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Autore: francyrm21    22/09/2010    1 recensioni
Se potessi scegliere il posto in cui vivere a questo mondo sarebbe solo uno. New York. Se potessi scegliere di chi innamorarmi vorrei solo una persona. Michael Copon.
Questo è come ho visto nella mia mente entrambe le cose che desidero messe assieme. Fatemi sapere che ne pensate!!!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti voi!!!! ecco una fotina di Mike... solo per farvi dare un occhiatina a come mai mi fa girare così tanto la testa... O.O dovevo ancora capire come si faceva =P

in questo capitolo ci sarà... ma solo alla fine... poi vedrete!

come al solito... leggete leggete leggete!! ma soprattutto commentate grazie ù.ù fa bene al mio ego da scrittrice anke se è particolarmente piccino xDxD

un bacio e buona lettura a tuttiiiiiiii

 

2.

 

 

 

Sei mesi a New York, tre dei quali con Matt. Le cose stavano andando a gonfie vele anche se il lavoro le prendeva gran parte del suo tempo e Matt il resto. Uscivano insieme e lui le faceva conoscere nuove persone quasi ogni volta costringendola a pensare “ma con quante persone veniamo a contatto nel corso della nostra vita?” o forse era solo lì che era possibile. Poi Matt era fantastico e il loro rapporto non era cambiato poi troppo. Certo c’era il sesso ma per il resto era quasi tutto com’era prima. Parlavano di continuo appena potevano e appena l’atmosfera si accendeva, cercavano un po’ di privacy per dare libero sfogo ai loro gradi. L’unica cosa che aveva notato di diverso era che Matt era a dir poco geloso anche del tipo che gli sorrideva mentre le chiedeva una tazza di caffè. Il tempo che il tizio si girasse si trovava lo sguardo appuntito di Matt che lo squadrava dalla testa ai piedi e che lo minacciava silenziosamente “Vuoi farti la mia ragazza? Non penso proprio, stronzo!”. Era più forte di lui. Anche se si fidava ciecamente di Frankie, non riusciva ad abbandonare completamente questo suo atteggiamento da Rambo geloso che all’inizio era divertente e a volte anche tenero ma alla fine era inappropriato.

Il venerdì era una giornataccia per Frankie. Doveva lavorare sia alla caffetteria libreria di giorno e al locale di notte. Nemmeno era mezzanotte che si sentiva già pronta al collasso. Praticamente andava a caffeina e si riposava appena aveva un momento libero. In uno di queste pause era riuscita a mandare una mail alla sorella che era in procinto di organizzare un viaggio, in America forse, e per qualche giorno sarebbe potuta stare da lei con il marito. Gli avrebbe ceduto il suo letto e forse l’appartamento per andare a dormire da Matt. Aveva appena sentito iniziare un particolare punto, al basso, dove Matt era impazzito per provare e alla fine era riuscito. Corse fuori e si rimise al bancone quando notò una strana tipa completamente isterica mentre faceva il tifo per Matt. Ridacchiò di lei mentre si rimetteva a lavoro. Un ragazzo molto carino e dallo sguardo magnetico cominciò a guardarla mentre serviva un altro cliente.

«Cosa posso servirti?». Fece finta di non notare il modo insistente del ragazzo di fissarla.

«Te». E sorrise della propria battuta.

«Riformulo». Schiattò a ridergli in faccia per l’abbordaggio più strambo che avessero mai provato su di lei. «Cosa ti va di bere? E io non sono sul menù». Continuò a ridere ancora e lui si trovò in comico imbarazzo.

«Ok, scusa. Non volevo, ma la risposta mi è uscita spontanea». Cercò di riprendere un po’ di terreno per non defilarsi facendo la figura del completo idiota. Solo un parziale scemo diciamo.

«Non fa niente, sul serio. Dai dimmi».

«Vorrei un mojito per favore. Grazie». Era esitante ma continuò a parlare per fare un po’ di conversazione con la barista che sembrava simpatica. «Il mio nome è Paul, e tu sei?».

«Ciao Paul, sono Frankie e il tuo mojito arriva subito». Mentre pestava la menta aveva riso ancora con lui facendo quattro chiacchiere su dove veniva e sul fatto che il suo accento non sembrava affatto italo-americano. Forse solo in alcuni punti, ma quasi non si notava. Poi con quella musica alta. E poi la musica si interruppe, era il momento di una pausa anche per loro del gruppo così lo stereo prese a suonare un CD dei Flo-rida per intrattenere i clienti. Matt aveva già messo gli occhi sul tizio che stava parlando troppo rilassatamente con la sua ragazza e quasi nemmeno si accorse della tipa isterica di prima che gli andava incontro e gli chiedeva di farle un autografo sul seno sinistro.

