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Autore: SunVenice    20/09/2010    9 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Kaizoku no Allegretto

L’allegretto del pirata

Atto 9

Atto 9, scena 1, Aria dei due fuochi

Eravamo risaliti dalla sottocoperta, ma, a causa del cuore che a mille mi batteva in petto, non mi ero nemmeno resa conto di essere stata condotta fuori dalla sala grande da Ace.

Ancora non riuscivo a crederci.

 Faceva uno strano effetto parlare e capire il significato di un’altra lingua. Quando quello strano uomo dai capelli rossi mi aveva parlato, presentandosi con naturalezza alla mia schietta , e forse un po’ rude, domanda,  mi ero sentita sopraffare dall’emozione. Era stato come se paura, eccitazione e confusione si fossero fusi insieme nello stesso momento, impedendomi di continuare quello che avevo cominciato.

Ed era stato meraviglioso.

Di colpo mi parve di vedere quegli ostacoli insormontabili, che mi avevano fatta piangere e disperare pochi giorni prima, frantumarsi come tanti castelli di sabbia smossi da un vento lento e placido.

Sentivo di potercela fare, di poter fare qualsiasi cosa.

Eravamo appena usciti sotto il cielo notturno quando una mano mi scompigliò dolcemente i capelli, facendomi sussultare sul posto ed irrigidire, ma solo per poi rilassarmi alla vista del sorriso sghembo di Ace.

Le fiamme si erano gradualmente ritirate dal mio corpo, arrivando a ricoprire, fortunatamente, soltanto braccia e capelli. Era stato un bene uscire all’aria aperta. Essere attorniata da troppe persone, e troppo legno, rimanendo in quelle condizioni, non avrebbe certo contribuito a rilassarmi.

E poi Ace, da quel che mi ricordavo, era in qualche modo immune al fuoco, no? Fu per questo che non sentii di dovermi arrabbiare per quel piccolo contatto.

Non ce ne sarebbe stato motivo, dopotutto. Gli sorrisi contenta ed un poco scherzosa, poggiando le mie mani sulla sua sulla mia testa, trattenendola e lo vidi cambiare espressione, sbigottito.

Poverino, mi ritrovai a pensare,accorgendomi solo in quel momento di non avergli mai mostrato molta simpatia in quei pochi giorni trascorsi in sua compagnia.

Certo però che lo scherzo della lavanderia…

No, meglio non pensarci.

Mi limitai a rispondere sorridendo ancora di più, crogiolandomi nel tepore che quella mano, a contatto con la mia testa, provocava. Non era la prima volta che mi capitava, ma in quel momento la percepivo come una cosa più famigliare. Quella mano grande che mi ricopriva a palmo aperto tutta la nuca non era più qualcosa da allontanare e di fastidioso.

La mano infuocata di Ace che artigliava disperatamente il legno della nave inclinata per reggere sia il mio che il suo peso mi saltò alla mente.

Chiusi gli occhi. In quel momento capii perché quella vista mi aveva provocato sollievo.

In qualche modo io, lui e anche Marco, eravamo simili, più di quanto mi aspettassi.

Mi venne da piangere, ma riuscii a soffocare il tutto in due singhiozzi sommessi. Non volevo che Ace mi vedesse in quello stato. Non potevo mica piangere per tutto!

Aprii gli occhi, ma, come previsto, i miei singulti non erano passati inosservati e il moro mi osservava preoccupato e confuso, quasi credesse di aver fatto qualcosa di sbagliato. La sua mano scivolò via dalla mia testa, sempre tenuta dalle mie più piccole ed illuminate di giallo.

Oh no. Che dovevo fare? No. Non potevo farlo sentire in colpa per una cosa tanto assurda. Dovevo fargli capire che non ero triste.

Scossi furiosamente la testa per fargli capire che si sbagliava e mi spremetti le meningi: com’era quel modo di dire che mi aveva insegnato Marco?…Cavoli! Non me lo ricordavo!

Watashi wa…” sussurrai cercando di prendere tempo, stringendo di poco la sua mano, e di colpo mi venne in mente.

…ureshii!” dissi di colpo, forse con troppo slancio.

Ace sbarrò gli occhi non sapendo che cosa dire e io abbassai la testa arrossendo di botto.

Watashi wa… ureshii...” ripetei piano, mentre mi davo mentalmente tanti colpi in testa. Le solite figure del cavolo!  Non ebbi molto tempo per insultarmi comunque, perché di nuovo una mano, non quella che tenevo tra le mie, mi si poggiò sulla testa.

Sospresa alzai gli occhi. Ace mi sorrideva rassicurante, tenendo la propria mano libera esattamente dove prima si trovava l’altra. Lo vidi sciogliere quell’espressione in uno dei suoi soliti ghigni, quelli che avevo cominciato pian piano a conoscere e, in quel momento, ad apprezzare.

Watashi mo, chibi-chan.”

Una sola cosa mi saltò all’orecchio: cosa voleva dire chibi-chan?

 

Atto 9, scena 2, Notturno

Quei capelli sembravano seta. Ace sapeva di stare esagerando con la fantasia, ma non poteva farne a meno.

Erano veramente morbidi nonostante, ricoperti dal fuoco dalle radici alle punte, sprigionassero un calore molto simile a quello delle sue fiamme. Era incredibile poterne percepire la consistenza in quella maniera. Prima di allora aveva avuto modo di poggiarle le mani sulla testa, approfittando di qualche suo slancio scherzoso per strapazzarla un po’, ma non si era mai soffermato su quel piccolo particolare.

Le punte di quei capelli, mischiati a quelle del fuoco, zampillavano furiosamente tra le sue dita, dibattendosi come nel tentativo di liberarsi, mossi dagli invisibili movimenti che la brezza marina provocava attorno alla Moby Dick in pieno movimento. Gli venne spontaneo sorridere soddisfatto, a quella vista unica. Shanks e Ben Beckman non avevano esagerato descrivendo le Paradisee come donne dall’aspetto angelico. Gli sembrava strano accumunare quella strana parola alla ragazza di fronte a lui, eppure non poteva non ammettere che la descrizione dell’imperatore rosso le calzava a pennello.

Chissà com’era fatta la sua isola?

Dai pochi particolari che il Rosso gli aveva dato, non sembrava essere il luogo più tranquillo del mondo dove vivere.

