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Autore: Sorina_SA    10/09/2010    5 recensioni
Raccolta senza canoni.
Qualsiasi personaggio, qualsiasi rating, qualsiasi genere, potrà esserci.
Amo Allen, le Kanda/Allen/Lavi/Tyki, lo Yaoi...Si può immaginare la maggioranza di capitoli similari ci sarà.
*** C'è una mia raccolta con lo stesso titolo nella sezione di Death Note; l'idea del nome l'ho presa dalla serie di Kaori Yuki pubblicata dalla Planet Manga.
* Promise - [Lavi/Allen]
* The Lost Thing - [Lavi/Allen]
* Love, Hatred, Desire - [Kanda/Lavi/Allen]
* Moyashi - [Allen/Kanda]
* Last Kiss - [Tyki/Allen]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi, Tyki Mikk, Yu Kanda
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimers: D.Gray-Man © Katsura Hoshino. Questa Fan Fiction è stata scritta per puro diletto, senza alcun scopo di lucro. Nessuna violazione di © è dunque intesa.

Name: Last Kiss

Author: Sorina_SA

Characters: Tyki Mikk, Allen Walker, Un Po’ Tutti

Paring: Tyki/Allen

Rating: Arancione

Type: One Shot

Warning:  Yaoi, OOC, Alternative Universe

Notes: Mentre scrivevo ho ascoltato ‘Homunculus’(©Ooshima Michiru), l’OST di Full Metal Alchemist. Vi consiglio caldamente di metterla in sottofondo :3
Sono partita con l’idea di creare una Fic dal tono serio...Lo ammetto, il risultato non è esattamente ciò che mi sono imposta. Prendetela così come viene, vi do il consenso di considerarla una no sense comica che lascia piuttosto ad intendere o_ò
E scusate se sarà troppo smielata D:

 
Tra un paragrafo e l’altro ci saranno tre tipi di avvertimenti:

