Serie TV > Criminal Minds
Segui la storia  |       
Autore: JoJo    16/09/2010    4 recensioni
Non c'è niente di peggio che vedere la propria vita rubata, pezzo dopo pezzo. Sapere che qualcuno osserva tutto ciò che fai, che punta costantemente i suoi occhi malati osservando ogni minimo particolare. La sua ossessione si trasmette anche alla sua vittima, e gli agenti del BAU questo non possono permetterlo.
Genere: Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie '49 ways to live'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ci sono veleni così sottili che per conoscerne le proprietà è necessario avvelenarsi. 

- Oscar Wilde


Howard University Hospital. Washington, DC.

Penelope Garcia non amava gli ospedali.
Innanzitutto perchè al loro interno accadevano perlopiù cose spiacevoli, che consistevano soprattutto in persone malate e sofferenti, e lei sapeva di non essere particolarmente portata a vedere gli altri soffrire. Derek aveva chiamato questa sua caratteristica empatia, lei non aveva idea se fosse davvero quello o cos'altro, sapeva però che gli ospedali non facevano per lei. In secondo luogo, poi, tutti i ricordi che aveva degli ospedali tendevano ad essere spiacevoli. C'era stata quella volta in cui Reid era stato sequestrato da un SI, per esempio, o quando era stato infettato dall'antrace o quando gli avevano sparato al ginocchio. Si ricordava di quando Hotch era stato pugnalato da Foyet e, ovviamente, di quando avevano sparato a lei stessa. L'unico ricordo piacevole legato alle strutture ospedaliere, quindi, era la nascita di Henry e quando JJ le aveva chiesto di essere la sua madrina.
Quindi, esistevano parecchi motivi per cui Penelope Garcia potesse affermare di non amare gli ospedali, e a buon ragione, oltretutto!
Tuttavia, non appena aveva ricevuto la chiamata di Morgan che gli aveva spiegato con tono concitato e non senza una certa preoccupazione che Alaska era stata ricoverata in ospedale e che Reid era saltato sul primo areo per Washington per raggiungerla, si era precipitata immediatamente all'Howard University Hospital, pronta a mettersi al capezzale dell'amica.
O perlomeno era quello che progettava di fare se un'infermiera dittatoriale non l'avesse dirottata verso la sala d'attesa, dove aveva passato praticamente tutta la serata a tamburellare nervosamente le dita sulle proprie ginocchia, passeggiare su e giù lungo il perimetro della stanza e bere caffè di qualità scadente.
Dopo quelle ore di completa omertà riguardo le condizioni di Alaska, però, Garcia aveva deciso di abbandonare l'edificio e di agire e finalmente era riuscita ad ottenere le informazioni che desiderava.
Schiacciò il tasto di chiamata rapida per mettersi in contatto con Morgan e attese pazientemente che l'uomo rispondesse.
“Si riprenderà!” annunciò, saltando i convenevoli, non appena ottenne la linea.
La squadra di analisi comportamentale trasse un respiro di sollievo, prima che David ponesse la fatidica domanda “Ma cosa è successo?”
“Hanno chiamato Alaska per analizzare dei resti che sono stati trovati mummificati e parzialmente scheletrizzati.-spiegò, riportando pari pari il racconto della segretaria dell'istituto di medicina legale- Mentre stava facendo l'autopsia si è sentita male perchè, a quanto pare, il cadavere era velenoso: le tossine non hanno avuto effetto subito perchè tutti là dentro usano guanti e mascherine, ma Alaska è rimasta a contatto con i resti per troppo tempo e la tossina è stata assorbita anche a livello cutaneo.”
“Adesso come sta?” si informò JJ con tono preoccupato.
“E' fuori pericolo, le hanno ripulito il sangue dalle tossine in tempo, ma la tratterranno comunque in ospedale per degli accertamenti.” continuò a parlare Penelope.
Un senso di sollievo si diffuse fra i profiler.
“L'hai vista?” chiese Rossi, che avrebbe desiderato avere informazioni più approfondite.
“Solo per poco e di sfuggita.- borbottò l'informatica imbronciata- Il medico mi ha consigliato di andarmi a fare un giro mentre applicano la terapia visto che è ancora incosciente, ma non intendo schiodarmi da questo ospedale.”
Derek ridacchiò “Brava, bambolina, fagli vedere chi sei!”
“Hai avuto notizie di Reid?” domandò Emily, alzando un polso per guardare il proprio orologio e fare un rapido calcolo mentale su dove potesse trovarsi in quel momento l'aereo preso dal collega.
“Non ancora, ma mi ha detto che mi chiamerà non appena scenderà dall'aero.- spiegò, prima di esclamare- Oh, ecco!Hanno aggiornato di nuovo la sua cartella clinica.” 
“Garcia!- la richiamò Hotch- Non sei entrata nella rete informatica dell'ospedale, vero?”
“No!” rispose Penelope, troppo velocemente, però.
Il capo dell'unità di analisi comportamentale fece roteare gli occhi “Allora?Che dice?”
“Fuori pericolo, ha risposto perfettamente alla terapia.- lesse Garcia, facendo scorrere gli occhi sul monitor del proprio portatile che si portava in grembo- Starà in ospedale due giorni, e la prognosi è di quattro o sei giorni.”
Al leggere quelle parole Penelope si sentì immediatamente più rilassata. Certo, quell'esperienza non le avrebbe certo fatto cambiare la propria idea sugli ospedali, ma era contenta che tutto si stava risolvendo velocemente e bene. A quel punto era pronta a tornare a casa per raccogliere qualcosa che sarebbe stato di certo utile ad Alaska, certo, non prima di aver parlato un'infermiera per avere la certezza che l'amica non si sarebbe svegliata durante la sua assenza.

Howard University Hospital. Washington, DC. Qualche ora dopo.