Gli occhi soffusi da un calore uguale a quello dei capelli che stava accarezzando si alzarono curiosi su di lui.

La gola divenne improvvisamente arida, sottolineandogli quanto fosse nervoso in realtà. A pensarci bene aveva compiuto la scelta di fare compagnia a Momo troppo alla leggera.

Erano settimane che non aveva a che fare con una ragazza. Settimane. Non certo pochi giorni. Come gli era saltato in mente di gettarsi a capofitto in quella situazione? Sperava ardentemente di riuscire a freddare i suoi bassi istinti, anche perché non avrebbe fatto i conti solo con Marco se avesse azzardato qualcosa.

Già i suoi compagni avevano dimostrato quanto potessero diventare protettivi e non aveva intenzione di dover fare ammenda per un piccolo momento di debolezza. Un brivido gli percorse dietro la schiena, stilando una rapida classifica dei modi peggiori con la quale il babbo avrebbe potuto punirlo.

In primo luogo con il digiuno. Eh già, quello era senz’altro uno dei modi più efficaci per fargli implorare perdono con un minimo di carne per contorno. Al secondo posto c’erano le strigliate di Betty. Oh, quelle, quelle non le batteva nessuno. Sarebbe stata peggio di un gabbiano gigante inferocito se solo avesse alzato un dito su Momo.

 A volte si chiedeva perché il babbo se le scegliesse così autoritarie, mmmh … avrebbe indagato.

Al terzo posto invece c’era poco da dire: Marco, Jaws, Vista e Satch. I suoi adorati fratelli non erano certo da meno in quanto persecutori, anche se Betty li batteva in quanto potenza vocale. Sapeva bene quanto i suoi compagni potessero diventare maneschi,… nulla di grave, ma vedersi rimproverare e pestare nello stesso tempo dai suoi fratelli non era uno dei suoi sogni nel cassetto.

Poi Jaws era fatto di diamante… eh.

Staccò malvolentieri la mano dalla testa della ragazza, calcandosi nervosamente il cappello sul viso.

No, decisamente avrebbe fatto meglio a controllarsi.

Ace-san?” gli chiese la Paradisea sbattendo un poco le palpebre, guardandolo dal basso incuriosita.

Si morse l’interno della bocca. Dannazione, ma perché era così maledettamente dolce?

Ci mise un po’ a sorridere come prima, ma alla fine ritrovò la forza di mettere da parte una frase e pronunciarla senza problemi.

“Sto bene, piccola. Sto bene.” Disse non riuscendo comunque a convincere del tutto né lei, né tantomeno se stesso.

Sospirò: doveva inventarsi qualcosa.

“Allora..!” disse rizzandosi sulla schiena con una mano poggiata su un fianco e l’altra sempre sul cappello “… io e te staremo insieme per un po,’piccola. Cosa vuoi fare?”.

Non ottenne molto comunque. Momo inclinò confusa la testa da un lato, non capendo cosa volesse dire con quel groviglio di parole a lei per la maggior parte sconosciute. Ah già, quasi dimenticava: non doveva usare troppe parole.

“Capito,capito.” Si grattò la testa, pensandoci un po’ su.

Ripeté mentalmente i consigli di Betty: delicatezza, moderatezza, inventiva; non doveva essere rude, rispettare i suoi spazi e cercare di fare qualcosa di carino per lei. Più facile a dirsi che a farsi, per uno come lui. Non sapeva da che parte iniziare.

Poi l’idea.

“Sai volare?” chiese di getto con interesse verso la ragazza che però a quella domanda improvvisa, allontanò la testa, protendendosi leggermente all’indietro.

Accidenti, aveva usato troppo slancio per chiederglielo.

Scusa…  disse mettendo le mani avanti a palmo aperto in segno di scusa. Delicatezza, delicatezza, si impose mentalmente Ace, rimuginando su come continuare il discorso e farle capire quello che intendeva dirle.

“Volare.” Disse semplicemente mimando con entrambe le braccia il gesto di scuoterle come un paio d’ali e finalmente la vide sbarrare gli occhi, dandogli prova di aver reso bene l’idea. Al moro venne quasi da sorridere compiaciuto: stava facendo grandi progressi con Momo.

Era la prima volta che non si arrabbiava con lui o si metteva a piangere spaventata. Chissà come l’avrebbe presa Marco non appena l’avrebbe scoperto.

Il suo buon’umore però venne bruscamente interrotto dalle parole ansiose e negative della ragazza, in quel momento protesasi verso di lui scuotendo lievemente la testa con un’ombra di paura ad indurirle il viso. Oh cavolo, ecco un altro danno provocato dal suo comportamento iniziale:  doveva essersi ricordata del loro piccolo lancio nel vuoto dalla vedetta della nave.

“Mannaggia a me e alle mie idee geniali.” Sospirò sconsolato Pugno di fuoco, ciondolando le braccia in avanti e imbronciandosi a testa bassa come un bambino. Avrebbe tanto voluto vederla spiccare il volo come aveva sentito dire dal Rosso poco prima, e invece si era ritrovato con un pugno di mosche. Pazienza, in fondo se l’era cercata. Momo si scusò con lui un paio di volte, avvicinandoglisi a poco a poco per guardarlo meglio in viso e scambiare con lui un’occhiata di sincero dispiacere.

Ace ricambiò con un sorriso un poco tirato.

“Non è niente piccola. Mi passerà.” Cercò di rincuorarla mettendo in ogni parola quanta più intonazione possibile.

Si ritrovò improvvisamente le mani luminose e calde di Momo sul viso e, spalancando gli occhi, la vide fissarlo intensamente negli occhi a pochi centimetri dal viso con espressione corrucciata ed indagatoria. Non capiva cosa stesse facendo, eppure, nonostante non stesse esercitando alcun tipo di forza per trattenerlo non riuscì a scostarsi. Non fu tanto per l’attrazione che provava per lei a tenerlo ancorato in quella posizione, quanto l’impressione di essere studiato.

Sì, perché quegli occhi dello stesso colore della lava incandescente, lo stavano sondando fin d’entro l’anima. Era stupido, eppure sentiva che era così.

Era talmente preso da quella strana sensazione da non accorgersi nemmeno che l’aveva liberato dalle sue mani. Cosa strana, perché solitamente la pelle delle altre persone gli appariva sempre leggermente più fredda della propria ,e questo gli consentiva di avvertirne quasi sempre la presenza ed i conseguenti spostamenti. Avevano la stessa temperatura?

