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Autore: Rei Murai    10/09/2010    3 recensioni
- C’è ancora qualcosa, Hyuugasan? – La ragazza sobbalzò, cominciando a balbettare impacciata. Al suo decimo “io” l’Inuzuka prese in mano la situazione, sospirando. - Ci stavamo chiedendo se ti va di pranzare con noi - Sgranò impercettibilmente gli occhi, dietro le lenti scure, convinto che gli altri due non potessero vederlo. - Ci fa…farebbe davvero…mo-molto piace…re – Rincarò la ragazza scostando lo sguardo rossa in viso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Shino Aburame
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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-Commento:
Cominciamo con il dire che il primo e l’ultimo pezzo sono stati bellamente ripresi dal 15 volume di generation Basket (Vicius Tetsuro rulla!!!! *___*) e il fatto che io sia tornata in fissa con quel manga non ha influito assolutamente con la mia fanfic (Ma con quella che ho perso si XDDDDDD)
Quindi, ringraziando di cuore la giudicia che mi ha permesso una settimana di proroga e il mio essermi ricordata che gli ultimi tre giorni della proroga li avrei passati a Madris vi lascio alla lettura di quesa cosina-ina-ina veloce e speriamo (errori di grammatica a parte) piavole.

Con questo vi lascio

Rei

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dark Cloud’s on my sky

 

 

Andando verso la stazione ci si imbatte in un improvvisa e quanto mai ripida salita

Nelle mattine d’inverno è immancabilmente gelata e terribilmente pericolosa

Se ti capita di scivolare da qui sei morto.

Un celo coperto è irritante.

La mia testa…

Si riflette sul manto stradale ghiacciato.

Queste spesse nuvole perlacee…ormai…

Ora e per sempre…

Mi hanno avvolto.

 

Il giorno in cui mi imbattei in loro me lo ricordo bene.

Camminavo lungo questa ripida salita, tenendo il capo chino, sorpassato da altri rumorosi studenti.

Erano fermi in cima, lei intenta a cercare qualcosa tra la bianca neve e lui fermo, con l’aria irritata, guardando verso la fine di quella ripida strada.

Non avevo capito da subito cosa stesse succedendo ma, quando lei con aria sfinita si era alzata, lui aveva abbassato lo sguardo sul manto bianco e poi, borbottando, aveva preso a cercare.

Ero rimasto a fissarli in silenzio, senza un preciso motivo, dietro la spessa montatura delle lenti scure.

Il ragazzo aveva tirato su una catenina fine e poi, sbuffando, gliel’aveva messa al collo.

Il sorriso di quella ragazza mi aveva riempito il cuore.

Tra le lacrime fissava il ciondolo contenta ed imbarazzata per la loro improvvisa e quanto insolita vicinanza, per poi svenire di botto tra le sue urla esasperate.

In quel momento avevo pensato che, se mai mi fossi riuscito a fare degli amici, in quello schifo di scuola, mi sarebbe piaciuto fossero persone semplici come mi erano parsi quei due.

Tipi senza troppe pretese, capaci di prendere la vita un po’ come arriva.

Alzando lo sguardo verso il cielo nuvoloso, quella spessa coltre di nubi non mi era sembrata poi così grigia.

 

- Hey! Tu sei quello nuovo? –

Il moro alzò lo sguardo dal libro fissandolo dentro due occhi dal color azzurro.

La ragazza che gli si presentava davanti era quella che, per prima, si era alzata in piedi quando era entrato il professore, scostandosi dal viso i lunghi capelli biondi e facendo alzare i compagni.

La loro rappresentate di classe, in sintesi.

Le mani poggiate sui fianchi e il cipiglio severo, le davano un aria vagamente più seria di ciò che invece veniva esibito dalla sua immagine: la gonna più corta di un paio di centimetri e la camicia fin troppo stretta, annessa di primi bottoni slacciati era certo andasse contro il regolamento scolastico ma, questo, non gli faceva capire in che modo, la biondina, potesse volere qualcosa da lui.

Si limitò a fissarla da dietro le lenti scure, senza spiccicare parola.