Rallentò il passo solo quando intravide il numero della stanza che gli era stato indicato dall'infermiera. Quando si ritrovò sulla porta rimase immobile, appoggiato lo stipite, ad osservare la ragazza, mentre sentiva dentro di sé la preoccupazione lasciare un piccolo spazio alla gioia e al sollievo che si erano creati non appena l'aveva vista.
Alaska era sdraiata nel letto, la schiena leggermente sollevata appoggiata al cuscino voluminoso e un leggero lenzuolo bianco a coprirle le gambe e l'addome. Stava sfogliando una rivista che probabilmente le aveva portato una delle infermiere e le sue labbra, rosse e screpolate, spiccavano sulla pelle troppo pallida. Gli occhi azzurri erano circondati da delle occhiaie scure che le davano un'aria malata e stanca.
“Sembra peggio di quello che è.”
Nel sentire all'improvviso quella voce familiare, leggermente arrochita e decisamente stanca, sobbalzò sul posto.
Alaska gli rivolse un sorriso amorevole. Si era svegliata da poco ed era contenta che la prima persona ad arrivare da lei, subito dopo il dottore, fosse stata proprio Reid.
Il ragazzo tossì, per schiarirsi la voce, mentre si avvicinava al suo capezzale “Come...come è successo?” domandò, anche se Garcia ormai glielo aveva raccontato fino alla nausea.
“Le ossa erano tossiche.- disse, riportando la breve spiegazione che le aveva dato il medico quando le aveva chiesto che cosa fosse successo- Fortunatamente gli altri non hanno passato abbastanza tempo in laboratorio da rimanere colpiti dal veleno.”
La testa di Spencer si alzò di scatto, incredulo di quanto aveva appena sentito “E tu?”
“Sto bene.- lo rassicurò Alaska, allungano una mano per dargli un buffetto sul braccio- Mi sono svegliata mezz'oretta fa e un dottore mi ha visitata subito. Ha detto che devo aspettare ancora un paio d'ore per le ultime analisi e poi mi rispediscono a casa.”
“Di già?” domandò scettico il profiler, alzando un sopracciglio.
“E' più di un giorno che sono qua dentro, Spencer, e avere un po' di nausea non è certo un sintomo che richiede l'ospedalizzazione.” gli fece notare la ragazza. L'incidente al laboratorio era avvenuto la mattina precedente, prima di mezzogiorno e in quel momento erano già le cinque di pomeriggio del giorno successivo. Nella mente di Alaska quello era un tempo decisamente troppo lungo da passare in un ospedale.
“Forse dovrei parlare col tuo dottore.” borbottò Reid meditabondo, mentre faceva vagare gli occhi scuri lungo la parete di vetro che si affacciava sul corridoio alla ricerca di un camice bianco.
“Oh, sì!-concordò allegra l'antropologa, iniziando a parlare velocemente come suo solito- Phil è davvero simpatico. Sai che questo è un ospedale universitario?Ho appena contribuito alla formazione di un giovane medico, sento di aver fatto qualcosa di buono per l'umanità, come quando uso i sacchetti di carta al posto di quelli di plastica o quando ti convinco a comprare block notes fatti di carta riciclata o quando chiudo il rubinetto dell'acqua mentre mi lavo i denti o...”
“Cosa?!- esclamò Reid raddrizzandosi sulla sedia- Non hai avuto un medico vero?”
“Phil è un vero dottore.- gli ricordò la ragazza- Deve solo fare la specializzazione e...”
“Ma guarda un po' quei begli occhioni azzurri!- chiocciò una paffuta infermiera entrando nella stanza- Ho fatto solo una pausa caffè e tu sei già tornata da noi, cara?”
I due si voltarono verso la donna che piroettava in fretta da una parte all'altra della stanza, controllando le flebo e i tabulati dell'elettrocardiogramma.
“Sissignora.- confermò Alaska rivolgendole un sorriso aperto- Avrei dovuta aspettarla?”
“No, tesoro.-la rassicurò l'infermiera con aria bonaria- Solo che avrei voluto farti io il controllo di routine, mi sono occupata io di te ieri.”
Reid prese la parola “E' passato il dottor...- fece una pausa, cercando di ricordare se la ragazza gli avesse detto il cognome del medico-uhm...Phil?”
“Ah, certo.- la donna fece dondolare la testa, i riccioli ribelli liberati da quel gesto- Il dottor Lodge, caro ragazzo.”
Alaska annuì “Mi ha punzecchiato, stuzzicato, misurato la febbre e fatto altre strane cose da medico.”
L'infermiera guardò la cartella, sorridendo soddisfatta “Sembra proprio che il peggio sia passato.”
“Oh,sì!- confermò Ross- Mi sento molto bene, in effetti.”
Spencer si rivolse all'infermiera, preoccupato “Ha detto che ha un po' di nausea: è normale?”
“Direi di sì.- la rassicurò la donna, dando un buffetto al piede di Alaska sotto le coperte- In fondo questo povero angelo è stato intossicato da veleno per topi. Povera cara, com'è che è potuto succedere?”
“Un...piccolo incidente sul lavoro.” spiegò, senza entrare nei particolari che coinvolgevano un cadavere scheletrizzato, stringendosi nelle spalle.
“Mi hanno detto che sei una ricercatrice allo Smithsonian...” riepilogò l'infermiera, meditabonda.
“Evidentemente qualcuno ha preso troppo sul serio l'espressione topi da laboratorio.” scherzò Alaska, riuscendo a strappare una risata all'infermiera, prima che lasciasse la sua stanza.
Reid, invece, le rivolse un'occhiataccia a causa di quella battuta. Si domandava come potesse anche solo pensare di scherzare su una situazione del genere: che avrebbe fatto lui se il veleno fosse stato troppo potente?Se Ross non fosse riuscita a schiacciare il pulsante delle emergenze e i soccorsi non fossero arrivati in tempo?
Un brivido gelido gli scese lungo la schiena a quei pensieri, facendolo rabbrividire nonostante il riscaldamento nella stanza fosse piuttosto alto.
Allungò una mano sopra il letto e strinse quella di Alaska, portandosela poi alle labbra per posarle un leggero bacio sul palmo.