*** E’ trascorsa un’ora o più, ma meno di un giorno;
~~~ Sono avvenimenti che vanno in contemporanea o quasi;
>>> E’ passato un giorno o più.

Dedicate to: A Black_Eyeliner. Semplicemente perché ha fatto una recensione meravigliosa a Hatred, Love, Desire...Grazie di cuore, donna :D
Comunque sia, spero che tu possa apprezzare anche questo mio lavoro, seppur ben differente, umile e ‘leggero’ dell’altro...
Auguro a te ed a tutti:

Buona lettura

 

 

 

 

 

Last Kiss

 

 

 

 

 

 

Ti amo.

 
[  Sotto quel cielo stellato si abbracciano.
Lei sussurra. “Non m’importa dell’opinione degl’altri...
Noi continueremo a stare insieme.”
]

 
Ti amo.

 
[  Non lasciarmi...” Lei singhiozza, si aggrappa alla sua maglia. ]

 
Ti amo.

 
[  Si amano.
I sospiri languidi.
Fanno rumore i loro cuori.
Lei ha la voce spezzata. “...I-io...Ti...Appartengo...”
]

 
Ti amo...

 
[  Lei guarda lontano. “...Io...Ho preso la mia decisione.” ]

 
Ti... amo...

 
[  “...No...N-no...! F-fermati...!”
Il coltello le perfora la cassa toracica, schizza ovunque di sangue.
Sulla lama sporca si scorge un breve riflesso d’argento candido...
]

 
Ti... a... mo...

 

 

 

 

 

Lo amavo.
Affollava ogni mio pensiero, riempiva ogni mio gesto, per me non esisteva altro che lui.
Lo amavo tanto da non poter respirare, tanto da sentirmi morire...

 ...Per questo l’ho ucciso.

 

 

 

Signori, signore, signorine...
Il mio nome è Tyki Mikk.
Sono qualcuno, un semplice nessuno.

 
Vi racconterò una storia di cui sono protagonista.

 E vittima.

 Nel posto in cui mi trovo ora mi è permesso solo questo,
mi è solo permesso rivivere ricordi,
correre fra le catene della memoria...
Una memoria forse ormai corrosa anche per colpa loro,
di quegl'uomini dalle menti pigre,
che celano le grandi ali e
la coda acuminata sotto vesti immacolate.
Mi donano ambrosia che mi permette di sognare.
...E di fare gli incubi più orribili.


 
Un diavoletto dalle lucenti iridi smeraldo mi viene spesso a far compagnia,
con aria mesta mi racconta cose vicine e lontane...
Ne ridiamo, ne rimpiangiamo,
ne piangiamo...
O almeno, lui piange sempre.

 Povero, avrà perso la sua pecorella nera...
Allora gli carezzo la testa,
le mie dita s'impigliano in fil di fiamma aggrovigliati.

 
 Anche oggi è venuto.
E ha pianto ancora.

 Ma dove sarà mai finita la sua pecorella?

 
 
Gli angeli mi hanno portato altra ambrosia.
Berrò di nuovo questa fiele divina,
lascerò che i ricordi prendano il sopravvento...

 Saranno ricordi  che mi apparterranno...E non lo saranno.
Verità o no, è tutto ciò che so.

 Ti ringrazio diavoletto sconsolato, la mia storia adesso è completa!

 
Indietro, indietro, andiamo indietro...

 A quando lo conobbi alla cerimonia d’apertura del nuovo anno.
Io ero il capo infermiere nell’istituto Dark Religious...

 

 

 

Che tedio.
Facendo a mio modo parte del corpo insegnanti, quella mattina avrei dovuto essere in palestra a sorbirmi, con tutti gli altri, il discorso di benvenuto del preside ai neo arrivati...Tuttavia trovo decisamente più fruttuoso starmene in infermeria a leggere, sorseggiando una tazza di caffè fumante in completa pace.
In conseguenza di ciò, quotidiano sottobraccio ed espresso in mano, dalla sala insegnanti mi accingo a raggiungere la mia meta.

“...Ma ovviamente, è pretendere troppo, nevvero?” Soffio tra i denti.
Ecco che varcando l’entrata, mi ritrovo Lavi Bookman, chiassoso e saltellante come suo solito.
Poso la tazza e il giornale sulla mia scrivania, e percependo i primordi di una forte emicrania, infilo le dita fra i capelli. Sospiro. “Avanti, cosa ti sei fatto stavolta?” M’impegno di tutto cuore a far risultare il mio tono di voce sommamente esoso. “Lo scorso anno l’ho passato a curare le tue contusioni ed ammaccature, facendoti assumere quantità industriali di aspirine e sedativi. Mi hai fatto penare più di chiunque altro.
Dunque...Non credi che presentarti qui il primo giorno di scuola sia particolarmente audace?”

Bookman sventola l’indice con energia, il broncio irritante che tende a dipingersi quando deve ribattere ad accuse fondate che ingiuriano il suo inesistente orgoglio. “Signor Mikk, è come se stesse insinuando che io faccia apposta a farmi male!”

“Infatti è così.”

No, invece...! Che colpa ho io se persino una gomma da cancellare può tramutarsi in un’arma letale, peggio di un Rasenshuriken!?”

Rasenche...?
“Se con il tuo vicino di banco fai a gara a chi riesce a tenere il maggiore numero di gomme in bocca, mi pare il minimo rischiare di strozzarsi. Ne convieni?”

“Lei non ha fiducia nelle mie capacità, signor Mikk! Io diverrò famoso per questo!”

Simulo un’espressione di vaga meraviglia e sbatto gli occhi il più vistosamente possibile. “Allora sarò ben propenso a non sprecarmi più nel disinfettarti e bendarti. Ho intenzione di aiutarti a pervenire al tuo traguardo di balorda notorietà.”

“...Sta dicendo che mi lascerà morire senza muovere un dito, signor Mikk?”

“Interpreta le mie parole a tua discrezione.”

Bookman incrocia le braccia al petto, fintamente risentito. “Se dovessi rimanerci secco, come mie ultime volontà assolderò Yu Kanda a vendicarmi! Assaggerà la potenza del suo Bankai! E’ avvertito.
E comunque non sono qui per me, ma per lui.” Si fa da parte, e sul lettino dietro vedo steso alla meno peggio un ragazzino.

Un attimo sorpreso, mi muovo velocemente in quella direzione. “Cos’è successo?”

“E’ caduto come un sacco di patate durante il discorso del preside Komui...Cioè, Komui ha sempre fatto discorsi noiosi da schiattare, ma mi sa che quest’anno ha esagerato dandosi alla pratica...”

“Ho capito. Probabilmente stamattina non ha mangiato ed è svenuto per la tensione, non sarebbe il primo.
Torna in palestra. Penserò io a lui.”

Dopo che Bookman se ne va con un’inquietante “Io la vedo, signor Mikk!”, cerco di mettere in una posizione più comoda il ragazzino.

Gli getto un’occhiata. Se non fosse per l’assenza di seno e per l’uniforme maschile che riveste il corpo davvero minuto e sottile, avrei detto fosse una ragazza.
Allungo una mano per spostargli la lunga frangia di capelli innaturalmente bianchi che gli celano il viso. L’atipica luminosità della pelle lo fa sembrare un dipinto ad olio...Il ritratto Romantico di un fanciullo assopito, due petali di magnolia a comporre le labbra schiuse, e lunghi drappi di pregiata seta come ciglia, così aggraziato e così puro da sembrare una divinità minore...
A sciancare un po’ questa immagine è una fine cicatrice rossa sulla fronte.

Ignorando i cartelli ‘se fumi ti spezzo le gambe!’ a scritte cubitali affissi ovunque da Komui, mi accendo una sigaretta, scovando, in uno dei cassetti della scrivania, il posacenere marmoreo di dubbio gusto regalatomi da mio zio di lontana parentela, un conte di qualche nobile casato.
Posiziono la seggiola lì accanto e sto a scrutarlo. Lo pungolo con un dito.
“Ehi, tu. Sei morto?” Incomincio a scrollarlo un po’. Stupidamente, mi piego su di lui per sentire se respira.

...E sono io a perdere il respiro.

La sigaretta mi cade a terra.

Le sue braccia affusolate mi cingono svelte il collo. Mi attirano a lui.

Mi bacia.

Avrei potuto liberarmi facilmente da quella fragile stretta, ma sono troppo stupefatto e frastornato per pensare di farlo.
Dopo quelli che mi appaiono come minuti interi, si separa dalle mie labbra quanto basta per riuscire a guardarmi, permettendomi di affondare in quei grandi specchi d’acqua argentati.
Sorride – con quella che avrei definito voluttà – e dice “Non ti ricordi di me?

 

 

 

Mi ero laureato con il massimo dei voti alla facoltà di medicina di Tokyo.
Pur potendo accedere a cariche più elevate, feci richiesta di assunzione come infermiere in vari licei, lontano dal Kanto.

 Lavorai gli ultimi giorni di aiutante dentista in una piccola clinica fuori dal centro.

 

 

 

La siringa in mano, sto per somministrare l'anestetico ad un paziente ed improvvisamente si sente un fracasso assordante provenire dall’esterno.
Sporgendomi dalla finestra del secondo piano, di fronte ai cassonetti dell’immondizia travolti, avvisto qualcuno – una bambina, penso – accasciato a terra, un monociclo e qualche pallina colorata intorno.

Corro giù.
Fra i mormorii e la curiosità collettiva dei passanti, mi faccio largo. “Sono un medico, fate passare. Per favore, spostatevi.” Con cautela, prendo in braccio la bambina priva di sensi e la porto all’interno della clinica. Avendo il consenso del responsabile, la faccio stendere sul divano del suo studio mentre lui continua ad occuparsi degl’altri pazienti.

Accigliato, mi accorgo che sanguina. Un lungo taglio le percorre la parte sinistra della fronte. Non è una ferita profonda, e non è altrettanto un problema procurarsi gli strumenti necessari per applicarle dei punti.
Un’ora dopo la bambina si risveglia mugugnando. Si tasta la fronte e ritrae immediatamente la mano. “
Ahi...”

“Non toccarti, ti ho appena messo dei punti.” Butto nel cesto a lato il fiocco di cotone che ho usato per tamponare il taglio. “Purtroppo ti rimarrà la cicatrice.”

Concepita la mia presenza si mette di scatto a sedere. Si guarda intorno allarmata. In seguito sembra calmarsi alla vista del mio camice bianco.
Tiene la testa china, i capelli opalescenti cadono a cortina sulla faccia, ma non abbastanza da offuscare il rossore d’imbarazzo. “...G-Grazie...” Fruscia.

“Non c’è di ché. Però tu dovresti imparare ad andare meglio sul monociclo prima di farci il giocoliere sopra.”

La bambina annuisce.

“E, tieni. Ti sono cadute queste. Il monociclo è nell’altra stanza.”

Indistintamente ringrazia ancora ed afferra impacciata le palline.

“Mh...” Spaventandola, con le mani le tiro i capelli dietro le orecchie, scoprendole il volto.
“Non dovresti nasconderti con la frangia...Sei molto bella, sai?”

 

 

 

Disse che da quel giorno non fece altro che pensare a me, che soffrì alla notizia del mio abbandono al lavoro di aiuto dentista ed al mio repentino trasferimento.
Coi mezzi a sua disposizione fece in modo di scoprire il nuovo impiego che mi ero trovato, e da quel momento cominciò a studiare quattordici ore al giorno pur di entrare in questo liceo, uno dei più prestigiosi del Giappone.

  Mi rivelò che per lui il mondo era sempre stato in bianco e nero. Che quel giorno, per la prima volta, vide i colori. Erano colori sgargianti, vivi, stupendi. Colori che gli facevano battere il cuore, che gli mozzavano il respiro...

 

 

 

Sono rimasto senza parole. Mi limito a fissarlo, piacevolmente sorpreso.
Sussulto appena quando si avvicina di nuovo alla mia bocca, il fumo della sigaretta ancora accesa salire ad accompagnare le sue parole.

“...Ti amo...”

 

 

 

Allen Walker, il nome di colui che avevo scambiato per una bambina qualche anno prima.
Dichiarò di amarmi.
Non mi conosceva, quello che sapeva di me erano solo dati alla rinfusa.
Non gli avrei dovuto credere, avrei dovuto impedire una cosa del genere.
Eppure, allora, ne fui solo contento.

...Perché anch’io mi ero innamorato di lui.

 

 

 

Guarda per l’ennesima volta l’orologio da polso e sbuffa scocciato.
Seduto al suo posto, torna ad ascoltare pigramente il cianciare del professor Wenham che farnetica sul sacro e profano della geometria analitica.
Sbuffa ancora.

« SCRANG »
La sedia si rovescia assieme a lui mentre si accascia a terra.

“Professore...! Walker! Walker è svenuto...!

 

 

 

***

 

 

 

Compilo il documento di richiesta di spedizione dei medicinali e di altre cose confacenti, sperando che non vi fossero ritardi.
Non poche volte ho dovuto tollerare le lamentele – interpretabili anche come logorroici deliri – di Bookman, privato di un’aspirina o di una fasciatura adatta...Un’esperienza che preferirei non ripetere.
Anche se un degeneramento dell’incolumità di Bookman l’avrei considerata una necessaria fatalità.
...Con tutto rispetto, ovviamente.


“...Sir Mikkkkkk~! Dorme sul lavoro??”

Lascio cadere la penna sul tavolo, alzando gli occhi al cielo. “Parli del diavolo e spunta Lavi Bookman.” Borbotto a denti stretti per non essere sentito. Assai scontento, ruoto sulle rotelle della seggiola.

Dimostrando di aver un udito prodigioso, sentenzia contro di me. “E lei è più debosciato ed ambiguo di Seymour e Kuja messi insieme, peggio che nei manga delle CLAMP! Anzi, peggio di Sebastian che mette il corsetto a Ciel!

Corrugo le labbra in una smorfia allibita, non avendo capito un fico secco delle sue parole, ma sentendomi comunque offeso. Suppongo che stia vaneggiando come è dabitudine, per cui decido di non dare peso alle sue parole. In seguito, il mio sguardo si disloca dalla sua faccia – a parer mio, pur quella assolutamente priva di senso – alle sue braccia, da cui ciondola, a mo’ di bambola di pezza, un Allen privo di conoscenza.
“...Al--...Walker...!
...Cos’ha...?
Spero che non si sia accorto della nota di panico che mi percorre la voce, ne’ delle mie pupille irregolarmente dilatate, mentre lo vado a prendere per adagiarlo su uno dei lettini.

“Bivaccavo per la scuola e mi sono imbattuto nel professor Wenham all’apice di un arresto cardiaco che lo trascinava per il corridoio. Subito ho pensato male...Poi, ragionevolmente, gli ho chiesto che stesse facendo: ha detto che Walker ha avuto un malore in classe. Avendo io un buon cuore, ho voluto aiutarlo a portarlo qui...E gli ho anche consigliato di sostituire la soda con del katsudon o dell’okonomiyaki...E’ proprio una mezza calzetta, il prof. ...Vorrei rifilargli una di quelle pillole energizzanti in dotazione alla Quarta Compagnia...Ovviamente non quelle che ha Hanataro...”

“Sì, sì...” Annuisco brevemente, inginocchiato a fianco del letto.
Poso la mano sulla fronte di Allen, passando poi al polso. “Adesso vai.”

Ehi! Le sembra il modo di trattarmi dopo il mio servizio gratuito di trasporto express!? Neanche avessi praticato uno shunpo!
...A proposito, prima parlava da solo! Parlava di me, oltretutto! Se ha qualcosa da riferirmi, me lo dica in facc--...”

“...Ti ho detto di andartene, non hai sentito?” Sbraito, girandomi di scatto ad affrontarlo, irato da quel brusio incessante ed invadente che tanto non sopporto. Il mio autocontrollo è colato a picco nel vedere lo stato in cui è riverso Allen, tanto da non risparmiargli parole che in fondo ho sempre ponderato. “Tu...Sei odioso! Vieni qui ogni giorno, vittima della tua spericolata infantilità, reclamando cure superflue, quando ci sono altri che aspettano, ed io sono sommerso di lavoro fino al collo...! Dai aria alla bocca coi tuoi discorsi assurdi, non fai altro che recriminare su ciò che faccio, io, un tuo insegnante...! Non sono un tuo amico, ne’ un tuo coetaneo...! Devi portare più rispetto, perché tu sei solo uno studente e nient’altro! Se vuoi che smetta di provare pena per te, non tornare mai più qui, chiaro!?

Bookman mi fissa attonito.
Farfuglia. “...M-mi...Scusi...”
Fa un mezzo inchino e se ne va velocemente.

Inspiro profondamente e torno ansioso a controllare il suo stato.
“Allen...Allen...” Lo scuoto piano, quasi avendo paura che si spezzi davanti ai miei occhi. “Allen, sei...”

“...Sono vivo, tranquillo.” Spalanca teatralmente le palpebre, facendo un sorrisetto divertito.

Sono certo che il mio cuore abbia perso un colpo. “...Acc...Che...Che aspettavi a rispondermi...? Non farmi preoccupare inutilmente...” Sciolto il nervosismo, mi viene quasi da ridere.

“Aspettavo che mi scuotessi un po’ e chiedessi: ‘Ehi tu, sei morto?’. Sei piuttosto prevedibile, sai, Tyki?” Ride, i suoi occhi socchiudersi dolcemente.

“Invece tu fai l’improbabile...!”

“Oh, suvvia. Non ce la facevo più ad aspettare, fino all’ora di pranzo, poi...! Volevo vederti subito.” Si mette a sedere e si sporge, il reclamo implicito di un bacio.

Lo accerchio per la vita, con un tono di rimprovero incline allesasperazione.  “Ho un sacco di pratiche da sbrigare...Questa volta sarebbe stato meglio se tu fossi stato davvero morto...”
Lascio che la sua linguetta sfiori il contorno delle mie labbra, per poi infilarmela con forza nella bocca. Il bacio che ne segue, in pochi istanti, basta ad eccitarmi. Anche per questo, probabilmente, sono estremamente contrariato quando non piano mi morde la lingua, distaccandosi da me.
Mi copro la bocca con le mani. “Mi hai fatto male...!” Biascico, stralunato da quell
attacco che sa di vero e proprio terrorismo nei miei confronti.

“Lo so. Questa è la punizione per aver detto che sarebbe stato meglio che io fossi morto.” Constata con una vocina che avrebbe usato un bambino dellasilo per rifiutare il piatto di broccoli che la madre concitatamente gli offre. “Non devi scherzare su certe cose...Per ripicca, potresti morire anche tu, proprio adesso.” Sorride, senza motivo apparente.
“...Piuttosto...Hai detto delle cose davvero cattive a quel ragazzo.”

Ancora assimilando, imbronciatissimo, il torto fattomi, muovo un po la lingua sul palato, e storco il naso al leggero sapore di sangue. “Non puoi capire...”
Un’improvvisa ed impellente voglia di fumare mi stritola all’altezza del petto... “Lo fa apposta, è il suo hobby torturarmi...” Mi sollevo da terra, portandomi alla scrivania.

“Io non penso che lo faccia apposta...Forse fa parte del suo carattere essere così espansivo...”

Trovo il pacchetto di Lucky Strike eclissate sotto il doppio fondo del cassetto del tavolo, il nascondiglio anti Komui. Un po’ più contento, scovo l’accendino dalla tasca dei pantaloni e mi accendo una sigaretta. Mi siedo sulla poltroncina ed incrocio le gambe, avvicinando il posacenere. “Quello non è essere espansivi. E’ da tre anni che lo conosco, so di cosa parlo.”

Mm...” Allen si stende su un fianco.

Mi osserva. I suoi occhi di ghiaccio mi perforarono, quasi avidamente. Scatenano la loro forza su di me, come piccoli dardi che mi carezzano, sezionandomi pezzo per pezzo, accuratamente, come a cercare un difetto, un pregio o chissà altro. Tutto questo non con petulanza, ma con ingenua curiosità.
Nel guardarli, mi dimentico di espirare. Mi va di traverso il fumo.
Comincio a tossire.

Probabilmente conscio di ciò che ha fatto, ride.
“Quindi...E’ da tre anni che viene qui...”

Tossisco ancora un po’, schiacciando la sigaretta nel posacenere. “...C-cough...S-sì...”

“E non hai mai pensato che lui non venisse ad essere espansivo, ma per vedere te?”

Mi riprendo un poco e rifletto un attimo sulle sue parole, non trovandoci un senso. “Cosa vorresti dire?”

“Voglio dire, che il farsi male era un pretesto per vedere te.
Perché tu gli piaci.”

Inarco un sopracciglio.
Che stupidaggine.
Nella mia testa scarto di netto quell
eventualità.
“Anche se fosse, meglio così. Non verrà più a scocciarmi.”

“L’hai ferito.” Puntualizza lui, iniziando a rendere la cosa più insopportabile di quanto non sia già.

“Che importanza ha?” Inclino il capo per rivolgere lo sguardo alla mezza sigaretta spenta nel posacenere, rimpiangendola. “Sarebbe successo prima o poi...Ho un limite di sopportazione anch’io.” Armeggio per accendermene un’altra...

“Chiedigli scusa.”

Mi blocco. Di certo devo avere un’espressione sconvolta. “...Cosa?

“Chiedigli scusa, Tyki.”

“Io...Io non gli chiedo scusa!” Esclamo indignato da quelluscita totalmente assurda.

“Sì, che lo farai.
...Altrimenti ti lascerò.
Non voglio avere a che fare coi cocciuti impertinenti.”
Allen si alza, facendo per andarsene.

Istintivamente faccio lo stesso, scattando su di lui. Un istantaneo senso di disperazione mi raggela il sangue. Per la paura mi si ammolliscono le gambe, cado in ginocchio.
Quello che sta accadendo in quel momento è impossibile...
“Non puoi farlo...! Non...Non è giusto...!”

“Perché, è giusto che tu abbia fatto quella scenata a quel ragazzo e che tu non abbia nemmeno coscienza di chiedergli scusa?”
Capisce che non so che rispondere, e continua. “Prova a ragionare a mente fredda. Mi darai ragione.”

Lo guardo con occhi colmi d’implorazione. E l’implorazione viene sostituita da un velato sollievo, pensando che basta qualche parola per risolvere tutto... “Sì...” Mi stringo alla camicia di Allen, affondando il volto all’altezza del suo stomaco. “Hai ragione...Ho esagerato...E’...Solo che quando ti ho visto...Mi sono preoccupato, e...!”

Mi abbraccia la testa, soffice come la sua voce. “Shh, lo so, lo so...
E, Tyki...Per nessuna ragione al mondo ti lascerei...
Se dovessimo dividerci...
...Sarai tu ad andartene. Non dimenticarlo.”

 

 

 

>>> 

 

 

 

Canestro.
Uriyaa~!” Lavi solleva le braccia in segno di vittoria e batte il cinque ad un compagno di squadra.
Va a prendersi da bere a bordo campo, dove un annoiato Yu Kanda, appoggiato alla rete, osserva indolente la palla rimbalzare.
“Yu, vieni a giocare! Guarda che è divertente!”

“No. Il basket è uno sport stupido. Un branco di uomini sudati che rincorrono una palla. Tsk.”

“Per te è tutto stupido.” Replica Lavi sbuffando. Finisce il succhino Greentea Oishi allarancia e lo butta nel cestino accanto. “Vogliamo parlare del tuo kendo? Un branco di uomini sudati che sventolano bastoni, profondendosi in versi che suggeriscono una molesta stitichezza.”

Kanda gli scaglia immediatamente un pugno sulla spalla. “E’ il tuo cervello ad essere stitico, deficiente!

Il rosso si massaggia il punto colpito, immusonito. “Un giorno di questi mi faccio installare addosso unAt-Field, altrimenti la nostra amicizia ne risentirà seriamente...” Contemporaneamente il suo sguardo viene richiamato dalla voce dall’infermiere della scuola.
Dall’altro lato del campo, Tyki Mikk gli sta chiaramente facendo cenno di avvicinarsi.
Cosa...? Perché è qui?!
Ed a passo tentennante, rasente all
esagitato, si dirige verso l'uomo.

 

 

 