«Ad Amber con affetto, Matt Stevenson. Uh grazie come sono contenta, sai sono proprio una tua fan sfegatata». Lui la guardò solo per un momento e le sorrise senza darle davvero troppa importanza mentre Amber credeva di essere riuscita a stabilire un contatto. «Potresti aggiungere anche il tuo numero di telefono». Quello era uno sguardo ammiccante bello e buono! Ma a Matt non fece l’effetto che lei sperava.

«Direi che è perfetto così, Amber». Tanto per non renderla troppo scontenta, le diede un bacio sulla guancia che la fece subito arrossire e sorridergli di sbieco.

Paul e Frankie stavano facendo conoscenza e si erano scoperti simpatici tutti e due, insomma stava per nascere una bella amicizia. Lui sapeva che lei stava con Matt e le aveva detto che, a suo parere, era davvero un bravo bassista. Stavano ancora parlottando quando Matt si fece vicino al bancone e cercò di attirare la loro attenzione.

«Scusate se vi disturbo, ma vorrei un birra per favore». Che tono strano quando aveva parlato che le aveva soffocato una risata in gola.

«Certo arriva subito». Era ritornata seria mentre si abbassava per prendere la bottiglia dal frigo. L’aveva stappata e poi porta a Matt direttamente in mano. «Lui è Paul. Ha cercato di provarci ma ora si è ravveduto e stiamo cercando di diventare amici». La frecciata di sguardo che Matt rivolse a Paul avrebbe potuto stendere uno scoiattolo o un animale di piccola taglia.

«Be’ menomale. Ti piace questo posto Paul? E la musica?». Cercava di sforzarsi di sembrare normale e distaccato ma non ci riuscì granché e decise di provare a smorzare un po’ le sensazioni con l’alcol. Di solito diventava più malleabile. Cercò di fare conversazione con Paul ma ad ogni frase vedeva la rabbia montargli ancora di più e si accorse di aver smesso di bere. Aveva ordinato altre due birre e, leggermente brillo, si era diretto verso il palco per suonare.

Frankie non sapeva proprio come spiegarsi il suo comportamento. Si, aveva notato che si era sforzato di non andare in escandescenze davanti a Paul ma perché tutto quel bere? Pensò che sarebbe dovuta essere lei a guidare quella sera anche se ancora non aveva preso la patente lì in America, la sua era valida solo nell’Unione Europea. Durante il concerto la ragazza isterica aveva fatto in modo di fargli avere una birra che lei gli aveva gentilmente offerto. Per un secondo, capì cosa Matt poteva provare ma solo in una piccola quantità perché a lei poteva dar fastidio che quella gallinaccia stesse facendo il filo al suo ragazzo ma sapeva che lui non l’avrebbe mai assecondato. Era sicura che lui l’avrebbe respinta in qualche modo. Sperava che magari, la mandasse indietro quella birra in modo da non dare false speranze alla ragazza isterica. Invece si vide chiaramente Matt mandarne giù un sorso bello lungo e in quell’istante sperò che lui lo reggesse bene l’alcol così non avrebbe dovuto trascinarselo per tutto il tragitto fino a casa.

Un paio di cose successero nello stesso momento. L’ultima ondata di clienti invase il bancone del bar e Frankie li servì con l’aiuto di Jack, uno dei camerieri. Il gruppo stava per smontare baracche e burattini. Matt non si reggeva quasi in piedi e ad un certo punto scomparve dalla vista di Frankie. Passata l’orda di bevitori di alcol, Frankie e Jack si sedettero un attimo ad un tavolo e per un pelo non svenivano per la stanchezza tutti e due per la serata appena trascorsa. Ridacchiarono un po’ e poi Jack si rimise a lavoro, che a lui spettava ancora di pulire i tavoli.

«Ti do una mano anch’io, però prima devo controllare la mail. Torno subito». Frankie si offrì dopo aver visto cosa ancora il povero Jack aveva da fare ma prima voleva controllare la mailbox per vedere se la sorella, Giusy, le aveva risposto. Ma entrare nello spogliatoio non fu l’esperienza indolore che credeva. Tutt’altro.

Matt era appoggiato agli armadietti e una ragazza le si era inginocchiata davanti e di sicuro la cerniera aperta dei suoi pantaloni non era in quella posizione perché voleva solo far prendere aria all’amichetto di Matt davanti alla sua faccia. Erano così presi uno dalle azioni dell’altra che nemmeno si accorsero di Frankie finché non richiuse l’armadietto con forza dopo aver preso tutte le sue cose. Aveva camminato in silenzio, fredda come il ghiaccio dopo che le si era gelato il sangue alla vista di quella scena e non li aveva nemmeno guardati mentre aveva parlato.