Nate Crowford non sorrideva. Mai. Le uniche volte in cui le sue labbra sottili si piegavano leggermente all'insù era per dimostrare maggiormente agli altri la propria superiorità umiliandoli con un'espressione beffarda. Nate Crowford non era ben visto dai suoi colleghi dell'FBI. I suoi metodi erano troppo duri, spesso ai confini della legalità, e il suo atteggiamento in generale era decisamente troppo aggressivo.
Per questo motivo in molti, quando erano venuti a conoscenza del fatto che a Crowford era stata assegnata come consulente Alaska Ross, avevano pensato ad uno scherzo. Invece, probabilmente, il karma esisteva davvero e la giovane antropologa forense con la sua allegria spesso fuori luogo e la sua gentilezza verso il prossimo era semplicemente il contrappasso per uno dei molti peccati del burbero agente dell'FBI.
Quando Reid lo vide entrare nella stanza di Alaska, con la testa rasata, i muscoli pompati stretti nella giacca di pelle e sul viso la solita espressione ostile, non riuscì ad impedire a un brivido di scorrergli lungo la schiena.
La sua ragazza, invece, sorrise smagliante: a quanto pareva quell'aspetto minaccioso non le faceva alcun effetto “Ciao Nate!” trillò, come se non fosse affatto reduce da un avvelenamento.
Crowford strinse le labbra. Alaska era la sola a cui permetteva di chiamarlo con quel soprannome, tutti gli altri, compresi i parenti stretti, lo chiamavano semplicemente Nathaniel.
“Che ti è successo?” domandò, ignorando completamente Spencer. Aveva un forte accento di Boston e una voce cupa e profonda.
“Non posso dirtelo con precisione perchè non mi fanno leggere la mia cartella clinica.- rispose la ragazza, mimando un piccolo broncio- Dicono che non sono una vera dottoressa.”
“Infatti non lo sei.” tagliò corto Crowford, avvicinandosi al letto, ma rimanendo in piedi, le spalle rigide.
Alaska sorrise, rassicurandolo come aveva fatto con Reid poco prima “Ma sto bene, davvero.”
L'uomo alzò un sopracciglio “A giudicare dalla quantità di aghi che hai infilati nella pelle non direi che bene è la parola esatta.”
L'antropologa ignorò quel commento e fece un gesto per indicare Reid, ancora seduto di fianco a lei “Hey, lui è Spencer!Spencer, lui è Nate, il mio partner nelle indagini in cui serve un'antropologa forense.”
L'agente lanciò un'occhiata penetrante al profiler, scrutandolo da capo a piedi con sguardo di sufficienza, cosa che fece imbarazzare il ragazzo non poco.
“Crowford.” balbettò a mo' di saluto, il viso color porpora.
“Dottor Reid.” gli fece eco annoiato l'altro, che non sembrava per niente entusiasta di quella nuova conoscenza.
“Sono così contenta che finalmente vi siate conosciuti, anche se speravo non succedesse per un motivo del genere.” ciarlò allegra la ragazza, incurante del fatto che sembrava l'unica nella stanza a non notare quanto la presenza di Crowford avesse incupito l'atmosfera. A Spencer sembrava perfino che nell'intero corridoio ci fosse meno vitalità rispetto a quando era arrivato.
Scrutò il volto dell'agente federale. Era serio, terribilmente: la bocca stretta in una linea dura e gli occhi grigi senza traccia di sentimento. A giudicare dai tratti il profiler considerò che dovesse avere più o meno l'età di Morgan, o perlomeno essere di qualche anno più giovane rispetto il suo collega. Ostentava una sicurezza estrema e aveva atteggiamenti tipici da maschio alpha, inoltre, come poteva notare dalla posa militaresca anche nel semplice stare in piedi, intuì che doveva avere sempre il controllo della situazione.
Si riscosse non appena un uomo in camice bianco entrò nella stanza, lasciando così a metà il proprio profilo iniziale sullo scorbutico collega della sua ragazza.
“Hey Phil!” lo salutò Alaska gioviale.
Il dottore prese la cartella, anche se sapeva già che non c'erano novità “Alaska. La mia paziente preferita!Sai, sei quella che mi da più soddisfazioni in questo reparto.”
L'uomo fece un gesto vago della mano. In effetti, l'aria che tirava di solito in terapia intensiva non era il massimo e poter dire di aver stabilizzato e rimesso in piedi una paziente in soli due giorni era di certo una vittoria.
“Nel senso che mi stai dando l'ok?- domandò Ross eccitata- Il grande via libera, semaforo verde, pollice in su, foglio di via, libertà totale d'azione?”
Il dottore scosse la testa ridendo divertito, mentre anche i due agenti FBI sembravano impazienti di sapere la risposta.
“Non ancora, temo.-disse infine il dottor Lodge- Devi aspettare le ultime analisi, ma sono più che certo che domani mattina verrai finalmente dimessa.”
“Domani mattina?” piagnucolò Alaska, lasciandosi cadere all'indietro sui cuscini.
“Potrei sapere come avete agito?” domandò Spencer, impaziente.
Il dottore strinse gli occhi, cercando di ricordare “Il dottor Reid, giusto?Alaska mi ha parlato di lei. Una specie di genio che nel tempo libero diventa un mago, no?”
“Non esattamente, però...”
“Insomma possiamo sapere che cosa è successo?- sbottò Crowford interrompendolo- Vorrei far partire le indagini!”
“E immagino che lei è l'agente Crowford. Mi ha parlato parecchio anche di lei: scommetto che questa ragazza riesce a snocciolare più di duemila parole al minuto.”
“Non mi hanno mai fatto test a riguardo ma potrebbe essere.” confermò Alaska divertita.
“Per curare l'avvelenamento acuto da tallio le abbiamo somministrato furosemide e successivamente abbiamo sottoposto la signorina Ross ad emodialisi. Non c'è niente per cui preoccuparsi, quindi, la tossina è stata rimossa completamente dal suo organismo.”
“Niente complicazioni, quindi?” chiese di nuovo conferma Reid, ancora preoccupato.
Lodge scosse la testa, prima di rivolgersi alla ragazza “D'accordo signorina. Quello che devi sapere è che ti sentirai un po' intorpidita per i prossimi giorni, come se fossi convalescente da una brutta influenza. Quindi, dacci dentro con le vitamine, bevi tanti liquidi e se dovessi riscontrare affaticamento o difficoltà respiratorie devi ritornare qui a fare un controllo. Tutto chiaro?”
Alaska gli rivolse un sorriso radioso“Annullerò gli allenamenti per la maratona di New York.”
“Potresti ripiegare su un torneo di scacchi.” la assecondò il dottore, appuntando qualcosa sulla cartella clinica.
“O coltivare la mia innata abilità nel lancio dei coriandoli.” continuò Alaska. Vederla scherzare in quel modo aveva rassicurato un po' Spencer sulle sue condizioni, ma di certo non sul perchè si trovasse lì. E dall'espressione grave sul volto di Crowford il profiler ipotizzò che anche la mente dell'altro agente era rivolta alle indagini che si sarebbero aperte il più presto per trovare il colpevole di quell'atto.
“Vedo che sei un'ottima creatrice di piani alternativi.- continuò a chiacchierare il medico- Dovrei farti conoscere la mia sorellina, si sta struggendo da settimane riguardo a cosa potrebbe fare se non venisse ammessa alla facoltà di legge.”
“Fossi in lei mi aggregherei a un circo e farei la funambola. Certo, solo se potessi avere un vestito di paiettes rosse e un ombrellino in tinta.”
“Glielo proporrò.- ribattè, prima di dirigersi verso la porta puntandogli addosso un dito ammonitore- Mi raccomando, basta avvelenamenti, sei troppo divertente.”
“Me lo segnerò in agenda: veleno?Mai più, grazie.” rise Alaska, salutandolo con una sventolata leggera di mano.
“Ti dispiace restare sola per un po', Ross?- domandò Crowford con voce piatta- Credo di dover parlare un attimo con il dottor Reid.”
Spencer girò di scatto la testa verso l'uomo, interdetto da quella richiesta, mentre la mora non sembrò notare la stranezza di quella domanda.
“Ma certo, fate pure!- concordò con un sorriso smagliante, accennando con la testa al televisore della stanza- Ho saputo che hanno la tv via cavo, magari riesco a trovare un programma interessante: forse ci sono le repliche di Happy Days.”
Reid lanciò un'ultima occhiata ad Alaska e, con un sospiro rassegnato, si ritrovò a seguire l'uomo fuori dalla camera, socchiudendo alle proprie spalle la porta a vetri scorrevole.
Crowford incrociò le braccia muscolose al petto, inchiodandolo sul posto con uno sguardo grave “Ho già fatto partire un'indagine. Ho i nomi di chiunque sia stato in contatto con il cadavere, anche per un secondo, e ho già proceduto con gli interrogatori di alcuni di loro. Per ora posso escludere che si tratti di un attentato di un lavoratore interno ai laboratori di medicina legale. Devo ancora interrogare i poliziotti e i portantini dell'ambulanza e poi procederò con un'indagine esterna al dipartimento.”
Il profiler ascoltò attento “Ti hanno affidato il caso?”
“Me lo sono preso.- precisò Crowford- Quegli idioti del dipartimento di polizia non sanno neanche da che parte sono girati.”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e sgranò gli occhi, esterrefatto “Ma..ma- balbettò, agitato dalla presenza di uno degli agenti federali più temuti- la procedura dice che...”
“Al diavolo!- sbottò Nate combattivo- Se qualcuno tenta di fare fuori la mia partner è decisamente affar mio!”
Spencer strinse le labbra: sentirlo chiamare Alaska “la sua partner” in modo tanto possessivo gli aveva fatto inconcepibilmente montare dentro una strana rabbia.
“Quindi quale è la tua teoria?” si informò, cercando di darsi un po' di contegno.
Crowford si umettò le labbra sottili, lo sguardo penetrante fisso sulla figura di Alaska al di là del vetro “Credo che si tratti di un possibile attentato all'istituto di medicina legale.”
Reid annuì, pensieroso, considerando quell'ipotesi. Era realistica: dopotutto il dipartimento si occupava di tutti i casi di omicidio, suicidio e morti sospette di Washington, e spesso anche di quelle provenienti da piccole città limitrofe. Non era da escludere che qualcuno avesse architettato un piano del genere per scostare l'attenzione da un caso in analisi, oppure come forma di avvertimento. Spencer si torturò le mani lunghe e affusolate, mentre continuava nei propri ragionamenti. Probabilmente, pensò, doveva essere l'opera di un esperto, data l'accuratezza dell'intera operazione.
“Quindi...-azzardò, tornando a fissare l'uomo di fronte a sè- ti serve aiuto con le indagini?”
Crowford lo guardò come se avesse raccontato una brutta barzelletta “No.- tagliò corto- Mi serve che tieni Ross fuori dai guai e che la convinci a lasciar perdere il caso che stava trattando. È tremendamente cocciuta e ha quella sua stupida fissa del non...”
“...abbandonare mai un caso.” concluse Reid al suo posto.
“Già.- confermò Nate, passandosi una mano fra i corti capelli neri- Insomma, vorrei che la facessi ragionare come i comuni mortali, per una volta.”
Spencer annuì “Cercherò di convincerla a lasciare spazio alle indagini.”
Crowfrod annuì, senza accennare a ringraziarlo per l'aiuto “Bene, torno al lavoro. Salutami Ross.”
Fece un cenno col capo alla ragazza che, da dentro la stanza, li stava osservando con accesa curiosità nello sguardo, e dopodiché camminò veloce lungo il corridoio, pronto a guadagnare l'uscita, ignorando Reid come aveva già fatto in precedenza.
Il ragazzo scosse la testa, incerto su cosa pensare su quello strano personaggio.
“Nate se ne è andato?” gli domandò Alaska, quando ritornò a sedersi al suo fianco nella camera d'ospedale.
Spencer le rivolse un sorriso stropicciato “Aveva da fare. Ha detto che ti saluta, però.”
L'antropologa annuì, i grandi occhi azzurri che spiccavano particolarmente sul pallore da malata. “Pensate che qualcuno abbia avvelenato il cadavere per colpire il dipartimento di medicina legale?” domandò quindi, lasciando che un'espressione di sorpresa attraversasse veloce il volto del profiler.
“Stavi origliando?” ribattè Reid, alzando un sopracciglio.
“Esattamente.- confermò lei con un sorriso smagliante- So che non si dovrebbe fare, ma stavate parlando di un argomento che reputo interessante senza coinvolgermi. In più, a mia discolpa chiamo il fatto che la porta era socchiusa, il che è praticamente un invito ad ascoltare.”
“Quindi hai anche sentito delle indagini di Crowford e del fatto che vuole che ti fai un po' da parte nel caso...” continuò Spencer allusivo.
Alaska annuì di nuovo, alzando le mani in segno di resa “Una settimana.- decretò- E' il tempo di riposo che mi ha consigliato il dottore. Quindi per una settimana farò la brava bambina ubbidiente che lascia che papà orso faccia il proprio lavoro, ma dopodiché tornerò al mio caso.”
Reid gli rivolse un sorriso amorevole “E' stato più facile di quanto pensassi, convincerti. Forse ci sono stati più danni del previsto.” cercò di scherzare, anche se il suo tono non rispecchiava la spensieratezza delle proprie parole.
Ross rise, facendogli una linguaccia “Rimarrai qua con me, stanotte?” chiese poi speranzosa.
Spencer le afferrò entrambe le mani, avvicinandosele alla bocca “Non me ne vado da nessuna parte.” le assicurò, posandogli un bacio leggero sulla pelle diafana.

