Disclaimer:
questa storia è frutto della mia fantasia. Io non conosco Orlando Bloom e la
storia è stata scritta con l’unico scopo di divertire. Non vuole assolutamente
mancare di rispetto ad Orlando Bloom, attore che stimo e ammiro.
Dedicata a:
Lilly, Mamy, Galadriel,Sunshine, Moon, Elisa e a chi la leggerà! ^_^
I casi della vita
Era la centesima volta che guardavo “Il Signore degli Anelli-Le due Torri” dalla mia camera di ospedale nel reparto di cardiologia, e come al solito non facevo che fantasticare su me e Legolas o, meglio ancora, su me e Orlando Bloom. Mi piaceva moltissimo e desideravo conoscerlo o anche solo stringergli la mano.
Sapevo bene
che era impossibile ma sognare non ha mai fatto male a nessuno.
Spensi la
televisione e mi coricai sotto le coperte. Mi girai verso il mio comodino dove
tenevo una cornice con una foto di Orlando. Era troppo carino e anche tanto
bravo.
Lo immaginavo
come un ragazzo simpatico e dolce ma troppo lontano dalla mia portata.
Bussarono
alla porta “Lucy, stavi dormendo cara?” mia madre era entrata con un enorme
vaso di fiori freschi bianchi “No! Dove hai intenzione di metterli?” le chiesi
vedendo che puntava al mio comodino.
“Sul tuo
comodino, mi sembra ovvio! Sposta quella foto per favore! Se fosse il tuo
ragazzo non avrei di che ridire ma è solo un ragazzo che non potrai mai avere!”
mi disse seccata e spostando la foto di Orlando. Mi alzai di scatto dal letto e
rimisi la foto al suo posto “Questa resta qui, chiaro? I fiori mettili davanti
alla finestra!” le sibilai molto irritata. Aveva ragione, non avrei mai potuto
avere Orlando, ma lei non aveva nessuno diritto di calpestare i mie sogni e
sentimenti!
“Hai diciotto
anni! I sogni lasciali ai bambini!” mi rimproverò sistemando il vaso davanti
alla finestra.
“Si vede proprio
che non hai sogni nel cuore, mamma!” mi limitai a dirle coricandomi di nuovo
nel mio letto. Se non fosse stata per la mia malattia le avrei urlato dietro
tutto quello che mi stava passando per la testa. La sentì uscire senza
proferire parola.
Mia madre era
una donna tutta d’un pezzo. Avevo la sfortuna di essere la figlia del primario
di Neurologia più in gamba dell’ospedale. Lei non aveva mai sognato, non aveva
mai avuto desideri. A volte credevo che al posto del cuore avesse un pezzo di
legno.
Tutto quello
che aveva fatto se lo era sudato e questo le dava il permesso di tarparmi le
ali, di togliermi i sogni.
“Lucy, posso
entrare?” la mia sorellina era appena entrata nella stanza. Mi girai verso di
lei e le sorrisi “Ciao Katy! Anche tu sei qui per farmi osservazioni?” le
chiesi in tono acido. Vidi i suoi dolci occhi azzurri spalancarsi di colpo.
“Io…io volevo solo sapere come stai! Chi ti ha fatto osservazioni, scusa?” mi
chiese sedendosi sul letto.
“La mamma!
Non vuole che faccia sogni ad occhi aperti su Orlando, non vuole che tenga la
sua foto sul comodino, non vuole farmi vivere in poche parole!” mi sfogai ma
subito mi calmai sentendomi mancare l’aria.
Katy si
allarmò “Stai calma! Non devi agitarti, vuoi che chiami qualcuno?” mi chiese
alzandosi
“NO!Non è
niente!” le dissi respirando a fondo.
“Va bene! Tu
non dire alla mamma dei tuoi sogni, Lucy! Io non le dico mai quello che
immagino su Tom Felton! Non sono mica così scema!” mi disse scoppiando a
ridere.
“Allora mi
capisci! Scommetto che anche tu vorresti conoscere Tom Felton” le dissi
guardando la foto di Orlando.
“Ovvio, ma
anche Orlando non mi dispiace!” mi disse fissandomi con il suo solito sorriso
birichino
“Ehi, tieni
giù le mani, capito? Orly è solo mio!” le dissi incrociando le braccia al
petto.
“Certo, e io
sono la moglie di Tom Cruise!” mi prese in giro. Anch’io risi.
“Almeno ci
sei tu a farmi ridere!” le dissi spettinandole i capelli.
Si aprì la
porta ed entrò una dottoressa dai capelli grigi e un paio di occhialini a
mezzaluna sul naso.
“Scusa ma
dovresti uscire. Devo visitare la signorina” le disse in tono dolce la donna
avvicinandosi a Katy.
“Certo! Ci
vediamo, Lucy!” mi salutò con un bacio sulla guancia.
La dottoressa
mi visitò con cura ma l’espressione sul suo volto non prometteva niente di
buono.
“Manca una
settimana all’operazione. Non faccia sforzi e, per favore, non si agiti troppo,
ok?” mi raccomandò uscendo dalla mia stanza. Io mi limitai ad annuire con la
testa.