Ci sono veleni così sottili che per conoscerne le proprietà è necessario avvelenarsi.
- Oscar Wilde
Howard University Hospital. Washington,
DC.
Penelope Garcia non amava
gli ospedali.
Innanzitutto perchè al loro
interno accadevano perlopiù cose spiacevoli, che
consistevano
soprattutto in persone malate e sofferenti, e lei sapeva di non
essere particolarmente portata a vedere gli altri soffrire. Derek
aveva chiamato questa sua caratteristica empatia, lei non aveva idea
se fosse davvero quello o cos'altro, sapeva però che gli
ospedali non facevano per lei. In secondo luogo, poi, tutti i ricordi
che aveva degli ospedali tendevano ad essere spiacevoli. C'era stata
quella volta in cui Reid era stato sequestrato da un SI, per esempio,
o quando era stato infettato dall'antrace o quando gli avevano
sparato al ginocchio. Si ricordava di quando Hotch era stato
pugnalato da Foyet e, ovviamente, di quando avevano sparato a lei
stessa. L'unico ricordo piacevole legato alle strutture ospedaliere,
quindi, era la nascita di Henry e quando JJ le aveva chiesto di
essere la sua madrina.
Quindi, esistevano parecchi motivi per
cui Penelope Garcia potesse affermare di non amare gli ospedali, e a
buon ragione, oltretutto!
Tuttavia, non appena aveva ricevuto la
chiamata di Morgan che gli aveva spiegato con tono concitato e non
senza una certa preoccupazione che Alaska era stata ricoverata in
ospedale e che Reid era saltato sul primo areo per Washington per
raggiungerla, si era precipitata immediatamente all'Howard University
Hospital, pronta a mettersi al capezzale dell'amica.
O perlomeno era quello che progettava
di fare se un'infermiera dittatoriale non l'avesse dirottata verso la
sala d'attesa, dove aveva passato praticamente tutta la serata a
tamburellare nervosamente le dita sulle proprie ginocchia,
passeggiare su e giù lungo il perimetro della stanza e bere
caffè di qualità scadente.
Dopo quelle ore di completa omertà
riguardo le condizioni di Alaska, però, Garcia aveva deciso
di
abbandonare l'edificio e di agire e finalmente era riuscita ad
ottenere le informazioni che desiderava.
Schiacciò il tasto di chiamata
rapida per mettersi in contatto con Morgan e attese pazientemente che
l'uomo rispondesse.
“Si riprenderà!” annunciò,
saltando i convenevoli, non appena ottenne la linea.
La squadra di analisi comportamentale
trasse un respiro di sollievo, prima che David ponesse la fatidica
domanda “Ma cosa è successo?”
“Hanno chiamato Alaska per analizzare
dei resti che sono stati trovati mummificati e parzialmente
scheletrizzati.-spiegò, riportando pari pari il racconto
della
segretaria dell'istituto di medicina legale- Mentre stava facendo
l'autopsia si è sentita male perchè, a quanto
pare, il
cadavere era velenoso: le tossine non hanno avuto effetto subito
perchè tutti là dentro usano guanti e mascherine,
ma
Alaska è rimasta a contatto con i resti per troppo tempo e
la
tossina è stata assorbita anche a livello cutaneo.”
“Adesso come sta?” si informò
JJ con tono preoccupato.
“E' fuori pericolo, le hanno ripulito
il sangue dalle tossine in tempo, ma la tratterranno comunque in
ospedale per degli accertamenti.” continuò a
parlare
Penelope.
Un senso di sollievo si diffuse fra i
profiler.
“L'hai vista?” chiese Rossi, che
avrebbe desiderato avere informazioni più approfondite.
“Solo per poco e di sfuggita.-
borbottò l'informatica imbronciata- Il medico mi ha
consigliato di andarmi a fare un giro mentre applicano la terapia
visto che è ancora incosciente, ma non intendo schiodarmi da
questo ospedale.”
Derek ridacchiò “Brava,
bambolina, fagli vedere chi sei!”
“Hai avuto notizie di Reid?”
domandò Emily, alzando un polso per guardare il proprio
orologio e fare un rapido calcolo mentale su dove potesse trovarsi in
quel momento l'aereo preso dal collega.
“Non ancora, ma mi ha detto che mi
chiamerà non appena scenderà dall'aero.-
spiegò,
prima di esclamare- Oh, ecco!Hanno aggiornato di nuovo la sua
cartella clinica.”
“Garcia!- la richiamò Hotch- Non sei
entrata nella rete informatica dell'ospedale, vero?”
“No!” rispose Penelope, troppo
velocemente, però.
Il capo dell'unità di analisi
comportamentale fece roteare gli occhi “Allora?Che
dice?”
“Fuori pericolo, ha risposto
perfettamente alla terapia.- lesse Garcia, facendo scorrere gli occhi
sul monitor del proprio portatile che si portava in grembo-
Starà
in ospedale due giorni, e la prognosi è di quattro o sei
giorni.”
Al leggere quelle parole Penelope si
sentì immediatamente più rilassata. Certo,
quell'esperienza non le avrebbe certo fatto cambiare la propria idea
sugli ospedali, ma era contenta che tutto si stava risolvendo
velocemente e bene. A quel punto era pronta a tornare a casa per
raccogliere qualcosa che sarebbe stato di certo utile ad Alaska,
certo, non prima di aver parlato un'infermiera per avere la certezza
che l'amica non si sarebbe svegliata durante la sua assenza.
Howard University Hospital. Washington, DC. Qualche ora dopo.
Rallentò il
passo solo quando
intravide il numero della stanza che gli era stato indicato
dall'infermiera. Quando si ritrovò sulla porta rimase
immobile, appoggiato lo stipite, ad osservare la ragazza, mentre
sentiva dentro di sé la preoccupazione lasciare un piccolo
spazio alla gioia e al sollievo che si erano creati non appena
l'aveva vista.
Alaska era sdraiata nel letto, la
schiena leggermente sollevata appoggiata al cuscino voluminoso e un
leggero lenzuolo bianco a coprirle le gambe e l'addome. Stava
sfogliando una rivista che probabilmente le aveva portato una delle
infermiere e le sue labbra, rosse e screpolate, spiccavano sulla
pelle troppo pallida. Gli occhi azzurri erano circondati da delle
occhiaie scure che le davano un'aria malata e stanca.
“Sembra peggio di quello che è.”
Nel sentire all'improvviso quella voce
familiare, leggermente arrochita e decisamente stanca,
sobbalzò
sul posto.
Alaska gli rivolse un sorriso
amorevole. Si era svegliata da poco ed era contenta che la prima
persona ad arrivare da lei, subito dopo il dottore, fosse stata
proprio Reid.
Il ragazzo tossì, per schiarirsi
la voce, mentre si avvicinava al suo capezzale “Come...come
è
successo?” domandò, anche se Garcia ormai glielo
aveva
raccontato fino alla nausea.
“Le ossa erano tossiche.- disse,
riportando la breve spiegazione che le aveva dato il medico quando le
aveva chiesto che cosa fosse successo- Fortunatamente gli altri non
hanno passato abbastanza tempo in laboratorio da rimanere colpiti dal
veleno.”
La testa di Spencer si alzò di
scatto, incredulo di quanto aveva appena sentito “E
tu?”
“Sto bene.- lo rassicurò
Alaska, allungano una mano per dargli un buffetto sul braccio- Mi
sono svegliata mezz'oretta fa e un dottore mi ha visitata subito. Ha
detto che devo aspettare ancora un paio d'ore per le ultime analisi e
poi mi rispediscono a casa.”
“Di già?” domandò
scettico il profiler, alzando un sopracciglio.
“E' più di un giorno che sono
qua dentro, Spencer, e avere un po' di nausea non è certo un
sintomo che richiede l'ospedalizzazione.” gli fece notare la
ragazza. L'incidente al laboratorio era avvenuto la mattina
precedente, prima di mezzogiorno e in quel momento erano già
le cinque di pomeriggio del giorno successivo. Nella mente di Alaska
quello era un tempo decisamente troppo lungo da passare in un
ospedale.
“Forse dovrei parlare col tuo
dottore.” borbottò Reid meditabondo, mentre faceva
vagare
gli occhi scuri lungo la parete di vetro che si affacciava sul
corridoio alla ricerca di un camice bianco.
“Oh, sì!-concordò
allegra l'antropologa, iniziando a parlare velocemente come suo
solito- Phil è davvero simpatico. Sai che questo
è un
ospedale universitario?Ho appena contribuito alla formazione di un
giovane medico, sento di aver fatto qualcosa di buono per
l'umanità,
come quando uso i sacchetti di carta al posto di quelli di plastica o
quando ti convinco a comprare block notes fatti di carta riciclata o
quando chiudo il rubinetto dell'acqua mentre mi lavo i denti
o...”