Uffici dell'Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.

Spencer Reid fece il suo ingresso nell'open space con passo svogliato, trascinando i piedi e con delle occhiaie che rendevano noto a chiunque lo osservasse che aveva passato una nottata in bianco. In effetti, era proprio così. Non che lui non fosse in grado di addormentarsi su una sedia di ospedale, per quanto potesse essere scomodo dopo aver passato le quarantotto ore precedenti senza dormire sarebbe stato decisamente in grado di addormentarsi anche su un letto di spilli, probabilmente. Il fatto era che Alaska, contrariamente a quanto aveva detto il dottor Lodge, non sembrava affatto affaticata o stanca, anzi. Dopo aver passato diverse ore in stato di incoscienza era decisamente più arzilla del solito, decisa a chiacchierare con lui di svariati argomenti che partivano dagli studi di un suo collega su una specie piuttosto rara di bruchi, alla nuova pubblicità del caffè solubile passando perfino sul probabile finale di una delle soap opera più seguite che lei non aveva però mai guardato. Lui amava parlare con Alaska eppure, senza nemmeno accorgersene, si era addormentato con la testa appoggiata alle sue gambe e quella mattina si era svegliato con un raggio di sole sugli occhi e la mano affusolata di lei che passava piano e ritmicamente fra i propri capelli.
Individuò i propri colleghi, tornati da poco dal New Mexico, intenti a parlottare fra loro vicino alla scrivania di Prentiss e gli si avvicinò lentamente.
“Aw, ragazzino, hai un aspetto orrendo!- fu il saluto di Morgan- Credevo fosse Alaska quella malconcia.”
Reid gli rivolse un'occhiata fulminante “Alaska sembra stare meglio di tutti noi messi insieme.- borbottò in risposta- E in questo momento si starà probabilmente preparando per essere dimessa. Mi ha convinto a venire qui, visto che ha convinto il suo partner ad accompagnarla a casa.”
Ai presenti non sfuggì lo strano accento che aveva messo sulla parola partner, ma nessuno lo interruppe.
“E poi non è affatto comodo passare la notte su una sedia di ospedale.” concluse, con un piccolo broncio sul viso.
“Il partner di Alaska non è- JJ fece una piccola pausa, picchiettandosi l'indice sulle labbra mentre cercava di rievocare il nome dell'agente- Nathaniel Crowford?”
Sul volto di Spencer si dipinse una smorfia insofferente mentre annuiva.
Rossi fece roteare gli occhi “Odio quel tizio.”
“Non sei il solo.” gli fece notare Emily, stringendosi nelle spalle.
“Sbaglio o è stato da poco richiamato dalla commissione disciplinare?- domandò Hotch, a nessuno in particolare- Credo sia per via di quando ha dato in escandescenze con un sospettato.”
Reid si lasciò scivolare sconfitto su una sedia “Grazie per darmi tutte queste notizie meravigliose sull'uomo che sta accompagnando a casa la mia ragazza e che passa con lei la maggior parte del tempo durante le sue consulenze per l'FBI. Grazie, davvero.”
Morgan gli diede una pacca sulla spalla esile e stava per aprire bocca per dire qualcosa quando fu interrotto dall'arrivo di Garcia in una nuvola coloratissima e vistosa.
“In sala conferenze fra dieci minuti.- disse perentoria, ma con voce estremamente ansiosa- Anzi, cinque minuti...Anzi...forse è meglio che veniate immediatamente!”
JJ la seguì immediatamente, stranita dal fatto che Penelope avesse usato una frase che di solito era lei a pronunciare “Ma che sta succedendo?”
Garcia camminò su e giù per la stanza, aspettando che Morgan, ultimo ad entrare, si chiudesse la porta alle spalle.
“Lo so che mi avete detto un milione di volte che non dovrei ficcanasare nelle indagini federali altrui- disse parlando talmente velocemente che le parole rischiavano di uscirle accavallate- ma qui stiamo parlando di Alaska, ok?Insomma, la sorellina che ho sempre desiderato, la fatina dei dentini che non ho mai avuto occasione di vedere, la prova vivente che i discorsi coerenti sono una perdita di tempo e...”
“Garcia, vuoi arrivare al punto?” domandò leggermente spazientito Rossi.
La rossa annuì, facendo ondeggiare la propria capigliatura “Insomma, volevo solo vedere come procedevano le indagini dopo tutta quella storia dell'avvelenamento, e volevo vedere se avevano già coperto chi è quel folle che ha cercato di fare del male alla mia Nocciolina e ho visto...insomma è successo...”
Hotch fece rotare gli occhi “Cosa è successo?”
Penelope schiacciò un pulsante sul telecomando che stringeva nervosamente tra le mani, accendendo così il monitor della sala conferenze “E' successo...questo.”
Gli occhi dei profiler si fissarono sullo schermo, increduli di ciò che era comparso davanti ai loro occhi.

Da qualche parte per le strade di Washington, DC.

