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Autore: Dark Roku     14/09/2010    6 recensioni
La vita di Ven è la normale vita di un adolescente, senza contare il senso di vuoto che lo accompagna e il fatto che sia innamorato dell'autista dell'autobus, Terra che è più confuso di un quadro di Picasso.
Suo fratello Sora cerca di scolpire la sua corazza di vetro, mentre Riku chiede solo che Sora ricambi il suo amore, così come Demyx, quasi analfabeta, ma che passa tutti i giorni in biblioteca solo per guardare il bibliotecario.
E poi c'è Kairi: riuscirà a far pace con sua zia? E cosa si nasconde dietro lo strano ritorno di suo fratello? E Naminè che spera solo nel principe azzurro.
Infine, distante dalle vite che si intrecciano sulle Destiny, la vita di Roxas, adolescente ricco e viziato è avvolta nella pioggia di Rain Town.
Però, forse il destino non è sempre prevedibile come sembra...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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Piccola nota dell'autrice (perchè non le basta rompere le scatole solo a fine capitolo n.d.altra me): Questo capitolo l'ho dovuto dividere in due parti perchè era troppo lungo (Con tre mesi hai avuto tempo di scrivere, eh? n.d.altra me). L'altra parte la posterò...boh...forse tra una settimana o due. (L'ultima che l'hai detto non è andata proprio così n.d.altra me).
Dedicato a tutti quelli che torneranno, nonostante il mio increscioso ritardo (Se qualcuno tornerà n.d.altra me).
Tanti saluti e buona lettura da Kim!

L'uno e l'altro (e la papera)~ Parte 1


Lo sentiva. Sentiva le sue unghie dure e affilate sulla schiena. Sentiva la sua lingua che gli leccava ritmicamente il collo. E i denti che ogni tanto lo sfioravano, lasciandogli segni rossi.
E no. Non ne poteva proprio più.
- NAVEQUALCOSA….CRISTO SANTO, STUPIDO GATTO, VUOI SMETTERLA DI TORTURARMI??? – urlò Axel scattando in piedi. L’animale cadde per terra, senza neanche atterrare sulle quattro zampe.
- Guardati…fai schifo. Sei talmente grasso e brutto che più che a un gatto somigli a un porco ricoperto di peluria! – lo rimproverò. Poi vide Elena guardarlo storto, dalla porta.
Oddio…aveva davvero parlato con il gatto? Ma era matto o cosa?
- Ehm…- provò a giustificarsi. L’altra se ne andò scuotendo la testa con disapprovazione.
- Senti…-disse rivolgendosi alla palla che intanto si era arrampicata sul letto – Giuro che se mi fai fare un’altra figura di questo genere ti strappò tutti i bei peli che hai, uno ad uno, con queste mie manine. – Quel gatto ostinato lo guardò sbadigliando, come se non gli fregasse di ogni singola parola che usciva dalla sua bocca. E Axel pensò che gli ricordava vagamente qualcuno. Lo gettò per terra nuovamente, poi entrò nel bagno per farsi una doccia.
Ce l’aveva fatta. Ce l’aveva quasi fatta. Stava riprendendo il controllo della sua vita.
La voce di Kairi – riconoscibile anche dal tono del “Merda, com’è tardi! Perderò l’autobus!” – gli arrivò nitida, nonostante il getto dell’acqua.
Quello era il suo secondo giorno di lavoro. Nel “Coffee/Restaurant XIII” dove era stato assunto come cameriere e lavapiatti. Che gran miglioramento: da traduttore di successo a donna delle pulizie. Lì l’unica cosa che avrebbe tradotto sarebbero state le istruzioni dei detersivi.
Ma in fondo non gli dispiaceva: lì c’erano tutti i suoi vecchi amici con cui aveva fatto elementari, medie e liceo, e poi la paga era abbastanza buona. Non paragonabile a quella di prima, però poteva viverci.
Unica pecca era che nel bar lavoravano anche i fratelli Leonhart, gli amici di Kairi. E, guarda caso, avevano i suoi stessi orari di turni.
Lo aveva detto. Ce l’aveva fatta…o quasi.

- Maestla…Sola piange un’altla volta. -
- Oh, grazie dell’informazione Riku. Ora vediamo che si può fare. –
Davvero, quella mattina gli pareva di essere tornato all’asilo nido.
- Riku, Xion piange un’altra volta. -
- Oh, grazie dell’informazione Aqua. – Tono evidentemente ironico – Ora vediamo che si può fare. – alzò lo sguardo – Zexion, Xion sta piangendo! – urlò nella tromba delle scale.
- Io e Demyx invece siamo rimasti chiusi in bagno, guarda caso! Si è rotta la porta, non è che puoi venire ad aprirci? – gli rispose una voce soffocata dalla distanza e forse da qualcun altro.
Riku sentì qualcosa attraccarsi - no, non attaccarsi, proprio attraccarsi come una nave in porto- alle sue gambe.
- Oh Riku! – pianse Xion stesa sul pavimento – Mi avevi promesso che avremmo passato la domenica insieme! – Ma quando mai??? – E allora dove sei stato ieri?-.
“ Nella grotta sulla spiaggia a morirmi di freddo e fame, per sfuggire alla maniaca sessuale che abita sotto il mio tetto” – Ehm…impegni. –
- Oh, Riku! – Strillò quella. L’argenteo guardò Aqua in cerca di aiuto: niente! Quella tirchia se ne stava comodamente seduta sul divano leggendo una rivista e sorseggiando coca-cola.
Coca-cola? Alle sette di mattina?! Ecco perché era sempre così schizzata!
- Riku, vieni ad aprirci?- la voce di Demyx era squillante quasi quanto quella di Sora.
Già Sora…chissà se era sveglio.
Xion gli strinse ancora di più le gambe e Demyx ricominciò ad urlare.
Ok…ora basta. L’asilo nido si conclude qui.
Si liberò dalla presa della nera, afferrò la borsa con la divisa e uscì dal manicomio.

Zexion era seduto comodamente sulla tavoletta del water quando sentì il portone d’ingresso sbattere. Fu allora che cominciò ad avere paura.
Demyx, che fino a quel momento stava urlando e dando colpi alla porta si fermò improvvisamente e si voltò verso di lui. Con sguardo poco rassicurante. Molto, poco rassicurante.
- Zexion…- disse – la porta si è appena aperta e richiusa. -
- Ho sentito Demyx. – rispose mentre una vena cominciava a pulsare sulla sua fronte.
- Questo vuol dire che…?- chiese, senza riuscire a trattenere una nota di speranza.
- Sì Demyx. Questo vuol dire che siamo rinchiusi qua dentro. – rabbrividì e scattò in piedi mentre il biondo si avvicinava a lui.
La sua previsione era sbagliata. Gli rimanevamo meno di sei giorni di purezza. Molto meno di sei giorni di purezza.

Era stato la domenica peggiore della sua vita. Mai passato giorno più brutto.
E qualcosa gli diceva che quella non era il primo week-end rovinato dai suoi coinquilini.
Lo avrebbe dovuto capire già dal risveglio, quando era caduto dal letto guardandosi attorno e notando che, no, non c’era nessun quadro di quel Monùt nella sua stanza.
Osservando bene aveva capito che non c’erano quadri raffiguranti papaveri. E, osservando ancora meglio, si era accorto che nella sua stanza non c’erano proprio quadri.
Era appena risalito sul letto, pensando di tornare a dormire quando Terra aveva spalancato la porta, facendolo ricadere e urlare “Oddio, cosa ci fai tu qui?”.
Poi l’autista gli aveva ricordato la geniale idea di suo padre e si era calmato un pochino.
Ma non era stata solo la mattina: tutta la giornata era diventata una partita da nascondino con Terra, che aveva la pessima abitudine di raggiungerli, ovunque si trovassero Ven e Sora e di cominciare con domande, curioso come un bambino.
Sì, voleva bene a entrambi, ma quando Terra e Sora si mettevano a fare quei loro intelligentissimi discorsi sul “Perché il tizio del film ha i baffi” diventavano insopportabili.
Tanto da farlo rimanere quasi deluso quando, la notte dopo la domenica, la parte malvagia (ma non tanto) non si era presentata, lasciandolo solo, con il suo sonno senza sogni.
- Buongiorno ragazzi! – Terra entrò trillante nella stanza, come il mattino prima, già vestito e pronto per il lavoro. Ven si tirò le coperte fin sopra la testa: no, non poteva farsi vedere con quel ridicolo pigiama azzurro con gli orsetti.
- Allora: oggi volete venire con me a prendere l’autobus, o faccio il solito giro? –
Sentì Sora sbadigliare:
- Siamo ancora in pigiama. Ci vediamo più tardi. -
- Oh, certo. Ma vedi di svegliare quel dormiglione di tuo fratello, che oggi non ho intenzione di aspettarlo! – risero entrambi. Ven avrebbe voluto impiccarsi. E cosa veniva dopo la domenica peggiore della sua vita? Facile: la settimana peggiore della sua vita.