Momo si scostò velocemente da lui voltandosi di spalle ed allontanandosi di pochi passi, lasciando dietro di sé una scia luminosa provocata dalle fiamme della testa e delle braccia.

Per un attimo Ace ebbe la terribile sensazione di essere riuscito ancora una volta a farla sentire a disagio, ma poi la vide allargare le braccia fiammeggianti, provocando la caduta di qualche scintilla sul legno resinato del ponte della nave e, dopo aver preso un solo respiro profondo, abbassarle di scatto.

Più che il gesto in sé, fu il fatto di vedere Momo innalzarsi di una buona decina di metri verso l’alto a farlo rimanere di stucco.

Dall’alto Momo spalancò gli occhi di terrore e stupore, irrigidendosi quel tanto che le bastò per far sì che cadesse all’indietro iniziando a precipitare verso il basso,esattamente da dove era arrivata.

“Cazzo!” imprecò il moro scattando immediatamente in avanti, ritrovandosi  dove il salto della ragazza era partito. Non perse tempo a guardarla cadere e tramutò la parte inferiore del proprio corpo in fuoco, lanciandosi verso l’alto con un salto. Le sue braccia accolsero decise il corpo esile ed abbandonato della ragazza, intercettandolo nel pieno della caduta, per poi stringerlo e accompagnarlo in una discesa decisamente più dolce, attutita dall’effetto delle sue fiamme.

Ace atterrò sul ponte flettendo le gambe, sospirando di sollievo.

“Accidenti che spavento.” Disse lanciando poi un’occhiata alla ragazza.

La trovò ad occhi aperti di nuovo fissi su di lui apparentemente non molto scossa da quello che era appena accaduto. Il ragazzo si accorse solo in quel momento di quanto si fossero avvicinati in quei pochi minuti: molto più di quanto si era ripromesso poco prima.

Ghignò malandrino, non riuscendo a trattenersi.

Dev’essere la mia serata fortunata.”

Momo, al sorriso dell’altro, scoppiò a ridere, perforando l’aria della notte con un suono argentino e musicale, venendo seguita a ruota dall’altro. Fu a malincuore che, poco dopo, Ace, quando le loro risate si furono calmate, la sciolse dalle sue braccia, lasciandola libera di allontanarsi da lui. Ancora con il sorriso sulle labbra e qualche singulto divertito a scuotergli la schiena, il pirata non poté comunque fare a meno  di pensare a Marco ed a come se la stesse passando in mezzo agli altri.

A lui era andata di lusso.

Mise le mani dietro la nuca, seguendo la sirena di scoglio che si sedette sul parapetto della nave per godersi le stelle. Continuò a pensarla in quel modo per tutta la notte mentre osservava le fiamme dell’altra protendersi verso il cielo stellato, ondeggiando alla brezza marina.

Eh, sì. Gli era andata proprio di lusso.

 

Atto 9, scena 3

Penelope sospirò intenerita vedendo il comandante Marco venire strapazzato in lontananza da tutta la ciurma. Tutto il reparto infermieristico si era messo in disparte, assistendo da lontano alle pene del primo comandante, troppo occupato a zittire il comandante Satch per rispondere alle frecciatine degli altri, nel mentre sistemavano e ripulivano gli angoli meno affollati della mensa, recuperando le tovaglie da mettere a lavare.

“Certo che il comandante Marco ha lasciato tutti molto sorpresi.” Affermò angelica la bionda verso Betty, come al solito accompagnata dall’inseparabile cartellina dei valori del comandante, prelevati durante l’ultima mezz’ora, nonostante fosse già tardi, sui quali stava annotando qualcosa di indecifrabile. La mora si voltò verso la bionda, bloccando la penna a mezz’aria, rispondendole atona ed apparentemente disinteressata.

“Già, non avrei mai pensato che si sarebbe innamorato della piccola così in fretta.” Asserì, tornando immediatamente con la testa sul proprio lavoro.

Penelope, seguita a ruota da Carol, sbarrò gli occhi:

“Tu sapevi che sarebbe successo??!” esclamò Carol a bocca spalancata  provocando nella capo reparto una risatina sommessa.

Tesoro…” cominciò l’infermiera dagli occhiali scuri, inclinando la testa all’indietro ed ondeggiando la penna accanto al viso con fare furbesco “… col tempo capirai che l’amore è tutta questione di chimica. Poco importa quanto sembrino incompatibili due persone: una volta messi l’uno davanti all’altro non c’è via di scampo. Tutto quello che si può fare è aspettare inerti l’inevitabile e sperare di non rimanerne bruciati.”

Quella piccola perla di saggezza fece spalancare ancor di più la bocca della rossa e ridacchiare la bionda che fece per tornare tranquillamente alle proprie faccende, quando si sentì colpire da un pensiero improvviso.

La loro piccola Momo non era umana, o almeno, le sue capacità non erano proprie degli esseri umani e una cosa l’aveva lasciata stranamente perplessa: come mai inizialmente era stata in grado di parlare di giorno? Rimase lì ferma con un lembo della tovaglia debolmente trattenuta dalle sue dita ben curate, ragionandoci su per poi sorridere  soddisfatta alla spiegazione che era riuscita a trovare: la disidratazione.

Il primo giorno che la ragazza era stata caricata sulla nave e messa sotto osservazione nel loro reparto, lei era stata una delle prime a visitarla constatando a che gravità versavano le condizioni della piccola. Inutile dire quanto era stato difficile stabilizzarla. La lunga esposizione ai raggi del sole aveva escoriato e bruciato la pelle in più punti, e la mancanza di liquidi avevano portato ad un livello di incoscienza prossimo al coma. Persino la lingua era secca, ma in particolar modo Penelope ricordava quanto fosse stato difficile aprirle la bocca e sollevarle la testa senza provocare ulteriori danni aggiunti a quelli che la disidratazione e la calura avevano causato alla gola.

Dovevano essere stati appunto quelli ad impedire alla voce della piccola di uscire come invece avrebbe potuto in situazioni ottimali. Così, quella che alle loro orecchie era parsa una voce normalissima, per una paradisea come Momo, abituata ad intonazioni molto più acute ed armoniche, sarebbe parsa rauca.

