
“Allora, Alice?
Cos’hai visto?”, chiesi a mia sorella appena
svegliatasi dal suo stato d’ipnosi. Quando aveva una visione
assumeva uno sguardo perso nel vuoto che ci terrorizzava sempre: era
come se in quegli istanti non facesse più parte di questo
mondo. D’altra parte, preferii non distrarla, o la mia
adorabile sorellina fissata con lo shopping avrebbe desiderato bere il
mio sangue. Fortuna che non ne avevo. Già, nelle mie vene,
come in quelle di tutti gli altri Cullen, non scorreva sangue,
perché eravamo vampiri.
“Niente
d’importante, Bella. Il figlio della nuova famiglia arrivata
a Forks inizierà la scuola domani. Strano che ne abbia avuto
una visione... come se questo ragazzo riguardasse noi
Cullen...”
Disse queste parole
aggrottando appena le sopracciglia, ma era più preoccupata
di quanto desse a vedere, vista la rapidità con cui Jasper,
il suo compagno, empatico, cambiò espressione. Alice temeva
evidentemente che il ragazzo riguardasse noi Cullen nel modo peggiore.
Preoccupata perché noi Cullen, seppur vampiri, non ci
nutrivamo di sangue umano: ci definivamo
“vegetariani” per la nostra dieta a base di sangue
animale. Era stato il nostro creatore, Carlisle, che era sotto molti
aspetti davvero nostro padre, a scoprire la possibilità di
nutrirci con sangue animale: appena scoperto cos’era
diventato, era riuscito a non nutrirsi per giorni, poi, preso dalla
sete, si era nutrito di sangue animale, capendo così di non
essere obbligato a diventare un mostro. La cosa più buffa di
questa storia, se vi si può trovare qualcosa di divertente,
era che Carlisle era il figlio di un pastore e in quel periodo si
dedicava proprio alla caccia ai vampiri. Strano come vanno le cose. Io,
Esme, mia “madre”, Emmett e Rosalie, gli altri miei
fratelli, anche loro compagni, eravamo stati creati da Carlisle, tutti
quando eravamo in fin di vita: Carlisle non poneva fine alle vite, le
salvava. Il meccanismo di trasformazione da umano a vampiro non era
facile: occorreva infatti iniettare il veleno dei vampiri nelle vene
dell’individuo e spesso la sete spingeva il vampiro a bere il
sangue di colui che voleva trasformare. Ma Carlisle, come me e Rosalie,
non aveva mai ceduto alla tentazione (Rosalie aveva ucciso sette umani,
gli stupratori che l’avevano quasi uccisa e costretta alla
vita immortale che tanto odiava e le guardie che li difendevano, ma non
aveva bevuto il loro sangue). Il mio curriculum pulito dipendeva dal
fatto che ero dotata di un autocontrollo soprannaturale. Carlisle era
giunto alla conclusione che questo fosse il mio dono, ma in una visita
dei Volturi, la famiglia reale dei vampiri, Aro, il capo, che voleva
convincere Alice a entrare nella loro guardia (era attratto dalle sue
capacità di veggente), non era riuscito a leggermi nel
pensiero con una stretta di mano come invece poteva con qualsiasi
altro, umano o vampiro che fosse. Da qui la deduzione che il mio potere
era invece quello di schermare i miei pensieri. Ne fui sollevata: non
mi sarebbe andato giù se quello stupido vampiro assetato di
potere avesse visto quanto lo odiavo. Niente di personale: mi stava
antipatico, punto e basta. Emmett mi riportò alla
realtà: “Sorellina, ricordati della tua
promessa!” Uffa. Avevo sfidato Emmett, il vampiro
più forte della famiglia, a braccio di ferro un anno prima,
fresca di trasformazione: im vampiri neonati sono particolarmente forti
perché saturi del loro stesso sangue, perciò