~~~

 

 

 

Adesso siamo faccia a faccia.
Prendo un lungo respiro. “...Bookman...” Comincio a dire, decisamente a disagio.

“Se è venuto a finirmi, la invito a risparmiarmi. Ho capito.”

Mi poso una mano sul collo, nervosamente, sentendomi un cretino per quello che sto per dire... “...Mh...E’ proprio di questo di cui vorrei parlare...Cioè, non per ‘finirti’. Io...Dicendoti quelle cose, ho esagerato...Ad essere sincero, mi hai preso male...”

Alt.” Solleva la mano all'altezza del mio volto, la fronte aggrottata. “Lei aveva anche la luna storta, ma quello che è successo mi ha fatto riflettere. E’ vero, le ho reso ogni giorno in questa scuola un inferno. Solo ora me ne rammarico, e mi rendo conto di quanto sono orribile.”

Quanta inaspettata empatia...
“...No, non così orribile...”

“Non menta.” – ops, forse troppa – “Per colpa mia, troppe volte le è balenata in testa la possibilità di scappare all’estero ed assumere una nuova identità.”

Cerco di accennare ad una lieve risata, per rassicurarlo. “Comunque sia, mi dispiace davvero. L’unico consiglio che mi permetto di darti, è quello di essere meno avventato.”

“Ah, non si preoccupi.” La dentatura sfavillante di Bookman riluce. “Mi sono stancato di battere le mani o schioccare le dita in attesa di un fortuito scambio equivalente...Ho deciso di fare lIdol!”

“Buon per te...”

“La verrò presto a trovare in infermeria col pezzo che sto scrivendo! S’intitola ‘I’m here’! Vuole sapere a chi è dedicata??”

“Be’--...” Il suono della campana mi interrompe.
Ah, Allen mi aspetta in infermeria... “...Scusami, devo andare. Me lo dirai la prossima volta, ok?” Faccio un cenno di saluto frettoloso e, sollevato, cammino in direzione della scuola.

 

 