«Scusate se vi ho disturbato, me ne vado». Matt sembrò svegliarsi da una specie di trans - o semplicemente gli aveva interrotto l’orgasmo - che fece allontanare subito per Amber da se stesso e si riabbottonò i jeans in fretta e furia. Frankie aveva già messo le sue cose su un tavolo già pulito e aveva cominciato a pulire quello accanto nonostante le sue mani tremassero e trattenesse a stento le urla. La porta dello spogliatoio si aprì con un botto e ne uscirono una Amber un po’ sconvolta per essere solo stata usata be’… solo per quello, e Matt con la faccia da colpevole che voleva scusarsi per qualunque cosa avesse fatto. Anche di essere venuto al mondo.

«Frankie…». Aveva provato ad allungare una mano per poterle toccare il braccio e farla voltare ma lei glielo impedì.

«Non osare parlarmi, toccarmi o guardarmi. Mai. Più.». Come poteva una voce sempre così dolce e gentile essere capace di tanto astio e amarezza? Questo era l’effetto dell’essere feriti da qualcuno che si ritiene importante. In un certo senso ti cambia anche quando non lo vuoi. Anche se non te ne rendi subito conto.

«Ti prego, aspetta. Non reagire così». Lo aveva guardato negli occhi stavolta, davvero. E Matt trovò dentro quegli occhi quello che non avrebbe mai pensato di trovarci perché troppo fuori luogo, per quegli occhi. Odio. Non lo aveva mai visto in lei. Nemmeno una volta. Ma quella volta bastò a farlo spaventare.

Frankie voleva andarsene e non doverlo vedere mai più. Si sarebbe licenziata e avrebbe cercato un altro lavoro o avrebbe fatto più turni nel primo ma di sicuro non ci avrebbe più messo piede in quel posto. Ma Matt le bloccò la strada perché voleva che lo perdonasse, che passasse sopra alla cazzata enorme che aveva appena fatto e che potesse far tornare tutto com’era prima. Aveva cercato di afferrargli un polso per poterla attirare a se e poterla abbracciare ma lei lo spinse via, scaraventandolo a terra. Tutti li avevano fissati per quegli interminabili minuti ma nessuno sapeva esattamente il perché di tutto quel frastuono.

«Non parlarmi! Devi solo andartene a fanculo tu e quella puttanella, chiedi a lei di diventare la tua fottuta ragazza. Con me hai chiuso!». Qui non si era più potuta trattenere. Tutta la furia del primo impatto a quella vista fu rilasciata in quest’unica frase e fu una palla di cannone sparata in pieno petto. Si era slacciata velocemente il grembiule dalla vita e lo aveva lanciato sul bancone prima di riprendere le sue cose e poi marciare verso la porta. Matt la seguì ancora.

«Fermati! Non andare da sola a quest’ora della notte, ti accompagno io». Sperava che almeno potesse provare a passare più tempo con lei e cercare ancora di farsi perdonare o sperare che il suo amore per lui fosse forte abbastanza da farle dimenticare.

«Anche se qualcuno provasse a derubarmi o a stuprarmi o a uccidermi stasera, farebbe meno male di quello che ho visto dieci minuti fa». E fu più o meno qui che si rese conto di averla ferita irreparabilmente. Nessun perdono o grazia. Le suppliche erano inutili e la sua sola presenza era fonte di tristezza e rabbia per lei. Matt si bloccò sulla porta mentre Frankie s’incamminava per la strada verso casa.

Per quanto potesse essere irritante e frustrante, Matt aveva ragione. Non poteva andare in giro da sola a quell’ora così si allontanò il necessario per non dover essere vista e poi chiamò un taxi. Così se Matt fosse stato in pena per tutta la notte lei ne sarebbe stata felice. Lo avrebbe reso ansioso e pieno di paure e forse avrebbe passato la notte insonne. Ormai la mente di Frankie era votata a far soffrire quello sporco bastardo di Matt Stevenson fino a farlo schiattare.

L’aveva ingannata dicendole quanto tenesse a lei in maniera particolare, come fosse quasi innamorato di lei e che non se la sarebbe fatta sfuggire per nessun motivo al mondo. Ogni cosa che aveva sostenuto con così tanta passione era una balla gargantuesca e lui doveva soffrire per questo. Aveva rischiato quasi di finire fra le sue grinfie e innamorarsene ma aveva scoperto prima che razza di schifoso pezzo di escremento animale fosse. Questo era il clima dei suoi pensieri in quel taxi mentre tornava a casa e per un pelo il guidatore, solo per il semplice fatto di essere un uomo, come Matt, aveva rischiato che gli urlasse contro anche solo per come le aveva chiesto la tariffa della corsa.

Quando finalmente era entrata in casa, si era lasciata andare sulla sedia della cucina, gettando la borsa e la giacca per terra mentre fissava il vuoto nell’angolo fra lo stipetto dei detersivi e quello delle pentole. Ora era al sicuro dagli sguardi indiscreti, dalle occhiate di compassione e dalla segreta soddisfazione che quella unione così invidiabile fosse finalmente stata sciolta da una fortuita serie di eventi.