Ma non era solo quello a dar da pensare alla bionda: anche i rapidi, quasi impossibili, ritmi di guarigione della ragazza erano stati motivo di sorpresa tra le infermiere. Le escoriazioni cutanee e gli arrossamenti erano ormai completamente spariti e come se non bastasse la voce era tornata normale. Non che a Penelope o alle altre la cosa creasse fastidio o dispiacere, tuttavia la bionda aveva cominciato a pensare ad un possibile collegamento tra i miglioramenti della paradisea e le fiamme gialle di cui si era scoperta essere utilizzatrice.

La cosa gli veniva dallo stesso comandante Marco.

Le infermiere non assistevano quasi mai alle battaglie ma c’era stata un’occasione che l’aveva lasciata perplessa riguardo il biondo, proprio durante i momenti immediatamente successivi ad uno scontro particolarmente cruento. Come al solito c’erano stati dei feriti e tutte loro si erano mobilitate in massa per trasportare i più gravi in infermeria ed era stato in quell’occasione che Penelope aveva assistito alla miracolosa sparizione delle ferite del primo comandante per mezzo delle proprie fiamme azzurre.

Se lo ricordava come se fosse stato ieri. Ogni singolo taglietto o ferita da arma di fuoco ci era volatilizzato dopo pochissimi istanti, sparendo sotto lo sfrigolio di lingue azzurre e gialle. Ed era stato quello a far impensierire Penelope, riguardo la piccola Momo. Ogni singola ferita del comandante Marco veniva prontamente curata dall’azione delle sue fiamme blu, vero, ma l’infermiera bionda aveva notato benissimo che soltanto la parte gialla di queste ultime andava a toccare direttamente i lembi di carne offesi.

E dopo questi ragionamenti era pronta a scommetterci il suo amato cappellino da crocerossina che le fiamme di Momo erano simili, se non identiche, a quelle del biondo.

Tornò ad osservare il ragazzo in questione.

Forse Betty non aveva tutti i torti a dire che era questione di chimica.

Atto 9, scena 4

 “Allora, signor innamorato!” esclamò per l’ennesima volta Satch, circondandogli il collo con un braccio, mentre lui faceva del suo meglio per non dare peso alle risatine provenienti sia dai suoi fratelli che dai pirati del Rosso. I primi avrebbe potuto benissimo sopportarli, ma i secondi gli davano lo sgradevole effetto di tante zanzare attorno alle sue orecchie. Ancora non sapeva come sbrogliarsi da quella situazione. Non solo era in balia delle amorevoli cure di Satch, il peggio che potesse capitargli tra tutti i comandanti, ma era anche bloccato da qualsiasi tentativo di fuga dai suoi compagni, raggruppatisi a cerchio intorno a loro con la stessa espressioni di tanti bambini eccitati per uno spettacolo di marionette.

E lui non faceva che sperare ad uno spiraglio che gli permettesse di fiondarsi verso la scala che conduceva al ponte.

“Com’è ritrovarsi in balia delle pene d’amore dopo tutto questo tempo?” lo riscosse la voce del comandante in quarta , richiamando così la sua attenzione.  La Fenice lo squadrò per un attimo, provocando un silenzio pieno di aspettativa, pensandoci seriamente. In effetti era passato parecchio tempo dall’ultima volta che una donna era riuscito ad interessarlo in quella maniera, ma non era stato che un miraggio stroncato di netto dal disprezzo che aveva visto negli occhi dell’altra quando aveva accennato di essere un pirata.

Da allora non aveva avuto molte avventure, e si era messo il cuore in pace impiegando anima e corpo nel suo ruolo di comandante, proteggendo fedelmente il babbo e i suoi fratelli anche a costo di incassare al loro posto mille e più proiettili. D’altronde quale donna avrebbe mai guardato con amore un uomo di mare per definizione dedito a razzie, soprusi e battaglie all’ultimo sangue? Le infermiere erano un caso eccezionale: donne dal carattere forte per uomini forti pronti a morire il giorno successivo. Ma nessuna di queste si sarebbe mai azzardata a legare in quel senso con uno di loro.

Strano…” rispose quasi sovrappensiero alla domanda di Satch, osservando disinteressato il liquido semitrasparente che ondeggiava nel suo boccale e rompendo così l’attesa dei suoi compagni.

“Aah..!” sospirò il comandante della quarta flotta con fare comprensivo rifilandogli qualche leggera pacca sulla spalla “Ti capisco, ci sono passato anch’io. Una ferita sul cuore dopo un po’ si anestetizza.” Decretò allargando la bocca in un sorrisino e, voltandosi verso le infermiere, mise una mano accanto alla bocca ed esclamò.

“Dico bene, Carol?”

La rossa in questione si voltò verso di loro prima stupita per poi accigliarsi indignata e voltare di scatto la testa con il naso verso l’alto, allontanandosi dalla loro vista con il cesto delle tovaglie sporche tra le mani, venendo accompagnata dalle risate degli altri che avevano assistito alla figuraccia del quarto comandante. Carol era stata una delle primissime cotte di Satch, ed era noto a tutti il modo con cui era finita la loro piccola parentesi amorosa fatta di declini e contro declini da parte della rossa: per farla breve, il comandante dal pizzetto si era ritrovato con un netto segno rosso a cinque dita affusolate stampate sulla guancia.

All’inizio il biondo non l’aveva presa molto bene e si era depresso come non mai, tanto che la nave pareva essere abitata da un fantasma, ma, fortunatamente per l’atmosfera della Moby, la situazione si alleggerì e Satch tornò allegro e smagliante come un tempo, dopo poco più di una settimana. La cosa non si poteva dire anche per Carol che da allora non gli aveva più rivolto neanche mezza parola, evitandolo come la peste ogni volta che poteva.

Eeh. Decisamente non mi ha ancora dimenticato.” Ridacchiò il biondo, avvicinandosi il boccale di birra alle labbra.

“La tua faccia se la ricorderà per sempre. Questo è certo.” Intervenne Marco facendogli andare di traverso il sorso che aveva cercato di mandare giù proprio in quel momento.

Un eco ridente fece capolino nell’aria proprio in quel momento, guizzando dalle pareti lignee della nave come un campanellino melodioso, lasciando di sasso tutti quanti.