Riku stava ancora cercando un posto dove cambiarsi quando Zexion si calò dalla finestra, appeso a una corda di asciugamani.
- Stronzo. – fu la prima cosa che l’azzurro disse, dopo essere atterrato. Riku lo guardò interrogativo:
- Com’è andata? – chiese serio. L’altro tirò un sospiro di sollievo:
- Demyx ha fortunatamente deciso di fare prima una doccia. –
- Prima di cosa? – due occhi di ghiaccio lo trafissero. Si guardarono per alcuni minuti. Era un giardino piccolo ma curato: Tra la siepe verde, coperta ancora dalla brina, facevano capolino alcune rose rosse; il prato era stato falciato da poco e nel retro c’era anche una piccola altalena. Uguale ai giardini delle altre case di quella strada.
“Oh, te la farò pagare Riku! Eccome se te la farò pagare!”
- E ora che facciamo? – domandò l’argenteo guardando la borsa – Io ho bisogno di una doccia e devo pure cambiarmi. - Zexion sorrise malvagiamente:
- …Dove hai detto che abita Sora? –

Se n’era già andato quando Naminè si svegliò. Lei non si sorprese: non gli aveva rivolto la parola per tutto il finesettimana. Ma suo padre era fatto così: Era capace di tenergli il muso per un mese solo perché si era dimenticata di dire ciao.
Prese a lavare la caffettiera, osservando fuori dalla finestra: il sole non era ancora uscito del tutto, sebbene fossero le sette e mezza, lasciando ben nitidi i suoi raggi nel cielo azzurro scuro e tingendolo così di rosa.
La biondina si pentì di non essersi svegliata per dipingere l’alba. Sebbene l’avesse vista già vista alcune volte, la sensazione di pace che provava osservandola era sempre piacevole.
Lanciò un’occhiata al suo album sul tavolo: il professore di arte e immagine le avrebbe sicuramente messo un nove per come aveva raffigurato la teiera, il giorno prima.
Lei era andata al classico solo per non abbandonare i suoi unici amici, ma la sua vera passione era l’arte.
Voleva fare l’artista: dipingere era la sua felicità ma era una passione di famiglia.
Anche sua madre faceva la pittrice: la ricordava, confinata nel suo letto d’ospedale con il pennello in mano, mentre si spegneva lentamente come una candela nell’oscurità.
Questo aveva dato uno scopo alla sua vita.
Lei avrebbe realizzato il sogno che sua madre non era mai riuscita a realizzare.

Era la prima del giro. Abitava vicino alla scuola primaria da cui partiva lo scuolabus, per cui era la prima a salire.
E questo le aveva creato sempre un sacco di problemi perché non trovava assolutamente giusto che lei, Kairi Flames, figlia di ex conti, sorella a un famoso avvocato e a un laureato prematuro, e nipote a una professoressa, doveva essere pronta alle 7.45 in punto, mentre Riku e Sora potevano dormire tranquillamente fino alle 8.05. E non trovava neanche giusto che la sua adorata zietta partisse alle 7.30 da casa – un’ora prima del suono della campanella – solo per lasciarla a piedi. Che cattiva!
Guardò la sveglia 7.40: ci aveva messo dieci minuti solo per lavare i denti ed era ancora in pigiama.
Il gatto entrò pigramente nella stanza seguitò da un Axel a torso nudo che inviperito urlava “Stupido gatto, vorresti ridarmi i miei calzini?”. La rossa ridacchiò: lo aveva fatto anche con lei e Reno all’inizio.
- Buongiorno fratellone! – esclamò aprendo le ante dell’armadio per prendere la divisa. Axel afferrò il gatto e gli strappò i calzini da bocca.
- Questo coso è un demonio Kairi. Buongiorno anche a te. – e uscì dalla stanza.
Kairi andò il bagno canticchiando tranquillamente. Poi guardò l’orologio: 7.43. Cominciò ad urlare.

Sora guardò la lista dei turni delle docce. C’era qualcosa che non quadrava. La riguardò. Assolutamente.
Perché in una famiglia di tre persone, quattro contando anche Terra, lui era sceso in sesta posizione?
E perché Ven che aveva sempre fatto la doccia dopo di lui ora era quinto?
Passò velocemente tutta la lista. E infatti eccolo lì Terra, aveva fatto la doccia per primo ed era uscito. Poi c’era suo padre, ovvio, poi sua madre, poi Riku e Zexion, successivamente Ven…No, un attimo. Si fermò e tornò sopra: Riku e Zexion?
Perché il suo migliore amico (quello che lo aveva baciato, ma pur sempre il suo migliore amico) e il bibliotecario schizzato del paese stavano facendo la doccia nel suo bagno?
Sentì delle voci e accostò l’orecchio alla porta.
- Zex questa è l’idea più stupida che tu abbia mai avuto. – disse Riku.
- Neanche lasciarmi chiuso in bagno con Demyx era una bella cosa…e poi la signora è stata così gentile. –
- Non è carino origliare la mamma mentre è in bagno. – gli sussurrò Ven avvicinandosi con le loro divise in mano. Sora scosse la testa.
- Non c’è la mamma. – mormorò indicando la lista dei turni. Il biondo la lesse poi sgranò gli occhi.
- Qui sta succedendo qualcosa di molto strano. – affermò. – Perché Riku sta facendo la doccia nel nostro bagno? –
- Ah, non chiederlo a me! – ribatté Sora. In quel momento la porta si aprì.

Non si stupì quando uscendo dalla doccia Zexion non c’era più. Principalmente si sentì confuso vedendo che la porta era ancora chiusa. Poi Demyx trovò la corda di asciugamani alla finestra e pensò che Zexion doveva essere davvero ansioso di andare al lavoro se non aveva neppure il tempo di aspettare che lui uscisse.
Sospirando si asciugò e si rivestì lentamente e un oggetto dal cesto dei panni sporchi attirò la sua attenzione: era un libro. Lo prese e ne lesse il titolo: “Come liberarsi degli spasimanti e/o conquistare qualcuno”. Sicuramente era di Riku.
Un pensiero terribile gli attraversò la mente: e se era di Zexion? Questo voleva dire che ricambiava i suoi sentimenti…o voleva liberarsi di lui.
Doveva saperlo. Voleva trovare il modo per scoprirlo. E chi meglio di un Satana in gonnella e un altro in camicia poteva aiutarlo?
Prese il cellulare e digitò velocemente un numero:
- Ehm…ciao Ax. Senti io avrei un favore da chiederti…e chiama anche Larxene! -

- Te lo giuro Nami, è stato imbarazzante. – sussurrò Riku a Naminè, l’unica a sapere della sua cotta, mentre l’autobus si fermava per prendere un altro passeggero – Aprire la porta del bagno e trovarmelo davanti mi ha fatto quasi svenire. -
- Beh, ma dopotutto il bagno era il suo, no? – mormorò l’altra.
- Sì, però non credevo di trovarlo ad aspettarmi davanti alla porta…ero mezzo nudo e lui è arrossito, mentre Ven cominciava a blaterare roba tipo “Il bagno è nostro, dici a quello…” eccetera eccetera. – La biondina rise: - Sei così adorabile Riku. Ti comporti come Kairi quando è innamorata. – la nominata arrivò.
- Ti prego Nami dimmi che hai un pettine. – mormorò in lacrime – Mi sono svegliata in ritardo e non ho avuto nemmeno il tempo di pettinarmi. –
- I tuoi capelli stanno benissimo Ka. – la rassicurò – Mi chiedo perché tu ti preoccupi così tanto. –
- Ho sentito la zia dire che c’è un nuovo alunno. Non voglio fare brutta figura. –
- Cosa? Un nuovo alunno? – Sora arrivò trafelato e sorridente. Poi i suoi occhi incontrarono quelli di Riku ed entrambi abbassarono lo sguardo.
- Sì, mi pare così. Spero di non aver capito male. Comunque io sono tutta spettinata. – si lamentò la rossa.
- I tuoi capelli stanno bene così Ka. – ripeté Naminè. - Comunque credo che Selphie dovrebbe avere una spazzola. – aggiunse. Kairi la stritolò: - Grazie Nami, sei una vera amica. – e se ne andò.
Anche Sora tornò da suo fratello, che guardava assorto fuori.
- Hai sentito Ven? Forse avremo un nuovo compagno! – esclamò entusiasta. L’altro non rispose. Sora lo scosse. – Ven? – Il ragazzo sembrò risvegliarsi dallo stato di tranche:
- Scusa Sora. – mormorò – E’ che non mi sento tanto bene. –
Era vero: da quando era uscito di casa una strana sensazione gli attorcigliava lo stomaco e dava la nausea. Un brutto presentimento. Orribile. Stava per succedere qualcosa.