Era al sicuro da Matt. Lì nel suo appartamento, lui non ci sarebbe mai più entrato, come nel suo cuore. Appena Frankie aveva aperto la porta di quello spogliatoio, un’altra si è chiusa con un colpo secco, quella del posto di Matt nel cuore di lei. Era vuota. Non era sicura dovesse essere così, la maniera giusta di reagire al tradimento. Di scoprire che tutto quello in cui credi possa essere solo il modo in cui tu vedi la cosa in se, e non la sua vera forma. Non sentiva niente, in assoluto. Solo freddo.

Rivedeva di continuo quella scena, quando aveva aperto la porta e ancora riusciva a sentire la ruvidezza del legno leggermente scabro sulla pelle delle mani, la testa rilassata di Matt appoggiata agli armadietti, l’intraprendenza della ragazza. Stava impazzando su quei dettagli.

Quella notte, per dormire, non riuscì a stare leggera (come aveva detto lui) e dovette stringersi un cuscino al petto perché pensava che il cuore potesse uscirle dal petto. Quella notte si coprì tanto dal svegliarsi l’indomani completamente zuppa di sudore e costringendola a lavare tutto. Quando si guardò allo specchio il suo viso era leggermente cambiato nella notte. Gli occhi erano spenti, uno specchio d’acqua scura e calma – anzi cristallizzata – e delle piccole occhiaie avevano scavato dei solchi sotto le ciglia inferiori. Era a dir poco pallida, sembrava uno di quei famosi vampiri che brillano al sole, solo dannatamente più realistica. Per la prima volta aveva l’aspetto malaticcio dell’influenza.

Quella sarebbe stata un’altra prima volta a New York da festeggiare, pensò.

Il forno sotto casa faceva delle ottime brioche al cioccolato e con un buon tè caldo sarebbero stati la cura perfetta per la giornata che l’aspettava. Perché non poteva mica lasciare il suo secondo lavoro così, senza preavviso. Si sentì stranamente voltare lo stomaco al solo pensiero. Non poteva essere che anche a New York potesse esistere un posto nel quale non volesse andare e che le dava quei sintomi addosso. Ansia e riluttanza. Era come se la mente fosse troppo debole per sopportare le sensazioni sgradevoli e le suddividesse con la sfera fisica. Insomma i malanni della mente si trasformavano in mal di stomaco, abbassamento della vista, spossatezza e altri stupidi doloretti impossibili.

Forse stava succedendo anche questo per Matt. Si sentiva l’influenza addosso a causa sua e di quello che le aveva inflitto. Le venne voglia di non muoversi da casa, di restare a letto e ascoltare musica a tutto volume. All’improvviso la prospettiva di chiudersi a riccio sotto le coperte divenne un’idea troppo allettante. Solo che non poteva avvilirsi così o altrimenti sarebbe stato ancora più penoso quella sera stessa, andare a lavoro. Doveva uscire assolutamente e magari prendersi quella brioche e il tè da qualche parte in modo da non dover pensare troppo alle cose che le affollavano la mente e godersi un bel paesaggio. Insomma farsi distrarre da qualcosa, qualunque cosa.

Si vestì senza pensarci troppo, con un jeans e una maglietta, ed era uscita cercando di lasciare ogni cattivo pensiero fuori dalla sua mente. Andò a comprare la brioche e la mangiò mentre camminava per andare da Starbucks, una meta che aveva sempre desiderato raggiungere prima di trasferirsi a New York. Adesso ci andava tutte le settimane, per provare sempre un gusto nuovo. Le metteva sempre allegria andarci perciò pensò che poteva curarle almeno in parte la sua ferita per Matt.

Perché solo pensare a quel nome le faceva male? E la cosa strana era che nel profondo aveva voglia di vederlo, di poterci parlare, di poterlo abbracciare e gridargli contro e piangere stretta a lui. Ormai era una ferita al petto che le mozzava il fiato e rischiava di soffocarla. Perché aveva fatto una cosa così schifosa?

Cercava di passeggiare senza far figurare i suoi pensieri sul viso ma non era sicura potesse riuscirci. Credeva che da un momento all’altro qualcuno che conosceva potesse fermarla per chiederle del perché fosse così sconvolta o che, peggio ancora, sapesse tutto e cercasse di consolarla. Si era diretta dentro un parco molto invitante che sembrava perdersi a dismisura. Forse si sarebbe potuta perdere e avere un’ottima scusa per non dover andare a lavoro. Si fermò ad un certo punto quando si trovò davanti a un spiazzo che doveva fare da parcheggio a qualcosa di grande e all’entrata si vedeva scritto che era arrivata al Museo di Brooklyn. Forse andare lì e perdersi nei meandri dell’arte piuttosto che in un parco, avrebbe potuto farla distrarre dal resto.