 

~~~

 

 

 

Lavi restituisce l’arrivederci con foga, ma ormai il signor Mikk si è girato.
Guarda le sue spalle allontanarsi.
Il vento spira per un attimo.
Un mormorio fievole.

“...E’ dedicata a lei.

 

 

 

Passavamo molto tempo insieme.
Parlavamo di tante cose.
Stavo bene con lui.
A scuola la nostra relazione, naturalmente, era nascosta, ma chiunque non poté far a meno di notare che il primino Allen Walker si infortunava spesso, superando persino i gloriosi annali di Bookman.

 

 

 

Apro la vetrata che dà sul giardino. Un sole piacevole ed una fragranza di rose si fanno strada fino alla camera.

“E’ bella casa tua.” Allen si siede sul bordo del letto a due piazze. “Hai una colf? E’ tutto ordinatissimo.”

“Oh, no...Sono io che mi occupo di tutto.” Annuisco, con una punta di fierezza. “Mi piace l’ordine.”

“Ho notato...” Commenta scandendo le parole, dandosi un’ultima occhiata intorno, per poi tornare a me. “C’è altro che vorresti farmi vedere?”

“Certo, la biblioteca sopra...Vieni...”

“...Tyki, ero ironico.”

“Come?”

“Non voglio vedere, ne’ la biblioteca ne’ nessun’altra parte della casa.”

Uh uh.... “Ma...Sei stato tu a chiedermi di tornare a casa insieme perché avresti voluto vederla...”

Allen mi osserva arcuando le sopracciglia fini, presumibilmente chiedendosi se io stia scherzando. E constando dalla mia espressione che non è così, inspira ed espira lentamente. Indica il letto. “Siediti.” Lo faccio e riprende. “Era un pretesto.”

“Un pretesto per cosa?”

All'istante, un colorito rossastro macchia le sue guance. Forse per l’irritazione e per l’imbarazzo? Sconcertato, sbotta. “Arrivaci, Tyki!”

Quanto sei divertente, Allen...Sei adorabile. “...Per quello?”
Come se io non l’abbia intuito fin dall’inizio. Ma va bene così, mia piace vedere quella sua espressione contrariata, minacciosa quanto quella di un micino arruffato.

Allen volta risolutamente il capo dal lato apposto.

“Chi se lo immaginava...” Continuo a recitare, trattenendo a stento il riso. “Pensavo che fosse troppo presto per te...” Tra le labbra socchiuse da un sorriso infine mi sfugge una risata melliflua. “Il mio adolescente preferito ha gli ormoni in subbuglio?” Mi stendo e con una mano, dolcemente, porto il sottile corpo di Allen – meravigliato da quell'invito – a porsi sopra il mio. Le nostre dita, i nostri occhi, i nostri respiri, fusi. “...Vediamo di rimediare un po’...”

 

 

 

Facevamo spesso l’amore.
In quei momenti raggiungevo l’apice della felicità.

 

 

 

Brutta storia, Mikk.” Cross si accomoda sull'intera metà della scrivania, fosco, l’odore della sua Davidoff Magnum spargersi all'istante.

“Potresti evitare di mettere il tuo delizioso sedere sul mio lavoro?”

“Credo che il vecchio Tiedoll sia gay.”

Io, colto di sorpresa, calco troppo con la penna e foro il foglio. Accigliato, lo guardo. Non poco disturbato. “Marian, salti le lezioni per venirmi a dire che dei nostri colleghi hanno tendenze alternative?”

“Non capisci. Prima, in sala insegnanti, ho visto Tiedoll osservare con fare lascivo il culo di Sokaro. Mi si è accapponata la pelle.”

“Ti sarai sbagliato. Sai bene che Tiedoll ha sempre quello sguardo un po’ vacuo...”

“Ho detto lascivo, non vacuo.” Espira il fumo dell’ultimo tiro. Cerca per un attimo un qualcosa in cui spegnere la sigaretta. Il suoi occhi si posano sul porta matite.

“E’ così grave?” Afferro rapido il posacenere e lo slitto seccamente verso di lui. “Saranno poi affari suoi.”

“Sono affari anche miei, Mikk.” Schiaccia il mozzicone nell’oggetto offertogli, tirando su col naso. “Come dovrei reagire se mi dedicasse simili attenzioni, se non con l’omicidio? Sarebbe legittima difesa, ma troppi cavilli legali mi farebbero sicuramente finire al fresco.”

“Nessun uomo con certe tendenze vorrebbe avere a che fare con te. Nessun uomo mentalmente sano, lo vorrebbe. Spesso mi domando come io e te possiamo essere amici...E mi rispondo, sconsolato, di essere stato incastrato.

“Che tu abbia questa consapevolezza, mi rincuora.” Si mette in piedi e va a circondarmi il collo con un braccio, un ghigno ben conosciuto far capolino. “Ormai siamo gli unici ad essere normali in questa scuola. Non mi fido neppure dell’orientamento sessuale di Komui...”

“Esageri come al solito.”

“A proposito, hai visto la sua sorellina? Non credevo che uno come lui potesse avere un bocconcino del genere come parente...Una terza abbondante, penso.”

Come un riflesso incondizionato, mi lancio brevi occhiatine intorno, forse aspettandomi scioccamente di intravedere Komui nascosto dietro uno dei lettini, ad origliare la conversazione con una mannaia spropositata tra le mani. “Non voglio perdere il posto di lavoro, grazie.”

“Ha sedici anni, sai? So che ti piacciono quelle più giovani...”

“Non m’interessa.”

“Ma come? Dov’è finito il tuo spirito da playboy? Normalmente ti saresti fiondato su questa nuova avventura...”

“Non cerco più avventure.”

“Cos’è questo cambiamento? ...Ehi, aspetta un po’, Mikk...Per caso non sarai...” Si stacca da me. Per un’istante sembra raggelarsi. “...Fidanzato?”

Sbuffo, seccato.
Certe volte mi sembra di vivere in un estenuante ed avariato film di serie C. Una raccapricciante versione di Arancia Meccanica alla Happy Days, penso.
E quella conversazione sta prendendo una piega azzardata. Riprendo la penna in mano e continuo a firmare fascicoli. “Sì.”

“Mh. Che tristezza. Be’, mi dici poi quando la lasci...”

“Non ci lasceremo, Marian. Mi sono innamorato.”

Fa un verso tra il giubilo e lo sdegnato. “E che misura?”

“E' bellissima, ti basti sapere questo.”

Resta a fissarmi per un po’, il ghigno lasciar posto all’abituale cipiglio noncurante. “Contento tu.” Si allontana. “Avvertimi quando vi lasciate...”

Non ci lasciamo, ho detto.”

“Sì, sì. Dicono tutti così.” Agita una mano, come per scacciare qualsiasi pensiero di amore idilliaco. “Niente è destinato a durare. Se non le illusioni. Ciao, eh.” Se ne va, senza chiudere la porta scorrevole.

Rimango a fissare i moduli, infastidito da quelle parole.
Stringo il pugno. Sento le unghie conficcarsi nel palmo dolorosamente.

Che rabbia...
E quel sentimento si placa al tocco delicato ed inconfondibile delle sue braccia attorno a me. Quel dolce profumo propagarsi nell’aria, dissolvendo totalmente i rimasugli di Davidoff Magnum...
“Oggi non fingi di essere morto?”

Noo, oggi no.”

Mi volgo per baciarlo. “Vai via subito?”

Allen fa segno di diniego. Accenna alla porta. “Ho chiuso e ho appeso quel cartello ‘torno subito’.”

“Allora avevi tu la chiave. Non la trovavo più...”

“Una cosa così utile nelle tue mani si tramuta nell’oggetto più sterile.”

Scoppio a ridere e spengo la luce. Lo seguo verso uno dei lettini.

“Ho visto il professor Cross uscire da qui...”

Intravedo il suo sorrisino divertito grazie ai piccoli fasci di luce che si infiltrano dalle fessure delle persiane.
“Hai origliato, vero?”

“Sì.” Si slaccia il cravattino, poi si sfila il blazer. “Raccontami dei tuoi giorni da playboy...” Calca il termine, irrisorio. “Sono curioso.”

“No, ti prego...” Mi lagno, posandogli una mano sulla natica, stringendo forte, mettendo in adesione i bacini. Mi allungo verso le sue labbra. “Devo proprio?”

Lui le evade con nonchalance. Si mette in punta di piedi per sbottonarmi con cura la camicia. “Se te l’ho sto chiedend--...!”

Lo butto sul letto e vedo i suoi occhi spalancarsi sorpresi.
Sorrido.

Sono certo che non si rende conto di quanto è bello...
“Ho avuto tante relazioni e ho fatto tante promesse di poco conto, tutto qui.”

Scocciato dal fatto che abbia interrotto il suo meticoloso lavoro, borbotta qualcosa di incomprensibile. Ma non cede come avrei sperato.
“La prima persona con cui sei stato te la ricordi?”

Il cuore pare volermi sfondare la cassa toracica in quei pochi istanti.
Poi si calma, tornando ad assopirsi.

 

[ ...se me la...ricordo...? ]

 

“...La prima...Era una ragazza che amavo molto. Pensavo che fosse così anche per lei...Ma mi tradì.” Salgo sul letto, la mia mano che va a stimolare la sua erezione recinta da crudele stoffa.

“E...Poi...?”
La sua bocca sericea recrimina altri baci, ansante.

Lo accontento.
Ma mi stacco quasi subito da lui con un suono umido. “...Poi ho iniziato a passare da una relazione all’altra, senza dar peso a nulla. Pensandoci ora, mi sento ridicolo...Avrei voluto dimenticarla, ma inconsciamente...Ho sempre cercato lei in altre donne...Però, adesso...”

“Adesso ci sono io.” Dice, con un sogghigno appena accennato.

Lo massaggio con più forza, mentre lui mi slaccia la cintura. “Sì, adesso ci sei tu.”

Ansima, geme piano.
“S-ai...” Diminuisco il vigore della mia mano per lasciarlo parlare. “...A-anch’io ho amato una ragazza. La conobbi...Nel periodo in cui studiavo ore ed ore al giorno per trovarti...Mi stavo quasi arrendendo, avevo iniziato a pensare che quello sforzo fosse del tutto inutile...
Comparve lei, come una luce, una nuova speranza. Più tardi persi di vista il mio obiettivo originale...Mi ero...Innamorato di lei.
Era davvero bella...Aveva proprio i capelli neri come i tuoi...” Aggiunge pensieroso, attorcigliando le dita nei miei capelli.
“...Ed era una bugiarda.” Sfila la mano. “Io la feci finita.
Il suo tradimento incrementò il mio desiderio di trovarti.”

Gli carezzo il viso contratto, debolmente. Taccio, scegliendo bene le parole da usare, avendo, però, solo voglia di stringerlo a me.“...Abbiamo perso due persone a noi care...Ma in compenso, ci siamo...”

“...Rincontrati, sì.” Conclude lui sospirando forte, forse iniziando a sentire il peso di quella conversazione quanto me. “...Vorrei ringraziarla, per questo...Peccato che mi sia impossibile.
Lei non c’è più.” Sorride, quasi beffardo. “Non fare quella faccia dispiaciuta. E’ meglio così...” Sposta le mie mani, immobili da un pezzo, e mi costringe a mettermi seduto. Gesti dettati dal desiderio e dall'urgenza. Si posiziona a carponi sul lettino e piega il capo. Lappa il mio membro che adesso tiene tra le dita. Sfiora poco delicatamente un punto oltremodo piacevole con la punta della lingua. Faccio un lungo sospiro, che prende il posto di quel gemito ghiacciatomi in gola.

“...Persone come lei devono solo morire.”

 

 

 

Io non mi riconoscevo più.
Dov’era finito il vecchio Tyki Mikk?
Il Tyki Mikk che arricciava il naso a simili storie, il Tyki Mikk che aveva costantemente vissuto come gran amatore del gentil sesso, il Tyki Mikk che avrebbe preferito morire piuttosto che essere dipendente [ossessionato] da un quindicenne immaturo...
Già. Quel Tyki Mikk non esisteva più.

 

 

 

Come non puoi!?” Prorompe Allen, stizzito. “Mi vuoi mandare a spasso da solo per Shibuya??”

“Sai che mi piacerebbe venire...Purtroppo per quel giorno ho un impegno...Scusa...” Ripiego della garza inutilizzata e la ficco nel cassetto dell’armadietto.
Sono molto dispiaciuto. Spero che dalla mia espressione contrita si potesse capire almeno un po’...E’ l’ultima delle mie prerogative ferirlo.

Seccato, gonfia le guance. “E che impegno improrogabile sarebbe?”

M'immobilizzo col disinfettante in mano. Rispondo dopo qualche istante, guardandolo con la coda dell’occhio. Sento che la mia voce si incrina leggermente. “...E’ l’anniversario della morte di mia sorella.”

Spalanca le palpebre, preso alla sprovvista. “Oh...” Sussurra. Fissa il pavimento di mattonelle bianche. “Mi spiace...Non immaginavo che...”

“Tranquillo, te l’avrei detto comunque.” Cerco di apparire sereno, e richiudo il cassetto.
Forse qualcosa nel mio volto o nel mio modo di muovermi lo induce a portare avanti il discorso.

“Com’è....Successo...?”

Compunto e lapidario, rispondo. “E’ stata assassinata.”

Lo vedo turbato, sbigottito, alle mie parole. Le sue iridi sussultano un poco.
Distolgo lo sguardo dalla sua reazione, volendo chiudere il discorso.
Sto in silenzio, finché non sento Allen chiedermi di nuovo, forse sentendosi in obbligo. “Come...Come si chiamava...?”

Alzo piano gli occhi al cielo.
Li riabbasso.
Road.”

Ed ancora silenzio.

 

 

 

...Ma tutto questo non era destinato a durare...

 

 

 

Mpf...Dai, mi fai male...!” Allen mi dà un piccolo pugno sulla testa.

Siamo stesi sull’erba. Sono gli alti cespugli e gli alberi in un angolo del parco pubblico a nasconderci da occhi indiscreti.
Non smetto di mordicchiargli il lembo di pelle del fianco. “E’ quello che meriti dopo avermi fatto pranzare da solo...”

“Te l’ho spiegato! Il professor Lïnk mi ha tenuto per la pausa pranzo in punizione, perché ho dimenticato il libro!”

“Se sai che ti mette in punizione, portalo, no? Altrimenti non morderò solo la pelle del tuo fianco...”

Pervertito...” Ride piano lui.

Abbandono la carne del fianco e salgo. Ci baciamo.
Imprigiono il suo labbro inferiore, voglio assaporarlo, sentirne la morbidezza.