“Sembra che la pargoletta si stia divertendo con il giovane Ace.” Disse Shanks intrufolandosi tra di loro come se niente fosse e sedendosi  al fianco di Marco con un sorriso sulle labbra che fece venire voglia alla Fenice di rifilargli un bel calcio diretto.

Lo faceva apposta. Eccome se lo faceva apposta. Farlo innervosire sembrava divertirlo da matti. Come se il fargli notare una cosa simile lo potesse rendere felice! Sentiva da dentro la gelosia montare sempre di più. Non che fosse arrabbiato con il moro. Sarebbe stato stupido prendersela con lui che stava solo facendo quello che poteva per la ragazza, ma il fatto di essere preso in giro da nientemeno che Shanks il Rosso lo mandava in bestia e gli faceva desiderare di potersi alzare e risalire velocemente lo scafo della nave.

“Può darsi.” Bofonchiò affondando il viso nel proprio bicchiere.

La risata di Shanks fece da sottofondo a quel suo scarso tentativo di nascondere il proprio disappunto.

“Sembri proprio un animale in gabbia!” ridacchiò di gusto l’imperatore procurandosi un’occhiata d’intesa da Satch. Marco sbuffò interiormente: ci mancava solo che quei due diventassero alleati.

La risata cavernosa di Edward Newgate fece capolino, attirando l’attenzione dei propri figli su di sé.

“Basta così, figli miei, abbiamo anche prolungato fin troppo i festeggiamenti. Tornate alle vostre stanze.” Dichiarò imperioso, provocando un po’ di malcontento tra le file di ubriaconi che, lagnandosi come dei bambini, si diressero pian piano verso l’uscita, augurandosi buona notte gli uni con gli altri.

Marco, Satch e gli altri comandanti furono gli unici a rimanere, mentre la ciurma di Shanks il Rosso e il rispettivo capitano, continuava ad occupare la sala senza dare segno di volersene andare.

Le grandi mascelle del Bianco si irrigidirono in risposta all’occhiata sveglia e per nulla abbacchiata del rivale. Cos’altro voleva da lui.

“Sarebbe meglio…” fece Shanks, voltandosi verso Barbabianca con tono nuovamente formale   “decidere come fare con il vecchio Garpfuori…” concluse alzando il pollice indicando dietro di sé.

Tutti quanti, Marco compreso, si irrigidirono: si erano completamente dimenticati della presenza del vice ammiraglio nei pressi della loro nave. Newgate alzò un sopracciglio:

“Credi davvero che oserà attaccare la mia nave?” domandò quasi incredulo. Monkey D. Garp era conosciuto per essere uno sconsiderato, degno del proprio cognome, ma la senilità che si portava sulle spalle avevano comunque contribuito a mettere in quella zucca di marine un po’ di buonsenso. Barbabianca ne era certo, non avrebbe mai spinto i propri uomini in un’azione suicida.

Quindi, a cosa si riferiva quel marmocchio del Rosso?

Marco lanciò un’occhiata significativa al capitano, ricevendo un segno d’assenso con il capo e quindi il permesso di congedarsi insieme agli altri comandanti. Tutti e cinque si diressero fuori dalla stanza con in volto un’espressione truce: avevano gozzovigliato anche fin troppo,  adesso dovevano fare del proprio meglio ed essere pronti a qualsiasi evenienza, mantenendo i nervi tesi al massimo. Non si poteva stare mai tranquilli con una nave della Marina che ti galleggiava allegramente accanto. E l’idea di un attacco a sorpresa non allettava nessuno di loro.

Naah.” Rispose con un lieve ghignetto Shanks non appena l’ultimo gruppetto scomparì da dietro la porta, accompagnato dalle ultime infermiere cariche di panni lerci. “Il vecchio non si azzarderebbe mai a fare una cosa tanto avventata, se è quello che temono i tuoi uomini.”

Una vena pulsante comparì sulla tempia dell’imperatore Bianco. Quel marmocchio petulante aveva capito anche quello. Che il mare se lo inghiottisse!

“Piuttosto … ” continuò intanto l’altro, accovacciandosi nuovamente a terra davanti a lui “ sarebbe meglio trovare un modo che gli consenta di allontanarsi senza dover dare troppe spiegazioni a Sengoku.”

Gli occhi sottili e rugosi del Re Bianco si allargarono, per poi stringersi più di prima. Aiutare Garp ad andarsene tranquillamente, senza ripercussioni su di sé? Il gigante sondò attentamente gli occhi del rosso, trovando in essi un motivo per quella frase.

“Che cosa intendi, moccioso?”

Il sorriso di Shanks sparì così come era venuto. Non era per scherzare che aveva atteso che tutti i figli del Bianco si ritirassero, quello di cui stava per parlare era una questione delicata.

“C’è ancora una cosa da dire, riguardante le Paradisee …” disse alzando gli occhi fissi sull’altro.

Barbabianca stette in silenzio per tutto il tempo, ascoltando il discorso del Rosso dall’inizio alla fine. E quando il rivale pronunciò l’ultima frase di quel lungo monologo, trovò molto difficile sopprimere l’impulso si sbattere un pugno venoso sul pavimento.

 

Atto 9, scena 5

NIPOOOOTEEEEEEE!!!!!!!!!

Ace aveva in viso l’espressione più sconvolta del mondo, mentre davanti a lui la figura furente del nonno si sbracciava in sua direzione dalla polena della propria nave.

Ma perché?! Stava andando tutto così bene! Perché il punto dove lui e Momo si erano fermati a guardare le stelle doveva coincidere proprio con la parte che si affacciava davanti l’ammiraglia??

E lui che pensava fosse la sua serata fortunata!

Si calò il cappello sugli occhi, sperando in cuor suo che quello bastasse per far scomparire la figura del parente adottivo, attirando così un’occhiata confusa della ragazza accanto a lui. Che figure del cavolo gli capitavano. Ringraziò il fatto che Momo non conoscesse ancora bene la lingua perché altrimenti la situazione sarebbe stata più difficile da digerire di quanto già non fosse.

E NON NASCONDERE IL TUO VISO DAVANTI A ME!!!! SE PENSO A TUTTI I GUAI CHE HAI COMBINATO IN QUESTI ANNI, RIMPIANGO DI AVERTI PERMESSO DI PRENDERE IL LARGO!!! AVREI DOVUTO RIPESCARTI A NEMMENO DUE METRI DALLA COSTA!!

