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Autore: skeight    19/09/2010    3 recensioni
Uno studente europeo va a studiare per un semestre in Giappone grazie al progetto Overseas, e qui incontra delle più o meno simpatiche studentesse liceali; ma un pericolo imprevisto lo minaccia, ed ecco che quelle ragazze svelano incredibili poteri!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ami/Amy, Makoto/Morea, Mamoru/Marzio, Nuovo personaggio, Usagi/Bunny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima serie
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Chiamatemi Angel. Nella vita di un uomo ci sono occasioni che il volgo suole definire irripetibili, e in siffatte circostanze il volgo si dimostra ben poco volgare, perché è difficile trovare un termine migliore di questo per indicare il meraviglioso concorrere di coincidenze grazie al quale i sogni della nostra vita, che pensavamo irrealizzabili, diventano all’improvviso accessibili, a portata di mano, purché ci sia il coraggio e la destrezza nel coglierli.

Proprio questo mi è accaduto, alcuni mesi fa. Sono uno studente di Sociologia presso l’Università di Madrid, e per quanto il mio futuro ambito professionale sia lo sviluppo urbano dei servizi sociali, la mia passione sin dalla più tenera infanzia è stato il Giappone: anime, manga, film kaiju, j-pop, e più tardi il teatro nō e kabuki, Banana Yoshimoto, e Yukio Mishima, passando per Haruki Murakami… tutte le espressioni culturali del Sol Levante mi hanno sempre rapito l’anima, al punto che, da quando ho scoperto l’esistenza degli aerei (all’età di sette anni circa) il mio desiderio maggiore è sempre stato quello di recarmi in Giappone per una lunga permanenza.

Alas! Sembrava un pio desiderio: per quanto non povera, la mia famiglia non aveva i mezzi per pagare il viaggio in un paese tanto bello quanto caro, né, una volta diventato studente, ho trovato lavori tali da poter finanziare il mio sogno; la recente crisi economica, dopo anni di crescita gonfiata, ha fatto il resto, tarpando le ali alle mie speranze di autonomia finanziaria, condizione indispensabile per qualsivoglia viaggio di piacere. Ero ormai rassegnato a guardare il Giappone solo attraverso il filtro della tv e di internet quando un professore – che loderò sino alla morte (la sua, ovviamente) – mi venne in soccorso ventilandomi una possibilità che avevo ignorato: il progetto Overseas, per compiere un semestre di studi universitari in un paese extraeuropeo. Tra le università che partecipavano c’era anche la Waseda di Tokyo, una prestigiosa università privata. Poche erano le borse di studio disponibili, ma partivo avvantaggiato dalla conoscenza della lingua: il mio amore per il Giappone è tale, infatti, che sin dalle scuole superiori ho iniziato a studiare il giapponese, e lo parlo abbastanza bene per essere un occidentale. Insomma, sta di fatto che riuscii ad ottenere la borsa di studio, una bella somma, certo non sufficiente a mantenermi per sei mesi, ma è proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci: lo stesso professore che mi aveva segnalato l’Overseas era già stato più volte in Giappone (da quel che ho capito ha la mia stessa passione, ed è anche per questo, oltre che perché ho passato a pieni voti la sua materia, che ha deciso di aiutarmi) e aveva conosciuto un giovane ricercatore della Waseda, a cui aveva scritto del mio arrivo. Ebbene, costui – tale Shinsuke Kobayashi – si è offerto di ospitarmi a casa sua per tutto il periodo della mia permanenza. Tolti i costi dell’alloggio, la borsa di studio era sufficiente per vivere abbastanza decentemente per sei mesi.

Potete immaginare la mia gioia di quei giorni. Sembrava che ogni cosa al mondo avesse cospirato per permettermi di realizzare il mio sogno, ed ecco che finalmente mi si aprivano le porte dell’Estremo Oriente. Quello che ignoravo era che, nel corso del mio viaggio, avrei fatto esperienze ancora più straordinarie di quelle che mi aspettavo.

 

Non avevo ancora sperimentato appieno la gentilezza di Shinsuke Kobayashi: si era offerto addirittura di venirmi a prendere all’aeroporto, e, sebbene riluttante ad abusare della sua cortesia, accettai con piacere, se non altro perché almeno il primo giorno avrei avuto bisogno di tutto l’aiuto necessario per orientarmi a Tokyo.