La sua bocca mi cerca più vorace, vuole essere anelata, amata da quei languidi e passionali contatti.
E il respiro si fa scosso, manca per l’ossigeno.
Sento le nostre carni bruciare, già scalpitare, chiedono di più, implorano di andare oltre.
Sconsiderati, sprofondiamo in quella dolce tentazione...

 

 

 

>>> 

 

 

 

“Sedetevi.”

Obbediamo, composti.
Nulla tradisce le nostre reali emozioni.

“Vi ascolto.” Komui ha il busto eretto, gli occhi fermi, l’apparenza fin troppo seria. E’ preoccupato, ma non trapela nulla di ciò nemmeno da lui.

Prendo voce. “Niente che ha sentito è vero, signor preside. Io non intrattengo nessuna relazione con Allen Walker.”

Allen annuisce. “Ho avuto contatti con il signor Mikk solo per questioni di salute, non altro. Tutto il resto è menzogna.”

Komui abbassa lo sguardo, greve. Unisce le punta delle dita, sembra ammutolire.
Parla piano. “...Il professor Cross ha detto di avervi visto in...In comportamenti extra curricolari...Impropri.” Fa un’altra lunga pausa. “...Io non credo avesse motivo di mentire, o screzi nei vostri confronti, per cui ho immediatamente creduto all’accaduto. Eppure, voi mi testimoniate il contrario. Quindi...Penso che il professor Cross abbia potuto avere un abbaglio e aver scambiato altri per voi. Io...La penso così.” Si toglie gli occhiali, posandosi l'indice e il pollice della mano libera sulle tempie. Ci guarda, ci vuole dire cose che la sua posizione non gli permette.
Capiamo.
“Potete andare.”

Ci alziamo. Silenziosi, avendo paura di frantumare quella tacita connivenza.

 

 

 

Ci avevano visti.
Disposizioni disciplinari attendevano le relazioni tra insegnate ed alunno...Come pure – ancora più gravi – tra adulto e minore.
Mentimmo.

 I voti di Allen erano in bilico e, congiuntamente, prendemmo accordo di impegnarci maggiormente ciascuno sui propri compiti.

 

 

 

Fino a quel momento è stato ad occhi spalancati ad ascoltarmi, proibendo a quei bagliori di tramutarsi in lacrime.
No, NO! Non voglio!” Si solleva dal divano di scatto, rabbiosamente, con l’intenzione di raggiungere l’uscio di casa.

Mi alzo anch'io e lo afferro per le spalle, cerco di dissuaderlo. “Non lo voglio nemmeno io, tuttavia non possiamo affrontare altri rischi...! Non stiamo parlando di una semplice sospensione...Qui parliamo di galera! La gente ha iniziato a parlare...Io non voglio che la tua vita venga rovinata dalla nostra incoscienza...”

“Per me...” Sussurra Allen, scuotendo piano la testa. “...Per me non è incoscienza...Per me è tutto! Non m’importa degli altri! A me importa solo di te!

Socchiudo gli occhi, sussulto appena, commosso... “...Allora...Se davvero ti importa...Non vorrai che mi querelino, vero? Non vuoi che ci dividano, giusto...? Fai come ti dico per favore...Per favore, Allen...”
Si lascia abbracciare tremante. Lo stringo con forza. Ma allento subito la stretta, avendo paura di fargli male.
“...Per favore...” E' la mia ultima preghiera.

Il suo corpo è scosso da piccoli singulti, piange silenziosamente. Facendo tremare anche me dal dolore, riprendo a stringerlo con vigore, volendo evitare, per un timore incoerente, che possa frantumarsi in quell'istante, che possa scomparire da un momento all'altro.
Inevitabilmente.

A lungo restiamo così.
Io gli carezzo la testa, fino a quando le sue piccole spalle non smettono di scuotersi.
Sforzandosi, arpionando la mia camicia con quel velo di disperazione, lo sguardo umido colmo di muta implorazione, pronuncia col fiato spezzato “......”

 

 

 

Qualche settimana trascorse in questo modo.
Ci sentivamo per telefono.

 

 

 

« ...tuu...tuu...tuu
...Pronto? »

« Hai fatto i compiti? »

« E tu stai toccando le cosce a qualche studentessa? »

« Uff, lo sai che non faccio più queste cose...Faccio di peggio su di te. »

« Allora devi essere sessualmente abbastanza frustrato. Non ci vediamo da più di una settimana. »

« Komui mi ha dato il triplo di documenti da compilare...Anche cose che non mi competono. Per di più, ha assodato dei professori a tenermi d’occhio. »

« Idem. Cross mi sta torturando...Ormai vivo nella sua aula. »

« Mi dispiace...Avrei voluto evitare tutto questo... »

« Non dirlo neanche per scherzo. Ci siamo dentro entrambi. Però mi chiedo per quanto questo debba durare... »

« Non lo so...Penso finché le acque non si siano calmate. »

« Ci vorrà tanto... »

« Sì, ci vorrà tanto... »

« ... »

« Di che vogliamo parlare? »

« Mh... »

« Hai qualche aneddoto divertente sulla tua classe da raccontarmi? »

« Oh...Sì...Un mio compagno di classe ha portato a scuola un...H-mm...Un... »

« Un? »

« ...Ha...Portato un...un... »

« ...Allen? »

« ...Ha portat--...
...Sigh... »

« Allen...? »

« ...Sniff...Sigh sigh... »

« Allen...!? Che succede...!? »

« ...Sigh...Sigh...
...Mi manchi... »

 

 

 

...La disfatta attendeva dietro l’angolo...

 

 

 

“...Soia...Presa.
Bambù...Preso.
Gamberetti già puliti...Presi.
Soba...Soba, soba...” Spinge il suo carrellino in direzione della sezione farina.
“La preferita di Tyki è la Sarashina...” Dice tra se’ e se’, esaminando la lista della spesa e tornando a guardare sugli scaffali.

Ah, eccola.
Allunga la mano per prenderli. Peccato che c’è qualcuno che ha la medesima idea.
Viene battuto sul tempo. “Ehi!” Fa, oltraggiato. “Li ho visti prima io!”

L’altra persona, un ragazzo dalla lunga chioma corvina trattenuta da una coda alta, schiocca le labbra. “Tsk!” E mette il pacchetto di tagliolini nel proprio cesto con sguardo di sfida.

Sdegnato, Allen li coglie sollecitamente dal cesto e li sistema nel carrellino. “E’ mio!”

Subito, un’aura ostile divampa impercettibilmente dal tizio.

L’albino aggrotta la fronte, allarmato. Indietreggia, proteggendo la soba come se da quello dipendesse la sua stessa sopravvivenza.
“Sappi che sono minorenne...E che di solito porto gli occhiali!”

Però quello non pare udirlo. Ha già brandito un porro e minaccioso glielo sta puntando contro. “Quella. Soba. E’. MIA.”
Fortunatamente, qualcuno gli ruba dalla mano quell'arma improbabile. “Yu, ti metti addirittura a litigare per della soba?” Il nuovo arrivato si stupisce di constatare chi è l’altro litigante. “Oh, guarda chi c’è! Germoglio Di Soia!

Allen lo riconosce. E’ l'otaku-stuntman, Lavi Bookman.

“Scusalo.” Il rosso abbraccia il ragazzo-porro per il collo, l’aria ad oltranza divertita. “Se gli tocchi la soba diventa irascibile quanto quel tizio, il samurai folle di D.Gray-Man. Se ciò gli capitasse davvero nel manga, neanche Ulquiorra, Szayel e Grimmjow messi insieme ne uscirebbero vivi.” Spiega gioviale, annuendo concitatamente, con l’aria di aver illustrato un concetto fondamentale agli astanti.
Pare non turbarlo avere addosso lo sguardo assassino del ragazzo in questione. “Vero, Yu chan?” Gli chiede conferma, con tutta l'innocenza fattibile e sfacciata di questo mondo.

Yu lo allontana bruscamente ed imprecando raggiunge a gran passi la cassa.

Il più piccolo tira un sospiro di sollievo e cerca di scherzare. “E’ la prima volta che tenta di tramortire qualcuno a colpi di porrate?”

Lavi ride. “Pensa che quando ci siamo conosciuti mi ha sferrato una lattuga sul naso!”

Allen non sa come prenderla – con sgomento estremo, forse? –, quindi svicola con un sorriso insicuro. “...Comunque...Mi presento: Walker Allen. Piacere.”

“Il piacere è tutto mio! Io sono Lavi Bookman e quell'uomo senza paura e macchia alcuna è Yu Kanda.
Nelle occasioni in cui abbiamo avuto a che fare purtroppo non eri cosciente...”

“Sì...Il signor Mikk mi ha detto che sei sempre stato tu a portarmi in braccio in infermeria. Ti ringrazio.” S'inchina un poco.

“Ma va, figurati. Piuttosto...Dopo essere uscito dal convenience store hai da fare?”

“Be’...Torno a casa e mi preparo la cena.”

“Abiti da solo?”

“In teoria con i miei genitori, ma è già tanto che li vedo i giorni festivi...”

Mmm...” Quel suo sorriso genuino si amplia. “Vieni.” Gli appoggia un braccio sulle spalle e lo guida verso l’amico.
“Yu! Che ne dici di andare a casa di Allen?”

Allen gli propina un’occhiataccia stralunata, stupito dalla sua rinnovata faccia tosta. “E quando avresti chiesto il mio consenso!?”

“Allen chan, abbattiamo qualsiasi barriera di misantropia e godiamoci la vita!
Allora, Yuuu? Che ne dici?”

Kanda, che ha ancora qualche rimasuglio di aura omicida attorno, sibila bieco. “Immagino ti sia andata a fuoco la casa per farmi una proposta così fuori luogo, Coniglio.
Rifiuto.”

Eddaiii...! Hai visto anche tu che germoglio di soia è! Gli cucini la tua soba speciale, così diventa grande e forte! E quella che vi stavate litigando prima possiamo mangiarla assieme!”

Il ragazzo prende in mano la busta della spesa e riceve il resto. Scaglia uno sbirciatina saccente ad Allen. “...D’accordo. Dopotutto quella soba è mia.”

“Continui!?” Inveisce il ragazzino.
Quella soba sarebbe per Tyki...Vabbè...

 

 

 

Scorreva il tempo...

 

 

 

“...Signor Mikk! Quanto tempo...” Sorpreso, mi viene incontro. China il capo educatamente. “E’ da tempo che non vengo più a disturbarla in infermeria!” Fa una breve risata di circostanza.

Sta recitando.

L’abbiamo deciso il giorno prima al telefono.
Quella sera si svolge la tipica festa di mezza estate del quartiere. Fra tanta gente e divertimento, sarebbe stato più che normale che uno spensierato Allen Walker s'imbattesse in un incurante Tyki Mikk, no? E tutto ciò fatto alla luce del sole, per cui non si sarebbe potuto sospettare nulla.
O almeno, lo speriamo.

Sorrido formale, abbassando il capo a mia volta. “Buonasera, Walker.”

“Accidenti, non si è messo nemmeno lo yukata...O i geta! Non trasmette festività con la sua semplice camicia bianca, sa?”

“Ti assicuro che la cosa non mi tange.” Rido. “Sei venuto a gustare dolci tipici o per il kingyo sukui?”

“Entrambi. Ma a dir la verità, vorrei iniziare da quest'ultimo. Vuole unirsi a me, signor Mikk?”

“Mm...Perché no? Fammi strada.”
Procediamo tra la calca di gente, Allen che mi guida.
Lo osservo attentamente, standogli dietro. Indossa uno yukata di una delicata tonalità cerulea, ammorbidita ulteriormente dagli smorzati bagliori delle lanterne di carta rossa appese ai chioschi. La cintura e gli estremi della veste fanno sfoggio di una fantasia impalpabile che fa chiaramente richiamo all’infrangersi delle onde scosse dalla brezza marina.
L’abito non lascia scoperto che il collo d’avorio e uno spicchio di petto glabro, ma l’aderenza su quelle forme sinuose mi inducono a desiderare di affogare in quelle pieghe di dolce tormenta...

Il mio senso di autocontrollo ne sta veramente risentendo.

“Eccoci, è...” Inizia lui, additando.

...Già, sono stato disattento.
Nelle mie più rosee aspettative, non ho previsto lui.

...“ALLEN CHAN~! SIGNOR MIKK~!” Bookman agita le braccia nella nostra direzione. Alle spalle il ragazzo con i capelli neri, Yu Kanda, penso.
Di corsa – sorprendentemente agile seppur vestendo quello yukata verde dai vivaci ghirigori –  salta addosso ad Allen, cosa che mi lascia basito. Quando si sono conosciuti quei due? Riflettendo in fretta, concludo che sia accaduto nei giorni in cui è stato prestabilito il nostro ‘sorvegliamento’...

“Che coincidenza! Signor Mikk, è da un secolo che non la vedo! Invece, Allen chan, è dalla serata soba, eh?”

Allen si scosta da lui e mi lancia un’inavvertibile occhiata ansiosa. “Ciao...Ehm, noi...”

“Possiamo unirci a voi? Io e Yu ci stavamo dirigendo al bancone di takoyaki!”

“Noi al kingyo sukui...” 

“Be’, andiamo prima a prendere da mangiare, no?”

“No, noi andiamo direttamente lì. Io non ho fame.”
A rinvigorire la falsità della sua affermazione è un cupo « gurgleee » che pare sorprendere nessuno. Si stringe lo stomaco, interdetto.

Tutti lo guardiamo e cala un breve silenzio.
Bookman ride. “Okeeey...Visto che mi pare tu voglia andare a tutti i costi al kingyo sukui, ci divideremo. Due di noi andranno a prendere i takoyaki e ci incontriamo qui.”

Decido di prendere voce in capitolo, cauto. “Ormai siamo qui, non ho voglia di fare della strada in più.”

“Pure io.” Conviene il ragazzo moro, arricciando un poco il naso. “E’ da prima che mi trascini avanti ed indietro.”

Bookman pare rattristato che la sua idea sia stata immediatamente bocciata. “Uffa! Ma non sarebbe neanche giusto che io chi vada da solo!” – sì, che lo è! – “Perciò, niente scuse, il signor Mikk viene con me!”

Avrei voluto strozzarlo. “Perché io?” Rimbecco, io vittima di quel sopruso.
E quanto trovo inviso il fatto che abbia sempre la risposta pronta...

“Ovvio, perché lei è l’adulto! E’ suo dovere offrirci da mangiare!”

Sono sdegnato non poco. Ma che fare? Non è mia intenzione nutrire sospetti...E dallo sguardo di Allen leggo la medesima preoccupazione. “D’accordo.” Cedo, sconfitto su tutta la linea.

Bookman ostenta un ghigno soddisfatto.
E maligno, aggiungo.
“Perfetto! Su, andiamo signor Mikk!”

 

 

 