Già - si ritrovò a pensare Pugno di fuoco, grato al destino - fortuna che tu in quel momento eri a miglia e miglia di distanza da Foosha.

Nonostante le parole del vecchio, non mostrò di voler rialzare lo sguardo, augurandosi che il gesto lo facesse demordere.

Illuso - disse una vocina nella sua testa - Garp il Pugno non demorde mai.

E come previsto, la voce del vecchio marine tornò alla carica, trapassandogli fastidiosamente i timpani e facendo gemere di dolore Momo, anche lei ferita da quel suono dirompente che l’aveva portata a coprirsi le orecchie. Ace digrignò i denti, combattendo l’impulso di rispondergli.

Non rispondere.

NON rispondere.

LO SAI A CHE COSA HA PORTATO IL TUO GESTO SCONSIDERATO!!!?? RUFY È DIVENTATO UN PIRATA!!!! SARESTE DOVUTI ENTRARE ENTRAMBI IN MARINA COME VI AVEVO ORDINATO!!! E INVECE ORA MI RITROVO A FARE I CONTI CON VOI CHE COMBINATE GUAI DA OGNI DOVE DELLA GRANDE ROTTA!!!

A quel punto Pugno di fuoco non riuscì più a trattenersi e, scattando in piedi su parapetto della nave, rialzò lo sguardo sul nonno, puntandogli contro lo sguardo più seccato che avesse mai avuto.

“Insomma, nonno!!! Non vedi che sono nel bel mezzo di un appuntamento romantico!? So che è da tempo che non ci vediamo e non vedevi l’ora di farmi la ramanzina, ma, per favore, non potresti chiudere un occhio per questa volta??!!”

Quell’uscita improvvisa ebbe un certo effetto sul vice-ammiraglio che, sbarrando gli occhi, identificò nella figura femminile e fiammeggiante accanto al nipote, quella della creatura da lui riconosciuta poco prima sulla nave pirata di fronte. Suo nipote? Con quella creatura? Appuntamento romantico??!!

La voce dirompente del Pugno tornò immediatamente a farsi sentire, accompagnata da un paio di grosse vene pulsanti sulle nocche delle mani serrate.

 SCORDATELO!!!! CHIUNQUE SIA QUELLA RAGAZZA NON TI PERMETTERÒ MAI DI METTERE AL MONDO ALTRI PICCOLI DELINQUENTI COME TE!!

Ace ringhiò stropicciandosi i capelli per il nervoso, dando le spalle al vecchio brontolone. Ormai ci aveva rinunciato: l’atmosfera di poco prima era totalmente sparita e con suo nonno pronto a perseguitarlo per tutta la notte, non avrebbe più avuto possibilità di stare tranquillo da solo con Momo.

Dov’era un attacco narcolettico quando serviva?

E NON MOSTRARE QUELL’ORRENDO TATUAGGIO A TUO NONNO! NIPOTE SCELLERATO!

Sarebbe stata una lunga notte…

 

Atto 9, scena 6, Sinfonia Andante con Moto

Morgan cercò di non piangere mentre la barca veniva sempre più trascinata via dalla corrente  minacciando di sfuggire alle sue piccole dita paffute con strattoni sempre più violenti. Si morse le labbra per non far sfuggire altri gemiti disperati, quando le mani di Viola andarono ad infierire ancora una volta sulla sua debole stretta che ancora per poco gli avrebbe permesso di non essere abbandonato in mare a pochi metri dalla baia di Copper Sulfate.

“Smettila Viola!! Piantala con questa storia!” gli venne in aiuto la voce di Arch-san, che stava in qualche modo trattenendo la furia della ragazza dai capelli argentati, sforzandosi di bloccarla da dietro le spalle, anche se con pochissimo successo.

Il bambino riuscì infatti a vedere una gomitata arrivare dritto sul mento del biondo,che venne spinto di conseguenza dall’altro capo della loro piccolo Cutter. A Morgan venne ancor di più da piangere, constatando che la forza fisica non era tra i pregi del proprio alleato.

Ho detto di no!” sbraitò Viola tornando a perseguitarlo, che nulla stava facendo di male se non rimanere attaccato allo scafo della barchetta facendo appello più alla forza della disperazione che ad altro.

“Vi prego…” mormorò lui singhiozzando, mentre le mani della paradisea scioglievano con pochissimo sforzo la presa di una delle sue manine infantili. Aveva paura. Non voleva rimanere ancora una volta da solo in mezzo a persone a lui sconosciute pronti a rapirlo come avevano fatto quegli schiavisti che lo avevano imprigionato. La sua unica speranza, ora come allora, era attaccarsi a quei due ragazzi che in un modo o in un altro lo avevano salvato dal suo triste destino, insieme a quell’angelo dorato che lo aveva sciolto dalle catene della sua ingiusta prigionia. “… lasciatemi… venire con voi.”

La sua mano destra mollò la presa e lui per un attimo trattenne il respiro, pronto ad affondare con la testa nel nero liquido del mare notturno.

Fu uno strattone al polso però ad evitare il peggio, trascinandolo un po’ a fatica verso l’alto, finchè non riuscì a portarlo completamente a bordo. Arch aveva il viso sporco del sangue che gli colava dal naso e dal labbro spaccato, effetti collaterali del suo prendere le difese del ragazzino orientale, ed ansimava pesantemente mentre tratteneva il braccio del bambino tra le mani.

Morgan non sapeva spiegarsi come, era riuscito ad afferrarlo poco prima che piombasse in acqua, spostandosi ad una velocità quasi impossibile da una parte all’altra del piccolo veliero.

Scrollò la testa. No, doveva essere stata la sua impressione.

Che cavolo fai?!” il ringhio di Viola lo svegliò, facendogli tendere nuovamente i nervi con la consapevolezza che il pericolo non era ancora stato scampato del tutto. Era riuscito a salire sulla barca, ma la ragazza non si sarebbe certo arresa per così poco.

Con scatto fulmineo Arch gli si parò davanti, nascondendolo dietro di sé, rimanendo accucciato a terra. Morgan non potè vedergli il volto, ma era pronto a giurare di aver visto una scia sanguinea spostarsi in coincidenza di dove si sarebbe dovuto trovare il suo occhio destro. Anche per quello il bambino diede colpa alla stanchezza ed ad una sua falsa impressione.