- Allora Dem: qual è l’urgentissimo problema per cui ci hai convocato qui? – chiese Axel ironico.
Lui, Demyx e Larxene erano rintanati nel retro del ristorante in cui lavoravano, già con le divise addosso.
- Questo. – rispose Demyx cacciando un grosso libro dalla borsa.
Larxene, fino a quel momento rimasta in disparte a rimirarsi le unghie dipinte di nero, alzò lo sguardo:
- “Come liberarsi degli spasimanti e/o conquistare qualcuno”. – lesse – E allora? – chiese annoiata.
- L’ho preso a casa di Zexion. – spiegò – Devo capire se gli serve per il primo scopo o per il secondo. –
Larxene borbottò un “Che cavolata” tornando dentro e Axel la seguì con un “ Bah, e io pensavo che chissà cosa era successo”.
- Aspettate! – esclamò Demyx afferrandoli – Non potete abbandonarmi così! – fece in lacrime.
- Dammi solo un motivo valido per aiutarti. – borbottò Larxene apatica.
- In terza elementare ti ho ritrovato la penna. – affermò.
- Che tu avevi perso. – ribatté Axel liberandosi dalla sua presa. Demyx ci pensò su e aggiunse:
- E al matrimonio di Elena e Reno, quando avete fatto i testimoni, vi ho ritrovato le fedi! – continuò.
- Che tu avevi fatto cadere nel gabinetto. – rispose Larxene. Si voltarono, lasciando Demyx sull’orlo di una crisi isterica.
- Oh, e va bene! – esclamò – Non vi ho mai aiutato, ma sono vostro amico. –
I due lo guardarono sconsolati. – DemDem – sospirò Axel alzando gli occhi al cielo – Sei proprio un caso disperato! –
- Il solito coglione. Mi chiedo come faresti senza di noi. – sbuffò Larxene.
- Questo vuol dire che mi aiuterete? – chiese speranzoso. La bionda cacciò un bloc-notes dalla tasca:
- E con questo sono centocinquantatre favori che ci devi. – concluse.

La notizia del nuovo alunno si era sparsa velocemente. Un borbottio generale aleggiava nella classe.
- Ho sentito dire che è carino! -
- Chissà se è fidanzato…-
- Secondo te sa giocare a baseball? –
Ven stava con la testa appoggiata al banco, pallido. La nausea si era trasformata in un terribile mal di testa e il cuore gli stringeva nel petto. I suoi amici gli stavano attorno, preoccupati.
- Fratellone, vuoi tornare a casa? – Sora gli accarezzò la testa, amorevolmente.
- Secondo me ha la febbre. – propose Naminè. Kairi gli toccò la fronte:
- No, non ce l’ha. –
- Silenzio! – urlò la professoressa Elena entrando. Si mise davanti alla cattedra.
- Non so se avete saputo…- cominciò in tono serio - …che avrete un nuovo compagno. –
Vide l’eccitazione negli occhi dei suoi alunni.
- Si è appena trasferito qui, purtroppo non permanentemente, da Rain Town. – abbassò la voce – Ed è il figlio di una delle persone più importanti del pianeta per cui mi raccomando fateci fare bella figura. – Strizzò l’occhiolino alla classe e rialzò la voce, in modo da farsi sentire anche fuori:
- E quindi fate un bell’applauso, al vostro nuovo compagno: Roxas Strife. –
Tutti si alzarono in piedi e fecero come detto, ma l’applauso si smorzò di botto quando il ragazzo entrò.
Capelli biondo grano, occhi color cielo, ma spenti; la pelle pallida, quasi grigia e un fisico talmente smunto da farlo sembrare un cadavere; portava sì la divisa, ma al posto dei bottoni vi erano degli zaffiri, la cravatta azzurra era di seta probabilmente e persino il pantalone blu, su quelle scarpe da tremila euro l’una – abbinate al Rolex che portava al polso- sembrava elegante; le mani infilate svogliatamente nelle tasche e un’espressione che sembrava dire “Nessuno di voi è degno di pulirmi i piedi” non lo facevano certo sembrare simpatico.
La classe si sedette, lasciando solo Roxas, la professoressa e Ven in piedi.
“Ma questo tizio io già lo conosco!” fu il pensiero di tutti e si voltarono verso Ven.
Ma lui non vide mai le loro facce interrogative, no. Era troppo occupato a morire mentre i suoi occhi diventavano quelli dell’altro.

Era lì. La sua copia malvagia-cadavere. Il tizio che voleva ucciderlo. Il suo incubo personale e la sua metà. Davanti ai suoi occhi.
Si sentiva strano. No, strano era un eufemismo. Sentì le loro anime congiungersi, lottare nell’aria e il sangue pulsargli nelle vene.
Avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto abbracciarlo, accarezzarlo, sbattergli la testa contro il muro e ucciderlo, tutto insieme.
Per un attimo s’immerse in quegli occhi spenti e vide la pioggia. Sentì le urla e avvertì le lacrime.
Si rese conto di quanto era fottutamente assurda quella situazione.
Oppure hai un gemello cattivo che vuole ucciderti.
Si rese conto di quanto la teoria di Aqua, quella presa per uno scherzo, era fottutamente esatta.
Oh, ma dopo la tua nascita Ven lui non ci volle più. E noi ce ne andammo e lo lasciammo lì da solo.
Si rese conto di quanto il resoconto di sua madre era fottutamente falso.
E allora? Cosa c’entrano questi due individui con noi? Chi sono?
Si rese conto di quanto l’altro era fottutamente bugiardo.
Sono molto più cattivo di quanto tu creda. Lo scoprirai molto presto.
Si rese conto di essere fottutamente fottuto.
Lo sentiva. Se ne rendeva conto. Roxas, il figlio di Cloud Strife, di cui parlavano in TV era lì davanti ai suoi occhi. Ed era il suo gemello.
La sensazione di incompletezza che provava da quando era nato sparì, lasciando il posto al vuoto totale.
Guardò di nuovo Roxas e ritrovò i suoi occhi spenti e bui.
Come la pioggia.

Sora guardò Ven, preoccupato. Lo vide tremare e vide delle lacrime uscire dai suoi occhi. Probabilmente non se ne rendeva neanche conto.
Fu allora che Sora capì.
Quello che aveva desiderato in tutti quegli anni era scalfire la bolla di vetro di Ven ed essere considerato il suo vero fratello.
Non ci sarebbe mai riuscito. Non era lui il vero fratello di Ven. Non era quello da cui Ven sarebbe andato se fosse stato triste. Non era quello con cui avrebbe giocato a play-station.
Capì che Ven lo aveva sempre saputo inconsciamente e per questo non era mai riuscito ad aprirsi a lui. Non era una questione di carattere, era una questione di sangue.
Beh, almeno non era arrivato prima.
“Grazie” pensò rivolto al destino “per averlo fatto arrivare solo adesso. Grazie per questi quindici anni.”
Poi si arrese. Non ci sarebbe mai riuscito.

Se prima pensava che la giornata fosse cominciata in modo pazzesco, in confronto a quello che stava succedendo non era nulla.
Ricapitolando: era tornato a casa dalla finestra, dopo aver passato la notte in una grotta. Poi aveva ascoltato le lamentele di sua cugina ed era uscito di casa in pigiama.
Poi suo cugino si era calato dalla finestra con una corda di asciugamani ed erano andati a fare la doccia in casa del ragazzo di cui era innamorato.
E in quel momento stava osservando una copia sputata della persona che odiava, solo più ricca e più pallida.
Non lo avrebbe sopportato. Sarebbe morto. Già un solo Ven era intollerabile, figuriamoci due.
Quindi anche le attenzioni di Sora verso il fratello sarebbero raddoppiate. E non lo avrebbe mai avuto.
Ed erano solo le 8.35. Riku si chiese se sarebbe arrivato a fine giornata, continuando di quel passo.
Un gemito attirò la sua attenzione. Vide Sora trattenere le lacrime.
Si ritrovò a pensare che forse qualcosa di buono nella situazione c’era: qualcuno avrebbe dovuto consolare Sora, no?
Poi si sentì terribilmente egoista.

Era un’abilità innata. Una cosa che aveva fin da piccola. Forse perché aveva un fratello avvocato, o forse perché aveva perso entrambi i genitori, però ci riusciva.
Kairi sapeva vedere l’aura delle persone e leggere la loro vera entità.
Aveva visto aure di tutti i tipi nei suoi quindici anni di vita.
Quella di Axel, bella e spensierata prima di partire, nera e straziata al ritorno.
Entità come quella di Naminè, fragile e pura, o come quella di Riku, pura sì, ma tormentata.
Quella di Sora, infantile e scherzosa eppure pensierosa.
Oppure Ven, un caso eccezionale: un’entità flebile, eterea, incompleta che andava e veniva a seconda dei momenti.
La cosa più strana che avesse visto…fino a quel momento.
Perché quando entrò Roxas per poco non cadde dalla sedia, dallo spavento.
Si sentì ceca. Non vide nulla se non quel ragazzo di porcellana. Niente.
Roxas era completamente vuoto.
Non seppe perché ma gli venne da pensare ad Axel.

