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Autore: Fiamma Drakon    19/09/2010    2 recensioni
Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.
Ma io, come diavolo ci sono finita in questo inferno...?!

[Linguaggio colorito; possibile cambio di rating]
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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6_Vergata di sangue «Trovato niente?» esclamò Alan, estraendo un altro volume dal titolo poco chiaro, se non addirittura incomprensibile.
«No, niente di utile» fu la risposta di Erika, dall’altro capo dello scaffale.
Accidenti, siamo qui da un sacco di tempo ormai! Non penso che questa cazzo di torcia duri ancora a lungo!
Si sentiva dannatamente inutile in quel posto, dove senza una seppur minima fonte di luce non riusciva a far niente di più che andare a sbattere contro le sedie.
Era l’unico luogo dove poteva trovare informazioni circa il bastardo che gli aveva sottratto la piramide, ma non aspettava altro che di uscire da quella biblioteca che puzzava di vecchio: il suo olfatto non riusciva più a sopportare quell’odore.
Puntò il fascio di luce della torcia verso gli scaffali più alti, stringendo gli occhi per cercare di carpire qualche lettera dei titoli.
Erika, più in là, si stava cimentando in audaci quanto pericolose acrobazie per raggiungere l’ultimo ripiano, fuori della sua portata ad altezza originale. In precario equilibrio sullo schienale di una sedia, si stava inerpicando in punta di piedi per raggiungere il libro dalla rilegatura nera che aveva attirato la sua attenzione per le sottili striature che aveva scorto, con un po’ di fatica, sul suo dorso.
Riuscì a sfiorarne l’estremità inferiore e un brivido le percorse la schiena.
«AAAH!» urlò, prima di riuscire a contenersi.
Suo padre si precipitò - la torcia in mano - giusto in tempo per vederla perdere l’equilibrio e cadere.
Fortunatamente, riuscì a gettarsi sotto di lei appena in tempo per prenderla, prima che si schiantasse al suolo.
«Erika, che c’è? Cos’è successo?» chiese, in ansia.
La ragazza pareva stravolta e alzò due dita verso di lui.
L’acre odore più familiare che potesse percepire gli s’insinuò nel naso, scatenando l’immediata reazione.
«Dove...?»
Erika indicò in alto, cosicché Alan, istintivamente, puntò la propria torcia nella stessa direzione, incontrando immediatamente la cosa che aveva spaventato la figlia.
«Lo prendo io» esclamò, rimettendola in piedi.
Si inerpicò quindi sullo schienale della sedia che lei aveva lasciato sotto lo scaffale e si sporse, riuscendo a prendere il libro con la rilegatura nera... striata di sangue.
Scese e lo illuminò con la torcia: tutta la copertina era rigata da inquietanti rivoli scuri.
Ne sfiorò uno.
«Il sangue non è ancora secco. Non dev’essere qui da molto» commentò il redivivo, serio.
«Il titolo... guarda» osservò Erika, indicandogli i caratteri d’argento che spiccavano in vivo contrasto con la copertina.
Era scritto con una grafia chiaramente leggibile, anche se sporca di sangue, e recitava: “RAVEN’S SECTS”.
«L’abbiamo trovato!» esclamò Alan, sollevato.
«Ma... perché è sporco di sangue?» chiese Erika, sollevando l’interrogativo più ostico, quello che suo padre aveva voluto ignorare.
«Non lo so» disse, scuotendo il capo, quindi aprì la prima pagina.
Vi trovarono una piuma, grande, nera... e piena di sangue.
«Che significa, secondo te?» domandò Alan, sollevandola.
«Guarda papà, qui c’è scritto qualcosa!».
Erika indicò una piccola scritta a margine della prima pagina, davvero troppo piccola perché lui potesse leggerla, anche se fosse stato sotto una luce al neon.
«Che cosa dice?» domandò.
«È... sembra un nome» disse semplicemente la ragazza, un po’ perplessa.
«C’è scritto “Marcus”. Ma chi è Marcus?»
«Probabilmente l’ex proprietario di questo libro...» disse Alan.
«Avanti, prendilo e andiamo»
«No, aspetta! Forse la bibliotecaria può dirci qualcosa a riguardo» obiettò Erika, logica.
«Okay, proviamo a chiedere, ma se non ne sa niente?»
«Siamo praticamente al buio. Non ci vedrà nemmeno» spiegò la giovane Reagh.
«Va bene».
Ripercorsero la biblioteca fino all’entrata.
La bibliotecaria era seduta ancora nella stessa posizione di prima, ancora intenta a leggere il giornale.
«Signora, mi scusi» la chiamò Erika, avvicinandosi.
Silenzio.
«Signora! Può dirmi qualcosa di questo libro?» ritentò, a voce più alta.
Di nuovo, silenzio.
Alan le si accostò, preoccupato.
«Qui c’è qualcosa che non va...» osservò, scuro in volto.