“Cosa?!- esclamò Reid
raddrizzandosi sulla sedia- Non hai avuto un medico vero?”
“Phil è un vero dottore.- gli
ricordò la ragazza- Deve solo fare la specializzazione
e...”
“Ma guarda un po' quei begli occhioni
azzurri!- chiocciò una paffuta infermiera entrando nella
stanza- Ho fatto solo una pausa caffè e tu sei
già
tornata da noi, cara?”
I due si voltarono verso la donna che
piroettava in fretta da una parte all'altra della stanza,
controllando le flebo e i tabulati dell'elettrocardiogramma.
“Sissignora.- confermò Alaska
rivolgendole un sorriso aperto- Avrei dovuta aspettarla?”
“No, tesoro.-la rassicurò
l'infermiera con aria bonaria- Solo che avrei voluto farti io il
controllo di routine, mi sono occupata io di te ieri.”
Reid prese la parola “E' passato il
dottor...- fece una pausa, cercando di ricordare se la ragazza gli
avesse detto il cognome del medico-uhm...Phil?”
“Ah, certo.- la donna fece dondolare
la testa, i riccioli ribelli liberati da quel gesto- Il dottor Lodge,
caro ragazzo.”
Alaska annuì “Mi ha
punzecchiato, stuzzicato, misurato la febbre e fatto altre strane
cose da medico.”
L'infermiera guardò la cartella,
sorridendo soddisfatta “Sembra proprio che il peggio sia
passato.”
“Oh,sì!- confermò Ross-
Mi sento molto bene, in effetti.”
Spencer si rivolse all'infermiera,
preoccupato “Ha detto che ha un po' di nausea: è
normale?”
“Direi di sì.- la rassicurò
la donna, dando un buffetto al piede di Alaska sotto le coperte- In
fondo questo povero angelo è stato intossicato da veleno per
topi. Povera cara, com'è che è potuto
succedere?”
“Un...piccolo incidente sul lavoro.”
spiegò, senza entrare nei particolari che coinvolgevano un
cadavere scheletrizzato, stringendosi nelle spalle.
“Mi hanno detto che sei una
ricercatrice allo Smithsonian...” riepilogò
l'infermiera,
meditabonda.
“Evidentemente qualcuno ha preso
troppo sul serio l'espressione topi da laboratorio.”
scherzò
Alaska, riuscendo a strappare una risata all'infermiera, prima che
lasciasse la sua stanza.
Reid, invece, le rivolse
un'occhiataccia a causa di quella battuta. Si domandava come potesse
anche solo pensare di scherzare su una situazione del genere: che
avrebbe fatto lui se il veleno fosse stato troppo potente?Se Ross non
fosse riuscita a schiacciare il pulsante delle emergenze e i soccorsi
non fossero arrivati in tempo?
Un brivido gelido gli scese lungo la
schiena a quei pensieri, facendolo rabbrividire nonostante il
riscaldamento nella stanza fosse piuttosto alto.
Allungò una mano sopra il letto
e strinse quella di Alaska, portandosela poi alle labbra per posarle
un leggero bacio sul palmo.
Nate Crowford non
sorrideva. Mai. Le
uniche volte in cui le sue labbra sottili si piegavano leggermente
all'insù era per dimostrare maggiormente agli altri la
propria
superiorità umiliandoli con un'espressione beffarda. Nate
Crowford non era ben visto dai suoi colleghi dell'FBI. I suoi metodi
erano troppo duri, spesso ai confini della legalità, e il
suo
atteggiamento in generale era decisamente troppo aggressivo.
Per questo motivo in molti, quando
erano venuti a conoscenza del fatto che a Crowford era stata
assegnata come consulente Alaska Ross, avevano pensato ad uno
scherzo. Invece, probabilmente, il karma esisteva davvero e la
giovane antropologa forense con la sua allegria spesso fuori luogo e
la sua gentilezza verso il prossimo era semplicemente il contrappasso
per uno dei molti peccati del burbero agente dell'FBI.
Quando Reid lo vide entrare nella
stanza di Alaska, con la testa rasata, i muscoli pompati stretti
nella giacca di pelle e sul viso la solita espressione ostile, non
riuscì ad impedire a un brivido di scorrergli lungo la
schiena.
La sua ragazza, invece, sorrise
smagliante: a quanto pareva quell'aspetto minaccioso non le faceva
alcun effetto “Ciao Nate!” trillò, come
se non fosse
affatto reduce da un avvelenamento.
Crowford strinse le labbra. Alaska era
la sola a cui permetteva di chiamarlo con quel soprannome, tutti gli
altri, compresi i parenti stretti, lo chiamavano semplicemente
Nathaniel.
“Che ti è successo?”
domandò, ignorando completamente Spencer. Aveva un forte
accento di Boston e una voce cupa e profonda.
“Non posso dirtelo con precisione
perchè non mi fanno leggere la mia cartella clinica.-
rispose
la ragazza, mimando un piccolo broncio- Dicono che non sono una vera
dottoressa.”
“Infatti non lo sei.” tagliò
corto Crowford, avvicinandosi al letto, ma rimanendo in piedi, le
spalle rigide.
Alaska sorrise, rassicurandolo come
aveva fatto con Reid poco prima “Ma sto bene,
davvero.”
L'uomo alzò un sopracciglio “A
giudicare dalla quantità di aghi che hai infilati nella
pelle
non direi che bene è la parola esatta.”
L'antropologa ignorò quel
commento e fece un gesto per indicare Reid, ancora seduto di fianco a
lei “Hey, lui è Spencer!Spencer, lui è
Nate, il mio
partner nelle indagini in cui serve un'antropologa forense.”
L'agente lanciò un'occhiata
penetrante al profiler, scrutandolo da capo a piedi con sguardo di
sufficienza, cosa che fece imbarazzare il ragazzo non poco.
“Crowford.” balbettò a mo'
di saluto, il viso color porpora.
“Dottor Reid.” gli fece eco
annoiato l'altro, che non sembrava per niente entusiasta di quella
nuova conoscenza.
“Sono così contenta che
finalmente vi siate conosciuti, anche se speravo non succedesse per
un motivo del genere.” ciarlò allegra la ragazza,
incurante
del fatto che sembrava l'unica nella stanza a non notare quanto la
presenza di Crowford avesse incupito l'atmosfera. A Spencer sembrava
perfino che nell'intero corridoio ci fosse meno vitalità
rispetto a quando era arrivato.
Scrutò il volto dell'agente
federale. Era serio, terribilmente: la bocca stretta in una linea
dura e gli occhi grigi senza traccia di sentimento. A giudicare dai
tratti il profiler considerò che dovesse avere
più o
meno l'età di Morgan, o perlomeno essere di qualche anno
più
giovane rispetto il suo collega. Ostentava una sicurezza estrema e
aveva atteggiamenti tipici da maschio alpha, inoltre, come poteva
notare dalla posa militaresca anche nel semplice stare in piedi,
intuì che doveva avere sempre il controllo della situazione.
Si riscosse non appena un uomo in
camice bianco entrò nella stanza, lasciando così
a metà
il proprio profilo iniziale sullo scorbutico collega della sua
ragazza.
“Hey Phil!” lo salutò Alaska
gioviale.
Il dottore prese la cartella, anche se
sapeva già che non c'erano novità
“Alaska. La mia
paziente preferita!Sai, sei quella che mi da più
soddisfazioni
in questo reparto.”
L'uomo fece un gesto vago della mano.
In effetti, l'aria che tirava di solito in terapia intensiva non era
il massimo e poter dire di aver stabilizzato e rimesso in piedi una
paziente in soli due giorni era di certo una vittoria.
“Nel senso che mi stai dando l'ok?-
domandò Ross eccitata- Il grande via libera, semaforo verde,
pollice in su, foglio di via, libertà totale
d'azione?”
Il dottore scosse la testa ridendo
divertito, mentre anche i due agenti FBI sembravano impazienti di
sapere la risposta.
“Non ancora, temo.-disse infine il
dottor Lodge- Devi aspettare le ultime analisi, ma sono più
che certo che domani mattina verrai finalmente dimessa.”
“Domani mattina?” piagnucolò
Alaska, lasciandosi cadere all'indietro sui cuscini.
“Potrei sapere come avete agito?”
domandò Spencer, impaziente.
Il dottore strinse gli occhi, cercando
di ricordare “Il dottor Reid, giusto?Alaska mi ha parlato di
lei.