Al terzo piano facevano una mostra su dei pezzi egizi, civiltà di cui Frankie aveva una discreta ammirazione. Decise di seguirla per immergersi completamente in mummie, sarcofagi, pergamene, geroglifici e regine dalla bellezza incomparabile e dalla cultura invidiabile. Certo che calarsi in antiche epoche dove i problemi veri erano decisamente diversi da quelli che l’affliggevano la fece sentire stupida e come alleggerita da quel dolore che le parve inutile. Senza senso.

Poi pensò che se era stato così facile attenuare quella sofferenza così facilmente, forse non era stato poi così importante per lei. Forse quello che provava per Matt non era vero amore o non il tipo giusto almeno. Non quello che doveva durare per tutta una vita. Quello che può farti stare così bene ed essere tanto felice da avere paura di morire. Quello che si crede di non meritare quando si riceve. Ecco quel qualcosa di sbagliato, anzi più che sbagliato era mancante. Si, mancante. Non c’era quella sensazione bruciante che ti prende all’anima e che ti da la sensazione di essere libero e legato a qualcuno in maniera completamente insensata e diversa da come credevi dovesse essere. Quella che con un suo gesto o parola saresti in grado di buttarti fra le fiamme senza pensarci due volte, prenderti un colpo di pistola al suo posto ed essere felice che lui stia bene anche se tu stai per morire. Niente del genere c’era con Matt. Forse era colpa sua che non si era completamente concessa a lui e così non si era lasciata realmente prendere dalle emozioni che lui voleva darle. O forse semplicemente non se ne era innamorata affatto. Quel primo bacio le era stato più rivelatore di quanto potesse immaginare.

Lui nemmeno l’amava come credeva di amarla. Altrimenti non avrebbe nemmeno provato a farsi un’altra. Anche se era arrabbiato o ubriaco. L’alcol non ti fa diventare tutto d’un colpo uno stronzo fedifrago, ma ti toglie le inibizioni e questo significava solo che lui in realtà desiderasse stare con qualcun’altra che non fosse lei.

Armata di queste considerazioni quella sera si presentò al lavoro. Era decisamente diversa dal solito. Cupa e diffidente. Vestiva di nero e la sensazione che potesse essere una sua versione decisamente troppo dark della Frankie che avevano mai conosciuto fu palpabile. Andò direttamente nello spogliatoio per posare le sue cose e per un attimo si fermò prima di aprire la porta, con riluttanza. Sentiva che stava per vomitare. Trattenne il respiro e entrò quasi tenendo gli occhi chiusi. Non c’era nessuno. Posò le sue cose nell’armadietto e si allacciò il grembiule alla vita. Quando si avvicinò al bancone si rese conto che tutti la stavano fissando, chi direttamente e chi di sfuggita.

«Che c’è? Nessuno vuole lavorare stasera?». Ian era appena entrato e si stava avviando verso il palco quando vide che Frankie era un po’ troppo al centro delle attenzioni di tutti. Lei sospirò pesantemente mentre salutava e soprattutto ringraziava Ian con lo sguardo. Solo che alcuni continuavano a fissarla, Frankie ne era sicura. Ne sentiva lo sguardo pesante come uno scoglio sulla schiena. Cercò di non pensarci mentre usciva i limoni da cocktail per tagliarne un paio da tenere a portata di mano, mentre asciugava i bicchieri leggermente bagnati dopo essere usciti dalla lavastoviglie. Era sabato sera perciò non poteva pensare a nient’altro che non fosse servire i clienti, essere cortese e scattante nel preparare i bicchieri. Ecco su cosa si concentrò per tutta la serata.

Non c’erano musicisti che suonavano, o una strana melodia melensa che sentiva provenire da chissà dove o, ancora peggio, qualcuno di famigliare cantare canzoni sul chiedere perdono. Le sembrò di sentirne qualcuna ma non ci fece molto caso. I clienti aspettavano da bere e lei era lì per servirli, non per ascoltare musica. Solo che ad un certo punto anche loro dovettero fare una pausa e si avvicinò al banco solo Tay per prendere le quattro birre per evitare di fare troppa fila. Frankie trattò l’ordinazione come fosse una normale richiesta, solo con un piccolo sorriso in più per Taylor che era sempre così gentile con lei.

«Non canti con me stasera?». Chiese Ian appena ci fu un attimo di calma, prima di ricominciare a suonare.

«Non sono in vena stasera». Le dispiaceva quasi dover dare buca a Ian, in fondo non era colpa sua se lei era di pessimo umore.

«Una come te che ha la musica nel DNA è sempre in vena di cantare, bisogna vedere che genere ti va stasera. Spero niente di troppo sdolcinato o malinconico». Forse cantare le avrebbe fatto bene a sfogarsi, e la sua mente non era sicura del brano da eseguire perché le sue corde quella sera spaziavano dagli Apocalyptica, I Don’t Care magari, a Anya Marina con Satellite Heart.