La figlia, allora, si sporse e scosse il braccio della donna. Questa, a sorpresa, cadde in avanti, strappando uno strillo alla ragazza, che vide solo un istante dopo l’elsa di un pugnale che le spuntava dalla schiena, circondato da una grossa chiazza di sangue scuro.
«Oddio...!» esclamò, senza fiato, portandosi le mani a coprire la bocca.
«È morta. Di recente» disse Alan.
Un istante di silenzio.
«ERIKA, SPOSTATI!» gridò suo padre, spingendola via.
Un proiettile fendette l’aria nel punto dove prima era la ragazza.
«C-cosa?! Cos’era quello?»
«Ci hanno trovati! Presto, dentro!».
Un altro proiettile attraversò l’aria e le sfiorò la spalla.
Non è possibile che anche qui... come hanno fatto a trovarci così in fretta?!
«Corri, Erika! Corri!» le gridò suo padre.
Spostando lo sguardo su di lui, la ragazza carpì un movimento verso l’alto, poi il fascio della sua torcia che vagava sul soffitto da sopra gli scaffali, segno che era saltato sopra, per cercare i loro inseguitori.
Che cosa poteva fare lei? Non aveva un udito abbastanza sviluppato - al contrario di quello di suo padre - da permetterle di percepire il rumore di un proiettile!
Continuò a correre a perdifiato, infilando in fretta il libro nella tracolla, per avere le mani libere.
Si guardava intorno freneticamente, in cerca di un’ombra o un fugace spostamento che le rivelassero la posizione, almeno approssimativa, dei suoi aggressori.
Sentì un sottilissimo click nell’aria, alla sua sinistra. Si chinò appena in tempo per evitare un altro proiettile.
Devo riuscire a fermarli, prima che mi ammazzino!
«Ah, eccoti qui mocciosa!».
Si fermò a poco più di un metro dall’uomo che, dal profilo, aveva riconosciuto essere Sigfred. Attorno a lui percepiva un forte odore di gel per capelli.
E ora, che cosa faccio? Cosa faccio?!
Avanti, usala! Usa la tua amata Alchimia. Puoi farlo, Erika... adesso.
Un’altra voce?
Questa sembrava più decisa e femminile... e le sembrava familiare, come se provenisse da qualche remoto o buio angolo del suo corpo.
L’impulso successivo quella voce fu di darle retta: si piegò, schivando appena in tempo un pugno di Sigfred, quindi convogliò la sua “energia interiore” nelle mani, che presero a formicolarle. Le batté con forza sul pavimento.
Un’onda d’urto di dimensioni notevoli, almeno dal suo punto di vista, si sprigionò da quel contatto, mentre assieme ad una sfrigolante sfera d’energia porpora si creava una piccola voragine nel pavimento, al centro della quale si ergeva una colonnina dello stesso materiale del suolo.
Alla luce rossa venutasi a creare riuscì a distinguere il viso del suo nemico, i suoi lineamenti da uomo adulto, gli occhi neri come i capelli, corti ed ispidi. Si fissò i tratti nella mente: se l’avesse incontrato di nuovo, l’avrebbe riconosciuto senz’altro.
Ad occhi sgranati osservò il frutto di quella trasmutazione, la sua prima trasmutazione, colpire sotto il mento Sigfred, spedendolo steso a diversi metri di distanza.
«Sigfred, che cazzo succede?!».
Un’altra voce maschile, più vicina di quanto volesse, la raggiunse, invogliandola a rialzarsi e correr via, prima che Sigfred o il suo compagno - al momento ancora anonimo - riprendessero ad inseguirla.
C-che cos’ho appena fatto? Quella era Alchimia! Quella era una trasmutazione alchemica!
Era ancora sbalordita: aveva davvero appena effettuato la trasformazione che aveva studiato così lungamente dalla tenera età di nove anni?
Stentava a crederci.
Quella voce... che sia quella la chiave di tutto? Che sia stata quella ad avermi permesso di farlo...? Ho la vaga sensazione che mi stia sbagliando, ma che altra possibilità c’è?
E mentre correva, saettando tra scaffali diversi, cambiando strada più e più volte, nella speranza di scorgere di nuovo suo padre, un pensiero - o, per meglio dire, un ricordo - le affiorò nella mente, senza che neppure l’avesse richiamato.
«L’Alchimia e la magia esistono, Erika. Non sono solo favole. Però, per voi umani, la pratica è ormai preclusa, salvo poche eccezioni...».
Era quello che aveva detto Circe, quando li aveva contattati al cimitero, la sera prima.
Ricordava perfettamente che, dopo quella breve spiegazione, aveva anche aggiunto un’altra parola, qualcosa di incomprensibile per lei, che però le aveva fatto provare una strana sensazione.
Che sia stata quella a rendermi capace di praticare l’Alchimia?!
Non poteva fare a meno di pensarlo: le pareva una soluzione molto più logica e coerente - per quanto tutta quella storia fosse irrazionale e surreale - di una semplice voce nella sua testa, o nel suo inconscio o quel che era.