Una specie di genio che nel tempo libero diventa un mago, no?”
“Non esattamente, però...”
“Insomma possiamo sapere che cosa è
successo?- sbottò Crowford interrompendolo- Vorrei far
partire
le indagini!”
“E immagino che lei è l'agente
Crowford. Mi ha parlato parecchio anche di lei: scommetto che questa
ragazza riesce a snocciolare più di duemila parole al
minuto.”
“Non mi hanno mai fatto test a
riguardo ma potrebbe essere.” confermò Alaska
divertita.
“Per curare l'avvelenamento acuto da
tallio le abbiamo somministrato furosemide e successivamente abbiamo
sottoposto la signorina Ross ad emodialisi. Non c'è niente
per
cui preoccuparsi, quindi, la tossina è stata rimossa
completamente dal suo organismo.”
“Niente complicazioni, quindi?”
chiese di nuovo conferma Reid, ancora preoccupato.
Lodge scosse la testa, prima di
rivolgersi alla ragazza “D'accordo signorina. Quello che devi
sapere è che ti sentirai un po' intorpidita per i prossimi
giorni, come se fossi convalescente da una brutta influenza. Quindi,
dacci dentro con le vitamine, bevi tanti liquidi e se dovessi
riscontrare affaticamento o difficoltà respiratorie devi
ritornare qui a fare un controllo. Tutto chiaro?”
Alaska gli rivolse un sorriso
radioso“Annullerò gli allenamenti per la maratona
di New
York.”
“Potresti ripiegare su un torneo di
scacchi.” la assecondò il dottore, appuntando
qualcosa sulla
cartella clinica.
“O coltivare la mia innata abilità
nel lancio dei coriandoli.” continuò Alaska.
Vederla
scherzare in quel modo aveva rassicurato un po' Spencer sulle sue
condizioni, ma di certo non sul perchè si trovasse
lì.
E dall'espressione grave sul volto di Crowford il profiler
ipotizzò
che anche la mente dell'altro agente era rivolta alle indagini che si
sarebbero aperte il più presto per trovare il colpevole di
quell'atto.
“Vedo che sei un'ottima creatrice di
piani alternativi.- continuò a chiacchierare il medico-
Dovrei
farti conoscere la mia sorellina, si sta struggendo da settimane
riguardo a cosa potrebbe fare se non venisse ammessa alla
facoltà
di legge.”
“Fossi in lei mi aggregherei a un
circo e farei la funambola. Certo, solo se potessi avere un vestito
di paiettes rosse e un ombrellino in tinta.”
“Glielo proporrò.- ribattè,
prima di dirigersi verso la porta puntandogli addosso un dito
ammonitore- Mi raccomando, basta avvelenamenti, sei troppo
divertente.”
“Me lo segnerò in agenda: veleno?Mai
più,
grazie.” rise Alaska, salutandolo con una sventolata leggera
di
mano.
“Ti dispiace restare sola per un po',
Ross?- domandò Crowford con voce piatta- Credo di dover
parlare un attimo con il dottor Reid.”
Spencer girò di scatto la testa
verso l'uomo, interdetto da quella richiesta, mentre la mora non
sembrò notare la stranezza di quella domanda.
“Ma certo, fate pure!- concordò
con un sorriso smagliante, accennando con la testa al televisore
della stanza- Ho saputo che hanno la tv via cavo, magari riesco a
trovare un programma interessante: forse ci sono le repliche di Happy
Days.”
Reid lanciò un'ultima occhiata
ad Alaska e, con un sospiro rassegnato, si ritrovò a seguire
l'uomo fuori dalla camera, socchiudendo alle proprie spalle la porta
a vetri scorrevole.
Crowford incrociò le braccia
muscolose al petto, inchiodandolo sul posto con uno sguardo grave
“Ho già fatto partire un'indagine. Ho i nomi di
chiunque sia
stato in contatto con il cadavere, anche per un secondo, e ho
già
proceduto con gli interrogatori di alcuni di loro. Per ora posso
escludere che si tratti di un attentato di un lavoratore interno ai
laboratori di medicina legale. Devo ancora interrogare i poliziotti e
i portantini dell'ambulanza e poi procederò con un'indagine
esterna al dipartimento.”
Il profiler ascoltò attento “Ti
hanno affidato il caso?”
“Me lo sono preso.- precisò
Crowford- Quegli idioti del dipartimento di polizia non sanno neanche
da che parte sono girati.”
Il ragazzo aggrottò le
sopracciglia e sgranò gli occhi, esterrefatto
“Ma..ma-
balbettò, agitato dalla presenza di uno degli agenti
federali
più temuti- la procedura dice che...”
“Al diavolo!- sbottò Nate
combattivo- Se qualcuno tenta di fare fuori la mia partner è
decisamente affar mio!”
Spencer strinse le labbra: sentirlo
chiamare Alaska “la sua partner” in modo tanto
possessivo gli
aveva fatto inconcepibilmente montare dentro una strana rabbia.
“Quindi quale è la tua
teoria?” si informò, cercando di darsi un po' di
contegno.
Crowford si umettò le labbra
sottili, lo sguardo penetrante fisso sulla figura di Alaska al di
là
del vetro “Credo che si tratti di un possibile attentato
all'istituto di medicina legale.”
Reid annuì, pensieroso,
considerando quell'ipotesi. Era realistica: dopotutto il dipartimento
si occupava di tutti i casi di omicidio, suicidio e morti sospette di
Washington, e spesso anche di quelle provenienti da piccole
città
limitrofe. Non era da escludere che qualcuno avesse architettato un
piano del genere per scostare l'attenzione da un caso in analisi,
oppure come forma di avvertimento. Spencer si torturò le
mani
lunghe e affusolate, mentre continuava nei propri ragionamenti.
Probabilmente, pensò, doveva essere l'opera di un esperto,
data l'accuratezza dell'intera operazione.
“Quindi...-azzardò, tornando a
fissare l'uomo di fronte a sè- ti serve aiuto con le
indagini?”
Crowford lo guardò come se
avesse raccontato una brutta barzelletta “No.-
tagliò corto-
Mi serve che tieni Ross fuori dai guai e che la convinci a lasciar
perdere il caso che stava trattando. È tremendamente
cocciuta
e ha quella sua stupida fissa del non...”
“...abbandonare mai un caso.”
concluse Reid al suo posto.
“Già.- confermò Nate,
passandosi una mano fra i corti capelli neri- Insomma, vorrei che la
facessi ragionare come i comuni mortali, per una volta.”
Spencer annuì “Cercherò
di convincerla a lasciare spazio alle indagini.”
Crowfrod annuì, senza accennare
a ringraziarlo per l'aiuto “Bene, torno al lavoro. Salutami
Ross.”
Fece un cenno col capo alla ragazza
che, da dentro la stanza, li stava osservando con accesa
curiosità
nello sguardo, e dopodiché camminò veloce lungo
il
corridoio, pronto a guadagnare l'uscita, ignorando Reid come aveva
già fatto in precedenza.
Il ragazzo scosse la testa, incerto su
cosa pensare su quello strano personaggio.
“Nate se ne è andato?” gli
domandò Alaska, quando ritornò a sedersi al suo
fianco
nella camera d'ospedale.
Spencer le rivolse un sorriso
stropicciato “Aveva da fare. Ha detto che ti saluta,
però.”
L'antropologa annuì, i grandi
occhi azzurri che spiccavano particolarmente sul pallore da malata.
“Pensate che qualcuno abbia avvelenato il cadavere per
colpire il
dipartimento di medicina legale?” domandò quindi,
lasciando
che un'espressione di sorpresa attraversasse veloce il volto del
profiler.
“Stavi origliando?” ribattè
Reid, alzando un sopracciglio.
“Esattamente.- confermò lei
con un sorriso smagliante- So che non si dovrebbe fare, ma stavate
parlando di un argomento che reputo interessante senza coinvolgermi.
In più, a mia discolpa chiamo il fatto che la porta era
socchiusa, il che è praticamente un invito ad
ascoltare.”
“Quindi hai anche sentito delle
indagini di Crowford e del fatto che vuole che ti fai un po' da parte
nel caso...” continuò Spencer allusivo.
Alaska annuì di nuovo, alzando
le mani in segno di resa “Una settimana.- decretò-
E' il
tempo di riposo che mi ha consigliato il dottore. Quindi per una
settimana farò la brava bambina ubbidiente che lascia che
papà
orso faccia il proprio lavoro, ma dopodiché
tornerò al
mio caso.”
Reid gli rivolse un sorriso amorevole
“E' stato più facile di quanto pensassi,
convincerti. Forse
ci sono stati più danni del previsto.”
cercò di
scherzare, anche se il suo tono non rispecchiava la spensieratezza
delle proprie parole.