~~~

 

 

 

Rimangono soli.
A disagio, Allen lo guarda, incontrando i suoi occhi affilati. “Ehm...Allora...Andiamo...?”

Kanda non risponde, si limita a portarsi sotto il telone che ricopre le basse vasche piene d’acqua e di pesciolini guizzanti.

Il ragazzo lo segue sollecitamente. Va direttamente dall’uomo del kingyo sukui e paga una partita. “Uhm, tu non giochi, Kanda...?” Domanda stupida, viene fulminato seduta stante.
Allen si accovaccia, tirandosi ai gomiti le maniche dello yukata. Infila lentamente l’astina con all’estremità il piccolo cerchio di carta, la fronte aggrottata dalla concentrazione. E che dire, consegue a tre fallimenti. Mugugna al cielo, inviperito. “NOO...! ...Signore, un’altra per favore!!”

Altra disperazione.

Allen gioca fino a spendere tutti gli spiccioli che ha in tasca. Nasconde la testa fra le ginocchia, depresso. “Non ci riuscirò mai...”
Un fruscio alle sue spalle gli ricorda la presenza di Kanda, totalmente rimossa. “Una partita.” Lo sente dire al signore al bancone.
E questo gli fa alzare la testa. Ma non ha ‘detto’ di non voler giocare?

“Germoglio di Soia, fatti da parte.”
Allen borbotta, ma ubbidisce.
Si rannicchia anche Kanda, e prima che l’altro possa capacitarsene, pesca un pesciolino che fa scivolare nel proprio secchiello.

Wow...” Sussurra l’albino, sinceramente ammirato.

Kanda non accenna alcun segno di compiacimento, come l'altro si sarebbe aspettato. “Hai visto come ho fatto?”

“No, sei stato troppo veloce...”

“Tsk.” Ribatte lui.

Allen gonfia le guance, ma tace prontamente il suo dissenso quando l’altro gli circonda le spalle, andando a prendere la sua mano destra con la propria. Una ciocca della frangia di Kanda gli solletica la gota, le labbra troppo vicine al suo orecchio. L’aria tiepida di quel respiro lo fa rabbrividire. Non gli piace, gli dà fastidio. Ma non lo allontana.
“Presta molta attenzione, non te lo ripeterò una seconda volta.” La voce bassa, per non assordarlo, incrementa quella sensazione di imbarazzo... “E’ una questione di velocità. Non puoi infilare così lentamente l’astina nell’acqua, la carta si scioglie prima. E non usare così tanta forza, spaventi maggiormente i pesci. Bisogna far piano. Guarda...” La sua mano guida quella di Allen a raccogliere un pesciolino. Con tale scioltezza da farlo sembrare semplice.
“Prova.” Si discosta da lui.

Allen deglutisce e annuisce. Prende un lungo respiro. Ci prova.
E ce la fa. “...Oddio...” E guarda sbigottito il pesciolino appena pescato nuotare nel secchio. Si gira verso Kanda, ancora incredulo. “Ce l’ho fatta...” Poi la gioia. “CE L’HO FATTA...!” Incomincia a saltellare, noncurante della sua ridicolaggine, tra le risate degli astanti.

Il moro non mostra alcuna espressione scocciata per quel chiasso. Tranquillo, sta per alzarsi, per dispiegare le pieghe che sicuramente si sono create sul suo yukata plumbeo. Finché Allen, felice ma disattento, va a finire contro una vasca...Irrorando Kanda dal suo contenuto, inclusi allegri pesciolini.

...Game over, Allen.

 

 

 

***

 

 

 

La cosa si è risolta – più o meno – nel modo più pacifico possibile.
Fradicio, Kanda ripone il borsellino smagrito dopo aver rimborsato l’uomo del kingyo sukui, alternando i propri passi ad un “Tsk!” inasprito.

Per la millesima volta Allen si scusa, le mani congiunte in sincero accoramento. “SCUSA...! Davvero, Kanda, MI DISPIACE! Ti offrirò il pranzo per un periodo indefinito!”

“Se mi chiedi ancora scusa, ti infilo quel sacchetto in gola.” Sibila lui, le braccia incrociate.

Allen guarda il sacchetto d’acqua che ha tra le mani, in cui due pesciolini rossi nuotano rapidi. Si sente ancora più mortificato... “Kanda...Prendi te questi pesci, non li merito...”

“No. Non voglio più vedere pesciolini rossi per il resto della mia vita.”

L’albino abbassa lo sguardo. “...Il tuo yukata si è rovinato...Per colpa mia...”

Il giapponese tace. Sembra aspettare apposta prima di rispondere. “Si lava. E mio nonno fa il sarto, posso averne quanti voglio.” Lo dice con sprezzo, ma non sapendo perché, l’altro si sente un po’ meglio.

“Ah...Infatti è proprio bello. Doveva rovinarsi il mio, che non è assolutamente paragonabile...”

Kanda lo scruta, ancora accigliato. “Eppure...” Calibra le parole, attento. “...Ti dona.”

Di sasso, Allen non sa che rispondere. Si sarebbe aspettato uno ‘tsk!’, o un ‘uno vale l’altro, sempre una mammoletta rimani.’...

“...Risalta il candore.”

Eh? “In che sens...--?”

