si piegavano da sole.

Eccoci giunti a quel che si può chiamare ‘il momento delle spiegazioni’. Un’occasione stupenda per chiarirsi con gli altri e per schiarirsi le idee.

“Cissy… questa è una cosa tra me e mamma e papà, tu non c’entri niente. Non devi intrometterti,” disse Andromeda abbassando lo sguardo. Con un colpo di bacchetta, ripose le calze piegate nel baule. Con calma.

Narcissa fremeva ancora di rabbia.

“Certo!” gridò in risposta. “Certo! Io non c’entro niente. Io non sono rimasta seduta per tutta la cena davanti a te a sorbirmi le vostre grida. Certo!”

“Se vuoi ripagarmi di tutto quello che le tue orecchie hanno dovuto incassare, gridando tu a tua volta, fai pure, ma piano. Non voglio che mamma salga a vedere cosa succede.”

“Ah, questo è il colmo dell’incoerenza!” esclamò la ragazzina, e poi si zittì.

Andromeda si voltò e cominciò a far levitare le camicette, che erano già disposte sul letto in ordine, fino a dentro il baule. Per ora, non si era dimostrato difficile quanto le era sembrato all’inizio. All’inizio, aveva pensato: come farò a far le valige, sul serio? Non era mica uno scherzo, non era come quando partiva per Hogwarts, era una cosa vera, era per sempre. Per questo non aveva cominciato prima.

“E comunque mamma non verrebbe su per niente, e soprattutto non metterebbe mai un piede qua dentro.”

Narcissa aveva parlato di nuovo. Ancora sul ciglio della porta, rigida, si era appena portata indietro i capelli biondi che le scendevano sul viso, con aria di finta indifferenza.

A quelle parole, Andromeda si era voltata ancora verso la sorella.

“Che cosa stai cercando di dire?” chiese.

“Mamma non metterebbe mai piede nella tana di una… traditrice di sangue.”

“Narcissa!”

“Ho detto esattamente quello che sei… che sarai. Comunque.”

Andromeda, senza volerlo, si portò una mano al ventre. Accortasene, la ritirò subito, con una tale foga da perdere per un attimo l’equilibrio e sbattere contro il coperchio del baule, che si chiuse con un tonfo.

“Non sai tante cose, Narcissa,” disse poi, ripresasi.

“Naturalmente. Anche mamma e papà non sapevano tante cose, ma tu non potevi parlargliene da parte, con calma, no, dovevi tirarle fuori tutte a ora di cena!”

“Insomma,” disse la ragazza, riaprendo il baule stizzita, “sembra che l’unica cosa che ti interessi sia che io – solo io, poi? – ti abbia rovinato la cena. Me ne sto andando via, giusto per dire, questo ti importa?”

“I traditori di sangue…”

Andromeda sospirò.

“Basta con queste scene, Narcissa. Hai imparato forse a memoria queste frottole sull’intolleranza?”

“Non ho imparato niente a memoria! E non sono frottole, lo sai!”

“Dici che lo so? No, non lo so, tu lo sai?” chiese la sorella con un mezzo sorriso. Narcissa provò a dire qualcosa, ma Andromeda chiese ancora: “Tu ci credi?”

“Io…”

“Perché sarei una traditrice di sangue? Sentiamo.”

“Vado a vivere con il mio ragazzo. A Londra. Giusto per i primi tempi, così, poi ci sposiamo.”

L’annuncio che la loro figlia mediana avesse qualcosa di importante da comunicare quella sera già aveva messo in agitazione i signori Black. Non si inventavano le cose così al momento, all’ora di cena. Una notizia così malamente formulata, poi, non poteva far altro che scatenare la loro irritazione, prima ancora che l’indignazione per la notizia di per sè. Ma con calma, con calma.

La madre aveva tossito nel suo fazzoletto e poi l’aveva posato in tavola.

“Non penso di aver capito bene,” aveva detto il padre.

Andromeda si era rizzata sul suo posto. Non aveva certo mai creduto che l’avrebbero presa bene, era pronta a questo.

“Ho finito la scuola, voglio cominciare a lavorare, ho un ragazzo che vuole lavorare anche lui e io voglio sposarlo. Vogliamo sposarci. Andiamo a vivere insieme, intanto.”