Ross rise, facendogli una linguaccia
“Rimarrai qua con me, stanotte?” chiese poi
speranzosa.
Spencer le afferrò entrambe le
mani, avvicinandosele alla bocca “Non me ne vado da nessuna
parte.”
le assicurò, posandogli un bacio leggero sulla pelle
diafana.
Uffici dell'Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.
Spencer Reid fece il suo
ingresso
nell'open space con passo svogliato, trascinando i piedi e con delle
occhiaie che rendevano noto a chiunque lo osservasse che aveva
passato una nottata in bianco. In effetti, era proprio così.
Non che lui non fosse in grado di addormentarsi su una sedia di
ospedale, per quanto potesse essere scomodo dopo aver passato le
quarantotto ore precedenti senza dormire sarebbe stato decisamente in
grado di addormentarsi anche su un letto di spilli, probabilmente. Il
fatto era che Alaska, contrariamente a quanto aveva detto il dottor
Lodge, non sembrava affatto affaticata o stanca, anzi. Dopo aver
passato diverse ore in stato di incoscienza era decisamente
più
arzilla del solito, decisa a chiacchierare con lui di svariati
argomenti che partivano dagli studi di un suo collega su una specie
piuttosto rara di bruchi, alla nuova pubblicità del
caffè
solubile passando perfino sul probabile finale di una delle soap
opera più seguite che lei non aveva però mai
guardato.
Lui amava parlare con Alaska eppure, senza nemmeno accorgersene, si
era addormentato con la testa appoggiata alle sue gambe e quella
mattina si era svegliato con un raggio di sole sugli occhi e la mano
affusolata di lei che passava piano e ritmicamente fra i propri
capelli.
Individuò i propri colleghi,
tornati da poco dal New Mexico, intenti a parlottare fra loro vicino
alla scrivania di Prentiss e gli si avvicinò lentamente.
“Aw, ragazzino, hai un aspetto
orrendo!- fu il saluto di Morgan- Credevo fosse Alaska quella
malconcia.”
Reid gli rivolse un'occhiata fulminante
“Alaska sembra stare meglio di tutti noi messi insieme.-
borbottò
in risposta- E in questo momento si starà probabilmente
preparando per essere dimessa. Mi ha convinto a venire qui, visto che
ha convinto il suo partner ad accompagnarla a casa.”
Ai presenti non sfuggì lo strano
accento che aveva messo sulla parola partner, ma nessuno lo
interruppe.
“E poi non è affatto comodo
passare la notte su una sedia di ospedale.” concluse, con un
piccolo broncio sul viso.
“Il partner di Alaska non è-
JJ fece una piccola pausa, picchiettandosi l'indice sulle labbra
mentre cercava di rievocare il nome dell'agente- Nathaniel
Crowford?”
Sul volto di Spencer si dipinse una
smorfia insofferente mentre annuiva.
Rossi fece roteare gli occhi “Odio
quel tizio.”
“Non sei il solo.” gli fece notare
Emily, stringendosi nelle spalle.
“Sbaglio o è stato da poco
richiamato dalla commissione disciplinare?- domandò Hotch, a
nessuno in particolare- Credo sia per via di quando ha dato in
escandescenze con un sospettato.”
Reid si lasciò scivolare
sconfitto su una sedia “Grazie per darmi tutte queste notizie
meravigliose sull'uomo che sta accompagnando a casa la mia ragazza e
che passa con lei la maggior parte del tempo durante le sue
consulenze per l'FBI. Grazie, davvero.”
Morgan gli diede una pacca sulla spalla
esile e stava per aprire bocca per dire qualcosa quando fu interrotto
dall'arrivo di Garcia in una nuvola coloratissima e vistosa.
“In sala conferenze fra dieci
minuti.- disse perentoria, ma con voce estremamente ansiosa- Anzi,
cinque minuti...Anzi...forse è meglio che veniate
immediatamente!”
JJ la seguì immediatamente,
stranita dal fatto che Penelope avesse usato una frase che di solito
era lei a pronunciare “Ma che sta succedendo?”
Garcia camminò su e giù
per la stanza, aspettando che Morgan, ultimo ad entrare, si chiudesse
la porta alle spalle.
“Lo so che mi avete detto un milione
di volte che non dovrei ficcanasare nelle indagini federali altrui-
disse parlando talmente velocemente che le parole rischiavano di
uscirle accavallate- ma qui stiamo parlando di Alaska, ok?Insomma, la
sorellina che ho sempre desiderato, la fatina dei dentini che non ho
mai avuto occasione di vedere, la prova vivente che i discorsi
coerenti sono una perdita di tempo e...”
“Garcia, vuoi arrivare al punto?”
domandò leggermente spazientito Rossi.
La rossa annuì, facendo
ondeggiare la propria capigliatura “Insomma, volevo solo
vedere
come procedevano le indagini dopo tutta quella storia
dell'avvelenamento, e volevo vedere se avevano già coperto
chi
è quel folle che ha cercato di fare del male alla mia
Nocciolina e ho visto...insomma è successo...”
Hotch fece rotare gli occhi “Cosa
è successo?”
Penelope schiacciò un pulsante
sul telecomando che stringeva nervosamente tra le mani, accendendo
così il monitor della sala conferenze “E'
successo...questo.”
Gli occhi dei profiler si fissarono
sullo schermo, increduli di ciò che era comparso davanti ai
loro occhi.
Da qualche parte per le strade di Washington, DC.
Crawford si ricordava
esattamente della
prima volta che aveva visto Alaska Ross. Si occupava di un caso in
cui la vittima era stata ritrovata troppo tardi, considerando il
fatto che non ne era rimasto altro che lo scheletro, malconcio
oltretutto.
Di solito, quando trattavano casi del
genere, al medico legale si affiancava un patologo che aveva avuto
anche formazione archeologica, ma tutto dipendeva di quali consulenti
avevano a disposizione. Quella volta gli era stato annunciato che
avevano assunto un consulente esterno fisso, un antropologo forense
che lavorava allo Smithsonian. Si aspettava un borioso luminare con
barba e rughe e invece gli era comparsa davanti questa ragazza dal
sorriso largo che chiacchierava incessantemente di argomenti che non
avevano niente a che vedere con l'antropologia forense.
Lui ovviamente aveva cercato di
cacciarla via dalla scena del crimine all'istante, ma Alaska l'aveva
stordito con le sue parole e, inoltre, l'agente Gordon gli aveva
assicurato che era sicuro che fosse lei la consulente che gli era
stata affidata. Così, l'aveva lasciata fare, osservandola
mentre si avvicinava allo scheletro senza battere ciglio e
analizzarlo attentamente prima di farlo portare via dai ragazzi
dell'istituto di medicina legale.
“Allora?- le aveva domandato
spazientito- Che cosa puoi dirmi su quel corpo?”
L'antropologa
non si era fatta impressionare dal suo sguardo raggelante e dalle sue
parole secche, gli aveva sorriso amabilmente e poi l'aveva invitato a
pranzo per discutere. Quando lui aveva rifiutato, decisamente
arrabbiato per il suo atteggiamento poco professionale, Alaska aveva
taciuto finalmente per diversi secondi.
“Sei strano.” aveva sentenziato
infine, scrutandolo con attenzione con le mani sui fianchi.
Lui le aveva rivolto una delle sue
occhiate fulminanti, di quelle che di solito facevano scappare la
gente con una scusa qualsiasi.
Lei invece gli aveva sorriso
apertamente e aveva aggiunto “Mi piaci.” prima di
andarsene con
passo leggero, in una nuvola multicolor.
E lui, Nate Crowford, l'uomo di
ghiaccio, era rimasto lì, praticamente paralizzato a
guardare
la sua schiena che si allontanava.
Non avrebbe mai pensato che si sarebbe
legato talmente a lei da considerarla un'amica, tanto da viaggiare
fino all'altro lato della città soltanto per darle un
passaggio fino a casa.
“Ti ho portato un regalo.” disse
Crowford, con tono indifferente, la mani ben strette intorno al
voltante. Con la coda dell'occhio, però, non si
lasciò
sfuggire l'illuminarsi dello sguardo della giovane antropologa.
“Davvero?” trillò Alaska, un
sorriso radioso sul volto.
Nate annuì, facendole cenno di
aprire lo scompartimento sul cruscotto.
Le mani di Ross si strinsero pochi
secondi dopo attorno ad una boccetta piena di pillole colorate.
“Le vitamine masticabili alla
frutta!- esclamò contenta- Le adoro!”