Crawford si ricordava esattamente della prima volta che aveva visto Alaska Ross. Si occupava di un caso in cui la vittima era stata ritrovata troppo tardi, considerando il fatto che non ne era rimasto altro che lo scheletro, malconcio oltretutto.
Di solito, quando trattavano casi del genere, al medico legale si affiancava un patologo che aveva avuto anche formazione archeologica, ma tutto dipendeva di quali consulenti avevano a disposizione. Quella volta gli era stato annunciato che avevano assunto un consulente esterno fisso, un antropologo forense che lavorava allo Smithsonian. Si aspettava un borioso luminare con barba e rughe e invece gli era comparsa davanti questa ragazza dal sorriso largo che chiacchierava incessantemente di argomenti che non avevano niente a che vedere con l'antropologia forense.
Lui ovviamente aveva cercato di cacciarla via dalla scena del crimine all'istante, ma Alaska l'aveva stordito con le sue parole e, inoltre, l'agente Gordon gli aveva assicurato che era sicuro che fosse lei la consulente che gli era stata affidata. Così, l'aveva lasciata fare, osservandola mentre si avvicinava allo scheletro senza battere ciglio e analizzarlo attentamente prima di farlo portare via dai ragazzi dell'istituto di medicina legale.
“Allora?- le aveva domandato spazientito- Che cosa puoi dirmi su quel corpo?”
L'antropologa non si era fatta impressionare dal suo sguardo raggelante e dalle sue parole secche, gli aveva sorriso amabilmente e poi l'aveva invitato a pranzo per discutere. Quando lui aveva rifiutato, decisamente arrabbiato per il suo atteggiamento poco professionale, Alaska aveva taciuto finalmente per diversi secondi.
“Sei strano.” aveva sentenziato infine, scrutandolo con attenzione con le mani sui fianchi.
Lui le aveva rivolto una delle sue occhiate fulminanti, di quelle che di solito facevano scappare la gente con una scusa qualsiasi.
Lei invece gli aveva sorriso apertamente e aveva aggiunto “Mi piaci.” prima di andarsene con passo leggero, in una nuvola multicolor.
E lui, Nate Crowford, l'uomo di ghiaccio, era rimasto lì, praticamente paralizzato a guardare la sua schiena che si allontanava.
Non avrebbe mai pensato che si sarebbe legato talmente a lei da considerarla un'amica, tanto da viaggiare fino all'altro lato della città soltanto per darle un passaggio fino a casa.
“Ti ho portato un regalo.” disse Crowford, con tono indifferente, la mani ben strette intorno al voltante. Con la coda dell'occhio, però, non si lasciò sfuggire l'illuminarsi dello sguardo della giovane antropologa.
“Davvero?” trillò Alaska, un sorriso radioso sul volto.
Nate annuì, facendole cenno di aprire lo scompartimento sul cruscotto.
Le mani di Ross si strinsero pochi secondi dopo attorno ad una boccetta piena di pillole colorate.
“Le vitamine masticabili alla frutta!- esclamò contenta- Le adoro!”
Crowford non accennò a togliere lo sguardo dalla strada, anche se sapeva che quel piccolo regalo le sarebbe piaciuto “Ci sono anche quelle all'ananas. Le tue preferite, giusto?”
“Esatto!” confermò Alaska, portandosene una alla bocca.
“Non esagerare, però.- la ammonì- Non voglio vederti iperattiva e ingestibile. Non più del solito, perlomeno.”
La mora spinse in fuori il labbro inferiore “L'hai sentito il dottore, no?Devo rimettermi in forze!E questo vuol dire vitamine, dolci, persone che ti viziano coi loro pensierini e, possibilmente, anche la possibilità di passare una giornata in ozio sul divano a guardare cartoni animati mangiando gelato al biscotto!”
Crowford fece roteare gli occhi “Credevo che il tentato avvelenamento mi avrebbe permesso di vederti almeno un po' preoccupata, Ross.”
“Ora sto bene, non ho bisogno di stressarmi inutilmente.” rispose la ragazza, scrollando leggermente le spalle. L'agente annuì: sapeva benissimo che la filosofia di vita della ragazza consisteva nella ferma convinzione che il passato dovesse rimanere tale e pertanto considerava superfluo continuare a pensarci.
“Dì un po', esiste al mondo qualcosa che ti spaventa davvero?- continuò a indagare- Che so, i ragni, gli insetti, i serpenti, le grandi altezze...”
“Non ho fobie, anche se....- Alaska si mordicchiò l'interno delle guance, pensierosa- Sai, trovo piuttosto inquietanti gli zoo.”
Nate gli puntò addosso i suoi occhi grigi “Gli zoo?”
“Già.” confermò Ross annuendo.
“Sei strana.” le fece notare l'uomo, ritornando a guardare davanti a sé.
In effetti, se Crowford avesse conosciuto effettivamente il background della ragazza, probabilmente non si sarebbe stupito più di tanto. Aveva letto il suo fascicolo, ovviamente, non appena le era stata affidata come partner fissa nei casi in cui era necessario l'intervento di un esperto in antropologia forense, ma oltre a una piccola nota di uno psicologo che l'aveva avuta in cura quando era ancora una bambina in seguito ad un'esperienza traumatica che aveva vissuto, non aveva trovato niente di rilevante. Sapeva che ciò che era successo, se era stato menzionato sul suo fascicolo, doveva essere stato ritenuto rilevante da chi l'aveva assunta, ma lui si era limitato a relegare quell'informazione in qualche angolo della propria mente, senza procedere con indagini più approfondite. Indagini che con ogni probabilità lo avrebbero portato ad un fascicolo risalente a una quindicina di anni prima conservato negli archivi dal BAU, allora unità ancora in via di sviluppo, e che riportava i crimini di un uomo dall'aspetto banale ma con una mente perversa che l'aveva spinto a rapire e torturare, rinchiudendole in una gabbia, delle ragazzine della sua città. Probabilmente, se avesse affrontato quella ricerca, Crowford si sarebbe stupito del fatto che il nome della sua giovane partner coincidesse esattamente con quello dell'unica sopravvissuta a quell'aguzzino.
“E anche le armi mi spaventano.” continuò l'antropologa con tono leggero, alzando un indice per accompagnare le proprie parole.
“Non essere ridicola: passi la maggior parte del tempo in compagnia di persone che portano un'arma, Ross.- le ricordò Crowford aggrottando la fronte- E poi, le usi anche tu per le tue ricostruzioni a volte!”
“Lo so, ma la cosa che mi spaventa è l'idea delle armi.-spiegò Alaska- Insomma, gli uomini sono gli unici esseri che hanno pensato di utilizzare degli strumenti per fare del male al prossimo. Tutto questo è inquietante anche se, lo devo ammettere, antropologicamente interessante.”
Con uno scatto sporse una mano davanti a lui, per indicare un palazzo di mattoni rossi “Siamo arrivati!- annunciò con voce frizzante- Io abito lì.”
Con delle manovre fluide Nate parcheggiò l'auto nel parcheggio libero più vicino al portone del complesso in cui si trovava l'appartamento di Ross e, dopo aver recuperato dal bagagliaio il borsone che conteneva gli oggetti della ragazza, la seguì con passo sostenuto mentre lei lo guidava trotterellando verso la propria casa.
Quando raggiunsero il pianerottolo del terzo piano, Alaska tirò fuori dalla propria borsa un voluminoso mazzo di chiavi, decorato da un piccolo peluche a forma di tartaruga “Sono così contenta che tu sia qui, Nate.- gli rivelò con un sorriso ampio sul volto- Non posso credere che non ti ho mai invitato a casa mia prima d'ora.”
“Dipende dal fatto che hai sempre la testa fra le nuvole.- considerò l'agente, stringendosi nelle spalle larghe- Vuoi che ti lasci qualche minuto per dare una rassettata?”
Ross scosse la testa “Non servirà- assicurò, mentre spalancava la porta, rivelando un caotico ingresso- Et-voilà!”
Crowford mosse dei passi lenti all'interno dell'appartamento, seguendo Alaska fino al salotto. Fece vagare lo sguardo sul divano rosso fuoco, sommerso da una coperta di pile, numerose riviste aperte e qualche cuscino colorato, per poi spostarlo sugli scaffali in cui riconobbe, infilati fra soprammobili e cornici con foto di famiglia, anche degli indumenti di varia natura, e infine soffermandosi sulla moltitudine di oggetti semplicemente abbandonati sopra la moquette che ricopriva il pavimento.
“Hai avuto i ladri in casa forse?” domandò Nate, incerto, fissando una pila di libri che stava in piedi per miracolo addossata alla parete.
Alaska gli rivolse uno sguardo perplesso “No.”
“Allora stai traslocando?” chiese di nuovo Crowford.
“No.- ripetè la ragazza, inclinando la testa di lato- Perchè me lo chiedi?”
L'agente federale si guardò intorno facendo un giro su se stesso “Perchè ho appena capito come è il caos.”
Ross proruppe in una risata frizzante, riempiendo completamente l'ambiente, prima di ricominciare a parlare “Ora devo andare a recuperare Bruto.”
“Chi è Bruto?” si informò l'uomo inarcando un sopracciglio.
“Il mio pesce rosso.- rispose Alaska, la voce cristallina- Quando sto via per un po' porto il suo acquario in bagno, sai, là ci sono le piastrelle blu e si sente più a suo agio, e prima di essere ricoverata stavo da Penny, conosci Penny, vero?Comunque, credo che Bruto sarà contento di riprendere il suo posto in salotto ed avere un po' di compagnia...”
“Credo che dovrei segnalare il fatto che tu hai un pesce alla protezione animali.” sentì borbottare l'agente, mentre lei infilava il corridoio per recarsi nella stanza da bagno.
Stava ancora ridendo quando vi entrò con passo svelto e, prima ancora che potesse accorgersene, si ritrovò a fissare lo specchio, la risata che prima si stava diffondendo nell'aria circostante improvvisamente ferma in un punto a metà fra la sua gola e la sua bocca.
Cercando di rimanere calma, si diresse in cucina, alla ricerca dei suoi guanti di lattice, che si infilò mentre tornava ad esaminare quanto aveva inaspettatamente trovato.
“Che c'è, Ross?- sentì dire a Crowford con tono scherzoso mentre la seguiva- Il piccolo Nemo ha tirato le cuoia?”
Appena varcò la soglia, lo sguardo attento dell'agente federale si fisso sul lavandino, sul cui ripiano giaceva un teschio, le orbite vuote e senza espressione fisse su loro due. Lo osservò attentamente per qualche secondo, incerto su cosa pensare, prima di alzare gli occhi sul grande specchio illuminato: lesse la scritta dai caratteri incerti e traballanti, le lettere deformate dallo sgocciolamento del liquido color cremisi.
“Sangue.” disse infine, guardando attentamente la sostanza rossa che colava sulla superficie di vetro.
“No.- lo contraddisse immediatamente Alaska, con lo stesso tono che aveva di solito su una scena del crimine- È succo di ribes o qualcosa del genere. Il sangue coagula mentre questo no.”
Crowford le rivolse un'occhiata incerta “Succo di ribes?”
“O qualcosa del genere.- ripetè la ragazza tranquilla, sollevando il teschio e avvicinandoselo al naso per annusarlo- Il cranio non puzza, vuol dire che al suo interno il cervello è completamente decomposto: risale a più di tre anni fa. L'angolo del naso e l'altezza degli zigomi ci suggeriscono che appartiene a un nativo americano.”
Nate notò che la collega aveva acceso immediatamente la modalità antropologa e si affrettò ad afferrarle i polsi, guidandola nell'atto di posare di nuovo il teschio dove lo aveva trovato.
“Frena un po', Ross.- le intimò- Dobbiamo chiamare la scientifica e raccogliere tutte le tracce possibili prima che tu inizi a maneggiare quell'affare!”
Alaska puntò i suoi grandi occhi azzurri su di lui “Perchè?”
“Perchè?!- Nate si sentì cadere le braccia- Perchè. Perchè qualcuno si è introdotto in casa tua mentre tu non c'eri per lasciarti un cranio come souvenir e un messaggio inquietante fatto con del sangue e...”
“Succo di ribes.” precisò la ragazza, facendolo sospirare sonoramente.
“Quel diavolo che è!Non è questo il punto!- sbottò l'uomo, prima di riprendere il proprio discorso- Quello che volevo dire è che tu ora mi segui di là, ti siedi tranquilla su una sedia se ne trovi una in mezzo a quel caos, e aspetti con me l'arrivo di una pattuglia e della scientifica.”
Ross inarcò un sopracciglio sottile “Ma io ho già in casa tutto l'occorrente per fare i primi rilevamenti e le capacità per farli, devo solo ricordarmi dove ho messo la borsa da lavoro e...”
Crowford la bloccò, afferrandola per un braccio e trascinandola con sé in salotto, e la ragazza lasciò cadere la frase a metà.
“Tu non farai nient'altro.- le disse, guardandola severamente- Chiamo la scientifica e poi ti porto con me all'FBI.”
“A Quantico?” domandò lei speranzosa, con voce sottile.
“A Washington, all'Hoover Building.” precisò invece Nate.
Alaska scosse la testa “Preferirei che mi portassi da Spencer.”
“Io sono l'agente, tu il topo da laboratorio: si fa come dico io.” tagliò corto l'uomo, tagliando l'aria con una mano come per mettere fine alla questione.
“Tu non capisci, Nate: Spencer è molto protettivo nei miei confronti e già la storia dell'avvelenamento l'ha scosso parecchio. Non voglio che venga a sapere questa cosa da qualcun altro e che si agiti ancora di più finchè non mi vede.- spiegò, per poi posargli una mano sul braccio prima di pronunciare l'ultima frase- Ti prego.”
Crowford fissò serio i grandi occhi color cielo dell'antropologa “E va bene.- acconsentì, distogliendo lo sguardo- Aspettiamo quelli della scientifica e Gordon e poi partiamo.”