“Che cos’è questa follia?” aveva esclamato la madre. Il signor Black la fece tacere con un cenno della mano.

“Non ci hai mai detto di avere un fidanzato, Andromeda,” aveva detto poi, lentamente. “Non mi pare di aver mai dato la mia approvazione… a nessuno.”

“Ted ed io stiamo insieme da due anni… mi sembra abbastanza.”

Aveva fatto finta di non sentirli. Continuava per la sua strada.

“A maggior ragione… neanche Bellatrix ci ha mai detto niente. Narcissa?”

La ragazzina si agitò nervosa sulla sua sedia. Guardò per un momento la sorella, e poi scosse la testa con forza. No, non sapevo niente neanch’io, voleva gridare, ma non era vero. Se Bellatrix non l’aveva mai saputo, perché Andromeda era stata bene attenta a tenerglielo nascosto, lo stesso non si poteva dire di Narcissa. La più piccola non sembrava poter costituire una minaccia per il suo grande amore, e quindi a lei Ted Tonks era stato presentato regolarmente.

“Non vuoi farcelo conoscere?” aveva continuato allora il padre.

“Non riuscireste ad apprezzarlo per quello che è,” fu la risposta di Andromeda. Mal formulata, ancora una volta. I genitori avevano capito tutto.

“Tu… tu vai a vivere… con quel… mezzosangue…” e la sorella minore tremava nel dirlo.

“Non osare chiamarlo così, Narcissa!” Andromeda tutto d’un tratto si era infuocata.

“Ho detto quello che è!” esclamò lei sulla difesa.

“Ma ti era simpatico quando l’hai conosciuto,” disse Andromeda.

“Io… io non sapevo che lui fosse…”

“Fa qualche differenza?”

“Sì!”

“Quale?”

Silenzio.

Poi una sola parola.

“Bella…”

E ancora un’altra dietro la prima:

“Bella dice…”

Andromeda scoppiò a ridere. Narcissa era perplessa.

“Bellatrix ti ha messo in testa un sacco di sciocchezze, più di quante non ne abbiano mai dette i nostri genitori. Per favore, Narcissa. Sei grande! Puoi pensare da sola per una volta, no?”

“Io penso da sola!” disse la sorella, i pugni stretti. “E poi tu mi stai mettendo contro Bella!”

“Anche questo te l’ha suggerito lei, immagino. Sto cercando di metterti contro di lei! Ma non ti accorgi neanche di quanto è impazzita, dietro quello stendardo di… di Santi Inquisitori? Lei ha preso, si è sposata, se ne è andata…” disse lei, un po’ vaga – come se la cosa non l’avesse resa non poco felice – intanto, agitando un poco la bacchetta continuava a riempire il suo baule. Sembrava ci fosse ancora poco da mettere a posto, aveva quasi finito – finalmente!

La sorella si era avvicinata a lei, cercando attenzione. “Sta combattendo per i nostri diritti!”, aveva detto.

“Ho sentito delle cose, Narcissa… delle cose terribili. Tu non sei stata attenta, alle ultime nuove che giungono di questi tempi? Hai visto come combattono per i nostri – nostri di chi? – diritti? Uccidono le persone.”

“Quelle persone non sono degne di-“

Sciaff. Andromeda l’aveva colpita sulla mano.

“No! Questo non te lo permetto!” aveva esclamato la sorella maggiore, indignata. “Questa è follia! Pensare che degli uomini non abbiano diritto a vivere! È questo tutto quello che riesce a partorire la tua mente? Ti credevo più intelligente di così.”

Narcissa si massaggiò la mano per un poco, in silenzio. Non era stata molto forte, Andromeda con quel suo schiaffo, ma era più doloroso di quanto Narcissa non potesse credere. La sorella se ne accorse, e, più gentilmente questa volta, le prese la mano tra le sue e la strinse con dolcezza. La fece sedere sul suo letto e poi si sedette anche lei. Qualche momento così, e poi…

“Da che parte stai?” chiese Narcissa, a bassa voce. Andromeda lasciò andare la sua mano immediatamente.

“Che cosa intendi?”

“Tu vuoi vederci distrutti dai Babbani, non è così?” c’era meno combattività ora, era come a dire che Narcissa si era stancata di gridare, ma ancora, non è questo che ferma la lingua ben armata. “Perché non vai a combattere insieme a Silente, allora? A combattere contro Bella?”