Crowford non accennò a togliere
lo sguardo dalla strada, anche se sapeva che quel piccolo regalo le
sarebbe piaciuto “Ci sono anche quelle all'ananas. Le tue
preferite, giusto?”
“Esatto!” confermò Alaska,
portandosene una alla bocca.
“Non esagerare, però.- la
ammonì- Non voglio vederti iperattiva e ingestibile. Non
più
del solito, perlomeno.”
La mora spinse in fuori il labbro
inferiore “L'hai sentito il dottore, no?Devo rimettermi in
forze!E
questo vuol dire vitamine, dolci, persone che ti viziano coi loro
pensierini e, possibilmente, anche la possibilità di passare
una giornata in ozio sul divano a guardare cartoni animati mangiando
gelato al biscotto!”
Crowford fece roteare gli occhi
“Credevo che il tentato avvelenamento mi avrebbe permesso di
vederti almeno un po' preoccupata, Ross.”
“Ora sto bene, non
ho bisogno di stressarmi inutilmente.” rispose la ragazza,
scrollando leggermente le spalle. L'agente annuì: sapeva
benissimo che la filosofia di vita della ragazza consisteva nella
ferma convinzione che il passato dovesse rimanere tale e pertanto
considerava superfluo continuare a pensarci.
“Dì un po', esiste al mondo
qualcosa che ti spaventa davvero?- continuò a indagare- Che
so, i ragni, gli insetti, i serpenti, le grandi altezze...”
“Non ho fobie, anche se....- Alaska
si mordicchiò l'interno delle guance, pensierosa- Sai, trovo
piuttosto inquietanti gli zoo.”
Nate gli puntò addosso i
suoi occhi grigi “Gli zoo?”
“Già.” confermò Ross
annuendo.
“Sei strana.” le fece notare
l'uomo, ritornando a guardare davanti a sé.
In effetti, se Crowford avesse
conosciuto effettivamente il background della ragazza, probabilmente
non si sarebbe stupito più di tanto. Aveva letto il suo
fascicolo, ovviamente, non appena le era stata affidata come partner
fissa nei casi in cui era necessario l'intervento di un esperto in
antropologia forense, ma oltre a una piccola nota di uno psicologo
che l'aveva avuta in cura quando era ancora una bambina in seguito ad
un'esperienza traumatica che aveva vissuto, non aveva trovato niente
di rilevante. Sapeva che ciò che era successo, se era stato
menzionato sul suo fascicolo, doveva essere stato ritenuto rilevante
da chi l'aveva assunta, ma lui si era limitato a relegare
quell'informazione in qualche angolo della propria mente, senza
procedere con indagini più approfondite. Indagini che con
ogni
probabilità lo avrebbero portato ad un fascicolo risalente a
una quindicina di anni prima conservato negli archivi dal BAU, allora
unità ancora in via di sviluppo, e che riportava i crimini
di
un uomo dall'aspetto banale ma con una mente perversa che l'aveva
spinto a rapire e torturare, rinchiudendole in una gabbia, delle
ragazzine della sua città. Probabilmente, se avesse
affrontato
quella ricerca, Crowford si sarebbe stupito del fatto che il nome
della sua giovane partner coincidesse esattamente con quello
dell'unica sopravvissuta a quell'aguzzino.
“E anche le armi mi spaventano.”
continuò l'antropologa con tono leggero, alzando un indice
per
accompagnare le proprie parole.
“Non essere ridicola: passi la
maggior parte del tempo in compagnia di persone che portano un'arma,
Ross.- le ricordò Crowford aggrottando la fronte- E poi, le
usi anche tu per le tue ricostruzioni a volte!”
“Lo so, ma la cosa che mi spaventa è
l'idea delle armi.-spiegò Alaska- Insomma, gli uomini sono
gli
unici esseri che hanno pensato di utilizzare degli strumenti per fare
del male al prossimo. Tutto questo è inquietante anche se,
lo
devo ammettere, antropologicamente interessante.”
Con uno scatto sporse una mano davanti
a lui, per indicare un palazzo di mattoni rossi “Siamo
arrivati!-
annunciò con voce frizzante- Io abito
lì.”
Con delle manovre fluide Nate
parcheggiò l'auto nel parcheggio libero più
vicino al
portone del complesso in cui si trovava l'appartamento di Ross e,
dopo aver recuperato dal bagagliaio il borsone che conteneva gli
oggetti della ragazza, la seguì con passo sostenuto mentre
lei
lo guidava trotterellando verso la propria casa.
Quando raggiunsero il pianerottolo del
terzo piano, Alaska tirò fuori dalla propria borsa un
voluminoso mazzo di chiavi, decorato da un piccolo peluche a forma di
tartaruga “Sono così contenta che tu sia qui,
Nate.- gli
rivelò con un sorriso ampio sul volto- Non posso credere che
non ti ho mai invitato a casa mia prima d'ora.”
“Dipende dal fatto che hai sempre la
testa fra le nuvole.- considerò l'agente, stringendosi nelle
spalle larghe- Vuoi che ti lasci qualche minuto per dare una
rassettata?”
Ross scosse la testa “Non servirà-
assicurò, mentre spalancava la porta, rivelando un caotico
ingresso- Et-voilà!”
Crowford mosse dei passi lenti
all'interno dell'appartamento, seguendo Alaska fino al salotto. Fece
vagare lo sguardo sul divano rosso fuoco, sommerso da una coperta di
pile, numerose riviste aperte e qualche cuscino colorato, per poi
spostarlo sugli scaffali in cui riconobbe, infilati fra soprammobili
e cornici con foto di famiglia, anche degli indumenti di varia
natura, e infine soffermandosi sulla moltitudine di oggetti
semplicemente abbandonati sopra la moquette che ricopriva il
pavimento.
“Hai avuto i ladri in casa forse?”
domandò Nate, incerto, fissando una pila di libri che stava
in
piedi per miracolo addossata alla parete.
Alaska gli rivolse uno sguardo
perplesso “No.”
“Allora stai traslocando?” chiese
di nuovo Crowford.
“No.- ripetè la ragazza,
inclinando la testa di lato- Perchè me lo chiedi?”
L'agente federale si guardò
intorno facendo un giro su se stesso “Perchè ho
appena
capito come è il caos.”
Ross proruppe in una risata frizzante,
riempiendo completamente l'ambiente, prima di ricominciare a parlare
“Ora devo andare a recuperare Bruto.”
“Chi è Bruto?”
si informò l'uomo inarcando un sopracciglio.
“Il mio pesce rosso.- rispose Alaska,
la voce cristallina- Quando sto via per un po' porto il suo acquario
in bagno, sai, là ci sono le piastrelle blu e si sente
più
a suo agio, e prima di essere ricoverata stavo da Penny, conosci
Penny, vero?Comunque, credo che Bruto sarà contento di
riprendere il suo posto in salotto ed avere un po' di
compagnia...”
“Credo che dovrei segnalare il fatto
che tu hai un pesce alla protezione animali.”
sentì
borbottare l'agente, mentre lei infilava il corridoio per recarsi
nella stanza da bagno.
Stava ancora ridendo quando vi entrò
con passo svelto e, prima ancora che potesse accorgersene, si
ritrovò
a fissare lo specchio, la risata che prima si stava diffondendo
nell'aria circostante improvvisamente ferma in un punto a
metà
fra la sua gola e la sua bocca.
Cercando di rimanere calma, si diresse
in cucina, alla ricerca dei suoi guanti di lattice, che si
infilò
mentre tornava ad esaminare quanto aveva inaspettatamente trovato.
“Che c'è, Ross?- sentì
dire a Crowford con tono scherzoso mentre la seguiva- Il piccolo Nemo
ha tirato le cuoia?”
Appena varcò la soglia, lo
sguardo attento dell'agente federale si fisso sul lavandino, sul cui
ripiano giaceva un teschio, le orbite vuote e senza espressione fisse
su loro due. Lo osservò attentamente per qualche secondo,
incerto su cosa pensare, prima di alzare gli occhi sul grande
specchio illuminato: lesse la scritta dai caratteri incerti e
traballanti, le lettere deformate dallo sgocciolamento del liquido
color cremisi.
“Sangue.” disse infine, guardando
attentamente la sostanza rossa che colava sulla superficie di vetro.
“No.- lo contraddisse immediatamente
Alaska, con lo stesso tono che aveva di solito su una scena del
crimine- È succo di ribes o qualcosa del genere. Il sangue
coagula mentre questo no.”
Crowford le rivolse un'occhiata incerta
“Succo di ribes?”