Uffici dell'Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.

Alaska Ross, nonostante nessuno l'avrebbe creduto possibile, sapeva due o tre cosette riguardo il dolore, quello emotivo, che ti entra nelle ossa e riesce a spezzarti il respiro. La prima volta l'aveva provato a sei anni, quando era morta sua nonna paterna e lei aveva passato settimane a domandarsi il perchè non potesse più averla al proprio fianco. La seconda volta si era impossessato di lei quando ad otto anni era stata strappata dal suo mondo spensierato ed aveva vissuto dei giorni di inferno nelle mani di un aguzzino. Quello che aveva capito del dolore, nonostante fosse ancora una bambina, era che esso riusciva a riflettersi sulle persone che più ti vogliono bene. Aveva osservato come, ogniqualvolta lei stava male, un'espressione sofferente compariva sul volto delle persone che le erano più care e, una volta che la giovane Alaska aveva capito di avere quel potere sugli altri, aveva deciso di usarlo per migliorare le cose, facendo in modo che nessuno di quelli a cui voleva bene dovessero soffrire.
Era per questo che, mentre entrava in quell'open space che ormai le era diventato così familiare, sul volto aveva la stessa espressione scanzonata di sempre, nonostante al suo interno sentisse crescere una sorta di panico ogni volta che si ritrovava a pensare al teschio che aveva ritrovato nel proprio bagno e alla scritta minacciosa che lo accompagnava.
Scortata da Crowford, come sempre imbronciato e dall'aria minacciosa, si vide ben presto venire incontro una Emily piuttosto preoccupata che, dopo averla abbracciata stretta, le aveva tenuto le mani ben ferme sulle spalle e l'aveva scostata leggermente da sé per scrutarla con attenzione.
“Ero così preoccupata!- la informò- Come ti senti, Alaska?”
Ross le rivolse un sorriso ampio e rassicurante “Molto bene, Em, davvero!Sai, in effetti credo che siano più rischiose le intossicazioni croniche rispetto a quelle acute che sono più facilmente individuabili e curabili, perciò...”
La donna le rivolse un'occhiata ammonitrice “Non fare Reid con me, Alaska!Un avvelenamento non è uno scherzo, sai?”
“Lo so, ma non c'è davvero niente di cui preoccuparsi: il dottore mi ha assicurato che sono sana come un pesce!- assicurò, prima di indicarsi il volto con un indice- Guarda, non ho nemmeno più quel colorito ingrigito da ospedalizzazione!”
Emily la scrutò di nuovo: in effetti sembrava che stesse bene, nonostante il suo viso fosse più pallido del solito. Di certo, fra i due, sembrava che fosse Reid quello più sconvolto dall'intera faccenda ma in fondo, si ritrovò a pensare la donna, Alaska non era ancora al corrente delle ultime e per niente positive novità.
La donna si mordicchiò il labbro inferiore, incerta su quale sarebbe potuta essere la reazione dell'antropologa e notò finalmente la figura massiccia di Crowford che, con il suo metro e novanta, incombeva su loro due come un'ombra.
Prentiss lanciò un'ulteriore occhiata sospettosa all'agente che accompagnava Ross, cosa che parve non sfuggire agli occhi attenti dell'uomo.
“L'ho accompagnata.- spiegò con voce piatta in risposta alla domanda che Emily non aveva osato fare- Non mi sembrava il caso di farle prendere i mezzi pubblici dopo quello che ha passato.”
La mora annuì, cercando di non far trapelare troppo quanto non sopportasse l'agente, e tornò a rivolgere lo sguardo ad Alaska.
“Avete visto qualche alieno a Roswell?” domandò con tono leggero la ragazza, sorridendole amabile.
Emily fece dondolare la testa “Non ne abbiamo avuto il tempo. Eravamo troppo impegnati a catturare un SI e a preoccuparci da morire per te.”
Ross fece roteare gli occhi “Tempo sprecato.- mormorò, prima di rendersi conto che la propria frase poteva essere mal interpretata- Voglio dire, tempo sprecato per quanto riguarda la parte della preoccupazione, mentre siete stati come al solito fenomenali a catturare l'Uomo Sospetto, solo che andare a Roswell senza nemmeno cercare di avvistare un Ufo è davvero uno spreco...Dove sono gli altri?” aggiunse, guardandosi intorno alla ricerca dei volti familiari degli altri membri della squadra.
Emily le fece un cenno col capo “Seguimi.” disse, camminando lungo l'open-space e salendo in fretta i pochi scalini che portavano alla sala conferenze.
Una volta entrati Crowford e Ross si trovarono di fronte il team al completo e si domandarono immediatamente quale fosse il problema. Che la notizia dell'intrusione a casa della ragazza fosse già arrivata?
L'antropologa fece scorrere uno sguardo nella stanza. Hotch se ne stava seduto composto, le gambe accavallate e le mani appoggiate sul ripiano dell'ampio tavolo; JJ era seduta poco più in là, le mani abbandonate in grembo che spiccavano nel contrasto con la sua gonna blu scuro; Morgan aveva la schiena appoggiata alla parete e le braccia incrociate in petto; mentre Garcia sembrava particolarmente impegnata a spostare il proprio peso da un piede all'altro, agitata. Lo sguardo della ragazza si soffermò soprattutto sulla figura longilinea di Spencer che, con la mascella contratta e lo sguardo stranamente vacuo, sembrava il più scosso di tutti.
Alaska li scrutò di nuovo attentamente uno per uno. Avevano tutti delle espressioni gravi e un'aria decisamente troppo seria “Uhm...Sono nei guai?” si ritrovò a domandare, titubante.
Non ottenne risposta, se non un invito, fatto con voce gentile da Rossi “Siediti, Alaska.”
La ragazza fece quanto gli era stato detto, mentre Crowford rimase in piedi, di fianco alla porta con le braccia conserte, per niente intenzionato ad andarsene, nonostante non avesse ricevuto ufficialmente l'invito a restare.
“Allora...- esordì Ross con tono casuale- di che stavate parlando?Avete delle facce...”
Hotch le rivolse un'occhiata seria, quella che usava sempre sul lavoro “In effetti, stavamo discutendo del tuo caso.”
Alaska alzò le sopracciglia, stupita “Sono diventata un caso?”
JJ parve soppesare bene le parole prima di spiegare quanto detto dall'uomo “Alaska ricordi che cosa stavi facendo prima di svenire?”
“Ero in laboratorio ad analizzare un cadavere.-spiegò, aggrottando la fronte in quanto non capiva ancora il motivo di quelle domande- Avevo lasciato per la scientifica un foglio che ho trovato infilato nel cavo orale e poi ho iniziato a sentirmi male...”
“La scientifica ha analizzato quel foglietto.” la informò Morgan, staccandosi con un colpo di reni dalla parete e avvicinandosi al resto del gruppo.
“Ok.” annuì Alaska, sempre più confusa. Sentiva alle proprie spalle la figura alta e robusta di Nate farsi rigida e inquieta.
“Non era un foglietto qualsiasi.- continuò l'uomo di colore- Era una fotografia.”
“Oook.” ripetè la giovane, prolungando il suono della prima lettera.
“Una tua fotografia.” concluse Prentiss al posto del collega.
“Oh.” fu tutto quello che uscì dalle labbra dell'antropologa, non appena realizzò quanto le era appena stato detto.
“Era lì per te.- disse Rossi, una leggera inclinazione nella sua voce di solito calda e calma che faceva intuire quanto quell'intera storia lo facesse infuriare- Il cadavere, la foto, il veleno. Chi l'ha messo sapeva che avresti esaminato tu il corpo e ha cercato di avvelenarti...”
Alaska rimase in silenzio per qualche secondo prima di parlare di nuovo “Forse dovremmo vedere il lato positivo di tutto ciò...”
“Il lato positivo?!” sbottò Reid, incredulo. Era rimasto in silenzio fino a quel momento, troppo sconvolto da quell'intera situazione per parlare, ma al sentire quelle parole si era alzato di scatto e aveva spalancato la bocca per lo stupore.
“Nessuno ha preso di mira il laboratorio di medicina legale, il che fa ridurre il numero delle persone in pericolo da centinaia a una.” si ritrovò a spiegare la ragazza, con tono incerto nonostante la convinzione nelle proprie parole.
“Ross, ti prego, non andare oltre.-la interruppe Crowfrod, scocciato, parlando per la prima volta- Il bastardo è stato al suo appartamento.” aggiunse, guardando gravemente la squadra di analisi comportamentale.
“Cosa?!”esclamò Garcia, le sue parole accompagnate da un'espressione stupita e preoccupata allo stesso tempo che si poteva leggere sui volti di tutti i presenti nella stanza.
Gli occhi di Reid erano diventate due pozze scure enormi e colme di panico mentre si avvicinava alla propria ragazza e le stringeva un braccio intorno alle spalle con fare protettivo.
“Nel suo bagno c'era un teschio e una scritta fatta di sangue finto sullo specchio.” continuò a spiegare il burbero agente, incrociando le braccia muscolose al petto.
“Non era sangue finto, era succo di ribes.-precisò Ross, col suo tono usuale- E il teschio non è recente. È di un nativo americano e sembra abbastanza vecchio. Non appena mi daranno il via libera per le analisi ne saprò qualcosa di più...”
Hotch la interruppe “Che diceva la scritta?”
Crowford fece una breve pausa prima riportare le parole che erano come tatuate nella sua mente “Tu sarai la prossima.”