Era lo sguardo più brutto che avesse mai visto. Non avrebbe mai dipinto una cosa così.
Naminè era spaventata…anzi no, era terrorizzata dal ragazzo nuovo.
Sebbene fosse uguale a Ven, era completamente diverso.
Perché Ven non avrebbe mai avuto quello sguardo.
Quegli occhi bui, che sembravano aver sopportato mille ingiustizie.
E la bocca serrata, come per trattenere terribili segreti.
Pioggia. Fu la prima cosa che gli venne in mente. Si ricordò di non averla mai dipinta perché pioveva il giorno in cui sua madre aveva chiuso gli occhi per sempre. Era stata anche l’ultima che aveva piovuto sulle Isole del Destino.
Eppure in quel momento gli venne voglia di prendere un foglio e disegnare l’acqua cadere sulle vie e ricoprire tutto.
Perché sebbene Roxas la spaventasse a morte lo sentì maledettamente simile a lei e alla pioggia.

Eccolo lì. Quel figlio di puttana del suo gemello. Era lì, a qualche metro da lui che tremava e piangeva, scandalizzato.
Beh, di certo Roxas non si aspettava che urlasse “Fratello mio, ti ho ritrovato!” abbracciandolo, ma un po’ più di tatto non avrebbe guastato.
Quando era entrato, aveva creduto di scomparire: di riunirsi all’altro come un’ombra. Si era sentito libero per una frazione di secondo e poi i suoi problemi erano tornati a gravare su di lui, insieme con quelli dell’altro. Tsk, giustamente quelli che aveva di suo non bastavano.
Ma sì, aggiungiamo altro a Roxas tanto non basta tutto quello che ha passato!
Eppure Ven continuava a brillare, sebbene piangesse e tremasse. Continuava a essere luminoso e puro.
Come il sole.

“Professoressa, ma quello è uguale a Ven!” aveva urlato qualcuno che doveva avere un intelletto superiore.
“Ma che acuta osservazione!” aveva risposto ironico qualcun altro.
“Io ho visto suo padre in TV!”Selphie era saltata in piedi, convinta di riuscire a spezzare la tensione con la sua frase.
Elena aveva ignorato tutti, sebbene anche sul suo volto comparisse un’espressione scioccata dalla situazione.
- Allora Roxas: parli la nostra lingua? – chiese apprensiva. Il ragazzo accanto a lei non si voltò.
- Perfettamente. – si limitò a dire, non sforzandosi per nulla di celare l’accento sopraffino. La sua voce era di ghiaccio. Elena sorrise:
- Bene. Vuoi dirci qualcosa di te? – Roxas scosse la testa.
- Allora puoi andarti a sedere, lì al primo banco. – il biondo fece come gli era stato detto.
La professoressa stava per scrivere prendendo il registro quando si accorse di un ragazzo in piedi, all’ultimo banco, con un’espressione terrorizzata sul volto.
- Qualcosa non va Ven? – domandò. Quello sussultò.
- Professoressa, quel tizio vuole uccidermi. - affermò asciugandosi le lacrime.
- Suvvia signorino Leonhart, non dire sciocchezze! – lo rimproverò. Ecco, quando la professoressa li chiamava per cognome, voleva dire che era arrabbiata. – Ora cominciamo a fare l’appello che abbiamo già perso un sacco di tempo. Aoi Riku. –
- Presente. –

La biblioteca era un luogo polveroso, antico. Non molto grande, reduce da un progetto di ampliamento andato in rovina a causa di mancanza di fondi, gli mancava mezza parete sostituita da un grande finestrone in vetro colorato che la faceva somigliare più a una chiesa.
Non era molto famosa, e neppure molto frequentata, se non dal bibliotecario e dalla ditta di pulizie che una volta al mese toglieva le coperte di polvere. E dagli alunni quando i professori assegnavano le ricerche.
Vi erano quattro scaffali, con i libri –aggiornati mensilmente- disposti in ordine alfabetico, che occupavano quasi tutto il pian terreno e una grande gradinata che conduceva al piano superiore, con i tavoli.
- Allora, secondo voi gli piaccio? – sussurrò Demyx nascosto da dietro lo scaffale “A-F”.
- E sta calmo! Siamo qui da solo tre minuti! – lo rimproverò Axel da dietro “F-M ” spiando il bibliotecario. Zexion stava registrando i nuovi libri che erano arrivati alzando ogni tanto lo sguardo in cerca dei tre tizi che erano entrati correndo e senza neanche salutare.
- Ma poi posso chiedervi una cosa? – fece Larxene seduta comodamente a un tavolo sfogliando distrattamente la biografia del “Marchese De Sade” – Come pretendete di sapere quello che prova guardandolo battere al computer? –
Axel e Demyx si guardarono in faccia, senza proferire parola. Larxene ridacchiò.
- Dobbiamo adottare una strategia. - affermò il rosso sedendosi. L’altro annuì.
- Potremmo far cadere a terra il libro che ho preso dal suo bagno e magari lui raccogliendolo dirà “Ah, questo è quello che ho comprato per conquistare Demyx”. – propose.
- Oppure magari dirà “Perché il mio libro è arrivato qua tramite Demyx? Chi gli ha dato il permesso?” –
Il biondo abbassò lo sguardo, offeso.
- Invece potresti baciarlo e vedere la sua reazione. – continuò Axel.
- E se non gli piaccio? Mi considererà un maniaco! – ribatté.
- Oh, Dem, ma lui ti considera già un maniaco! – sghignazzò Larxene. – Perché invece non glielo chiedi e la fai finita? Se dice Sì bene, se dice no, pazienza! – suggerì.
Il biondo rimase allibito: perché Larxene la faceva sempre così semplice? Non pensava che se fosse stato possibile lui ci sarebbe già andato? Erano tanti i motivi per cui non poteva.
Per esempio…per esempio…
- O cacchio. – mormorò – Perché non ci ho pensato io? -
- Perché sei stupido. – rispose Axel alzandosi.
Il suono dello scacciapensieri appeso alla porta attirò la loro attenzione.
Un uomo entrò: era alto, abbronzato, vestito elegantemente e con i capelli grigi.
Appena lo videro un’espressione di puro terrore comparve sulle facce di Axel e Larxene che corsero dietro lo scaffale più largo, trascinandosi dietro Demyx.
- Perché vi nascondete? Non vedete che è Xemnas? -
- Appunto perché è Xemnas ci nascondiamo. – sussurrò il rosso accovacciato.
- Non capisco. – tagliò corto.
- Sai che novità. – borbottò Larxene ironica spiando Xemnas che intanto si era avvicinato a Zexion.
- Xemnas è il nostro capo. – spiegò Axel pazientemente – Noi in questo momento dovremmo essere al lavoro. –
- Ah…è allora?-
- Allora se ci vede ci licenzia in tronco. – Demyx si tappò la bocca per non urlare e sbarrò gli occhi.
- Appunto. –
Zexion uscì dalla postazione, e si diresse verso gli scaffali, seguito a ruota da Xemnas.
- Oddio, stanno venendo verso di noi! – esclamò il biondo.
- Questo lo vedo idiota. – Larxene cominciò a maneggiare con il tacco della scarpa nera, fino a spezzarlo.
- Larxy, che stai facendo? – chiese Axel.
- Ci salvo la vita e la carriera. Al mio via correte. – si guardò sospettosamente attorno.
Poi lanciò il tacco verso l’altro capo della sala. Zexion e Xemnas accorsero a vedere la causa del rumore, mentre, la bionda tirò uno scappellotto a Demyx – il segnale era quello- e sgattaiolarono, molto rumorosamente, fuori.
- Le scarpe me le dovete ripagare. – sentenziò con il fiatone.
- Quanto costeranno…50 munny? – domandò Axel appoggiandosi al muro. Lei lo fulminò con lo sguardo:
- Me le ha regalate Aqua. Diciamo pure che costano 1000. –
E Demyx pensò che forse, quasi sicuramente, essere licenziati sarebbe stato meglio.