- È compito dei nuovi arrivati pulire l’aula al posto della rappresentante di classe nel suo turno, per le prime tre settimane. Lo scopettone e il secchio si trovano nello sgabuzino in fondo al corridoio, sulla destra. E non dimenticare le lavagne! –

Con un colpo di tacchi ruotò su se stessa, lasciando i capelli liberi di svolazzare ovunque, sbattendo contro un'altra persona.

Non aveva senso quello che lei gli aveva appena detto – o quanto meno non aveva di certo di letto di quell’assurda “legge” appena statagli riferita – ma poco gli importava, nell’effettivo contesto.

Tornare a casa avrebbe significato pranzare in solitudine fino al rientro della madre e, per quanto lui fosse stato sempre tendenzialmente solo, non era una cosa che gli faceva piacere.

Rimanere a fare le pulizie gli avrebbe permesso di conoscere il compagno di turno della ragazza, forse riuscire anche a scambiare due chiacchiere con qualcosa di umano.

Quanto poi poteva essere realmente interessante farlo, poco importava.

- Non vedo perché dovrebbe farlo al posto tuo, Yamanaka! –

Alzò lo sguardo verso la persona che aveva fatto quell’affermazione, rimanendo stupito di fronte alla figura del ragazzo di quella mattina.

Seduto sul banco, il castano, fissava la bionda con aria indispettita e, forse, vagamente di rimprovero.

- Non sono fatti che ti riguardano, Inuzuka – la ragazza arricciò il naso nel pronunciare il cognome di lui, avvicinandoglisi, successivamente – al nuovo arrivato va bene, no? –

Il moro fissò prima la ragazza poi il castano, che ora gli rivolgeva la sua attenzione.

Alzò le spalle chiudendo il libro ed alzandosi in piedi.

- Non fa alcuna differenza – esordì poi uscendo dall’aula.

 

Nella vecchia scuola nessuno si era mai curato di me.

Erano tutti troppo attenti ai loro bisogni per rendersi conto della mia presenza,

troppo silenzioso per essere ricordato durante gli eventi di classe.

Mi limitavo ad andare bene nello studio e nello sport.

Facevo tutto quello che era necessario per assicurarmi di uscire da lì il prima possibile.

Di trasferirmi in un luogo differente da quello.

Non mi è mai seriamente importato di essere al centro dell’attenzione,

di avere degli amici, insomma.

Ma, forse, guardandomi attorno, qualche fitta riusciva a trapassarmi lo stomaco.

Guardando i miei compagni andare a casa assieme, scambiarsi i compiti, litigare…pensavo di essere diverso.

Sbagliato.

Quelle dannate nuvole mi avvolgevano in una morsa sempre più stretta.

 

“ti va di pranzare con noi?”

- Hinata tu ti devi ribellare! –

Seduto al tavolo della mensa, ascoltava in silenzio la paternale che il proprio compagno di classe stavava facendo alla sua migliore amica.

- M-Ma… -

- Niente “ma”! Mendokuse! Non posso sempre venirti in soccorso! –

Il castano mosse le bacchette in un movimento circolare puntandole contro il viso della Hyuuga.

L’aveva ritrovata rinchiusa nello sgabuzino della sua classe, ancora una volta.

Aveva sentito che, alcune delle compagne della ragazza, spesso e volentieri, le facevano sopprusi di ogni genere.

Ultimanente erano arrivate persino a rubarle i soldi del  pranzo e le matite colorate che la madre le aveva appena comprato.

- K-Kibakun io… -

La vide abbassare il capo e torturarsi le mani in un gesto abituale, senza sapere cosa dire.

Lei era una ragazza fragile, incapace di difendersi.

Il classico pungball per i bulletti della scuola e qualsiasi altro compagno avesse bisogno di sfogare la sua frustrazione.

Se solo avessero perso tempo a conoscerla meglio, si sarebbero accorti di che persona dolce fosse, la piccola Hinata.

Sospirò, lasciando che Kiba continuasse il suo discorso, anche se privo di senso e, sicuramente inutile, fino a che questi non si alzò dal posto promettendo di tornare con ciò che le avevano rubato poco prima dell’intervallo.