avevo vinto facilmente. A partire da quel giorno le forze cominciavano
a diminuire ed Emmett aveva fretta di sfidarmi. Vabbé,
meglio togliersi subito il pensiero: posi il gomito sul tavolo della
mensa scolastica della piovosa cittadina di Forks (requisito essenziale
per confonderci tra gli umani: alla luce del sole la nostra pelle
brillava come fosse di diamanti) e strinsi la mano di Emmett. Vinse con
facilità e Jasper blocco le nostre mani prima che si
scontrassero col tavolo, che avremmo di sicuro distrutto con la nostra
forza sovrumana. Beh, almeno Emmett avrebbe smesso di torturarmi con le
sue paranoie. A quel punto suonò la campanella. Dovevo
raggiungere l’aula di biologia, perciò salutai in
fretta i miei fratelli. Ero l’unica a non essere annoiata
dalle lezioni: avevo solo un anno, non sapevo tutto ciò che
era cementato nell’infallibile mente di ognuno dei miei
fratelli. Emmett, Jasper e Rosalie, studenti del quarto anno par
l’ennesima volta (essere immortali causava
l’immobilità del nostro aspetto, perciò
dopo pochi anni eravamo costretti a trasferirci per non destare
sospetti e a riprendere gli studi), si alzarono con me, Alice invece mi
guardò con aria perplessa e preoccupata: “Dove
vai?”, mi apostrofò. Non colsi subito il senso
della sua domanda, poi, dopo un ottantaquattresimo di secondo (lo so, a
voi sembra niente, ma noi vampiri pensiamo molto più
velocemente), realizzai: quel giorno la lezione mia e di Alice
(frequentavamo molti corsi insieme) era sull’analisi dei
gruppi sanguigni. Innanzitutto noi vampiri non avevamo sangue e
l’ago si sarebbe spezzato nel premerlo contro la nostra pelle
dura e liscia, ma soprattutto eravamo vampire controllate, certo, ma
non aveva senso rischiare di essere attratte dall’odore di
sangue che si sarebbe sprigionato nell’aula nel volgere di
qualche minuto. Ecco... la vampira più distratta al mondo.
Per lo meno non ero più goffa come da umana, anzi, pare che
fossi dotata di una grazia superiore alla media vampiresca, ma non
tutti i miei difetti erano andati perduti nella dolorosa
trasformazione. “Ops”, dissi semplicemente ad Alice
e ci dirigemmo insieme verso l’uscita.
Appena fuori dal
corridoio, ecco che quel rompiscatole di Mike Newton mi si
parò davanti. “Ciao, Bella”, mi
salutò. Uffa. Perché gli altri vampiri, seppure
bellissimi, incutevano un istintivo timore agli esseri umani e io no?
Senza contare che le sue tante ammiratrici erano parecchio seccate
dalla sua preferenza per me e mi guardavano con astio. Non che
m’importasse granché: non potevo comunque
stringere amicizie per non dare nell’occhio.
“Ciao,
Mike.”
“Ora abbiamo
la lezione di biologia insieme, vero?”
“In
realtà no.”
Mike mi guardo
perplesso e dispiaciuto.
“Non mi sento
molto bene. Mi metterò in auto ad ascoltare un
CD”, dissi, ripensando alle note di Debussy.
“Se vuoi ti
faccio compagnia”, mi propose Mike. Ma perché
proprio io? Non vedi come ti guarda Jessica Stanley? Cambia obiettivo,
no?
“Grazie, ma
l’ho già chiesto ad Alice”, dissi
guardando l’apparente adolescente accanto a me.
Nell’incrociare il suo sorriso Mike si ritrasse
istintivamente. Perché io non riuscivo a ottenere lo stesso
esito?
“Beh,
allora... ci vediamo, Bella.”
“Arrivederci,
Mike.” Quell’irritante diciassettenne innescava in
me istinti omicidi.
P.s.: le immagini che portano il nome "Maria" sono opera mia, per lo più le trovate qui: http://deliradubbiosa.deviantart.com/