Non era il primo alunno nuovo che arrivava. Tidus si era trasferito l’anno prima e già dal primo minuto tutti lo avevano trovato molto simpatico perché sorrideva sempre e, già dalla prima ora chiacchierava, faceva battute e non ascoltava. Un ragazzo normale, insomma.
Con Roxas era stato il contrario. Nessuno aveva osato avvicinarlo. Quel ragazzo metteva un timore reverenziale, quasi ossequioso. Se ne stava lì, con le gambe accavallate ed ascoltava la lezione prendendo ogni tanto appunti. Se non fosse stato per il movimento delle braccia e della testa ogni tanto, sarebbe potuto essere scambiato per un morto.
Eppure Ven non ci era riuscito. Anche se la sensazione di vuoto era sparita e lui si era sentito finalmente pieno, come aveva sempre desiderato, la cosa non gli piaceva. Sentiva suo stato di pienezza terribilmente ingiusto e per tutta la durata delle lezioni non era riuscito a staccare gli occhi da quella testolina bionda, così simile alla sua, seduta al primo banco.
Neppure quando la professoressa aveva fatto il fatale errore di chiedere “ Roxas, tu sai di cosa stiamo parlando?” e lui l’aveva ridotta quasi in lacrime con frasi del tipo “Ovvio, ho fatto queste cose l’anno scorso. Voi dei paesi piccoli siete tutti terribilmente indietro con i programmi perché vi dispiace bocciare il figlio della vicina, il nipote…”.
Neppure quando Kairi gli aveva passato un biglietto con scritto “Cioè, si sapeva che era ricco. C’era proprio bisogno di vestirsi da principe?” aveva risposto perché sentiva che, in un certo senso, non sarebbe stato giusto.
Roxas era un genio, questo lo aveva capito. Un genio e un bastardo, ma probabilmente se non fosse stato così intelligente, la sua malvagità sarebbe calata parecchio.
Quando la campanella della mensa suonò lui aveva appena finito di rimproverare il professore di matematica su non sapeva più che cosa, e Ven stava cercando un modo per districarsi dall’assurda situazione. Perciò gli girò la testa quando si ritrovò l’intera classe – ignara del fatto che lui e Sora erano solo fratellastri- a chiedergli “Cioè, ma tu lo sapevi?”, “Ma siete praticamente identici! Com’è potuto succedere?”, oppure “Quindi lui non è davvero figlio a Strife.”
Fortuna che ci pensarono Sora e Riku con la loro popolarità a risolvere la situazione:
- Suvvia, lasciate in pace Ven, un giorno vi spiegherà tutto! – urlò Sora mentre Riku faceva segno di andare. La folla si diradò e Ven si accorse che il banco di Roxas era vuoto.
- Ma dov’è finito? – chiese Naminè guardandosi attorno.
- Sarà in bagno. – fece Kairi guardando fuori dalla finestra. Non sapeva il perché di tutto quel casino. A lei non interessava minimante Roxas.
Ven si alzò in piedi intontito: - Io vado a parlarci. – sussurrò. Sora lo trattenne:
- No, ti prego Ven. Quel ragazzo mi fa paura. - il biondo si liberò e borbottando un “ Devo farlo, non metterti in mezzo” si avviò verso quello che probabilmente sarebbe stato il luogo della sua morte.

Non ce la faceva. Vederlo lì, con la testa appoggiata al banco, preoccupato per qualcuno che neanche lo considerava, gli faceva male.
Riku scosse lentamente Sora, che lo guardò con occhi lucidi.
- Io non sono suo fratello. Gli voglio tanto bene, ma non sono suo fratello. – mormorò senza spostarsi. Riku avrebbe voluto abbracciarlo, ma non lo fece perché sarebbe sembrato un gesto ambiguo…e lui ci teneva alla sua reputazione.
- Roxas me lo porterà via. So che non è mai stato mio, ma lui me lo porterà via definitivamente. – ora cominciava a divagare.
- Ehi…- gli sussurrò all’orecchio – tuo fratello è idiota, ma non tanto da non capire chi gli è stato vicino in tutti questi anni. Sono certo che anche lui ti vuole bene. – Sora alzò il capo, ma non sembrava ancora del tutto convinto. Riku si pentì di quello delle sue parole, ancor prima di averle dette:
- E poi noi che dobbiamo fare, se non proteggere tuo fratello da quello psicopatico? –

Il corridoio era stranamente silenzioso quel giorno. Di solito era pieno di ragazzi che cercavano riparo da quelle torture chiamate lezioni, ma quel giorno non c’era quasi nessuno.
Si aspettava di trovare i bagni pullulanti di adolescenti e si sorprese quando arrivò e solo una ragazza stava davanti alla porta.
Aveva i capelli neri a caschetto, la divisa in perfetto ordine e un cartellino con scritto I C appuntato al petto. La sua espressione era assente.
- Tutto bene Xion? – chiese cortesemente Ven. Lei sobbalzò e indietreggiò un pochino. Reazione normalissima. Sebbene avesse la stessa età di Sora – erano pure nati lo stesso giorno-, era molto timida (tranne quando si trattava di Riku, allora la sua timidezza spariva completamente) e ogni volta che qualcuno più grande le parlava lei scappava sussurrando “Oddio, un ragazzo più grande mi ha salutato”.
- Cosa c’è che non va?- continuò Ven. La ragazza si aggiustò il fermaglio a forma di fiore che portava tra i capelli:
- T-tu…- balbettò – sei entrato nel bagno poco fa. E mi hai chiesto di non far entrare nessuno! – esclamò confusa. Ven rimase dapprima stupito. Poi capì.
- Roxas. – disse entrando nel bagno maschile.

Sora lo aveva abbracciato.
Con uno slancio gli era saltato al collo, quasi piangendo. E Riku era rimasto lì, imbambolato e terribilmente imbarazzato, mentre i suoi compagni li guardavano borbottando.
Qualche ragazza, come Kairi o Naminè, aveva anche lanciato gridolini emozionati.
Fan girl. Sapeva cosa voleva dire quella situazione, le sue amiche glielo avevano spiegato.
Essere adocchiati dalle fan girls voleva dire persecuzione, tentativi di farli baciare, disegni sconci su di loro.
Presto la notizia si sarebbe sparsa e tutta la scuola avrebbe pensato che lui e Sora stavano insieme.
Xion lo avrebbe ucciso.
La squadra di basket lo avrebbe deriso a vita.
I professori lo avrebbero guardato schifati.
Sora non pareva essersene accorto e continuava a stritolarlo nella sua morsa adorabile, sussurrando “Grazie, grazie Riku.”
Essere adocchiati dalle fan girls voleva dire l’inizio dell’inferno.

Una nuvola di fumo lo accolse quando entrò. Ven cominciò a tossire e solo dopo qualche secondo vide il ragazzo che appoggiato al muro, vicino alla finestra tirava lunghe boccate a una sigaretta dai contorni dorati.
I bagni del secondo piano erano i peggiori di tutto l’istituto: le porte, un tempo verdi, erano ricoperte di scritte indecifrabili, stesso discorso per i muri; servizi e lavandini erano costantemente sporchi e figurarsi poi se funzionava qualcosa.
Roxas lo squadrò da capo a piedi prima di tirare un’altra boccata.
Ven deglutì:
- Non si fuma a scuola. - fu l’unica cosa che riuscì a dire. L’altro soffiò:
- Ho i soldi. Posso fare quello che voglio. – affermò deciso.
- Oh, no, qui non funziona così. Qui i tuoi soldi non comprano nulla. – ribatté con coraggio. Roxas rise freddamente. Ven deglutì di nuovo: come poteva quel tizio avere una qualsiasi parentela con lui?
- Cioè…- cominciò – Ehm, voglio dire, sai…-
- Vai dritto al sodo. – lo fissò con sguardo impenetrabile – il cannibalismo non è ancora diventato una delle mie attività preferite. – e se quella era una battuta Ven non la capì.
- Noi due siamo davvero gemelli? –chiese in un soffio. Roxas gli rise in faccia, di nuovo:
- Oh, ma certo che no! Quindici anni fa Cloud ha deciso di fare une chose à trois con Aerith e la sua gemella segreta mettendole casualmente entrambe incinte. –
Per qualche strano motivo Ven ebbe la sensazione di essere preso in giro.
– Quella ragazza è così idiota. Le avevo detto di non far entrare nessuno. – borbottò guardando fuori.
- Lascia in pace Xion. – ringhiò Ven. Roxas lo guardò stranito:
- Perché? E’ la tua ragazza? – chiese – No, pardon. A te piace Terra. – Ven arrossì visibilmente.
- Che ne sai? – domandò imbarazzato.
- Io so tutto di te. So come renderti felice e come distruggerti. So chi ami e chi odi, le materie in cui vai bene e quelle in cui vai male. So di ogni singola gara di corsa campestre che hai vinto e di tutte le competizioni a cui hai partecipato. Non ho perso un momento della tua vita. – si fermò e fece un altro tiro.
- E perché? – chiese l’altro. Lo odiava. Odiava quel suo accento elegante e quel tono di superiorità.
- I sogni. – mormorò – Sognavo Sora, Squall e gli altri ogni notte. E poi ho i miei informatori. Te l’ho detto: i soldi fanno tutto. Con la mia paghetta mantenevo un investigatore privato. –
Un brivido percorse la schiena di Ven: sapere che per tutti quegli anni era stato spiato e non si era accorto di niente, lo inquietava e non poco.
- Tu come l’hai saputo? – gli domandò Roxas.
- Sapere cosa? –
- Che non sei il figlio di Squall. Lo sapevi o l’hai scoperto oggi? –
Ven scosse la testa: - Non sapevo della tua esistenza e a chi ero figlio, ma sapevo che io e Sora eravamo solo fratellastri. – il tono di sufficienza con cui aveva detto ‘solo’ stupì anche lui. Roxas non poteva cambiare le cose in quel modo. Lui e Sora erano fratelli da una vita. – Avevo dieci anni quando una sera litigai con papà e lui me lo disse…-.

