Antonio
termina la medicazione in silenzio e serietà
e tu non riesci a fare a meno di osservare ogni sua minima variazione
di
espressione, dalla più concentrata a quella meno tesa.
Slegata
la benda, ti chiede se avverti dolore nel
muovere la mano.
Ti
limiti a borbottare qualcosa d’indefinito che non
pendesse né dalla parte del sì né da
quella del no.
“Credo
sia una leggera slogatura.”
“Credete?
Fantastico.”
“È
pieno di medici, là fuori, pronti a dirvi che
avete due o tre ossa rotte, che dovete stare a letto una settimana, che
come
minimo dovete ingurgitare due varietà di gocce al giorno. Ma
vi assicuro che
non è così. Voi non avete niente, non dovete
prendere medicine, non dovete
chiudervi in camera.”
“Peccato
che-”
“Che
a dirlo sia io. E che se non mi credete quando
somministro cure necessarie, a maggior ragione non potreste fidarvi di
me per
banalità di questo tipo.”
Una
pausa di qualche secondo separa il suo
intervento successivo: il tempo utile per leggere nel suo volto un
pizzico di
pentimento.
“Ora,
col vostro permesso, vorrei congedarmi.”
Si
alza in piedi e ti gira le spalle.
“Ah.”
Ora
sei curiosa e vogli lo sguardo alla sua figura,
così composta, così bella,
così… perfetta.
“Ho
trovato questa, a casa. L’avrete
dimenticata."
Senza
voltarsi del tutto, appoggia la tua lettera
sul letto.
Ti
senti sprofondare.
Ecco
perché aveva così fretta di rincontrarti.
Inutile
evidenziare che, anche senza un esplicito
riferimento al destinatario sulla carta sgualcita, l’epistola
fosse indirizzata
a lui.
Abbassi
il capo, bloccata.
Senti
che sorride, ma non ne capisci il motivo: era
forse derisione?
“È
per quello che siete venuta, ieri, vero?”
No.
O
almeno non del tutto.
“No,
non è per quella” indichi la lettera con un
cenno del capo.
Ma
sai che non ci credeva, anche se eri sincera.
“È
stato un raptus di follia. Quella che hai letto
non è la vera Anna” come se avessi bisogno di
essere giustificata.
“O
forse lo è davvero.”
Sarebbe
stato meglio non addentrarsi in dilemmi
psicologici, ma probabilmente era quello il tuo attuale destino.
Trovo ora
abbastanza inutile discorrere della mia personalità...
“Forse”
lo assecondi infine non terminando nemmeno
la formulazione mentale di ciò che volevi pronunciare.
E se finisse
il mondo?
Antonio,
torneresti da me?
S’incammina
verso la porta, la borsa in mano.
Se oggi fosse
l'ultimo della nostra esistenza?
Se domani
incontrerai un'altra donna, se domani-
“A
cosa state pensando?” si rivolge ancora a te, una
mano sulla maniglia, i piedi improntati a uscire.
Non
riesci a rispondere con l’abitudinale prontezza.
“A
tante cose” risolvi quindi. Il giusto compromesso
per evitare una brutta bugia e soprattutto per infondere in lui un
minimo di
curiosità.
“Non
ne volete parlare, vero?”
“Come
siete sfacciato. Prima credete di sapere tutto
di me e di quello che penso di voi, poi mi chiedete di rivelarvi
ciò che mi
passa per la testa?”
Alzi
il capo affinché tu potessi guardarlo
finalmente negli occhi. “No, non ne voglio parlare! Esiste
forse una risposta
alle mie domande?”
“Non
lo so. Ma voi sareste disposta a cercarla?”
Annuisci,
anche se ancora non capivi dove volesse arrivare.
“Se
io mi trasferissi in una città lontana, mi
cercheresti ancora?” ipotizza.
“No”
rispondi d’istinto. “Avreste un’altra
vita.
Altre donne tra cui scegliere. E vi dimentichereste di me.”
“Voi
siete troppo poco egoista, sapete?”
“C-come
scusate?”
“Siete
tremendamente presuntuosa, non ascoltate mai
nessuno, non vi fidate di nessuno, disprezzate l’operato
altrui, però non
potete negare che non vi stia a cuore la felicità di chi vi
sta intorno.”
“Ma
che dite…”
Forse
lo eri, ma vent’anni fa.
Non
si possono comparare vite, famiglie,
comportamenti di due età così diverse.
Adesso
non t’importa più di nessuno: inchioderesti
al muro quella serva di cui si è invaghito tuo fratello,
faresti sposare
Fabrizio con la prima nobildonna dei salotti di Torino e segregheresti
tuo
marito nel suo palazzo, lontano da giochi d’azzardo e donne.
Ma
soprattutto lontano da te.
“Io,
vostra madre, vostra figlia, vostro marito, vostro
fratello... ma quanto aspetterete prima di pensare un po’ a
voi stessa?”
Ti
alzi in piedi di scatto, e lo raggiungi.
“Io
sono cambiata. Non sono più quella donna che
state descrivendo.”
“Dalla
vostra lettera sembrava il contrario.”
“Vi ho detto di dimenticare quelle parole.”
“Allora
perché le avete scritte e avete voluto che
io le leggessi?”
“Dio,
Antonio, non l’avete ancora capito?”
Ti
prende una mano e ti trascina accanto a lui.
“Sono
una donna spregevole, che non si merita niente
da nessuno. Ecco perché mi avete lasciata: avevate capito
come veramente sono.
Perciò non mi lascio suggestionare dalle vostre
bugie…”
“Non
rivangate il nostro passato. Quel che è
successo non è dovuto a questo.”
“Avete
paura di parlarne, vero? E invece io ne
parlo, e potrei continuare per mesi” appoggi un dito contro
il suo petto, “di
noi, di com’eravamo, di lei.
E ti
assicuro che non potrà mai più tornare come
prima, perché non siamo in un libro
dove il protagonista può interrompere una lite furiosa
baciando la sua bella e cancellando
per sempre ogni rancore, e perché se anche cascasse il
mondo, io-”
Ti
chiedi se davvero ti stesse baciando, e se ti
tenesse per la schiena, e se ti stesse sciogliendo i capelli lasciando
tintinnare
le forcine a terra come una cascatella di grandine.
E
al diavolo tuo marito, le convenzioni, le leggi,
la moralità, i rimorsi, gli errori, le paranoie.
Non
fu complesso disfarsi della tua veste da camera,
che scivolò giù da sola ai tuoi piedi.
La
scavalchi con le mani fisse sulle spalle di
Antonio il quale continuava a baciare ogni angolo del tuo viso.
Finite
sul letto, a carezzarvi l’un l’altro, a
spogliarvi di quel che c’era rimasto, a giurarvi una seconda
volta amore eterno
mentre la luna avanzava nel cielo.
Ma
questa volta, ti dici prima di addormentarti, non
l’avresti lasciato mai più.
Cascasse il
mondo.
Fine.