Spencer sentì l'aria mancargli dai polmoni e la sua stretta intorno alle spalle di Alaska si fece più forte, come se la ragazza potesse sparire da un momento all'altro.
“Quindi a questo punto abbiamo il corpo scheletrizzato e il tentativo di avvelenamento che, a giudicare dalla foto, era un chiaro messaggio per Alaska.” ricapitolò Hotch, che ormai considerava quell'intera situazione come un caso da affrontare.
“E il messaggio decisamente più esplicito sullo specchio di Ross.” aggiunse Nate con tono grave.
Morgan lanciò un'occhiata preoccupata a Reid e alla ragazza prima di parlare “E anche una busta di foto che l'SI ha spedito a Ross poco tempo fa.- disse, rivelando quel particolare che gli altri ancora ignoravano- La sta seguendo da settimane.”
“Ecco cosa ci facevi qui il giorno in cui siamo partiti per il New Mexico!” esclamò David, come se fosse appena venuto a capo di una brutta equazione.
JJ guardò Alaska con l'ansia che trapelava dallo sguardo “Perchè non ce ne hai parlato?”
L'antropologa si strinse nelle spalle, cercando di ignorare lo sguardo fulminante che le aveva lanciato Crowford, deluso per non essere stato informato di quelle foto “Non lo ritenevo importante, suppongo...” borbottò con il tono di una bambina appena richiamata dalla maestra.
“Quindi...- cominciò a parlare Emily, leggermente titubante- quindi l'SI ha già scelto lei come sua vittima. Lei e nessun altro.”
Il silenzio calò nella sala conferenze mentre tutti gli sguardi erano puntati su Alaska, in attesa di una sua reazione. Sul suo volto comparve un'espressione pensierosa, che raramente avevano avuto occasione di contemplare: la fronte era aggrottata, le labbra strette in una linea orizzontale e gli occhi chiari fissi sulla punta delle proprie scarpe mentre, nella sua mente, i pensieri rimbalzavano da una parte all'altra come impazziti.
Alla fine alzò lo sguardo, lasciandolo vagare per qualche secondo su ognuno dei presenti.
“Direi che la mia nuova consulenza capita a proposito, dunque.” disse, informandoli della conclusione a cui era arrivata col suo ragionamento.
“La tua nuova consulenza?- ripetè Morgan prima di scuotere la testa- Non credo proprio, Quarantanove.”
“Oh, ma questa è fantastica.- assicurò l'antropologa, stupendo tutti con la vivacità del suo tono di voce- Ascoltate gente: San Francisco. Buttando giù un palazzo hanno trovato dei resti umani risalenti ad almeno una decina di anni fa, stando a quando è stato costruito lo stabile, perlomeno.”
“Alaska...” tentò di interromperla Rossi, con tono paterno.
“Ma la cosa fantastica è che l'FBI deve affiancare la polizia locale.- continuò a raccontare Alaska- E la polizia locale ha un consulente fisso che si occupa dei casi di omicidio più intricati e questa è la cosa interessante.”
“Ross...” la richiamò Hotch, anche se la sua voce risultò sopraffatta da quella squillante e entusiasta della ragazza.
“Il consulente è Adrian Monk!” esclamò.
Garcia si morse il labbro inferiore “Credo che ti convenga mettere i freni, Nocciolina.”
“Adrian Monk, avete presente?- domandò agitando i palmi, non capendo come mai gli agenti non condividevano il suo entusiasmo- Quell'uomo è un genio, una leggenda!Risolve i casi in maniera talmente brillante...Dicono che sia un po' strano, sapete, fissato con l'ordine e la pulizia e la simmetria e...”
Reid le rivolse un'occhiata preoccupata “Tu non andrai da nessuna parte.” sentenziò, riuscendo ad ottenere l'attenzione dell'antropologa.
“Ma...”
“Niente ma.-gli diede man forte Morgan- Non è il caso che tu te ne vada in giro per gli Stati Uniti con questo tizio intenzionato ad ucciderti.”
“Ma lui è Adrian Monk!” cercò di protestare nuovamente la ragazza.
“Potrebbe anche essere il Padre Eterno.- sbottò Crowfrod in un ringhio- Niente San Francisco per te, Ross. Almeno non per il momento.”
“Ma...Monk?”
Rossi le rivolse un debole sorriso: capiva che Alaska si era fissata su quella consulenza solo per non pensare alla situazione che avrebbe invece dovuto affrontare a Washington “Ho degli amici a quel dipartimento.- la rassicurò- Quando questa storia sarà finita, ti arrangerò un incontro.”
“Grandioso!-continuò a parlare velocemente Ross, cercando di concentrarsi sulle proprie parole- Sarà fantastico, già lo so!Certo, dovrò studiare la lista delle sue fobie e evitare tutte le cose che lo infastidiscono, ma credo che dovrei piacergli: insomma, sono abbastanza simmetrica e lui ama la simmetria e poi anche a me piacciono i numeri pari e...”
“Ross, chiudi il becco!” sbottò di nuovo Crowford, ottenendo finalmente il silenzio.
“Che c'è?” domandò Alaska, incerta.
Reid prese una sua mano fra le sue “Dobbiamo parlarti di quello che ti è successo negli ultimi giorni e di quello che accadrà nei prossimi.”
La ragazza sembrò notare immediatamente il tono grave nella sua voce, così si limitò ad annuire, dando quindi la possibilità ai profiler di spiegarle tutto quanto.
Hotch scambiò con Reid un'occhiata carica di significato, in cui sembrò chiedere il permesso di mostrare alla ragazza la foto incriminata, quella che lei stessa aveva asportato dal cadavere scheletrizzato. Spencer annuì piano: non voleva sconvolgere la sua ragazza, ma credeva che sarebbe stato decisamente meglio se avesse avuto un'idea completa riguardo l'intera faccenda, cosa che, sperava, gliel' avrebbe fatta considerare con meno leggerezza.
Il capo dell'unità di analisi comportamentale fece un cenno a Garcia, che accese il monitor della sala conferenze.
Nella foto Alaska era stata catturata nell'atto di voltarsi, la folta massa di capelli corvini mossa da quel movimento improvviso sembrava quasi un'aureola nera intorno al suo volto pallido. Certo, il suo viso era l'unica cosa che rimaneva ben visibile dell'immagine. La sua testa era attorniata da un cerchio rosso fuoco, che sembrava il disegno stilizzato di come l'immagine potesse apparire attraverso il mirino ottico di un fucile di precisione. E poi c'erano quelle parole, piene di odio e scritte con mano rabbiosa. Puttana. Stronza. Assassina.
La fissò senza guardarla veramente per un lungo minuto, ma alla fine tornò a rivolgere il suo sguardo ad Hotch.
“Il modo con cui ha disegnato sulla foto.- iniziò a spiegare l'uomo- È personale, Alaska, non un semplice sconosciuto che può aver sviluppato un'ossessione per te.”
“Intendi che è qualcuno che ce l'ha con me per un motivo reale?- si informò quindi Ross- Qualcuno che mi conosce?”
L'agente Hotchner sospirò “Crediamo di sì.”
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore, meditabonda e prese un grosso respiro prima di appoggiarsi meglio allo schienale della sedia. Poi, finalmente, parlò di nuovo “Quindi ora che succede?”
“Succede che sei sotto protezione, per prima cosa.-chiarificò Crowford con tono risoluto- Finchè non salta fuori il bastardo che vuole farti del male tu non passerai un minuto da sola, chiaro?”
Gli angoli delle labbra rosse della ragazza si piegarono all'insù “Spero che quando dici che non passerò un minuto da sola tu abbia usato un'espressione metaforica perchè, per quanto io adori la compagnia, non credo...”
“Crowford ha ragione.- concordò Prentiss, sovrastando la voce di Alaska- Avrai una scorta ed è meglio se non torni a casa tua finchè questa storia non sarà finita. La zona dove abiti è troppo frequentata e sarebbe difficile individuare dei movimenti sospetti.”
“Verrà a stare da me.” disse immediatamente Reid, senza accorgersi che stava stringendo sempre più forte le mani della propria ragazza.
Hotch annuì “Va bene. Su casa tua abbiamo fatto il controllo di sicurezza quando sei stato assunto: conosciamo tutte le possibili entrare e uscite e le peculiarità della zona. Sarà più facile individuare l'SI se si avvicinerà troppo.”
“Ho già dato ordine ad una pattuglia di occuparsi del suo caso.-li informò Crowford- Ci saranno due uomini ventiquattrore su ventiquattro.”
Ross fece saettare i propri occhi di qua e di là, come se stesse seguendo una partita di tennis, mentre i profiler e il suo collega stavano organizzando nei minimi dettagli il modo migliore di proteggerla. Vide lo stress per quella situazione sul bel volto di JJ, negli occhi scuri di Morgan, nei movimenti nervosi delle mani di Garcia, nel continuo passare delle dita di Prentiss fra i propri capelli scuri e nel ticchettare nervoso del piede di Rossi.
“Davvero non sarebbe meglio se io andassi in California per quel caso?” domandò, pensando che, se fosse sparita per un po', sarebbe stato meglio per tutti.
“No, Alaska.- scosse la testa Derek- Questo tipo è un pianificatore: ha fatto arrivare qui un corpo dal Nevada chissà come, solo per farlo trovare a te. Non esiterebbe a seguirti e senza la sorveglianza sotto cui ti potremmo mettere a Washington saresti una preda fin troppo facile.”
Alaska prese una grossa boccata d'aria, prima di votarsi per trovare il volto di Spencer e, cercando di scacciare l'ansia da quel volto che tanto amava gli rivolse un sorriso confortante.
“Credo di voler andare a casa, adesso.” annunciò, ben sapendo che i giorni seguenti sarebbero stati caotici e stressanti.