- Ma chi ti dà retta, che non sei neanche figlio mio! – Squall aveva urlato, lasciando Ven e Sora con gli occhi spalancati.
- Come scusa? – aveva chiesto il biondino scettico.
- Hai sentito bene, tu non sei mio figlio. Tu e tua madre arrivaste qui quando eri piccolo. Non sono io quell’idiota che ti ha fatto venire al mondo. –
- Bugiardo! – aveva urlato Ven tappandosi le orecchie – Non voglio ascoltarti, bugiardo!- e aveva cominciato a piangere, con Sora che cercava di consolarlo.
Quando Aerith era tornata e aveva trovato i suoi figli che piangevano (perché Sora imitava sempre il fratello) e suo marito le aveva detto “Scusa, mi ha fatto perdere la pazienza, mi è scappato.” il dolore della sera in cui era arrivata le era tornato negli occhi ed era stata costretta a spiegare tutto.
- Noi non abitavamo qui, tesoro. Abitavamo a Rain Town che spesso senti in televisione. La mamma stava con un bell’uomo che faceva una bella vita, e da cui rimase incinta di te. Prevedevamo di sposarci dopo la tua nascita ed eravamo felici.
Oh, ma dopo la tua nascita Ven lui non ci volle più. Voleva continuare ad avere molte donne e molti vizi e non poteva perché noi lo impegnavamo con dei patti. E noi ce ne andammo, tesoro, e lo lasciammo lì da solo con i suoi vizi.
Però lui non è tuo padre. Il tuo papà è Leon, quello che ti ha cresciuto e che ti vuole tanto bene, e il tuo unico fratellino è Sora. Noi siamo la tua famiglia. –

- Quante palle. – borbottò Roxas spegnendo la sigaretta ormai finita – Non c’è una parola vera in quel discorso. –
- E tu? – chiese Ven – Come l’hai scoperto? – L’altro sbuffò.
- Cloud. Mi chiamava un giorno Roxas e l’altro Ven. E poi la servitù canta come un uccellino sotto minaccia. – Ven non notò che per indicare suo padre usava il nome.
Se ne accorse solo qualche secondo dopo, quando la campanella che indicava la fine della mensa suonò e Roxas uscì mormorando “Ci vediamo in classe…fratellino.”

Posizionò le ultime cose sugli scaffali: quel garage non era tanto male e la convivenza con l’utilitaria era migliore di quella con Aqua. Era meno tirchia.
Menomale che Squall, il suo vecchio amico, lo aveva aiutato oppure sarebbe finito sul lastrico.
Perché Aqua, quando quei tizi avevano bussato alla porta dicendo “Siamo della compagnia Strife. Il capo vorrebbe affittare questa casa per mille munny a settimana, a tempo indeterminato” non aveva saputo dire di no, e aveva fatto le valigie e se n’era andata, pensando già a tutti quei soldi che avrebbe ricevuto.
E lui si era ritrovato a dormire in un garage…sì, era il garage di Ven, ma pur sempre un garage.
Sarebbe stato difficile…trattenersi vivendo sotto lo stesso tetto. Aveva bisogno del doppio dell’attenzione e del doppio dell’autocontrollo.
In fondo un lato positivo in quella storia c’era.
- Buongiorno Terra. – la voce di Aqua arrivò nitida alle sue orecchie. – Hai bisogno di consulenza? - Terra annuì porgendo all’altra una sedia. Sapeva che quella chiacchierata gli sarebbe costata una fortuna.

Che bel tipetto quel Ven.
Era così buono, gentile, amorevole ed educato con tutti.
Gli dava la nausea.
Tutto in quel posto gli dava la nausea: il cielo, il sole, il mare e le persone.
Tutto troppo luminoso per un’anima scura come la sua, che era cresciuta sotto la pioggia, dove l’unico amore che aveva ricevuto era quello delle ragazzine innamorate di lui.
Era un talento, sapeva di esserlo.
Quel giorno tutti e cinque i professori che conobbe rimasero esterrefatti dalla sua bravura, tranne il professore di motoria, giacché lui in educazione fisica era negato, anche se giocava a golf, cricket e polo (ma quelli li faceva perchè erano sport da ricchi) ma era così bravo a falsificare la firma di suo padre che le giustifiche erano un gioco da ragazzi per lui.
Invece Ven era il contrario: in classe completamente assente (forse perché c’era lui o forse perché era sempre così), ma in palestra era il migliore.
E il prof. lo adorava con tutti quei “Complimenti, agile come al solito”, “Sono certo che vincerai anche quest’anno ai campionati”.
Gli dava la nausea pure lui…fortuna che l’ora di motoria stava per finire.
Roxas continuò a fissare Ven fare l’ennesimo giro del campo, poi si accorse che due ragazze lo guardavano e bisbigliavano.
Le fulminò con lo sguardo, e una per poco non scoppiò a piangere.
Sorrise: con le sue capacità ci avrebbe messo pochissimo a vendicarsi.

- Ven, non vorrei allarmarti ma quel tizio ti ha fissato per tutta l’ora. – Riku gli passò un asciugamano mentre gli spogliatoi maschili si affollavano lentamente. Il biondo aveva ancora il fiatone: fortuna che era l’ultima ora.
- Forse lo stava solo ammirando per la sua bravura. – ipotizzò Sora.
- Non credo. – ribatté l’argenteo, mentre Ven entrava velocemente sotto la doccia – Aveva uno sguardo malvagio. – continuò.
- Ma da quello che ho capito, lui ha sempre quell’espressione. – intervenne mentre l’acqua gli scorreva addosso.
- Cioè, ma tu ci pensi! – la faccia di Tidus si insinuò nella sua doccia. Ven arrossì e gli tirò uno schiaffo – Esci subito da qui, Tid! – urlò. Quello ritirò la testa massaggiandosi la guancia. Riku e Sora ridacchiavano.
- Intendo…- cominciò Tidus – Ci pensi che se tu potevi essere straricco come quello? Non so cosa è successo, però se lui è ricco e tu sei uguale a lui…no? – Ormai erano abituati alle frasi sconnesse e illogiche di Tidus.
- Il tuo ragionamento non fa una piega. – borbottò Riku ironico.
- Tidus potresti lasciare in pace mio fratello? – chiese Sora cortesemente. Quello se ne andò offeso. Ven avrebbe voluto quasi affogare: l’acqua che gli scorreva addosso era una sensazione liberatoria, ma non abbastanza per distogliere i suoi pensieri dalla calamità chiamata Roxas.
- So, io ho riflettuto molto…- fece il biondino mentre il rumore dell’acqua si affievoliva –… e ho ricostruito un po’ la storia. – Ven uscì dalla doccia con un asciugamano legata in vita – Se è vero che mamma prima stava con Cloud…e che io e Roxas siamo gemelli…- cominciò ad infilare la divisa per il lavoro.
- Allora perché…- si bloccò e si asciugò i capelli.
- Perché? – incitò Sora. Ven scosse la testa: - Niente, lascia stare. E’ meglio che ne parli con lui. – e uscì lasciando Sora e Riku da soli.
- Lo vedi? – mormorò il moretto -…si sta già allontanando da me. –
- Non preoccuparti, lo riporteremo indietro. – lo rassicurò Riku dandogli una pacca sulla spalla.
- Non chiedo tanto. Voglio solo riavere mio fratello. – raggiunse Ven nel cortile.
- Ed io voglio solo che tu…ah, lasciamo stare. – sbuffò l’argenteo. Poi gli corse dietro, come faceva da una vita.