“O qualcosa del genere.- ripetè
la ragazza tranquilla, sollevando il teschio e avvicinandoselo al
naso per annusarlo- Il cranio non puzza, vuol dire che al suo interno
il cervello è completamente decomposto: risale a
più di
tre anni fa. L'angolo del naso e l'altezza degli zigomi ci
suggeriscono che appartiene a un nativo americano.”
Nate notò che la collega aveva
acceso immediatamente la modalità antropologa e si
affrettò
ad afferrarle i polsi, guidandola nell'atto di posare di nuovo il
teschio dove lo aveva trovato.
“Frena un po', Ross.- le intimò-
Dobbiamo chiamare la scientifica e raccogliere tutte le tracce
possibili prima che tu inizi a maneggiare quell'affare!”
Alaska puntò i suoi grandi occhi
azzurri su di lui “Perchè?”
“Perchè?!- Nate si sentì
cadere le braccia- Perchè. Perchè qualcuno si
è
introdotto in casa tua mentre tu non c'eri per lasciarti un cranio
come souvenir e un messaggio inquietante fatto con del sangue
e...”
“Succo di ribes.” precisò la
ragazza, facendolo sospirare sonoramente.
“Quel diavolo che è!Non è
questo il punto!- sbottò l'uomo, prima di riprendere il
proprio discorso- Quello che volevo dire è che tu ora mi
segui
di là, ti siedi tranquilla su una sedia se ne trovi una in
mezzo a quel caos, e aspetti con me l'arrivo di una pattuglia e della
scientifica.”
Ross inarcò un sopracciglio
sottile “Ma io ho già in casa tutto l'occorrente
per fare i
primi rilevamenti e le capacità per farli, devo solo
ricordarmi dove ho messo la borsa da lavoro e...”
Crowford la bloccò, afferrandola
per un braccio e trascinandola con sé in salotto, e la
ragazza
lasciò cadere la frase a metà.
“Tu non farai nient'altro.- le disse,
guardandola severamente- Chiamo la scientifica e poi ti porto con me
all'FBI.”
“A Quantico?” domandò lei
speranzosa, con voce sottile.
“A Washington, all'Hoover Building.”
precisò invece Nate.
Alaska scosse la testa “Preferirei
che mi portassi da Spencer.”
“Io sono l'agente, tu il topo da
laboratorio: si fa come dico io.” tagliò corto
l'uomo,
tagliando l'aria con una mano come per mettere fine alla questione.
“Tu non capisci, Nate: Spencer è
molto protettivo nei miei confronti e già la storia
dell'avvelenamento l'ha scosso parecchio. Non voglio che venga a
sapere questa cosa da qualcun altro e che si agiti ancora di
più
finchè non mi vede.- spiegò, per poi posargli una
mano
sul braccio prima di pronunciare l'ultima frase- Ti prego.”
Crowford fissò serio i grandi
occhi color cielo dell'antropologa “E va bene.-
acconsentì,
distogliendo lo sguardo- Aspettiamo quelli della scientifica e Gordon
e poi partiamo.”
Uffici dell'Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Alaska Ross, nonostante
nessuno
l'avrebbe creduto possibile, sapeva due o tre cosette riguardo il
dolore, quello emotivo, che ti entra nelle ossa e riesce a spezzarti
il respiro. La prima volta l'aveva provato a sei anni, quando era
morta sua nonna paterna e lei aveva passato settimane a domandarsi il
perchè non potesse più averla al proprio fianco.
La
seconda volta si era impossessato di lei quando ad otto anni era
stata strappata dal suo mondo spensierato ed aveva vissuto dei giorni
di inferno nelle mani di un aguzzino. Quello che aveva capito del
dolore, nonostante fosse ancora una bambina, era che esso riusciva a
riflettersi sulle persone che più ti vogliono bene. Aveva
osservato come, ogniqualvolta lei stava male, un'espressione
sofferente compariva sul volto delle persone che le erano
più
care e, una volta che la giovane Alaska aveva capito di avere quel
potere sugli altri, aveva deciso di usarlo per migliorare le cose,
facendo in modo che nessuno di quelli a cui voleva bene dovessero
soffrire.
Era per questo che, mentre entrava in
quell'open space che ormai le era diventato così familiare,
sul volto aveva la stessa espressione scanzonata di sempre,
nonostante al suo interno sentisse crescere una sorta di panico ogni
volta che si ritrovava a pensare al teschio che aveva ritrovato nel
proprio bagno e alla scritta minacciosa che lo accompagnava.
Scortata da Crowford, come sempre
imbronciato e dall'aria minacciosa, si vide ben presto venire
incontro una Emily piuttosto preoccupata che, dopo averla abbracciata
stretta, le aveva tenuto le mani ben ferme sulle spalle e l'aveva
scostata leggermente da sé per scrutarla con attenzione.
“Ero così preoccupata!- la
informò- Come ti senti, Alaska?”
Ross le rivolse un sorriso ampio e
rassicurante “Molto bene, Em, davvero!Sai, in effetti credo
che
siano più rischiose le intossicazioni croniche rispetto a
quelle acute che sono più facilmente individuabili e
curabili,
perciò...”
La donna le rivolse un'occhiata
ammonitrice “Non fare Reid con me, Alaska!Un avvelenamento
non è
uno scherzo, sai?”
“Lo so, ma non c'è davvero
niente di cui preoccuparsi: il dottore mi ha assicurato che sono sana
come un pesce!- assicurò, prima di indicarsi il volto con un
indice- Guarda, non ho nemmeno più quel colorito ingrigito
da
ospedalizzazione!”
Emily la scrutò di nuovo: in
effetti sembrava che stesse bene, nonostante il suo viso fosse
più
pallido del solito. Di certo, fra i due, sembrava che fosse Reid
quello più sconvolto dall'intera faccenda ma in fondo, si
ritrovò a pensare la donna, Alaska non era ancora al
corrente
delle ultime e per niente positive novità.
La donna si mordicchiò il labbro
inferiore, incerta su quale sarebbe potuta essere la reazione
dell'antropologa e notò finalmente la figura massiccia di
Crowford che, con il suo metro e novanta, incombeva su loro due come
un'ombra.
Prentiss lanciò un'ulteriore
occhiata sospettosa all'agente che accompagnava Ross, cosa che parve
non sfuggire agli occhi attenti dell'uomo.
“L'ho accompagnata.- spiegò
con voce piatta in risposta alla domanda che Emily non aveva osato
fare- Non mi sembrava il caso di farle prendere i mezzi pubblici dopo
quello che ha passato.”
La mora annuì, cercando di non
far trapelare troppo quanto non sopportasse l'agente, e
tornò
a rivolgere lo sguardo ad Alaska.
“Avete visto qualche alieno a
Roswell?” domandò con tono leggero la ragazza,
sorridendole
amabile.
Emily fece dondolare la testa “Non ne
abbiamo avuto il tempo. Eravamo troppo impegnati a catturare un SI e
a preoccuparci da morire per te.”
Ross fece roteare gli occhi “Tempo
sprecato.- mormorò, prima di rendersi conto che la propria
frase poteva essere mal interpretata- Voglio dire, tempo sprecato per
quanto riguarda la parte della preoccupazione, mentre siete stati
come al solito fenomenali a catturare l'Uomo Sospetto, solo che
andare a Roswell senza nemmeno cercare di avvistare un Ufo è
davvero uno spreco...Dove sono gli altri?” aggiunse,
guardandosi
intorno alla ricerca dei volti familiari degli altri membri della
squadra.
Emily le fece un cenno col capo
“Seguimi.” disse, camminando lungo l'open-space e
salendo in
fretta i pochi scalini che portavano alla sala conferenze.
Una volta entrati Crowford e Ross si
trovarono di fronte il team al completo e si domandarono
immediatamente quale fosse il problema. Che la notizia
dell'intrusione a casa della ragazza fosse già arrivata?
L'antropologa fece scorrere uno sguardo
nella stanza. Hotch se ne stava seduto composto, le gambe accavallate
e le mani appoggiate sul ripiano dell'ampio tavolo; JJ era seduta
poco più in là, le mani abbandonate in grembo che
spiccavano nel contrasto con la sua gonna blu scuro; Morgan aveva la
schiena appoggiata alla parete e le braccia incrociate in petto;
mentre Garcia sembrava particolarmente impegnata a spostare il
proprio peso da un piede all'altro, agitata. Lo sguardo della ragazza
si soffermò soprattutto sulla figura longilinea di Spencer
che, con la mascella contratta e lo sguardo stranamente vacuo,
sembrava il più scosso di tutti.
Alaska li scrutò di nuovo
attentamente uno per uno. Avevano tutti delle espressioni gravi e
un'aria decisamente troppo seria “Uhm...Sono nei
guai?” si
ritrovò a domandare, titubante.