“Va’ in sottocoperta.” Gli sussurrò in un soffio il biondo e lui non se lo fece ripetere due volte, fiondandosi con le ultime forze rimastegli nelle ginocchia oltre la porticina della cabina interna. Fece appena in tempo a richiudersela alle spalle prima di sentire il suono sordo di due corpi che cozzavano violentemente tra loro, dando inizio ad una serie di tonfi ed imprecazioni inequivocabili.

Quei due se le stavano dando di santa ragione.

Viola fu la prima ad urlare, sprigionando con la propria voce una rabbia tale da far rabbrividire il piccolo Morgan oltre la sicura ma flebile protezione del legno della porta, rannicchiatosi sugli scalini accanto ad essa.

Non proteggere quel mostriciattolo!

Uno feroce scricchiolio fece capire a Morgan che una trave del ponte doveva essersi incrinata di parecchio.

“È soltanto un bambino! ” fu la risposta nasale ma ugualmente aggressiva di Arch.

Non mi importa! Fosse anche un neonato lo butterei in pasto agli squali! È uno di loro!!

Un altro fragore di schegge che partivano da tutte le parti.

“E non distruggere la mia barca!!”

Non me ne importa un accidente della tua barca Arch!Fammi passare dannazione! Fammi passare!!!!!

“No! Non torcerai a quel bambino neanche un capello!!”

Tra le ombre di un punto remoto della stiva  Morgan tremava rannicchiato con gli occhi neri fissi sulla porta, sperando che Arch-san non finisse ammazzato da quella furia dai capelli argentati. Possibile che tutte le donne fossero così? Eppure la signorina che l’aveva liberato dalla nave di schiavi gli era sembrata così gentile…

Trattenne il respiro sentendo la maniglia tremolare pericolosamente, ma solo per essere brutalmente lasciata stare dalla presenza minacciosa che era riuscita in qualche modo ad afferrarla per un istante.

Non lo voglio su questa nave!!!” ribadì rabbiosa la voce di Viola e Morgan seppe che la sua permanenza su quella barca non sarebbe stata affatto facile come aveva sperato.

“Datti una calmata Viola!!!”

 

Atto 9, scena 7

A Marco era parso di sognare quando aveva visto, e sentito, in che situazioni versava il fratellino. Non che si aspettasse di meno, a pensarci bene. Quello che lo aveva reso soddisfatto della sua scelta di controllare di persona, insieme a Satch e gli altri, le mosse del vice-ammiraglio, era stato più che altro il constatare quanto la fortuna potesse essere girata dalla sua parte.

Proprio davanti a lui, un esasperato Ace stava facendo i conti con gli improperi continui del proprio parente, cercando con scarso successo di non dargli troppa corda, e quel che condiva il tutto con una vena di forte comicità, stava nel fatto che quella situazione era stata evidentemente generata dalla decisione del moro di accostarsi alla paradisea sul parapetto della Moby, forse per assistere meglio insieme a lei allo spettacolo notturno sopra le loro teste.

E nel mentre Pugno di fuoco abbassava la testa ad ogni muggito carico di critiche del proprio vecchio, Momo assisteva a quella buffa situazione nascondendosi proprio dietro la ringhiera della nave, spuntandovi da dietro con la testolina fiammeggiante e gli occhietti palpitanti ben visibili, rimanendo con le ginocchia rannicchiate al petto con una goccettina di sudore che fluttuava sulla sua testa.

Un  sorrisino soddisfatto gli salì alle labbra alla vista di quella piccola vittoria, e proprio in quel momento Satch si fece avanti lisciandosi il pizzetto con fare mezzo dispiaciuto e mezzo divertito.

“Ahi ahi. La solita sfortuna. Questa proprio non ci voleva. ” biascicò il comandante in quarta lanciando poi un’occhiata di sottecchi a Marco.

“Già, povero Ace.” Gli fece eco Vista, poggiandosi elegantemente accanto uno degli alberi maestri lì presenti.

“La sua dev’essere una maledizione.” Si unì al coro Jaws, con un grugnito non molto discreto, dato il suo naturale timbro vocale.

“Vado a dargli una mano.” Se ne uscì improvvisamente Marco camminando in avanti verso i due con la tranquillità di sempre, accompagnato dalle occhiate dubbiose ed interessate degli altri presenti. Sembrava che  quella situazione non facesse né caldo né freddo alla Fenice, ma Satch poteva ben intuire quanto lo avesse rincuorato non trovare lo scricciolo ed Ace in una situazione più intima del dovuto.

E STAI PUR CERTO CHE NON MUOVERÒ UN SOLO DITO QUANDO TI SPEDIRANNO AD IMPEL DOWN, RAGAZZINO INSOLENTE! SONO STATO ANCHE FIN TROPPO BUONO CON TE IN TUTTI QUESTI ANNI…!

Oioi. Vecchio, cerca di abbassare la voce, spaventi la ragazza.”

L’intervento di Marco, pronunciato quasi con fare annoiato, bloccò la situazione, attirando su di sé le attenzioni di tutti e tre nel medesimo istante. Le reazioni furono ben distinte a seconda del soggetto: Monkey D. Garp si irrigidì sbuffando nuvolette di vapore dal naso con gli occhietti ciechi dalla rabbia per l’essere stato zittito così facilmente da uno sbarbatello; Momo, dopo un piccolo momento di stupore, aveva cominciato a gesticolare verso il moro e il vice-ammiraglio,chiedendogli contemporaneamente nella propria lingua aiuto; Ace, infine, aveva alzato la testa e, riconoscendolo, l’aveva immediatamente abbassata di lato, sbuffando.

“Ti diverti?” fu la domanda ironica del moro, sentendo in quel momento il destino estremamente ostile e beffardo nei propri confronti.

Il biondo rimase un attimo in silenzio,poi si poggiò, anche lui di schiena, sul parapetto della Moby con i gomiti tirati indietro nell’atto di sorreggerlo, mentre, con la testa all’indietro, osservava un po’ le stelle sopra di loro.

“Sei sicuro di volere una risposta sincera?.” Gli rispose retoricamente, ricevendo uno sbuffo.

“No grazie. Ne faccio a meno.”

“In effetti mi sto divertendo un sacco.” Sorrise il biondo, mandando immediatamente in bestia il compagno lì accanto.

“Ti ho detto di fare a meno della sincerità!!” ringhiò il moro con i denti e gli occhi improvvisamente più aguzzi del solito.