C’era tensione nell’aria. Tanta, tanta tensione palpabile.
I loro sospiri s’intrecciavano mentre sapevano che la loro vita era appesa a un filo molto sottile.
La persona seduta alla scrivania di fronte alla loro poggiò la penna che apriva e chiudeva da quando erano entrati, e appoggiò i gomiti alla scrivania unendo le mani in un mezzo pugno.
“Somiglia al tizio ricco dei Simpson” si ritrovò a pensare Demyx mentre lanciava uno sguardo preoccupato ad Axel.
L’avevano capito sin da quando Xaldin si era affacciato al bar urlando “Flames, Mizu e Sade, Xemnas vi vuole nel suo ufficio” che era per quello.
- Allora…- cominciò guardandoli severo – Per quale motivo ben tre persone mi hanno confermato che stamattina dalle 9.00 alle 11.00 eravate irreperibili? -
La tensione salì. Demyx cominciò a sudare freddo quando lo sguardo del capo si posò su di lui.
- Oh…Ehm…Beh…Ecco…Vede…- balbettò confuso. Poi si ricordò del film della sera prima: - Un robot gigante di nome Optimus Prime ci ha rapito per salvare la città! – affermò tutto d’un fiato. Vide Axel imprecare sottovoce e Larxene roteare gli occhi.
- Ah sì? E da chi? No, aspetta, fammi indovinare. Da un altro robot gigante ma malvagio chiamato Megatron? – chiese Xemnas.
- Esattamente! – esclamò Dem – Allora ci ha visto! –
- Dem, ti sta prendendo in giro. – informò Axel.
- Ah. – il biondo abbassò lo sguardo deluso. Xemnas sorrise.
- Ora dovrei licenziare tutti e tre in tronco ma visto che oggi mi sento particolarmente buono vi assegno solo un turno doppio…per una settimana. Tra poco arrivano i fratelli Leonhart, potete anche dirgli che hanno una settimana di permesso. E ora fuori! – indicò la porta.
- Beh, non è andata poi tanto male. – mormorò Demyx una volta fuori. Quattro occhi inviperiti si posarono su di lui.
- Ax ricordami di non aiutare mai più Demyx. – borbottò Larxene.
- Contaci. –

Roxas non aveva mai visto il mare. Di solito l’estate la passava tra i libri e la piscina di casa sua, oppure in uno dei parchi acquatici di suo padre.
Aveva vasche idromassaggio, scivoli d’acqua e tante, tante piscine, per cui non aveva mai sentito la mancanza di quella roba salata e sporca.
Eppure, vedendolo in quel momento, dal finestrino della limousine, scintillare sotto la luce del sole mentre le onde si perdevano sulla spiaggia non poteva fare a meno di pensare che cosa si era perso in tutti quegli anni.
Però il mare era bello solo da guardare, non si sarebbe mai sognato di fare il bagno in quell’acqua così volgare e plebea.
- Allora, com’è andata nella nuova scuola? Compagni simpatici? - chiese Marluxia dal volante.
Roxas abbassò lo sguardo:
- Oh, come no. Quanto quelli della vecchia, gli adolescenti sono tutti ugualmente stupidi. - rispose in tono superiore. Marluxia gli lanciò un’occhiataccia:
- Roxas non muori se ti fai qualche amico. Magari potrebbe far bene al tuo umore – “E al tuo carattere di merda” pensò.
- Il mio umore è sempre perfetto, Marluxia. Gli altri non sono alla mia altezza. – guardò fuori con disinteresse.
Sì, il mare era carino, ma niente era paragonabile alla pioggia.

- Nami cara, mi passi l’acqua per favore? - Naminè sorrise e passò la brocca a Elena, sotto gli occhi inorriditi di Kairi.
Guardare quelle due pranzare insieme era peggio che guardare suo fratello e la professoressa imboccarsi a vicenda.
Perché Elena era così orgogliosa di Naminè che metteva in pratica tutti i suoi insegnamenti, e Naminè era così in ammirazione per la sua professoressa preferita, che ai suoi occhi era senza alcun difetto.
- Zia, vorrei ricordarti che quella è la mia migliore amica, non la tua. - disse mettendosi in bocca un pezzo di frittata. Quel giorno i suoi fratelli non c’erano. E quella disgraziata della sua zietta, al contrario di Axel e Reno che in cucina erano dei maghi, non sapeva cuocere altro che uova. In ogni modo e in ogni forma. Sarebbe diventata una gallina a furia di mangiare quella roba.
- Suvvia Kairi, non essere gelosa. Dovresti prendere esempio da Naminè, invece che da quegli svogliati dei tuoi amici. – La bionda sorrise timidamente. Kairi strinse i denti e gliene avrebbe urlato di tutti i colori se il telefono non avesse squillato.
Elena si alzò e corse in cucina.
- Non capisco perché odi tanto la professoressa. – sussurrò Naminè – E’ così simpatica. -
Kairi la fulminò con lo sguardo. – Il fatto che tu hai dieci in tutte le sue materie influisce altamente sul tuo giudizio. –
- Non è vero. - ribatté l’altra – De gustibus non disputandum est. – affermò in tono solenne.
- Bravissima signorina Bird. – applaudì Elena arrivando dalla cucina – Reno farà tardi e Larxene mi ha detto che lei e Axel hanno il doppio turno. Per cui stasera sarà una serata tra donne! – rise accompagnata da Naminè.
Kairi si pentì di aver invitato Naminè a dormire.
Poi capì che quella sarebbe stata la serata più orribile della sua vita.

“Se l’inferno è davvero così…beh, non biasimo le persone che fanno di tutto per non andarci. Ma se è anche solo un po’ meno orribile di questo giorno, allora per favore, voglio morire”.
A questo pensava Riku mentre l’autobus imboccava una traversa, per accompagnare l’ennesimo alunno.
Tutto il tragitto era stato un inferno: ragazzine che lo guardavano e ridevano, bigliettini con scritto “Congratulazioni” oppure “Peccato…eri così carino. E’ proprio vero che l’uomo perfetto o è impegnato o è gay…tu sei tutt’e due.”.
E il capitano della sua squadra gli aveva detto “Mi spiace Riku. Noi pensavamo che fossi un duro, non una checchetta”.
Orribile. Quell’abbraccio gli aveva scavato la tomba.
- Tutto bene, cuginetto? – Aqua gli si avvicinò con sguardo premuroso.
- No. – rispose secco guardando fuori. L’altra gli si sedette accanto:
- Cosa c’è che non va? – chiese. Meglio non parlare con quella. Si sarebbe ritrovato del tutto scombussolato e senza un soldo in tasca.
Aqua, vedendo l’indifferenza dell’altro, sorrise sadicamente e prese il cellulare:
- Pronto sorellina? Sai chi ho qui? – Riku si girò terrorizzato. – E’ Xion. Dice di voler parlare con te. –
- Stronza. – borbottò, prima di prendere in mano lo strumento del diavolo. – Pronto? -
- OH RIKU! – l’urlo, rotto dal pianto, per poco non gli fracassò i timpani – Come hai potuto farmi questo? Come? Con quale cuore? Sto strappando tutte le nostre foto insieme! – Continuò a urlare. E Riku non si chiese come faceva ad arrivare sempre a casa prima di lui, anche se andavano nella stessa scuola e neppure quali foto, visto che lui non ne aveva memoria, e neppure provò a consolarla perché, sapeva, sarebbe stato tutto inutile.
Semplicemente chiuse il telefono e informò l’autista che non sarebbe sceso a casa.

Oh certo, a lui non mancava nulla.
NON gli bastava il gemello cattivo che voleva…ucciderlo forse?
E NON si accontentava di essere innamorato di un venticinquenne che viveva a casa sua, ma non lo guardava neanche di striscio.
NON lo soddisfaceva che il suo fratellastro lo assillasse e che il migliore amico del suo fratellastro lo odiava per il motivo citato.
Ovvio, Ven non si faceva mancare proprio nulla. Non si era risparmiato neanche pazzo che si prendeva gioco di lui ogni sacrosantissimo minuto in cui erano insieme.
Ma era la persona più sfortunata della terra, o solo una calamita per le disgrazie?
- Cenerentola, c’è ancora una macchia su quel piatto! - Ven strinse i denti. Doveva ignorarlo. Essere ignorato lo avrebbe fatto stancare, no?
- Guarda. E’ proprio lì. – un dito lungo e affusolato arrivò sul piatto che stava lavando. Lo lasciò andare nel lavandino e si voltò di scatto.
- Non hai nessun altro da torturare, Axel? – domandò spazientito.
- Demyx è al bar, con dei clienti. Tuo fratello sta servendo ai tavoli – cosa che dovrei fare anch’io, ma questo non conta – e non voglio morire giovane infastidendo Larxene. Ma torna al lavoro Cinderella! – lo girò verso il lavandino.
Ven sbuffò prendendo la spugna. Conosceva Kairi da una vita e di conseguenza il suo primo incontro con Axel era stato al sesto compleanno della bambina, quando, con Sora avevano fatto scoppiare un palloncino pieno di coca-cola in testa a Riku.
Il biondo sorrise a quel ricordo: quando Axel era normale – per quanto un tizio con dei capelli rossi che sfidano ogni legge fisica e con la mania di bruciare le cose possa essere definito ‘normale’- era quasi divertente.
Ma probabilmente la laurea (conseguita un anno prima del normale per ragioni che nessuno aveva capito) doveva avergli dato alla testa, perché da quando era tornato a Natale sembrava aver paura di tutto e tutti e si era fissato con lui: lo prendeva in giro per ogni singolo motivo, dall’altezza all’accento e non perdeva l’occasione per giocargli uno scherzo.
Mah, chi lo capiva quel piromane!