Non ottenne risposta, se non un invito,
fatto con voce gentile da Rossi “Siediti, Alaska.”
La ragazza fece quanto gli era stato
detto, mentre Crowford rimase in piedi, di fianco alla porta con le
braccia conserte, per niente intenzionato ad andarsene, nonostante
non avesse ricevuto ufficialmente l'invito a restare.
“Allora...- esordì Ross con
tono casuale- di che stavate parlando?Avete delle facce...”
Hotch le rivolse un'occhiata seria,
quella che usava sempre sul lavoro “In effetti, stavamo
discutendo
del tuo caso.”
Alaska alzò le sopracciglia,
stupita “Sono diventata un caso?”
JJ parve soppesare bene le parole prima
di spiegare quanto detto dall'uomo “Alaska ricordi che cosa
stavi
facendo prima di svenire?”
“Ero in laboratorio ad analizzare
un cadavere.-spiegò, aggrottando la fronte in quanto non
capiva ancora il motivo di quelle domande- Avevo lasciato per la
scientifica un foglio che ho trovato infilato nel cavo orale e poi ho
iniziato a sentirmi male...”
“La scientifica ha analizzato quel
foglietto.” la informò Morgan, staccandosi con un
colpo di
reni dalla parete e avvicinandosi al resto del gruppo.
“Ok.”
annuì Alaska, sempre più confusa. Sentiva alle
proprie
spalle la figura alta e robusta di Nate farsi rigida e inquieta.
“Non era un foglietto qualsiasi.-
continuò l'uomo di colore- Era una fotografia.”
“Oook.” ripetè la giovane,
prolungando il suono della prima lettera.
“Una tua fotografia.” concluse
Prentiss al posto del collega.
“Oh.” fu tutto quello che uscì
dalle labbra dell'antropologa, non appena realizzò quanto le
era appena stato detto.
“Era lì per te.- disse Rossi,
una leggera inclinazione nella sua voce di solito calda e calma che
faceva intuire quanto quell'intera storia lo facesse infuriare- Il
cadavere, la foto, il veleno. Chi l'ha messo sapeva che avresti
esaminato tu il corpo e ha cercato di avvelenarti...”
Alaska rimase in silenzio per qualche
secondo prima di parlare di nuovo “Forse dovremmo vedere il
lato
positivo di tutto ciò...”
“Il lato positivo?!” sbottò
Reid, incredulo. Era rimasto in silenzio fino a quel momento, troppo
sconvolto da quell'intera situazione per parlare, ma al sentire
quelle parole si era alzato di scatto e aveva spalancato la bocca per
lo stupore.
“Nessuno ha preso di mira il
laboratorio di medicina legale, il che fa ridurre il numero delle
persone in pericolo da centinaia a una.” si
ritrovò a
spiegare la ragazza, con tono incerto nonostante la convinzione nelle
proprie parole.
“Ross, ti prego, non andare oltre.-la
interruppe Crowfrod, scocciato, parlando per la prima volta- Il
bastardo è stato al suo appartamento.” aggiunse,
guardando
gravemente la squadra di analisi comportamentale.
“Cosa?!”esclamò Garcia, le
sue parole accompagnate da un'espressione stupita e preoccupata allo
stesso tempo che si poteva leggere sui volti di tutti i presenti
nella stanza.
Gli occhi di Reid erano diventate due
pozze scure enormi e colme di panico mentre si avvicinava alla
propria ragazza e le stringeva un braccio intorno alle spalle con
fare protettivo.
“Nel suo bagno c'era un teschio e una
scritta fatta di sangue finto sullo specchio.”
continuò a
spiegare il burbero agente, incrociando le braccia muscolose al
petto.
“Non era sangue finto, era succo di
ribes.-precisò Ross, col suo tono usuale- E il teschio non
è
recente. È di un nativo americano e sembra abbastanza
vecchio.
Non appena mi daranno il via libera per le analisi ne saprò
qualcosa di più...”
Hotch la interruppe “Che diceva la
scritta?”
Crowford fece una breve pausa prima
riportare le parole che erano come tatuate nella sua mente
“Tu
sarai la prossima.”
Spencer sentì l'aria mancargli
dai polmoni e la sua stretta intorno alle spalle di Alaska si fece
più forte, come se la ragazza potesse sparire da un momento
all'altro.
“Quindi a questo punto abbiamo il
corpo scheletrizzato e il tentativo di avvelenamento che, a giudicare
dalla foto, era un chiaro messaggio per Alaska.”
ricapitolò
Hotch, che ormai considerava quell'intera situazione come un caso da
affrontare.
“E il messaggio decisamente più
esplicito sullo specchio di Ross.” aggiunse Nate con tono
grave.
Morgan lanciò un'occhiata
preoccupata a Reid e alla ragazza prima di parlare “E anche
una
busta di foto che l'SI ha spedito a Ross poco tempo fa.- disse,
rivelando quel particolare che gli altri ancora ignoravano- La sta
seguendo da settimane.”
“Ecco cosa ci facevi qui il giorno in
cui siamo partiti per il New Mexico!” esclamò
David, come se
fosse appena venuto a capo di una brutta equazione.
JJ guardò Alaska con l'ansia che
trapelava dallo sguardo “Perchè non ce ne hai
parlato?”
L'antropologa si strinse nelle spalle,
cercando di ignorare lo sguardo fulminante che le aveva lanciato
Crowford, deluso per non essere stato informato di quelle foto
“Non
lo ritenevo importante, suppongo...” borbottò con
il tono di
una bambina appena richiamata dalla maestra.
“Quindi...- cominciò a parlare
Emily, leggermente titubante- quindi l'SI ha già scelto lei
come sua vittima. Lei e nessun altro.”
Il silenzio calò nella sala
conferenze mentre tutti gli sguardi erano puntati su Alaska, in
attesa di una sua reazione. Sul suo volto comparve un'espressione
pensierosa, che raramente avevano avuto occasione di contemplare: la
fronte era aggrottata, le labbra strette in una linea orizzontale e
gli occhi chiari fissi sulla punta delle proprie scarpe mentre, nella
sua mente, i pensieri rimbalzavano da una parte all'altra come
impazziti.
Alla fine alzò lo sguardo,
lasciandolo vagare per qualche secondo su ognuno dei presenti.
“Direi che la mia nuova consulenza
capita a proposito, dunque.” disse, informandoli della
conclusione
a cui era arrivata col suo ragionamento.
“La tua nuova
consulenza?- ripetè Morgan prima di scuotere la testa- Non
credo proprio, Quarantanove.”
“Oh, ma questa è fantastica.-
assicurò l'antropologa, stupendo tutti con la
vivacità
del suo tono di voce- Ascoltate gente: San Francisco. Buttando
giù
un palazzo hanno trovato dei resti umani risalenti ad almeno una
decina di anni fa, stando a quando è stato costruito lo
stabile, perlomeno.”
“Alaska...” tentò di
interromperla Rossi, con tono paterno.
“Ma la cosa fantastica è
che l'FBI deve affiancare la polizia locale.- continuò a
raccontare Alaska- E la polizia locale ha un consulente fisso che si
occupa dei casi di omicidio più intricati e questa
è la
cosa interessante.”
“Ross...” la richiamò Hotch,
anche se la sua voce risultò sopraffatta da quella
squillante
e entusiasta della ragazza.
“Il consulente è Adrian Monk!”
esclamò.
Garcia si morse il labbro inferiore
“Credo che ti convenga mettere i freni, Nocciolina.”
“Adrian Monk, avete presente?-
domandò agitando i palmi, non capendo come mai gli agenti
non
condividevano il suo entusiasmo- Quell'uomo è un genio, una
leggenda!Risolve i casi in maniera talmente brillante...Dicono che
sia un po' strano, sapete, fissato con l'ordine e la pulizia e la
simmetria e...”
Reid le rivolse un'occhiata preoccupata “Tu
non andrai da nessuna parte.” sentenziò, riuscendo
ad
ottenere l'attenzione dell'antropologa.
“Ma...”
“Niente ma.-gli diede man forte
Morgan- Non è il caso che tu te ne vada in giro per gli
Stati
Uniti con questo tizio intenzionato ad ucciderti.”
“Ma lui è
Adrian Monk!” cercò di protestare nuovamente la
ragazza.
“Potrebbe anche essere il Padre
Eterno.- sbottò Crowfrod in un ringhio- Niente San Francisco
per te, Ross. Almeno non per il momento.”
“Ma...Monk?”