Comunque, adesso non c’è tempo di perdersi in questo: devo trovare papà e mettere KO quei bastardi prima che siano loro a farlo.

Alan si aggirava ancora sugli scaffali, saltando dall’uno all’altro con rapidità e forza a dir poco stupefacenti persino per lui, la torcia ancora stretta in mano, il fascio che vagava di sotto, in cerca dei due sicari, dei quali non c’era traccia.
Si fermò, si volse e tornò indietro, percorrendo una strada diversa da quella che aveva usato per arrivare dov’era.
Ad un certo punto, la torcia balenò e si spense, costringendolo a fermarsi.
No, cazzo! Perché s’è spenta proprio ora?!?!
Si guardò intorno, cercando di percepire qualcosa con gli occhi, ma tutto ciò che vedeva era solo il buio.
Con cautela, scese dallo scaffale e si volse a fronteggiare la stanza che lui non vedeva.
Un colpo alla nuca lo prese totalmente alla sprovvista e lo lasciò tramortito, a terra.
«Hai finito di scappare, redivivo...» esclamò una voce a lui sconosciuta, probabilmente appartenente al sicario che era stato messo subito KO da Penelope.
Cercò di memorizzare qualcosa di lui, ossia l’odore intenso e alquanto dolce del suo dopobarba. Stomachevolmente dolce: non se lo sarebbe dimenticato per niente al mondo.
Tentò di rialzarsi, ma un altro colpo lo centrò in mezzo ai polmoni, mozzandogli il fiato e stendendolo di nuovo.
Che poteva fare? Era praticamente cieco.
Se solo non mi fossi separato da Erika...
In quel momento, un forte rumore di passi di corsa attirò la sua attenzione.
I suoi occhi vagarono nel nero dinanzi a lui, come se cercassero la fonte di quel rumore, anche se era consapevole che non l’avrebbe mai vista.
Poi si fermarono, a poca distanza, a giudicare dall’intensità.
«Ehi, pezzente! Lascia stare mio padre!!!».
Era la voce di Erika.
Un moto di sollievo gli allentò la tensione che si era accumulata sulle sue spalle, permettendogli di rilassarle almeno un po’.
«Erika...! Sei tu? Stai bene?» sussurrò.
«Ehi, mocciosa! Non mi sembri nella posizione di fare l’arrogante, ti pare? O forse vuoi che tuo padre finisca con la testa crivellata di proiettili?».
D’accordo, quel tipo iniziava a dargli sui nervi. Appena ne avesse avuto la possibilità, gli avrebbe spaccato la faccia: nessuno poteva minacciare sua figlia e sperare di passarla liscia.
Effettivamente, però, non aveva tutti i torti - per quanto gli bruciasse ammetterlo: Erika era solo una ragazzina e quello era un uomo, armato per giunta.
Non aveva molte speranze di uscire incolume da uno scontro con lui.
«Tu dici...?» le sentì dire.
Dal suo tono pareva molto sicura di sé.
«Ora te la faccio vedere io, picc...!».
Il misterioso uomo non ebbe modo di finire la frase, perché una sfera di energia porpora si sprigionò a pochi metri di distanza da Alan, il quale poté così finalmente vedere in viso sua figlia. La sua espressione era seria, concentrata, e terribilmente minacciosa. Non l’aveva mai vista così.
Stava piegata al suolo, le mani protese in avanti, a sfiorare il pavimento. Era da quel contatto che proveniva la luce.
Cosa diavolo...?
Prima che potesse rendersene addirittura conto, un blocco di pavimento schizzò verso di lui, anche se il vero obiettivo era l’uomo che si ergeva dietro di lui, che fu preso in pieno stomaco e scaraventato via dalla forza dell’impatto.
La luce cessò e Alan ripiombò nella sua snervante cecità.
«Papà, tutto a posto?» chiese Erika, prendendolo per un braccio, aiutandolo a risollevarsi.
«S-sì... tutto a posto» rispose, incerto.
«Te, invece? Come stai?» aggiunse.
La sentì stringersi nelle spalle.
«Sono sudata e sporca del sangue di quei due, ma per il resto sono okay» replicò, in tono quasi allegro.
«Sono fuori combattimento per un po’?» domandò Alan.
«Non ne sono tanto sicura...» confessò Erika.
«Allora meglio andarcene prima che si riprendano» asserì suo padre.
E, mano nella mano, corsero a perdifiato verso l’uscita.





Angolino autrice
Eccomi finalmente ad aggiornare di nuovo *-* capitolo lunghino, almeno per una volta <3 ma spero non noioso (per me che l'ho scritto no di certo, ma io sono di parte ùwù).
Anyway, ringrazio Sachi Mitsuki e xXxNekoChanxXx per le recensioni allo scorso capitolo e coloro che hanno messo la fic tra le preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
   
 
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