Quella giornata era stata strana. No, strana era un eufemismo. Quel giorno era stato del tutto astruso.
Per cominciare il bel dì era rimasto chiuso in un bagno con il suo futuro stupratore, poi con una corda di asciugamani si era calato dalla finestra e aveva fatto la doccia a casa di persone di cui non conosceva neppure il nome.
E, rispetto a tutto quello che gli era capitato dopo, quello poteva essere definito quasi normale.
Andando per ore: Alle 9.00 tre tizi erano entrati in fretta e furia nel suo negozio, senza neppure salutarlo.
“Demyx ha portato i rinforzi” si era ritrovato a pensare “Saranno le persone che mi terranno fermo, quando arriverà il fatidico momento”, ma il biondo, la bionda e il rosso erano rimasti a fissarlo per tutta l’ora, fino a quando non era entrato un vero cliente.
Alle 10.03 il vero cliente aveva richiesto un libro che trattava l’accoppiamento dei gatti, poi un tacco rotante e i tre ragazzi che correvano fuori facendo un chiasso pazzesco lo avevano distratto.
Finalmente, quando il paese delle meraviglie sembrava essersene andato, alle 12.00 una papera era entrata in biblioteca.
Sì, esattamente una papera. Una bella paperella, in piume e ossa, aveva raggiunto il bancone emettendo un allegro “Quack-quack”.
Non aveva avuto il tempo di chiedersi cosa ci facesse una papera in una biblioteca, in mezzo ad un’isoletta senza né zoo, né fiumi o laghi perché l’animaletto aveva cominciato a starnazzare correndo qua e la.
E per concludere in bellezza, mentre sfamava quella cosetta gialla aveva trovato per terra un libro che fino a cinque ore prima era nel bagno di casa sua.
Conoscendo Demyx, probabilmente si era convinto di essere ricambiato e lo avrebbe trovato nudo nel suo letto a dirgli “So che tu lo vuoi”.
Rabbrividì al pensiero e decise che avrebbe fatto, anche quel giorno, doppio turno.

Aveva atteso. Erano più di dieci minuti che attendeva pazientemente.
Xion si guardò attorno, sospettosa. Lanciò un’occhiata alla tavola completamente deserta.
C’era decisamente qualcosa che non quadrava.
Perché, quando sarebbero dovuti essere quattro c’era solo lei in quella casa?
Zexion non aveva orario continuato. Era lunedì.
E quel suo amico strambo faceva solo turni mattutini.
E Riku – oh, le doleva il cuore solo al suo nome- era uscito da scuola con lei e non doveva andare a pranzo da nessuno quel giorno.
Sempre che…
We Xion, fai i complimenti da parte mia a tuo cugino.
E perché?
Ma come non lo sai? Si è fidanzato…con una certa Sora, mi pare.
Sora. La sua acerrima nemica. Omonima al migliore amico di Riku, chissà che aspetto aveva.
Bah, sicuramente Naminè e Kairi – altre sue nemiche, perché troppo attaccate al suo tesoro – lo sapevano di certo. Quindi doveva chiedere a loro per sapere chi era questa Sora e dove abitava.
Bene, aveva deciso.
Prese la felpa e uscì di casa.

Se Roxas avesse sorriso più spesso, di certo avrebbe avuto più amici.
Ma Roxas sorrideva solo ogni volta che un sordo sentiva un muto dire urlare “Il ceco ha visto!” durante un’eclissi totale di sole, avvenuta nel giorno pari, di un mese dispari di un anno bisestile, ma la cui somma delle cifre fosse un numero compreso tra il ventisette e il trentacinque e la moltiplicazione di quest’ultimo per la radice quadrata di 1234 comparisse nella lista dei desideri di un bambino di 168 giorni, per cui gli“amici” che aveva si contavano sulla punta delle dita ed erano pure dei bastardi.
Se Roxas avesse avuto più amici, di certo sarebbe meno odioso.
Ma Roxas era solo, per cui trattava con disprezzo tutto e tutti.
Se Roxas fosse stato meno odioso, di certo tutti gli avrebbero voluto più bene.
Ma Roxas trattava tutti male, per cui tutte le persone che lo conoscevano, o che lo avevano conosciuto non potevano fare a meno di pensare che quel ragazzino biondo era proprio antipatico.
Se tutti gli avessero voluto più bene, di certo Roxas sarebbe meno egoista.
Ma Roxas era isolato in un mondo a parte, per cui non gliene fregava niente della vita delle persone attorno a lui.
Se Roxas fosse stato meno egoista, di certo sarebbe meno testardo.
Ma a Roxas importava solo di se stesso, per cui era davvero ostinato.
Se Roxas fosse stato meno testardo e più accondiscendente, di certo sarebbe meno viziato.
Ma Roxas aveva la testa dura quanto un muro, per cui pretendeva che ogni sua richiesta fosse esaudita.
Se Roxas fosse stato più amato, forse sarebbe meno scontroso, odioso, egoista, testardo e viziato.
Se Roxas fosse stato più amato, forse sarebbe più umano.
Se Roxas fosse stato più amato, forse sarebbe anche capace di voler bene, o di amare a sua volta.
Ma Roxas di amore non ha mai ricevuto neppure un briciolo.





Note dell'autrice (perchè non li lasci in pace e te ne vai, Kim? n.d..altra me):
Cosa posso dire per scusarmi del mio immenso ritardo? (Magari uno "Scusa" non sarebbe così inappropriato, che dici? n.d.altra me).
Comunque questo è il primo pezzo del capitolo. Finalmente è successo qualcosa! Contenti? (Per niente n.d.altra me).
Però che noia (Se ti riferisci al capitolo puoi dirlo forte n.d.altra me), ora ricominciano le torture cinesi effettuati da persone tanto sadiche che si fanno chiamare "Professori" (Il tuo concetto di scuola è altamente distorto. n.d.altra me). C'è chi già ha cominciato, chi comincerà...io ad esempio torno tra undici ore *piange disperata* (Non interessa a nessuno n.d.altra me)
Ma bando alle ciance e rispondo alle vostre recensioni.

Little white angel: Puoi infestarmi quanto vuoi, caVa, tanto sono abituata con casa mia che sembra uno zoo. Pensi ancora che Roxas sia sano di mente dopo questo capitolo? (Mi chiedo se modelli i personaggi a tua pazzia e somiglianza. Anche se tu pazza 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e non a capitoli n.d.altra me) Beh, aspetta la seconda parte. E grazie per il consiglio. Qui Aqua non appare molto: appare nella seconda parte (E qui la domanda sorge spontanea: che hai scritto per sedici pagine??? n.d.altra me). Se facessi fare a Ven un omicidio di massa probabilmente gli metterei un mitre in mano (-_-' n.d.altra me): perchè somiglia a Roxy...però probabilmente non starebbe bene quanto sta a lui (Il fatto che sono identici è completamente irrilivante n.d.altra me). Pure io cerchietti a forma di Roku! (Che poi, per informazione a entrambe i cerchi dovrebbero essere circolari, non a forma di qualcosa n.d.altra me) Quisquilie!
Comunque se ti interessa il burrascoso rapporto tra Tifa e Roxas aspetta la seconda parte! No che non mi dà fastidio, figurati. Tanto se non sproloqui tu sproloquio io e viceversa! (E il tasso d'intelligenza è sempre superiore alla media n.d.altra me). Grazie ancora per aver recensito.

Edo: Sei liberissima di frustarmi per il mio ritardo *consegna frusta* (Anche se qui ci starebbe meglio un bazooka n.d.altra me). Mi dispiace davvero tanto, giuro! Allora, ci avevi indovinato? (Probabilmente sì, non è che ci voleva poi tutta questo ingegno n.d.altra me). Spero ti sia piaciuto anche questo mezzo chap, e don't worry la lotta Tifa- Roxas continua. Spero che continuerai a seguirmi. E grazie mille per aver recensito.

SweeTDemly: A te che mi hai risvegliato dalle catacombe (Che tu non sai neanche che sono Kim n.d.altra me) un gigantesco GRAZIE! (Perchè se non lo scrivevi in stampatello non rendeva bene il concetto n.d.altra me). Aerith Cloud l'ha conosciuto...e anche abbastanza approfonditamente, pare (La tua battuta è squallidissima n.d.altra me) Xd. Yes, viva l'AkuRoku! Anche se per quello bisognerà aspettare un po'...ma non tanto (Seee n.d.altra me).
Non è vero che siamo simili! Tu scrivi meglio e più velocemente (Su questo nulla da ridire n.d.altra me). Sei liberissima di picchiarmi per il mio ritardo (chissà, magari impari anche qualcosa n.d.altra me). E grazie anche per aver recensito.

Shine Mitsuki: Ciao nuova lettrice! (Sembri quasi normale n.d.altra me). Grassie per aver letto e commentato *stritola* (Come non detto n.d.altra me). Lieta che la storia ti piaccia e grazie per i complimenti. Spero continuerai a seguirmi.

Colgo l'occasione anche per ringraziare tutti coloro che hanno letto, recensito, messo tra le preferite/da ricordare la mia shot. (Ecco, non citare il titolo per non fare pubblicità, occulta n.d.altra me).
E ovviamente tutti quelli che leggeranno e recensiranno questo mezzo capitolo. Mi scuso ancora per il ritardo.
Alla prossima!
Baci&Abbracci da Kim.
  
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