Così, quando il mio aereo atterrò ed uscii dall’area Arrivi, mi trovai di fronte ad un giovane alto e smilzo che sventolava un cartello con il mio nome (con due errori di scrittura nel cognome, per la cronaca). Lo raggiunsi, mi presentai, ci stringemmo la mano.

“Felice di conoscerti” disse “Spero che ti troverai bene qui in Giappone.”

“Ne sono sicuro” risposi “E non ti potrò mai ringraziare abbastanza per l’ospitalità.”

“Nessun problema, per me è un piacere. Ma” soggiunse guardando con aria preoccupata la mia valigia, una imponente Cosmolite Spinner “sicuro di dover portare tutto quel bagaglio?”

Rimasi perplesso per qualche istante: per stare sei mesi in un paese straniero, mi sembrava addirittura di essere venuto con poca roba.

“Be’, sì” risposi infine “C’è qualche problema?”

“No, no, figurati. È solo che… vabbe’ dai, ne parleremo a tempo debito. Andiamo, ora.”

Lì per lì non capii il motivo di quella riluttanza, ma mi fu chiaro poco dopo. “A tempo debito”, infatti, voleva dire una volta raggiunta l’automobile di Shinsuke nel parcheggio dell’aeroporto. Gli chiesi di aprire il cofano per metterci la valigia, e anche lì sembro recalcitrante.

“Non so se è il metodo migliore…” disse.

“E come devo portarla, tenendola dal finestrino?” obiettai, un po’ spazientito. Ospitarmi per un semestre e fare obiezioni per una valigia mi sembrava un po’ contraddittorio.

Alla fine Shinsuke si decise ad aprire il cofano. Mi avvicinai, e rimasi paralizzato, mentre il mio ospite sembrava rimpicciolirsi per la vergogna: il vano dell’auto era completamente pieno di libri di tutte le dimensioni, al punto che non c’era spazio nemmeno per metterci uno zainetto, figuriamoci la mia valigia.

“Sai com’è” disse Shinsuke, rosso d’imbarazzo “Sono un collezionista di libri, questi li ho ordinati e mi sono arrivati da poco” (da più di sei mesi, scoprii in seguito) “e non ho ancora avuto il tempo di portarli su in casa…

Io ero senza parole. Con un sospiro, mi avvicinai agli sportelli, per cercare di posizionare la valigia sui sedili posteriori, ma mi accorsi che anche quelli erano stracolmi di tomi, e libri erano anche sul sedile anteriore dove avrei dovuto sedermi io, e persino su quello dell’autista. A momenti c’erano più libri lì dentro che nella biblioteca comunale di Alcantara. Shinsuke aveva la faccia di chi voleva morire sul posto.

“Sono mortificato” disse “Mi sono reso conto del problema solo mentre arrivavo in aeroporto, ma era un po’ tardi per tornare indietro…

Riflessi veloci eh, pensai, ma non lo dissi. Mi limitai a mormorare “Sì, ma ora dove la metto la valigia?”

“Proviamo a legarla sul tettuccio” disse Shinsuke, chinandosi a frugare sotto il sedile dell’autista e tirandone fuori una corda di nylon che sembrava aver fatto la guerra di Corea.

Legammo alla bell’e meglio la valigia, e ripartimmo con qualche sbandata, a causa del peso eccessivo di noi, del bagaglio e dei libri. Mentre avanzamo a stento per le trafficatissime strade di Tokyo, pensavo che la coabitazione con Shinsuke non sarebbe stata quel che si dice una passeggiata.

 

Le settimane successive confermarono in parte le mie previsioni, ma non nel senso negativo che temevo. Shinsuke si dimostrò certamente un individuo piuttosto svampito e con il senso pratico di un filosofo di corte del Seicento, ma compensava questo difetto con una grande disponibilità e simpatia.