 

 

 

~~~

 

 

 

Eccociii~! Scusate il ritardo!” Schiamazza Bookman.

...Ho già detto di volerlo strozzare?
Si è fermato praticamente ad ogni bancarella, declamando il capriccio del momento.
Non ho potuto protestare...Avrebbe continuato ad assillarmi tutta la serata...E non ci tenevo.
Le braccia di Bookman e le mie sono colme di cibo ed articoli inutili.
I miei soldi? Volatilizzati.

Lo ripeto: voglio strozzarlo.

Con il desiderio di accantonare presto questa esperienza nei meandri del mio subconscio, cerco con lo sguardo Allen. “Walker...” Mi avvicino e gli porgo una confezione di takoyaki ancora caldi, mentre Bookman si avventa brioso sul suo amico donandogli i nuovi regalini comperati a mio discapito.

Ma Allen non guarda me.
Chi guarda? Seguo i suoi occhi.
...L’amico di Bookman?
“Walker...Tieni...”

Lui pare rianimarsi. “Oh, sì...La ringrazio.” Apre la scatola ed infilza una polpetta. Mastica lentamente, ancora con quella strana espressione.

“Hai caldo? Hai il volto un po’ arrossato...”

La sua reazione successiva mi lascia perplesso. E’ esagerata, impacciata. Perché sembra così a disagio?
Non capisco...

 

 

 

...A scuola scorgerlo era ormai impossibile.
Era come se si nascondesse, come se non volesse vedermi...

 

 

 

“Ma non ti piace la tua classe? Non ti ho mai visto parlare con nessun altro a parte me e Yu...” Lavi ruba un gamberetto soffritto dall’obento-container dell’albino.

“Mh...Non ho avuto occasione di fare amicizia con nessuno...”

“E’ per le lezioni? Sono impegnative ed occupano molto tempo...”

“Sì...” Allen stiracchia un sorriso. “...Diciamo che è a causa dello studio.”

“E allora per l’ora di pranzo dove ti andavi a rintanare?”

“Stavo in infermeria a riposare...”

“Ah...” Non medita sul perché dell’espressione assorta del ragazzo, ma dice “Una cosa che mi viene completamente bene è lo studio, sono bravo quanto Light! Se vuoi posso aiutarti. Dò una mano anche a Yu che altrimenti non si troverebbe in terza...”
Kanda gli scaglia un pezzo di ravanello al vapore. Va a colpire la recinzione metallica che circonda il terrazzo, dopo che Lavi l’ha schivato.
“YU! Devi piantarla con la tua mania di lanciare ortaggi alla gente! Non sta bene!

“Lavi, ti va di aiutarmi adesso con giapponese antico? Queste frasi sono mi sono indecifrabili...”

Il rosso borbotta ancora un po', ed acconsente.

Allen gli passa sulle ginocchia il quaderno che si è portato dietro, nel tentativo di tradurre gli esercizi dell’ora dopo...Altrimenti gli sarebbe toccata un’altra punizione. “Un attimo...” Pesca dal taschino della giacca dell’uniforme gli occhiali da vista e li inforca. “Dunque...Queste qui...”

“Allen chan! Da quando porti gli occhiali?”

“Li porto quando leggo e scrivo.”

“Sembri proprio un vecchio! Con quei capelli bianchi, poi...Vero, Yu, che sta male?”

Kanda gli lancia una breve scorsa, torvo.
“Meglio senza.”

Il ragazzino si sconcerta che abbia risposto, senza ringhiare poi...Anche se avrebbe già dovuto abituarsi alle stranezze di Kanda...

“Sì, eh? Pare un vecchietto!”

“No. Gli occhiali distolgono l’attenzione dai suoi occhi.” Il moro persiste nel piluccare nell’obento, chiudendo lì il discorso.

Che?? Che vorrebbe dir--...!” Il rosso non finisce la frase. Spaventato da una fulminea mossa dell’amico, indietreggia la testa rapido, evitando così la bottiglietta d’acqua che gli sfiora il naso e sbatte violentemente sull’entrata semichiusa della terrazza, aprendola un po’ di più.

“...VUOI UCCIDERMI!? Te lo giuro, non avrò riguardi nel contattare Yoite e farti friggere dal suo Kira!!” Strilla Lavi scandalizzato, agitandogli freneticamente il libro contro.

Kanda scruta lo spicchio di gradinate deserte. “C’era qualcuno che ci spiava...”

 

 

 

...La sua voce per telefono diventava sempre più scostante.
Le cose da dirci si erano ridotte a lunghi silenzi imbarazzati...

 

 

 

« ...tuu...tuu...tuu...
...Pronto? »

« Ciao, piccolo. »

« Ciao...Tyki. »

« Cosa sarebbe questo tono tetro? »

« No, è che aspettavo un’altra chiamata. »

« E non sei contento di sentirmi? »

« Sì, lo sono. »

« ...Be’...Domani a che ora ci incontriamo in stazione? »

« Tyki...Domani non posso venire. Parto con i miei per le terme a Yokohama. »

« Ah... »

« Scusa per il poco preavviso...Avrei voluto passare il weekend con te... »

« Non c’è problema. Sarà per la prossima volta...So quanto poco vedi i tuoi genitori... »

« Allora per la prossima volta... »

« Quindi... »

« ... »

« ... »

« Tyki...? »

« ...Sì? »

« ...Potresti riattaccare? Ho una chiamata in attesa...Forse quella di mia madre... »

« Sì, certo...Ciao, Allen... »

« Ciao... – tip –  ...Ohi! Lavi, ci sono. »

« Ciao, Allen chan! Domani sei dei nostri? »

« Sì, ho già preparato la borsa. »

 

 

 

>>> 

 

 

 

Deambulo in strada, guardo una vetrina di tanto in tanto. Cerco ispirazione, pondero espedienti, adocchio regali fattibili. Solo perché voglio supplire all’annullamento del mio appuntamento con Allen. Mi è dispiaciuto infinitamente, e voglio rimediare, certamente anche lui sarà triste...

Un’illuminazione.
Mi indirizzo, rinfrancato, in direzione del negozio di alimentari.

Una cena. Una cena romantica, io e lui...Gli occhi negli occhi...Ad imboccarci, a sorriderci...E il dopo cena a rimirare le stelle, stretti l’un...L’un...
...

...Cazzo.

Spero con tutto me stesso di sbagliarmi nel credere di essermi tramutato in una dodicenne alla prima cotta. Sul serio.

Entro nel negozio ed afferro uno dei cestini blu impilati. Mi osservo un po’ intorno.
Che cosa avrei cucinato? Mm...Mitarashi dango sicuro. Per primo, invece...

“...Ci farai perdere il treno!

Oh.
E’ la voce di Bookman. Il mio istinto di sopravvivenza mi porta a nascondermi dietro lo scaffale. Però, oltre alla sua, sento la voce di...

“Sì, sì. Prendo ancora questo...E questo...”

...Allen?

“Mi chiedevo perché ti fossi portato uno zaino in più vuoto...Guarda che lì dal ryokan ci saranno i mini market.”

“Non si sa mai, faccio rifornimento. Ok, andiamo alla cassa.”

Spicciatiii! Uffi, Yu, digli qualcosa!”

“Tsk.”

“...Già, sapevo che lo avresti detto.”

Resto nascosto.
Stringo il manico del cestello, convulsamente.
Allen...Perché mi ha mentito?

Allen...?

 

 

 

>>> 

 

 

 

« ...tuu...tuu...tuu
...Pronto? »

« Allen, sono io. »

« Ciao, Tyki. Avevi bisogno? »

« No...Volevo solo chiederti come è andato il weekend con i tuoi genitori. »

« E’ stato tutto molto tranquillo. E’ stato bello stare con i miei genitori, non capita spesso... »

« Ne sono felice. E...Eravate solo voi tre? »

« Sì. Perché? »

« ... »

« Perché me lo chiedi, Tyki? »

« ...No...Nulla. »

 

 

 

...Le miei paure si avveravano una ad una...

 

 

 

E’ suonata la campana del termine delle lezioni.
Corro attraverso il cortile, faccio in tempo a fermarlo prima che varchi i cancelli. “Walker!

Lui si volta, in compagnia di Bookman e l'altro ragazzo.
Probabilmente avrebbero fatto la strada di casa insieme...

“Walker, sei stato convocato in presidenza. Komui deve parlarti.”

Woh! Allen, che marachella hai combinato?” Si esalta Bookman stupefatto, abbassando di colpo le braccia che aveva incrociate dietro la nuca. “Persino io non sono mai stato chiamato in presidenza!”

La preoccupazione negl’occhi di Allen s'incrementa di un poco, e china il capo. Non sembra intenzionato a muoversi.

Bookman aggrotta la fronte, dubbioso. Sbircia brevemente l’altro amico. “...Dai, Allen chan. Vai subito. Noi ti aspettiamo qui fuori! Vero, Yu?”

Allen solleva la testa, guarda quest’ultimo, quasi...Languidamente.
Per un secondo ho l'impressione che quel ragazzo mi stia osservando insistentemente. Ma a guardarlo, annuisce, gli occhi scuri fissi su Allen che, timidamente, sorride.
“...Va bene...Ci vediamo tra un po’, allora...”
Silenziosamente, mi supera. Io lo seguo.

“Arrivederci, signor Mikk!” Saluta a gran voce Bookman, ridendo come d’abitudine. “Domani le verrò a cantare la mia canzone in infermeria!”

Forse annuisco, non saprei.
Ho in mente solo lui, adesso.

Appena dentro l’edificio lo prendo per mano e lo forzo a seguirmi.
Lui non oppone resistenza. Ha già intuito dove voglio portarlo.
Siamo di fronte alla porta dell'infermeria. Apro, lui entra prima di me. Chiudo a chiave. Cerco il suo sguardo.
“Allen...Cosa ti sta succedendo?”

Lui lo evita.
E’... Lontano.
Con uno strattone si scioglie dalla mia presa.
“Mi hai stufato.
Non voglio più vederti.”

...Cosa...?
Prima che possa elaborare la gravità delle sue parole, seguita. “Sei pesante. Dici e fai le stesse cose. Non hai iniziativa, sono sempre io a chiederti di uscire...O a chiederti di fare l’amore. E’ assurdo che io debba nascondermi per stare assieme a qualcuno...Ed io non voglio stare con una persona priva di personalità come te. Mi sono sbagliato sul tuo conto, ho sbagliato tutto. Tu...Non sei la persona giusta.
Tyki...

...Io non ti amo più.”

 

 

 

Il mondo mi precipitò addosso.
L’unica certezza che credevo di avere si dissolse.

 Io non ti amo più

 Era una eco infinita nella mia testa...

 Io non ti amo più
Io non ti amo più
Io non ti amo più

 ...Volevo morire.

 

 

 

Mi sento cedere le gambe.
Sono stordito.

Perdo il controllo.
Lo abbranco per le spalle, lo scaravento su un lettino.
Urlo. Non sento la mia voce. Solo frastuono interminabile.
...Tu...Tu d-devi amarmi...! Tu mi ami...! ...Dillo...!
Percepisco la consistenza delle sue gracili ossa sotto i polpastrelli.

“L-lasciami, mi fai male...!”

“...Dillo...! DILLO...!”

No...!” Si divincola, mi spinge via.

Cado a terra.

Allen prova a scappare, ma faccio in tempo a ghermirlo per una caviglia. E' a terra anche lui. Gli striscio sopra. Lo tengo fermo. “...ERA UNA BUGIA, VERO...!? DILLO CHE ERA UNA BUGIA...!”
Lui piange. Ha paura?

Perché ha paura...?
Cerca di sottrarsi disperatamente alla mia presa.
Perché si comporta così...?
Non puoi lasciarmi, Allen...Stammi vicino...
    Io ti amo...
“DILLO!”

...P-pazzo...! Sei pazzo...!

I...Io...Pazzo...? Io...Io ti amo...Io ti amo...IO TI AMO!

Uno scatto brusco, istintivo.
Brandisco il posacenere appoggiato lì a fianco.
Lo colpisco. Ripetutamente.

 

« Whack »
Tonfi duri che assordano
    [come spari nell’anima]
     « Whack »
dischiudono sempre più la vecchia ferita
          [di chi?]
          « Whack »
quello squarcio che ancora pulsa
                [la mia ferita]
                 « Whack »
                     e fa male
                      « Whack »
                             fa male
                          « Whack »
                                  fa male
                                « Whack »
                                         fa male
                                    « Whack »
                                               fa male
 

 

 

 

                                               ...Se...  m...  pre...

 

 

 

 

« ...P-pant...Pant...Pant... »

Il posacenere scivola dalle mie mani.
« Tunk »

Ho freddo.
Il mio corpo è in preda a furiosi scossoni.
Sento il sangue martellare violentemente nelle vene.
Il cuore sta per scoppiarmi, mi rimbomba nelle orecchie.

Provo a parlare.
Non ci riesco.
Riprovo.
“...A...Allen...” Un mormorio roco, stentato.
“...Allen...” Ripeto.

Allen non si muove più.
Gli occhi sono chiusi, umidi ancora di lacrime.
Si allarga una macchia scarlatta sotto la testa, inzuppa le candide lenzuola.

Mi accosto vacillante al viso per sentire il suo respiro.

“...Ehi, A-llen...
...Sei morto...?”

Perché non sento il suo respiro?

“...Allen...?”

Perché non mi tira a se’?

Gli dò un bacio, lento, stentato.
Le sue labbra sono tiepide.
Immobili.

Tingono di liquido rosso le mie.

[ ...E’ cicatrice intrisa di acido per il mio errore più imperdonabile ]

Perché...Perché non mi bacia...?

“...Allen, s-svegliati...”

 

                                      ...Perché non può più fare nulla di queste cose.

 

 

 

Ero terrorizzato.

Cosa avevo fatto...?

Adesso...
...Non mi avrebbe più potuto amare.

Fuggii, corsi lontano.

 

 

 

Seduto alla mia scrivania mi volto, percependo il suo sguardo addosso. “Ho qualcosa di strano in faccia?”

Allen, invece appollaiato su uno dei lettini affianco, sorride.
Un sorriso meraviglioso.
“Tyki...Sono contento di averti incontrato.”

 

 

 

Non ricordai dove, ne’ ricordai come mi trovarono.

 

 

 

“Be’...A domani a scuola.”

“Sì...”

Ci diamo un veloce bacio sull’uscio di casa mia.

“Ciao...” Mi saluta con la mano, abbozza un sorriso.

Lo guardo sparire nel buio, fuori dal mio viale. Mi chiudo la porta alle spalle. Respiro lentamente, inquieto.
Avrei voluto accompagnarlo. Però, seppur fossero le undici passate, la prudenza non è mai poca...Farsi sorprendere insieme a quell’ora da conoscenti avrebbe alimentato le voci a dismisura...
Torno in salotto, raccogliendo i bicchieri dal tavolino per riporli nel lavello. Contemporaneamente suona il campanello.

Chi può essere a quest’ora?
Vado ad aprire e mi si dimezza il respiro.
Sento la mia anima sgretolarsi addolorata a questa immagine...
Allen mi si è buttato addosso, abbracciandomi per la vita, in lacrime. “...Ti p-prego...Non...Non farmi andare a casa...Stare s-senza di te è..
.
...Come morire...”

 

 

 

Ci fu un processo.

 

 

 

Dallo scranno su cui sono chiamato come imputato, guardo le loro facce, una ad una.
Ho detto loro la verità. Ho raccontato loro tutto, qualsiasi aspetto, qualsiasi particolare. Il nostro primo incontro, il nostro uscire di nascosto, il nostro amarci.
Il nostro essere felici.

Io amo Allen, ho ripetuto più volte.
Poi scoppiavo a ridere, rendendomi conto di quanto tutto ciò fosse palese.

Che c’è da capire?
Ma perché hanno quelle espressioni? Perché mi guardano come se avessi fatto qualcosa di male?
Io amo Allen...! Io non avrei voluto che se ne andasse...Io non volevo...Io non volevo...Non volevo...

 

 

 

Venni infine internato in un ospedale psichiatrico.

Là dentro tentai il suicidio più volte.

“Voglio vedere Allen!”, urlavo.
“Lasciatemi andare da lui...!”, imploravo.

 

 

 

Grondo di sudore, impregna il camicione che ho indosso. Ho corso a lungo.
Quelle strade ormai da troppo non le percorro più. Eppure, quelle strade, quante volte sono state percorse con lui? Le nostre mani strette, camminando vicini, nascondendo le dita intrecciate con delle buste di compere fatte...

 Eccomi.

Un po’ corro, inciampo, zompo fra le fila di pietra, cercando.

 Dove sei?

E leggo il suo nome inciso su quella lapide bagnata dal crepuscolo.


Dove sei?

Non saprei spiegare cosa io stia provando in quest'istante. Ho saputo cosa avrei trovato recandomi lì, ma rimango comunque sconvolto.

 Dove sei...?

Sento freddo, mi attraversa le membra, mi impedisce di rimanere in piedi. Cado in ginocchio, fissando attonito quella stele.
Senza piangere, senza fiatare, senza pensare. Qualsiasi cosa sarebbe stata superflua [vana] in confronto alla voragine che mi squarcia il torace.

Un dolore talmente lancinante da sembrare un assaggio di morte.

 Rispondimi, ti prego.

Urlo, ma nessun suono esce dalle mie labbra.

“...A...A-llen...”
Lo chiamo.

 Aiutami, ti prego.

Ancora, ancora e ancora.

 Allen Allen Allen

“...Scusi...”

C’è qualcuno a fianco a me.
Via, vai via.

Quella persona insiste.. “Scusi...” ripete. “Lei è un conoscente di Allen?”

Allen.
Lo chiama per nome.
Alzo lo sguardo.
E’ una suora. L’orlo del lungo abito nero le sfiora le scarpe lucide, il velo di lino bianco le lascia scoperto solo il viso. Ha sì e no diciassette, diciotto anni.

Ottenuta la mia attenzione, incalza. “E’ un amico di Allen?”

Riabbasso gli occhi.
Va via, vattene.

S'inginocchia al mio fianco.
Sei un'intrusa.
Va via.

Inizia a parlare, forse così credendo di rispettare il mio silenzio.
“...Allen frequentava la scuola di mio fratello, il preside Lee Komui. La famiglia di Allen...E’ da molti anni amica della nostra...
...Noi ci siamo conosciuti quando ancora frequentavamo le medie.” Intravedo con la coda dell’occhio un sorriso melanconico. “Gli davo ripetizioni. Diceva che voleva entrate al Dark Religious a tutti i costi...”

...Co...sa...?

“...Però, dopo la morte di una persona a me molto cara, un’amica, decisi di prendere i voti, in nome del suo stesso desiderio e ricordo...Questo fece rompere i rapporti tra me ed Allen. Diceva che io non esistevo più per lui, ero morta...” Delle piccole lacrime sgorgano dai suoi occhi.

I miei di occhi, invece, sono sbarrati.

E' lei.

E' lei.

[ Lei ]

 

Traditrice.
Traditrice.
Traditrice.

Un impulso. Feroce.
Le afferro la testa e la sbatto contro la lapide. Senza fermarmi. Forte. Il più dolorosamente possibile.