«Non hai gli strumenti adatti per la canzone che voglio». Concluse lei avendo un’altra canzone ancora in mente.

«Che ti manca? Stasera abbiamo anche Ray con la chitarra elettrica, perciò mi aiuta lui per i pezzi importanti». Perché insisteva tanto?

«Non hai un piano però». Era indispensabile il piano per quella canzone.

«Prima dimmi la canzone e poi ti dico se ne ho uno o no». Ian voleva essere sicuro che non gli volesse proporre chissà quale cosa vomitevolmente strappalacrime.

«It Ends Tonight degli All American Rejecs, qualcosa in contrario?». Chiese Frankie ormai con un fascio di nervi al posto del cervello.

«Volevo solo vedere se avevi buon gusto anche nella sofferenza, tutto qui». E le sorrise senza essere troppo divertito. «Ok, abbiamo la tastiera. Ti aspetto sul palco appena ti liberi». E si voltò per tornarsene al suo posto, davanti al microfono.

«The walls start breathing
My mind's unweaving
Maybe it's best you leave me alone.
A weight is lifted
On this evening
I give the final blow.
When darkness turns to light,
It ends tonight
It ends tonight».

Frankie adorava questa canzone ed era forse la più appropriata per far capire una volta per tutte cosa provava e che non c’era più niente da recuperare. Appena finita la canzone un movimento alla sua destra attirò la sua attenzione. Matt aveva smesso di suonare e si era sfilato il basso dalla tracolla per poi scendere dal palco, facendosi strada a gomitate fra i pubblico. E così il gruppo dovette prendersi un’altra pausa, forzata, stavolta. Mentre Ian gli andava dietro, Frankie fermava Taylor giusto il tempo per dirgli una cosa.

«Dì a Ian che non canterò più con il gruppo, non voglio mettere casini fra di voi». Taylor era indeciso se rispondergli che non era colpa sua se era successo tutto questo ma decise di annuire semplicemente e di seguire gli altri. «E invece lo è, Tay». Lei disse anche se non poteva più sentirla.

Matt si diresse fuori per riuscire a sbollire quella sensazione strisciante che si sentiva addosso, senso di colpa e rabbia mischiati insieme non erano una gran bella accoppiata. Aveva rovinato tutto, mandato tutto all’aria con Frankie che gli piaceva da impazzire e poi perché? Per gelosia? Per quello stronzo di Paul? L’alcol gli aveva annebbiato la ragione e si era fatto abbindolare da quella Amber solo per ripicca nei confronti della sua ragazza alla quale era consentito flirtare con i clienti - e sembrava che nemmeno se ne rendesse conto - mentre lui non si avvicinava a un’altra neanche per chiederle l’ora. Era vero che lo ammorbidiva, l’alcol, tanto da farsi convincere da quella ragazza ad abbassare la cerniera dei jeans. Che c’era di male in fondo.

Solo il viso di Frankie, dopo averlo visto forse. Era stato orribile vederlo. E tutto quello che aveva scatenato dopo. E quella sera, quella maledetta canzone e lei che gliele cantava praticamente in faccia. Gli era anche difficile respirare, mentre per lei era stato così facile evitare di guardarlo.

Nel frattempo gli altri lo raggiunsero fuori dal locale. «Ma che ti prende?». Gli sbraitò Ian contro con aggressività.

«Perché l’hai fatta cantare stasera? Sapevi che mi avrebbe fatto male e lo hai fatto comunque!». Matt era così sconvolto da sembrare sull’orlo della rissa.

«Non puoi dare la colpa a me o a lei per le cazzate che fai. Hai mandato tutto a puttane con lei per uno schifosissimo pompino, sei solo un coglione Matt». Il pugno destro di Matt colpì violentemente la mascella di Ian che non tardò molto a rispondere.

«Da quand’è che t’interessano i sentimenti di una ragazza?».

«Sai che lei non è come tutte le altre che scopano con noi solo perché siamo musicisti. Lei era importante per te, cazzo!».

«Basta! Smettetela! Tanto Frankie non vuole più cantare con noi! È stupido picchiarsi per una cosa così». Li interruppe Taylor prima che iniziassero a darsele sul serio.

«Cosa?!». Sibilò Ian con un po’ di fiatone.

«Non vuole più cantare perché non vuole metterci l’uno contro l’altro come adesso». Continuò Tay con più calma. Con una calma che sembrò contagiare tutti perché rilassarono le braccia e i pugni si aprirono, cadendo vicino ai fianchi.

«Non è una sorpresa, direi». Sbottò Ray che fino a quel momento non aveva detto una parola. «Per prima cosa si vede che è una apposto, e poi nemmeno io vorrei restare così a contatto con la mia ex». Si affrettò a spiegarsi meglio.