Rossi le rivolse un debole sorriso:
capiva che Alaska si era fissata su quella consulenza solo per non
pensare alla situazione che avrebbe invece dovuto affrontare a
Washington “Ho degli amici a quel dipartimento.- la
rassicurò-
Quando questa storia sarà finita, ti arrangerò un
incontro.”
“Grandioso!-continuò a parlare
velocemente Ross, cercando di concentrarsi sulle proprie parole-
Sarà
fantastico, già lo so!Certo, dovrò studiare la
lista
delle sue fobie e evitare tutte le cose che lo infastidiscono, ma
credo che dovrei piacergli: insomma, sono abbastanza simmetrica e lui
ama la simmetria e poi anche a me piacciono i numeri pari
e...”
“Ross, chiudi il becco!” sbottò
di nuovo Crowford, ottenendo finalmente il silenzio.
“Che c'è?” domandò
Alaska, incerta.
Reid prese una sua mano fra le sue
“Dobbiamo parlarti di quello che ti è successo
negli ultimi
giorni e di quello che accadrà nei prossimi.”
La ragazza sembrò notare
immediatamente il tono grave nella sua voce, così si
limitò
ad annuire, dando quindi la possibilità ai profiler di
spiegarle tutto quanto.
Hotch scambiò con Reid
un'occhiata carica di significato, in cui sembrò chiedere il
permesso di mostrare alla ragazza la foto incriminata, quella che lei
stessa aveva asportato dal cadavere scheletrizzato. Spencer
annuì
piano: non voleva sconvolgere la sua ragazza, ma credeva che sarebbe
stato decisamente meglio se avesse avuto un'idea completa riguardo
l'intera faccenda, cosa che, sperava, gliel' avrebbe fatta
considerare con meno leggerezza.
Il capo dell'unità di analisi
comportamentale fece un cenno a Garcia, che accese il monitor della
sala conferenze.
Nella foto Alaska era stata catturata
nell'atto di voltarsi, la folta massa di capelli corvini mossa da
quel movimento improvviso sembrava quasi un'aureola nera intorno al
suo volto pallido. Certo, il suo viso era l'unica cosa che rimaneva
ben visibile dell'immagine. La sua testa era attorniata da un cerchio
rosso fuoco, che sembrava il disegno stilizzato di come l'immagine
potesse apparire attraverso il mirino ottico di un fucile di
precisione. E poi c'erano quelle parole, piene di odio e scritte con
mano rabbiosa. Puttana. Stronza. Assassina.
La fissò senza guardarla
veramente per un lungo minuto, ma alla fine tornò a
rivolgere
il suo sguardo ad Hotch.
“Il modo con cui ha disegnato sulla
foto.- iniziò a spiegare l'uomo- È personale,
Alaska,
non un semplice sconosciuto che può aver sviluppato
un'ossessione per te.”
“Intendi che è qualcuno che ce
l'ha con me per un motivo reale?- si informò quindi Ross-
Qualcuno che mi conosce?”
L'agente Hotchner sospirò
“Crediamo di sì.”
La ragazza si mordicchiò il
labbro inferiore, meditabonda e prese un grosso respiro prima di
appoggiarsi meglio allo schienale della sedia. Poi, finalmente,
parlò
di nuovo “Quindi ora che succede?”
“Succede che sei sotto protezione,
per prima cosa.-chiarificò Crowford con tono risoluto-
Finchè
non salta fuori il bastardo che vuole farti del male tu non passerai
un minuto da sola, chiaro?”
Gli angoli delle labbra rosse della
ragazza si piegarono all'insù “Spero che quando
dici che non
passerò un minuto da sola tu abbia usato un'espressione
metaforica perchè, per quanto io adori la compagnia, non
credo...”
“Crowford ha ragione.- concordò
Prentiss, sovrastando la voce di Alaska- Avrai una scorta ed
è
meglio se non torni a casa tua finchè questa storia non
sarà
finita. La zona dove abiti è troppo frequentata e sarebbe
difficile individuare dei movimenti sospetti.”
“Verrà a stare da me.” disse
immediatamente Reid, senza accorgersi che stava stringendo sempre
più
forte le mani della propria ragazza.
Hotch annuì “Va bene. Su casa
tua abbiamo fatto il controllo di sicurezza quando sei stato assunto:
conosciamo tutte le possibili entrare e uscite e le
peculiarità
della zona. Sarà più facile individuare l'SI se
si
avvicinerà troppo.”
“Ho già dato ordine ad una
pattuglia di occuparsi del suo caso.-li informò Crowford- Ci
saranno due uomini ventiquattrore su ventiquattro.”
Ross fece saettare i propri occhi di
qua e di là, come se stesse seguendo una partita di tennis,
mentre i profiler e il suo collega stavano organizzando nei minimi
dettagli il modo migliore di proteggerla. Vide lo stress per quella
situazione sul bel volto di JJ, negli occhi scuri di Morgan, nei
movimenti nervosi delle mani di Garcia, nel continuo passare delle
dita di Prentiss fra i propri capelli scuri e nel ticchettare nervoso
del piede di Rossi.
“Davvero non sarebbe meglio se io
andassi in California per quel caso?” domandò,
pensando che,
se fosse sparita per un po', sarebbe stato meglio per tutti.
“No,
Alaska.- scosse la testa Derek- Questo tipo è un
pianificatore: ha fatto arrivare qui un corpo dal Nevada
chissà
come, solo per farlo trovare a te. Non esiterebbe a seguirti e senza
la sorveglianza sotto cui ti potremmo mettere a Washington saresti
una preda fin troppo facile.”
Alaska prese una grossa boccata d'aria,
prima di votarsi per trovare il volto di Spencer e, cercando di
scacciare l'ansia da quel volto che tanto amava gli rivolse un
sorriso confortante.
“Credo di voler andare a casa,
adesso.” annunciò, ben sapendo che i giorni
seguenti
sarebbero stati caotici e stressanti.
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Questo capitolo è....accidenti, è davvero lunghissimo!Ma visto come vi ho lasciato con quello precedente ho cercato di farmi perdonare in questo modo!Spero che non sia stato troppo pesante da leggere, però mi sembrava più giusto pubblicarlo tutto insieme piuttosto che spezzarlo, anche perchè credo che non avrebbe giovato alla lettura...Anyway, che ne pensate?Sì, sono particolarmente cattiva, alla povera Alaska ne faccio passare davvero di tutti i colori e giure che sento un pò di rimorso. Sono assolta?Amen!E ho finalmente introdotto il personaggio di Nathaniel Nate Crowford, menzionato brevemente nel precedente e che d'ora in poi sarà decisamente più presente. Che ne pensate di lui?Personalmente (e non perchè l'ho creato io) lo adoro: è la nemesi di Alaska, in pratica!Eheheh! Va bene, my dears, al solito: grazie di aver letto, fatemi sapere che cosa pensate del nuovo capitolo e soprattutto kisses e buon fine settimana!JoJo
P.S. Scusate la citazione su Monk ma io adoro lui e le sue salviettine igienizzanti!:)
Unsub : hai perfettamente ragione, Alaska è fuori di testa, completamente fuori dal mondo e...sì, direi che Reid ha avuto effetti piuttosto negativi sul proprio sistema nervoso nel conoscerla!eheheh!Besos e al prossimo capitolo (ps il tuo nick mi inquieta un pò, eh! XD )
Maggie_Lullaby : My dear, io te lo dico: il mondo è ingiusto e io sono la mano destra del diavolo, e anche la sinistra, oltre che il suo forcone che punzecchia gli innocenti!eheheh!Però lo ammetto, un briciolo di magnanimità ce l'ho: ho addirittura aggiornato con un giorno d'anticipo rispetto al tuo ultimatum, sono stata brava, eh?:) Sono contenta che il capitolo precedente (finale tronco a parte) ti sia piaciuto, i tuoi complimenti mi fanno sempre piacere, e spero che anche questo cap sia di tuo gradimento!Al prossimo capitolo quindi, bacioni
Luna Viola
: *coff
coff* uhm...io...davvero ho paura di riceve lettere minatorie,
ritrovarmi una bomba sotto casa o altro, però te lo devo
dire...ecco, questo dovrebbe davvero essere l'ultimo sequel della
storia di Alaska e Reid. Ora, visto che la storia in sè ha
dei toni piuttosto dark, diciamo, e che i membri della squadra si
meritano un pò di sano divertimento ho deciso che
accorperò a questa storia circa 8 capitoli/bonus che
tratteranno un tema più leggero...Spero di essermi
guadagnata la tua approvazione, con ciò. *me si inchina e
chiede pietà* Anyway, spero che il capitolo ti sia piaciuto,
e sono contenta che quello precedente ti abbia creato ansia: era quello
che volevo, mwahahah!Alla prossima, kisses!