Un occhio di Marco incontrò la figura luminescente di Momo, ancora attenta alle loro mosse, ma , evidentemente, del tutto incapace di capire cosa si stessero effettivamente dicendo, nonostante le sue lezioni gli avessero dato le nozioni base della loro lingua.

Sai…” disse la Fenice, bloccando con il suo tono pensieroso e serio Pugno di Fuoco “… non mi aspettavo che ci saremmo potuti trovare in questa situazione.” Sussurrò, tornando dritto con un sorriso amaro sulle labbra.

E lì Ace capì che la situazione non lo stava divertendo affatto, come invece gli aveva dichiarato prima. Anche a lui del resto non allettava l’entrare in competizione con il fratello per una ragazza e non lo avrebbe mai fatto se le circostanze glielo avessero concesso. I suoi occhi color brace puntarono di sottecchi la figura incuriosita di Momo, studiandola di poco.

Vale davvero la pena?- si chiese critico, ma gli bastò quella rapida occhiata alla paradisea per fargli rispondere affermativamente alla propria domanda. Sì ne valeva la pena e non era solo questione di astinenza o attrazione fisica. Sentiva davvero qualcosa di strano quando guardava Momo, una sensazione che non sarebbe riuscito a spiegare nemmeno con mille e più parole. Una sorta di magnetismo, di brivido e di ignoto. Una miscela che non gli lasciava via di scampo. Che le Paradisee riuscissero davvero ad ipnotizzare con la sola voce? Ma lei non stava cantando in quel momento.

Neanch’io.” Fu la sua replica quando riuscì a staccarle gli occhi di dosso, poi prese un respiro profondo e,alzando la testa e chiudendo al contempo gli occhi, disse “…Essere in competizione con te è una cosa da veri masochisti, ma chi me lo ha fatto fare dico io? Bha, devo essere impazzito.”

La risposta di Ace spiazzò totalmente il biondo che lo guardò prima incredulo, poi mezzo divertito.

“Quindi non rinunci?”

A rispondergli fu uno dei tipici sorrisi da malandrino del fratello, accompagnato dal suo tipico gesto di alzarsi leggermente con un dito la falda del cappello alla cowboy.

“Neanche per tutto l’oro dello One Piece.”

Marco stese ancora una volta le labbra un sorriso sbieco. Quella era una vera e propria dichiarazione di guerra.

Oioi. Non ti dare troppe arie. Ti ricordo che sarò io a dover passare più tempo insieme a lei, essendo il suo insegnante.”

“Oh, tranquillo. Le sfide non mi spaventano.” Lo rassicurò sempre sorridendo furbesco. Ormai non si poteva più tornare indietro.

“Ah, lo sai che la piccola sa volare?” affermò immediatamente dando a malapena il tempo a Marco di percepire il cambio di discorso. La Fenice inarcò le sopracciglia verso l’alto stupito da quella notizia e fu per questo che ad Ace non servì che glielo chiedesse perché non potesse rispondere a quella domanda sottintesa: glielo leggeva in faccia.

“Già, si è quasi sfracellata sul ponte. Immagino che si sia dimenticata anche quello, oltre al proprio nome.”

Ace-san? Marco-san? Cosa…?” si fece avanti Momo alzandosi lentamente in piedi e Marco poté finalmente vederne la forma delle fiamme che ne ricoprivano le braccia. Erano esattamente come le sue quando assumeva la sua forma ibrida di Fenice. Forse non proprio esattamente: le fiamme erano meno marcate e per via del colore lasciavano ben intravedere la forma degli arti, ma non c’era alcun dubbio che in qualche modo formassero una sorta di paio d’ali.

L’atmosfera fu presto rotta dalla comparsa di Satch, inaspettatamente comparso al fianco della ragazza e avvinghiatosi con un braccio alle spalle di Ace con un sorriso gioviale.

“Ehi, voi due! Non spererete di tenervi lo scricciolo tutto per voi, spero!” esclamò il comandante della quarta flotta, meritandosi un’occhiataccia da parte del moro. Inutile, ad Ace non piaceva proprio il soprannome che aveva dato a Momo, ma lui non ci diede troppo peso, facendo finta di non accorgersene e rivolgendosi immediatamente alla ragazza.

“Io sono Satch, scricciolo, piacere di conoscerti. Spero che andremo d’accordo e…” a quella pausa sia Marco che Ace corrugarono la fronte incuriositi.

“… e di riuscire a proteggerti da questi due zoticoni in calore.”

Momo non fece in tempo a rispondere adeguatamente alla buffa ed alquanto lunga presentazione dell’altro che già se lo ritrovò davanti con un paio di bernoccoli da parte degli altri due comandanti ad ornargli la testa.

Chissà se ci avrebbe mai fatto l’abitudine.

 

Fine Atto Nono. 

Ed eccomi qua! Fiuuu! Che bello postare un capitolo dopo tanto tempo!! Sono fiera di me!

No Jaws, quella di Ace non è una maledizione, ma io! *_* mhwahaha! Uhm… ma non lo starò maltrattanto troppo il povero Ace? O-o

Ok spero di non avervi deluso in alcun modo e di avervi fatto divertire con questo nuovo e, a mio parere, esilarante capitolo!! Arch e Viola sono finalmente partiti alla ricerca della loro compagna con Morgan nella stiva a tremare dalla paura e finalmente, dopo una lunga ed agognata attesa… ci saranno i primi salti temporali!!! Era ora!

Pertanto non perdiamoci in chiacchere e passiamo al momento clu di questa serie!

Domande:

1)      Su che tipo di isola sbarcherà la ciurma di Barbabianca? (estiva, invernale.. o altre cose! Ditemi cosa preferite!)

2)      Chi è il padre di Arch?

Ed ora popolo… votate! Ci vediamo al prossimo capitolo! Vi aspetto con entusiasmo! Kisskiss

TS

Note di LIBRETTO: Jap  >  Ita

Watashi wa ureshii. > Sono contenta.

Watashi mo, chibi-chan. > Anch’io, piccola.

                                  Ita  >  Jap

Sai volare? > Anata wa sono ba o shitte iru?

Volare > Tobu.

Non è niente piccola. Mi passerà > Nai mo nai, chibi-chan. Watashimasu.

 

 

 

 

 

   
 
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