Aveva un dottorato di ricerca in sociologia, e contemporaneamente insegnava scienze sociali come supplente presso l’istituto superiore privato Kisshō; quei due impegni lo tenevano lontano da casa per buona parte della giornata, e questo spiegava come mai non si facesse problemi ad ospitare altre persone, tanto non le vedeva quasi mai. Tuttavia, quando ci trovavamo nel suo appartamento negli stessi orari, insorgevano delle difficoltà, soprattutto perché il suo appartamento era un monolocale che bastava a malapena per uno, e fu difficile adattarlo ad una convivenza di medio periodo. Un problema non secondario era che un buon terzo della cubatura complessiva dell’immobile era occupato dai suoi stramaledetti libri, e giuro che se mi avessero detto che un giorno sarei arrivato a preferire gli e-book al formato cartaceo avrei reagito con una risata, e invece è successo.

Il collezionismo era per Shinsuke quello che il Giappone era per me, ma lui coltivava la sua passione in maniera molto più ossessiva: ordinava libri che non sapeva dove mettere usando, per pagarli, stipendi che ancora doveva ricevere, e quando aveva tempo e soldi a sufficienza si avventurava in viaggi in Cina, Europa e Stati Uniti al solo scopo di cercare opere introvabili in Giappone. Frugando tra i suoi tomi – un’attività pericolosissima, se cadeva una pila di libri si rischiava di morire schiacciati – trovai anche testi scritti in lingue che lui, per sua stessa ammissione, non conosceva (parlava bene l’inglese e un po’ di tedesco e francese, ma per le altre era negato). Insomma, era come se quando si dedicava al collezionismo mettesse da parte la razionalità che gli era invece necessaria per i suoi lavori ufficiali. Chissà, magari è anche un modo intelligente di vivere; ma per chi viveva vicino a lui non era proprio il massimo, e non a caso era single.

 

Comunque, eravamo abbastanza affiatati come coinquilini, e l’amicizia tra noi fiorì come gli alberi di ciliegio nelle primavere nipponiche. Lui mi dava consigli su come comportarmi all’università, dove vigevano codici di comportamento ben diversi da quelli spagnoli, e io gli traducevo in giapponese le quarte di copertina dei suoi libri in castigliano.

Un giorno capitò che, causa l’assenza di un mio professore, avevo un’intera giornata libera. Quando lo dissi a Shinsuke, lui mi propose di seguirlo alla scuola privata dove insegnava.

“Ma è possibile?” chiesi.

“Di solito non fanno entrare chiunque, ma se vieni con me non ci sarà problema. Io non ti potrò accompagnare in giro perché devo insegnare, ma tu puoi benissimo fare quel che vuoi, e se qualcuno ti chiede chi sei ignoralo, ché tanto non succederà niente.”

“Non mi sembra una strategia lungimirante…

“Stai tranquillo, se non dai fastidio non ti dirà niente nessuno. Del resto quando ti ricapiterà di visitare una classica scuola come quelle descritte nei manga? Fossi in te non mi lascerei sfuggire l’occasione.”

Aveva ragione, ed accettai. Mai decisione aprì scenari più imprevedibili.

 

L’istituto Kisshō era una scuola privata molto rinomata, stando a quanto mi disse Shinsuke, e di certo le dimensioni dell’edificio e del cortile sembravano confermare quelle opinioni. Non posso negare di aver provato una certa emozione nel varcare il portone di ingresso e ritrovarmi all’improvviso tra studenti e studentesse con le classiche divise giapponesi.

Accompagnai Shinsuke sino alla porta della sua classe, dopo di che lo lascia al lavoro e iniziai a bighellonare per i corridoi, sbirciando dentro le aule. Non potevo certo andare avanti così per tutta la mattinata, così pensai di tornare verso l’ingresso e cercare i laboratori informatici, se c’erano, e mi avviai verso le scale; ma, mentre stavo per girare l’angolo di un corridoio, sentii una voce femminile in avvicinamento:

“Oh, no, sono di nuovo in ritardooooo!”

Prima che potessi realizzare quello che stava accadendo, una studentessa apparve e mi si schiantò contro, e cademmo entrambi a terra, io semischiacciato dal peso della sconosciuto e dalla massa dei suoi capelli biondi che mi era finita in faccia, ostruendomi le vie respiratorie.

La giovine si rialzò gridando “Che maleeee!” con voce lamentosa, ma per fortuna ebbe la buona creanza di accorgersi di me e di aiutarmi ad alzarmi.

“Scusami, non volevo…

“Tranquilla, non mi sono fatto niente” mentii; poi la osservai incuriosito.

“Come ti chiami?” chiesi.

Tsukino Usagi.”

 

   
 
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