_________________________________________________________________________

Questo capitolo è....accidenti, è davvero lunghissimo!Ma visto come vi ho lasciato con quello precedente ho cercato di farmi perdonare in questo modo!Spero che non sia stato troppo pesante da leggere, però mi sembrava più giusto pubblicarlo tutto insieme piuttosto che spezzarlo, anche perchè credo che non avrebbe giovato alla lettura...Anyway, che ne pensate?Sì, sono particolarmente cattiva, alla povera Alaska ne faccio passare davvero di tutti i colori e giure che sento un pò di rimorso. Sono assolta?Amen!E ho finalmente introdotto il personaggio di Nathaniel Nate Crowford, menzionato brevemente nel precedente e che d'ora in poi sarà decisamente più presente. Che ne pensate di lui?Personalmente (e non perchè l'ho creato io) lo adoro: è la nemesi di Alaska, in pratica!Eheheh! Va bene, my dears, al solito: grazie di aver letto, fatemi sapere che cosa pensate del nuovo capitolo e soprattutto kisses e buon fine settimana!JoJo

P.S. Scusate la citazione su Monk ma io adoro lui e le sue salviettine igienizzanti!:)

Unsub : hai perfettamente ragione, Alaska è fuori di testa, completamente fuori dal mondo e...sì, direi che Reid ha avuto effetti piuttosto negativi sul proprio sistema nervoso nel conoscerla!eheheh!Besos e al prossimo capitolo (ps il tuo nick mi inquieta un pò, eh! XD )

Maggie_Lullaby : My dear, io te lo dico: il mondo è ingiusto e io sono la mano destra del diavolo, e anche la sinistra, oltre che il suo forcone che punzecchia gli innocenti!eheheh!Però lo ammetto, un briciolo di magnanimità ce l'ho: ho addirittura aggiornato con un giorno d'anticipo rispetto al tuo ultimatum, sono stata brava, eh?:) Sono contenta che il capitolo precedente (finale tronco a parte) ti sia piaciuto, i tuoi complimenti mi fanno sempre piacere, e spero che anche questo cap sia di tuo gradimento!Al prossimo capitolo quindi, bacioni

Luna Viola : *coff coff* uhm...io...davvero ho paura di riceve lettere minatorie, ritrovarmi una bomba sotto casa o altro, però te lo devo dire...ecco, questo dovrebbe davvero essere l'ultimo sequel della storia di Alaska e Reid. Ora, visto che la storia in sè ha dei toni piuttosto dark, diciamo, e che i membri della squadra si meritano un pò di sano divertimento ho deciso che accorperò a questa storia circa 8 capitoli/bonus che tratteranno un tema più leggero...Spero di essermi guadagnata la tua approvazione, con ciò. *me si inchina e chiede pietà* Anyway, spero che il capitolo ti sia piaciuto, e sono contenta che quello precedente ti abbia creato ansia: era quello che volevo, mwahahah!Alla prossima, kisses!

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: JoJo