«È più matura di molte altre persone qui». Concluse Tay e, per la prima volta in tutta la serata, Matt incassò senza rispondere e, abbassando gli occhi, cominciò a fissare l’asfalto.

«Meglio rientrare o Sam ci ucciderà a tutti e cinque». Commentò Ian prima di incamminarsi di nuovo verso l’entrata. Non si erano nemmeno accorti delle persone che si erano fermate per guardarli, pensando che poteva esserci una bella rissa da osservare. Qualcuno di loro si era semplicemente fermato prima di entrare nel locale ma alcuni invece, si erano proprio messi lì vicino per spiare tutto l’accaduto.

Lo stereo rimpiazzava momentaneamente il gruppo assente e Frankie era al banco a servire i clienti, cercando di non farsi distrarre dalle occhiate cariche di significati che Matt le rivolgeva.

«Posso sapere che è questa storia che non canterai più con noi?». Frankie lo guardò mentre stava servendo una ragazza già abbastanza su di giri, e si accorse del rigonfiamento rossastro sul suo viso.

«Appena puoi mettici del ghiaccio su quella mascella. Per il resto parliamone dopo, c’è confusione stasera». Poi si rivolse all’ennesimo cliente della serata per sentire la sua ordinazione. Le cose ripresero normalmente fino a quando non ci furono gli ultimi caparbi ragazzi che non volevano andarsene. Erano due tavoli VIP che si erano uniti mentre scherzavano e non avevano nessuna voglia di far finire la serata. Anche il gruppo stava staccando gli strumenti e avevano solo lasciato le casse a pompare la musica commerciale in modo da non lasciare il gruppetto nel silenzio, o meglio nei rumori delle pulizie.

Si capì subito che non sarebbe stato un bel fine serata quando Sam si fece viva con una faccia minacciosa e una camminata da soldato dei marines.

«Volete dirmi cos’è successo? O devo trovarmi subito un nuovo gruppo e una barista per domani?». Essere un’imprenditrice nella Grande Mela non doveva essere qualcosa di facile da gestire, così per questo motivo doveva avere un certo atteggiamento con tutti o avrebbe fallito quasi subito.

«Qualunque cosa sia successa, non capiterà più. Ritorno al bancone per il tempo necessario che tu possa trovarti una nuova barista. Poi me ne andrò». Le rispose Frankie, prima di lasciare il tempo a qualcun altro di parlare.

«No! Aspetta, non ce n’è bisogno! Non farò più scenate, ti prego, ma non andartene». Sbottò immediatamente Matt prima di essere trafitto da una sua occhiata.

«A quanto pare è una cosa fra voi due…». Sam sapeva che Frankie e Matt stavano insieme ma non sapeva proprio tutto. «Perché vuoi andartene Frankie? Sai anche tu che è difficile trovare qualcuno per quest’orario e nel fine settimana per giunta».

«Il coglione si è fatto beccare da lei mentre si faceva fare un servizietto veloce da un’altra, ecco perché». Ian non era riuscito a fermarsi, lo aveva gridato a tutto il locale mentre lei voleva solamente sprofondare da qualche parte per l’imbarazzo e l’umiliazione. Anche il vociare del tavolo si era abbassato un po’ per quanto le grida avessero rimbombato per tutte le quattro mura.

«Ian non sono affari tuoi!». Gli aveva risposto Matt di scatto cercando di trattenersi dal picchiarlo duro.

«Adesso basta, dico a tutti. Qui state parlando voi ma non la persona a cui l’avevo chiesto». Sam si voltò verso Frankie e le si era avvicinata. «Se vuoi andartene, non posso fermarti ma vorrei che non lo facessi. Sei un’ottima barista e una bravissima cantante. Mi sei davvero utile e…».

«Resto, ma solo al bancone. Mi hai assunta per questo, anche se un aiuto mi farebbe comodo». Non guardava nessun’altro, solo Sam.

«Ok, come vuoi. E vedremo per l’aiuto, sarà difficile trovare qualcuno».

«Aspetta Sam, Frankie pensaci ancora un po’ sul cantare con noi». Ian non voleva rinunciare alla qualità delle esibizioni che riusciva a fare con lei, e poi le si era affezionato. Erano amici. E in nome di questa amicizia Frankie lo scansò e, andando dietro il banco, prese uno straccio e ci avvolse dentro qualche cubetto di ghiaccio. Glielo porse.

«No, Ian. Non lo farò più». E cominciò a pulire il ripiano dove aveva preparato da bere per tutti per tutta la sera.

Dopo pochi minuti che il gruppetto resistente si era alzato dal tavolo, Jack lo pulì in fretta per potersene finalmente andare e lasciare il più grosso delle pulizie per l’indomani, ore prima dell’apertura. Anche Frankie stava per andarsene e, dopo aver preso la borsa, si incamminò verso l’uscita. Una voce le parlò da dietro le spalle.