Voglio vedere il suo cranio ridursi in schegge informi.

 Traditrice.
Traditrice.
Traditrice.

Grida, piange, chiede aiuto. Le sue piccole mani cercano di allontanarmi. Scomposte ciocche nere le escono dal velo ormai imbrattato di sangue.
                       ...Voglio che si decomponga davanti ai miei occhi.

E qualcuno da dietro mi ghermisce le braccia, mi arresta.
Concepisco che sono i medici della clinica.
Grido, mi dibatto selvaggiamente nella loro presa. Tanto da sentire ogni parte del mio corpo spezzarsi dolorosamente.
TU...! TU...LURIDA PUTTANA...! COME HAI POTUTO...!? DOVRESTI ESSERCI TU SOTTO QUATTRO METRI DI TERRA...!

 

 

 

Nella mia stanza imbottita, non smettevo di sognare.

 

 

 

“Come ha fatto a scappare?”

“Pare che una delle infermiere sia venuta a portargli il pranzo e che sia fuggito mentre lei era di spalle. Bisognerebbe aumentare i controlli.”

“E’ fuggito solo per vedere la tomba di Allen Walker? Mi hanno detto che ha quasi ucciso una donna.”

“Sì, una suora che si era recata al cimitero per visitare la vittima...”

I medici discutono come se io non ci fossi.
Uno dei due mi fa aprire la bocca. “Ingoiala.” La pasticca scivola sulla mia lingua e lui mi pone un bicchiere d’acqua sulle labbra per farmene bere un sorso.
Riprendendo a discorrere, mi lasciano lì seduto sullo sgabello di plastica bianca e l’uomo tarchiato che mi ha tenuto le braccia mentre ho preso la pillola li segue, serrando la porta con il codice numerico.
Passo qualche minuto immobile. Poi, barcollante, mi sollevo e stordito mi reggo alla lattea e liscia parete, al lavabo d’acciaio, e mi lascio cadere sullo stretto lettino. Un’ultima visione di quella stanza spoglia e finalmente sereno abbasso le palpebre.

 

 

 

...

 

...

 

...

 

...Inspiro profondamente e torno ansioso a controllare il suo stato.
“Allen...Allen...” Lo scuoto piano. “Allen, sei...”

“Sono vivo, tranquillo.” Spalanca teatralmente le palpebre, facendo un sorrisetto divertito.

“...A...llen...?”

“Aspettavo che mi scuotessi un po’ e chiedessi: ‘Ehi tu, sei morto?’. Sei piuttosto prevedibile, sai, Tyki?”

“A-Allen...” Boccheggio. Che sta succedendo...? “...T-tu...Non sei morto...?”

“Morto? Ma che dici?” Sbuffa, ridendo. “Ho fatto finta! Ci caschi come sempre, eh?”

E voglio solo saperlo, solo questo.
“...Mi ami...?”

“Che domande. Certo. Te l’ho detto, non ti lascerò mai. Io ti amo, Tyki.”

Sorrido tremante, sull'orlo delle lacrime. Ma il mio sorriso svanisce così come è apparso. “...Cos’è...Quel liquido rosso che ti scorre sul viso...?”

“Ah, questo?” Sbatte gli occhi. Si tasta la fronte, noncurante. “E’ sangue, sciocchino.”

“...P-perché...?”

“Perché...Hai tentato di uccidermi, amore mio.” Sorride radioso. “In verità sono un bel po’ arrabbiato con te...Come hai potuto dubitare di me?” Il suo volto si tramuta in una maschera di insanguinato disgusto... “Ripensandoci...Io non ti amo più.”
E’ in piedi. Abbraccia un ragazzo dagli scuri capelli lunghi...
“...Io adesso amo un altro.
Tu ormai non mi servi più.”

 

 

Mi sveglio a fatica, mi isso a sedere, l’azione del farmaco ancora forte. Piego le ginocchia, abbracciandole. Rimango lì a cullarmi, tremante, piangendo in quella stanza senza finestre, in quella notte artificiale.
E questa è la prima fra tante.

 

 

 

Lasciavo che la mia mente vagasse [mentisse], rivoltavo il corso degli eventi, la lasciavo rivivere ricordi fasulli, ricordi che annientassero una realtà crudele.
Una realtà che calpestava. Asfissiava. Uccideva.

...Eppure, ben presto, qualcosa di diverso,

sinistro,

si fece spazio in me...

 

 

 

Coperto dalle lenzuola e accucciato tra le mie gambe, si appoggia al mio braccio, io la schiena contro la testiera del letto. Aspira con me l’aroma della sigaretta che mi sono appena acceso.

“Tyki...La settimana prossima la mia classe va in gita a Kobe. Non potremo vederci per tre giorni.”

“In gita tre giorni?”

Allen reclina la testa per vedere la mia espressione. “Che c’è?”

“Non voglio che tu ci vada.”

“Perché...?”

“Perché è lontano.”

“Ma...”

“Ti voglio avere qui con me. Non è forse normale?
Sei mio, Allen...Dillo che lo sei...”

“...
Sì...” Sussurra piano lui, accovacciandosi di più. “Io ti amo, Tyki. Sarò per sempre tuo, nessuno mi farà cambiare idea...”

 

 

 

...Rancore, sdegno, mortificazione...

 

 

 

Vado ad aprire la porta di casa.
“...Sorpresa!” E’ il gridolino di Allen dopo essermi saltato addosso.
Meravigliato, chiudo veloce l’uscio, lui sempre avvinghiato a me. “Allen, potevano vederci, sta attento!”

“Sììì, lo so. Ma non sei felice si vedermi?”

“Ovviamente. Tuttavia il nostro incontro è stato programmato per domani, perché sei venuto?”

Socchiude i suoi grandi occhi, perplesso. “Tyki...Non dirmi che te lo sei dimenticato?”

“Dimenticato cosa?”

Ride. “...E’ il tuo compleanno, amore!”
Apparentemente l'input e la mia reazione non coincidono, per cui rincara. “Ahh, l’età inizia a farsi sentire, eh?
Vecchietto!

“Ehi, sono un giovane uomo ancora nel fiore degli anni. Piuttosto, dove sarebbe il mio regalo?”

Lui sorride. E’ malizia, quella?
Si sfila piano il cravattino. “Io, no?”

 

 

 

Era stata colpa di Allen.
Mi ha preso in giro, ha giocato con me.

Ha sempre mentito dicendo di amarmi.

 

 

 

“Questa è l’ultima.” Appoggio lo scatolone sul parquet del futuro soggiorno, dove c’è steso Allen, a pancia in giù, completamente stremato. “Piccolo, ti ho detto che non c’era bisogno che tu ti sforzassi tanto, e di lasciare a me le scatole più pesanti. Potevo farcela da solo. Hai pure spolverato e lavato tutto...” Gli accarezzo la nuca, sudata quanto la vecchia t-shirt che ha indosso.

Quella mattina, fino a sera, abbiamo fatto avanti ed indietro, spostato scatoloni ed oggetti vari dal camion alla nuova casa che ho affittato. Ho deciso di traslocare perché Allen è ormai sempre da me, e se in un futuro prossimo avessimo deciso di vivere insieme, lo spazio non sarebbe mancato.
Ho pagato solo solo il trasporto della ditta di traslochi, per il resto ci siamo dovuti arrangiare.

“Sai che non ti ascolto mai.” Obietta, con una voce dell’oltretomba.

“Guardati, però. Sei ridotto ad uno straccio.”

“E’ questo il tuo grazie per essermi procurato l’ernia?”

“Grazie. Ma continuo a dire che per un pigrone cronico come te fare tali sforzi è un suicidio...”

“Allora sarei morto volentieri.” Incastona le sue gemme trasparenti nei miei occhi. “Perché sei tu.”

 

 

 

Ogni parola, ogni sguardo, ogni carezza, ogni bacio...Tutte menzogne!
Gli ho dato quello che voleva.
Non gli mancava nulla.
Aveva tutto.

 

 

 

“Sei sicuro? Farò tardi...”

“Non importa.” E’ la risposta sicura di Allen.

Ho del lavoro arretrato che devo finire entro stasera. Invece di passare la serata con i suoi genitori, dopo tanto non vederli, ha deciso di stare qui con me...Non so con quali parole esprimergli quanto la cosa mi renda felice...

“Aspetterò.” Sorride, come solo lui sa fare. “Lo sai, Tyki, non ho bisogno di altro.
Io ho te.”

 

 

 

Lui voleva andarsene da me.
Mpf, che sciocco è stato...!
Solo io lo amavo, lo amavo per quello che era, amavo tutto di lui,

tutto.

[...anche la sua libertà?]

...Altrimenti chi altri poteva...?

 

 

 

“Dei miei compagni di classe mi hanno chiesto se domani vado con loro a fare un giro per Akibahara.” Sorride, dondolando sul lettino. “Non vedo l’ora. Hanno detto che mi faranno vedere un negozio dove vendono congegni di ogni sorta...”

L’eccitazione nelle sue parole mi infastidisce. Poso la penna seccamente sulla scrivania. “Domani non c’è scuola. Posso accompagnarti io, conosco bene Akibahara.”

Allen scuote la testa, tranquillo. “Non c’è problema, non voglio disturbarti. E poi è una buona occasione per socializzare...”

Il mio stomaco si contrae.
E qualcosa dentro di me si crepa.
“...Socializzare?” Mi rendo conto di aver alzato la voce. “Perché mai? Il poco tempo libero che abbiamo è bene che lo passiamo insieme, no? Non è il caso di dimezzarlo con inutili uscite
...”

Lui pare rimpicciolirsi al mio discorso. Abbassa lo sguardo. “...Sì...Hai ragione...”

 

 

 

I suoi sospiri, i suoi gemiti, le sue labbra, il suo corpo, ogni centimetro di pelle...
Mi appartenevano.

 

 

 

“Perché ti comporti così...? Non ti capisco!” Cammina veloce, quasi marciando. Sta andando verso la stazione per salire sul treno del ritorno, dopo la serata insieme alla sala giochi.
Le strade sono buie, non c’è più nessuno. Io lo sto seguendo, lo supero e mi paro davanti a lui. Cerco di mantenere la calma, ma il mio tono è ringhioso. “Cosa c’è da capire? Forse credeva che non lo notassi, ma non ti ha tolto un attimo gli occhi di dosso da quando siamo entrati nella sala giochi! E quando si è avvicinato per...”

“...Per? Per cosa?” Allen gesticola con le mani, furente. “Se per te il chiedermi di fare una partita con lui ed il semplice raccogliermi i gettoni che mi erano caduti, sia un abbordaggio estremo, sei proprio uno sciocco Tyki!”

Simulo una risata sarcastica. “Quanto sei ingenuo...! Sii realista, quel tizio aveva doppi fini!”

“Doppi fini, cosa? Tu pensi che chiunque abbia doppi fini quando entro di mezzo io!”

“Ma tu non vedi quello che vedo io! Tu...” Lascio cadere la frase, incredulo di star facendo davvero quel dibattito ridicolo.

“Certo, solo perché sei paranoico, sei giustificato per il fatto di averlo picchiato a sangue! Non funziona così...!”

“L’ho fatto per difenderti, solo questo...!”

Allen mi scruta, mestamente, le sue sopracciglia distendersi.
Sembra deluso... “Senti, Tyki...Gli avvenimenti di oggi mia hanno stancato...Vorrei tornare a casa. Quando posso, ti chiamo...Devo andare, altrimenti perdo il treno.” Mi oltrepassa in fretta e inizia a correre.

“Domani...!?” Gli suggerisco in fretta, quasi braccandolo.

Non risponde, ne’ mi guarda.

“Allen...?”

Continua ad ignorarmi.

...Ed una rabbia incandescente mi monta in corpo...

 

 

 

Allen era mio, mio soltanto.
[ Mio ]
Mio e di nessun altro.

[ Solo mio ]

 

 

 

...Mi si irradia nelle membra come veleno.
Lo afferro per la mano e lo trascino nel vicolo lì affianco.
Protesta. “Che fai!? Mollami, Tyki...!”
Lo getto con forza contro il muro. Avverto un suo “Ahi” sommesso, vedo i suoi occhi intimoriti illuminati da un lampione.

Ma non mi importa.

Io amo Allen.

Congiungo le mie labbra alle sue. E' inizialmente preso in contropiede, poi si dimena, cerca di scostarsi.

 
[Non mi importa]

 
Gli serro i polsi, lui continua ad agitarsi. Capisco che vuole gridare, me non può far altro che mugugnare. Inaspettatamente mi morde la lingua. Mi scosto. Sanguino.
Grida con tutto il fiato che ha in gola, gli occhi gonfi. “TU SEI FUORI DI TESTA...!”

Lo fisso, attonito.
Io? Fuori di testa...? Io lo faccio per lui, solo per lui...Perché non capisce...?
Mi fa malissimo la testa, intorno a me qualsiasi cosa vortica...

“Lasciami!”

“N-no...Perché...? Io ti amo così tanto...”

“Tyki, lasciami ho detto...!”

NO!

Gli divido le gambe premendo con un ginocchio contro il suo inguine. Schiude le labbra per il dolore ed io mi unisco ancora a lui per un bacio, il sangue pulsare sulla lingua, bruciante.
Gli libero un polso, solo per sfilargli con una mano i pantaloni assieme ai boxer.

Allen si ribella, scalcia, tira pugni, vuole urlare, fa qualsiasi cosa...Infine, si ferma.
Smette di porre resistenza, arresta quella lotta furiosa. Le mani, scosse, si serrano. Le sue iridi di bellezza liquida rimangono nascoste dalle sue palpebre tremanti, arrossate.

Sorrido, mentre comincio a massaggiare il suo membro.
Sorrido perché
ha capito.
Ha capito che lo amo.

Che lui è mio.

 

 

 

...Ed ora lo sarebbe stato in eterno.


 
mio
mio
mio

 

 

 

Mi sciacquo un’ultima volta e prendo l’asciugamano lì appeso al muro per frizionarmi i capelli.

Non so perché, ma mi ritorna alla mente quella volta che raccontai ad Allen un fiaba...

 

 “Lui era innamorato.
Un amore contorto, contraddittorio,
sbagliato.
Lui pensava di
essere sbagliato.
‘Non può essere’, si ripeteva.
Eppure era così.
La sua mente, il suo cuore,
lo sapevano.
Il suo corpo,
lo
sentiva.
...Amava lei, sua madre.
Lei era bellissima, di una bellezza gravosa, che irradia tutto ciò che ha attorno.
C’è sempre stata col suo sorriso. Un sorriso clemente, un sorriso che sembrasse poter perdonare ogni cosa.
Lo comprendeva perfettamente. Era
complice.
Lei Lo amava.
Il loro amore non si limitava al platonico.
Quando il padre non era in casa, quante volte le lenzuola di quel letto matrimoniale si erano impregnate di sesso...
Un giorno, tornando da scuola prima del solito, Lui sentì i sospiri di sua madre.
Sospiri che non gli
appartenevano.
Lui vide sua madre far l’amore con un suo compagno di classe.
Lui era disperato, soffriva, voleva morire.
‘Perchè...?’, si struggeva.
‘Perchè...?’, il suo corpo sudato e fremente unito a quello di lei.
Un giorno, il telegiornale parlò dello sbandamento di un’autovettura nel Tama, per disfunzione anomala. Morirono un uomo e una donna.
Era l’auto di sua madre.
Lui sapeva che lei e il suo compagno uscivano a sua insaputa in un giorno prestabilito, il giovedì.
Mercoledì Lui era entrato in garage.
Lui ora viveva con il padre.
Il padre lo ignorava, per lui era come se non esistesse. Forse faceva finta di non sapere.
Lui passava molto tempo con la sorellina, l’unica parente rimasta oltre al padre. Lei era dolce ed ingenua. Era un angelo.
Lui si innamorò di Lei. Lei assomigliava così alla madre.
Lasciava lo stesso odore sulle lenzuola.
Lei amava Lui.
Erano felici.
Finché lei non lo tradì.
Lei aveva deciso di divenire suora, donarsi a Dio, per espiare le colpe di quel amore peccaminoso.
Lei lo aveva tradito.
Era una traditrice.
 Lui la uccise.”

 

Ricordo ancora quanto Allen mi guardò male, dicendo che avevo un pessimo gusto...Ha ha, la fiaba non gli era proprio piaciuta!

Peccato che le vere fiabe abbiano il lieto fine.

 

 

 

Allen mi manca, mi manca molto...
Se potessi tornare indietro a quel giorno in infermeria,
non aspetterei che mi baci.
Sarei io a farlo...

 

 

 

Chiudo il rubinetto del lavabo. L’acqua rimasta scende nello scolo e lascia dietro di se’ tracce grumose di tintura nera.

Sorrido.
Un sorriso lento.
Graduale.

Beffardo.

Sorrido al piccolo specchio lì sopra, a quel riflesso d'argento candido.

 

 

                                              ...Soffocandolo dolcemente.

 

 

 

 

Queste gioie violente hanno fini violente.
Muoiono nel loro trionfo come la polvere da sparo
e il fuoco,
Che si consumano al primo bacio.

Romeo e Giulietta, atto II, scena VI

 

 

 

 

 

 

Owari:

Accidenti al Conte che ha regalato quel posacenere letale e Tyki! xP Ed Allen è un adolescente, è normale che cambi idea in fretta :P (!?)
Scusate per le infinite frasi fatte, le odio anch’io D:

Spero l’abbiate apprezzata :D
E spero che a te in particolare sia un po’ piaciuta, Black_Eyeliner :)
Alla prossima shot x>

 

 

Approfondimenti&Sproloqui:

Signori, signore, signorine = In nome di Senor, Senora, Senorita di miyavi. Senza motivo;

Rasenshuriken e Bankai = Due termini che appartengono rispettivamente a Naruto(©Masashi Kishimoto) e Bleach(©Tite Kubo). Di quest’ultimo appartengono anche i riferimenti allo shunpo, alla Quarta Compagnia, a Hanataro Yamada ed ai venerabili – da farci altari su altari all’infinito – Ulquiorra Schiffer, Szayel Aporro e Grimmjow Jaegerjaques;

Seymour e Kuja = appartengono rispettivamente a Final Fantasy X e IX(©Square Enix);

CLAMP = E’ rinomato che queste quattro donne siano piuttosto ambigue ed oltre nelle loro opere;

Sebastian = Michaelis e Ciel Phantomhive, Kuroshitsuji(©Yana Toboso). Puntata numero !!!;

Uriyaa = E’ l’urlo di battaglia che fa Reno di Final Fantasy VII(©Square Enix) nell’Advent Children;

Greentea Oishi = E’ una bevanda giapponese. Lo strawberry è il migliore ;

At-Field = Evangelion(©GAINAX);

Scambio equivalente = C’è un rimando al ‘battere le mani’ di Edward Elric e allo ‘schioccare le dita’ di Roy Mustang. Full Metal Alchemist(©Hiromu Arakawa);

Samurai folle di D.Gray-Man = xD;

Light = Yagami, Death Note(©Tsugumi Ohba&Takeshi Obata);

Yoite = Nabari(©Yuhki Kamatani);

I flashback finali ovviamente non vanno in ordine. Scusate, se vi ho confuso un po’ le idee... ;

Tintura = Naturalmente Tyki Mikk non usa tinte, e non ha assolutamente i capelli dai riflessi argentati come Allen. Ho rinnegato la sua stupenda e piacevolmente ondulata chioma corvina solo in funzione della Fic.

 

 

SS

 

  
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