Perché la odi così tanto. Perché vi odiate così tanto. Vi odiate tanto, è vero? avrebbe voluto aggiungere.

“Io non voglio combattere proprio per niente, Narcissa!” aveva esclamato Andromeda. “Men che meno contro una delle mie sorelle! Ho ben altro a cui pensare!” – e ancora l’urgenza di portarsi la mano al ventre la colpì; non si mosse, però. Quando l’avrebbe detto a Ted?

“E non voglio mettere in pericolo nessun altro,” continuò, sulla stessa linea, come a voler parlare di cose mai viste o mai sentite, cose che non la riguardavano affatto. “Per questo dico che non dovresti farti trascinare dalle parole di Bella, è pericoloso… lo capisci che è pericoloso? E tu hai solo tredici anni, hai bisogno di tempo per crescere-“

“Avevi appena detto che sono grande, adesso!”

Far finta di non sentire, come al solito.

“… tempo per capire tante cose, per innamorarti… non vuoi innamorarti, Narcissa?”

L’altra arrossì.

“Stai parlando come la zia Elladora,” disse per scostarsi dall’imbarazzo.

Andromeda rise.

“Per carità, non questo…”

Ma Narcissa era tornata seria. E non c’era più tempo per scherzare. Il baule era ormai pronto. C’era ancora qualche cosa sugli scaffali della sua stanza, ma non era niente di importante. Cose che poteva lasciarsi indietro, che doveva lasciarsi indietro. Narcissa, invece…

“Cissy,” disse Andromeda. “Ma pensa, soltanto… Cosa ha senso in questa guerra? E cosa vale veramente? Vorresti vedere uno dei tuoi cari rimanere ucciso per questi così chiamati ideali? Oppure, vorresti vedere tuo figlio rischiare la vita, morire… per la purezza del sangue?”

“Non succederà mai!” disse subito Narcissa, reprimendo il pensiero. Non può accaderci niente…

“Noi siamo dalla parte del Giusto, non può accaderci niente…” disse, confusamente. “Sei tu che ti stai mettendo nei guai…” era spaventata, Andromeda lo avvertiva. Faceva bene a lasciarla da sola? Una volta uscita da casa, i suoi genitori non l’avrebbero più fatta tornare, neanche per vedere la sorella, questo lo sapeva bene.

“Devo andare,” disse, guardando appena l’orologio.

Narcissa impallidì. Si alzò dal letto e fissò la sorella maggiore dall’alto, ma non disse niente.

Andromeda lentamente si alzò anche lei. Tese le braccia verso la sorella, ma questa non si mosse di un centimetro.

Andromeda sospirò, e lasciò perdere. Fece levitare il baule fino a fuori la stanza. Si sentiva gli occhi della sorella addosso, e adesso la stavano mettendo a disagio. Cosa stava facendo?

“Puoi prendere tu tutto quello che è rimasto,” disse poi indicando le sue cose che ancora si trovavano nella stanza, sperando di vincere un po’ di entusiasmo da parte della sorella. Ancora, non ricevette risposta.

Non doveva preoccuparsi. Non doveva. Altre cose… nel suo futuro… senza limiti.

Avrebbe scritto poi a Narcissa delle lettere, tante lettere, anno per anno. E anche se non avrebbe mai ricevuto risposta, poteva giurare su qualsiasi cosa che la sorella quelle lettere le avrebbe lette, magari di nascosto, magari storcendo il naso, magari sputandoci sopra (sulle lettere è lecito sputare con gli occhi). Perché Narcissa le cose le faceva così.

E pur pensando questo, si sorprese quando si sentì chiamare per nome, mentre usciva dalla stanza.

Si voltò. E Narcissa era sempre lì, e la stava guardando, ancora sui suoi piedi, ancora composta, fermissima, i soliti pugni stretti, e gli occhi lucidi che tentavano di frenare l’urgenza delle lacrime.

E la voce fievole.

“Spero sarai felice, alla fine,” disse.

Andromeda sorrise, e rispose: “Anch’io spero sarai felice, Narcissa.”

**

Pubblicazione prima su Acciofanfiction. Recensioni e critiche costruttive sono sempre bene accette!

  
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