Rimasti soli poggiò le bacchette sul tavolo, fissandola da dietro le lenti.

- Dillo a Kurenaisensei –

La ragazza sbattè le palpebre, alzando il volto arrossato dall’imbarazzo su di lui, balbettando.

Era la prima volta che parlava con qualcuno di sua spontanea volontà da quando si era trasferito.

Lei gli ispirava fiducia.

Gli ricordava le farfalle, delicati e bellissimi insetti che passavano la loro vita come orribili bruchi, scoppiando poi, in tutta la loro bellezza solo per un giorno, per la fortuna di chi poteva ammirarle.

- Dillo a Kurenaisensei – ripetè più convinto riprendendo poi a mangiare.

Poco dopo il castano tornò con un vassoio pieno di cibo e l’aria imbronciata.

- Non voglio avere problemi con gli insegnanti a tre giorni dall’inizio della scuola, sono già finito in presidenza cinque volte oggi. Mangia. –

La moretta sorrise afferrando un Korokke pan(*) e ringraziandolo, lui arrossi impercettibilmente addentando un onigiri(**)

 

- G-grazie per…il con..siglio…Aburamekun –

Alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, poggiandolo sulla ragazza di fronte a lui.

La Hyuuga teneva lo sguardo basso, torturandosi le mani con aria impacciata.

Dietro di lei l’immancabile figura dell’Inuzuka, le faceva da ombra.

Erano passati due giorni dall’episodio della mensa: la ragazza era andata a parlarne con l’insegnante e, successivamente, con la preside.

Ovviamente la rivolta delle compagne di classe era stata inevitabile ma, questa volta, era stata proprio Kurenai ad occuparsi di lei impedendo così al castano di cacciarsi nuovamente nei guai.

Sembravano davvero attaccati quei due.

Che il castano provasse qualcosa più di un amicizia per lei?

Li fissò attentamente, lasciando scorrere lo sguardo prima sulla esile figura di lei, in attesa di una risposta e poi su di lui.

Sembrava nervoso.

Fissava fuori dalla finestra, come se dovesse scattare da un momento all’altro e buttarsi di sotto – o aggredirlo per il suo silenzio.

Probabilmente Kiba non era abituato alle attese troppo lunghe.

- Di niente –

Pronunciò quelle parole in modo che solo loro potessero sentirle, prima di riportare lo sguardo sul libro.

Quando, dopo una decina di minuti, la loro presenza gli diventò fastidiosa, tornò a guardarli.

- C’è ancora qualcosa, Hyuugasan? –

La ragazza sobbalzò, cominciando a balbettare impacciata.

Al suo decimo “io” l’Inuzuka prese in mano la situazione, sospirando.

- Ci stavamo chiedendo se ti va di pranzare con noi -

Sgranò impercettibilmente gli occhi, dietro le lenti scure, convinto che gli altri due non potessero vederlo.

- Ci fa…farebbe davvero…mo-molto piace…re –

Rincarò la ragazza scostando lo sguardo rossa in viso.

Annuì debolmente facendola sorridere e, ricambiandola con un leggero stiramento delle labbra.

Dopotutto non doveva essere così male passare un po’ di tempo con qualche altro essere umano.

 

Quello era stato il principio della nostra “amicizia”.

Ormai sono passati molti anni da quei giorni lontani.

Hinata ha appena passato l’esame d’ammissione per l’istuto d’arte cui suo padre non voleva farla iscrivere.

Kiba frequenta veterinaria sotto richiesta della sua famiglia.

Io…

Io ogni tanto ritorno qui, davanti a questa vecchia salita.

Fisso il cielo grigio che si staglia dietro i tetti delle case e sorrido.

Sono convinto, ora, che se qualcuno dovesse cadare da qui non morirebbe.

Rotolando lungo la strada vedrebbe il cielo e quelle spesse nuvole grige

sembrerebbero a portata di mano.

In fondo…

 

- Un cielo lontano e sereno è così palloso -

   
 
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