«Come stai?». Sam stava per chiudere e, infatti il suo fidanzato la aspettava seduto a uno sgabello del bar.

«Sto bene. Voglio solo andare a riposare i nervi». Era evasiva e questo non era sfuggito a Sam.

«Non devi parlarne con me, ovviamente. Ma farlo con qualcuno ti farebbe bene». Era un po’ preoccupata per la sua barista del week end, smossa da chissà quale spirito di pietà.

«Sapevo già che non era quello giusto, e forse avrei fatto meglio a seguire il mio istinto che mi diceva che c’era qualcosa di sbagliato in noi. Pensi che vada bene come psicoterapia?». Frankie le aveva sorriso leggermente mentre aveva rivolto una sguardo al suo ragazzo appoggiato al banco.

«Si, si va benissimo anche se darti la colpa di qualcosa che non dipende da te non è la mossa giusta. Ora sarà meglio che andiamo tutti a riposare. Prendi un taxi per andare a casa?». Sam le rispose al sorriso molto volentieri.

«L’ho chiamato dieci minuti fa, perciò… a domani sera Sam e, buona notte Pete». Si salutarono e finalmente Frankie poté uscire dal locale e mettersi vicino al ciglio della strada per aspettare il taxi. Un paio di ragazzi di quel gruppo erano lì e continuavano a scherzare e poi incamminarsi per andare a prendere la macchina. Alcuni restarono ad aspettarli. Con la coda dell’occhio si accorse anche che uno ragazzo alto e dall’aria possente era appoggiato al muro, vicino a lei di qualche metro mentre si faceva gli affari propri. Aspettava un taxi anche lui. La guardò per un attimo ma lei non poteva vederlo bene in viso perché era messo in penombra. I suoi occhi le sembrarono scuri, troppo per essere solo la mancanza di luce. Si era concentrata così tanto su quegli occhi per non rendersi conto che Matt le stava andando incontro.

«Posso darti un passaggio?». Le chiese invadendo anche fin troppo il suo spazio vitale. Un’ondata di repulsione la invase all’istante, appena si accorse di chi si trattava.

«No, non puoi». Trattenne a stento le urla mentre gli rispondeva.

«Ci sto malissimo, ti prego, parliamone». La disperazione si intuiva dalla sua voce senza l’ausilio di una luce ad illuminarlo.

«Non m’importa quanto ci stai male e adesso vattene. Sbaglio o avevi detto niente più scenate?». Sembrava così calma esternamente quando in realtà nel suo cervello stava avvenendo la terza guerra mondiale. Picchiarlo a sangue in quel momento sembrava la risposta alla sua emicrania. Lo lasciò andarsene verso la sua auto mentre aspettava con maggior ansia l’arrivo di quel dannatissimo taxi.

«Quand’è successo?». Le chiese una voce piano, che le sembrò familiare. Era il ragazzo appoggiato al muro.

«Ieri sera». Ma a Frankie sembrava che fossero passate settimane invece.

«E come fai ad essere così calma con lui?».

«È solo apparenza. Vorrei picchiarlo con una spranga di ferro ma probabilmente sono troppo inoffensiva per sfociare sul violento». Sarcasmo a fiumi. Il rifugio dei deboli.

«O forse non era così importante da farti soffrire davvero e farti impugnare una spranga». Prima che poté finire la frase un taxi giallo con la scritta NYC TAXI sullo sportello si avvicinò al ciglio della strada.

«Chi di voi deve andare a Brooklyn?». Chiese l’autista abbassando il finestrino dal lato passeggeri. Frankie alzò la mano e si diresse verso lo sportello di dietro.

«Allora direi che sono stata fortunata». Continuò Frankie verso il ragazzo sconosciuto dietro di lei.

«Perché?».

«Sono stata fortunata a non essermi innamorata di lui o non avrei retto così bene». Lo vide sorridere di sbieco con la poca luce che l’interno della macchina poteva offrire e ebbe di nuovo la sensazione di aver già visto quel sorriso. Le piacque. E a quel suono si sentì stranamente meglio, più leggera. E di umore migliore.

«Ehi, amico, se ancora non è arrivato il taxi possiamo trovarti un posto in macchina. Sono sicuro che Sally si accontenterà di sedersi sulle tue ginocchia». Mentre ridacchiava, Steve, si avvicinava al ragazzo appoggiato al muro. Rideva anche lui.

«Lo immagino, ma preferisco aspettare e fare il viaggio comodo, grazie».

«Mmm… certo che quella ragazza deve aver preso una bella botta. Beccarli, proprio nel mentre…». Le urla di Ian erano arrivate fino a loro nonostante la musica da livello spacca timpani.

«È forte abbastanza da fregarsene di quel coglione. E poi non ne era innamorata». Perché c’era una certa soddisfazione nella sua voce? Anche se magistralmente nascosta per la maggior parte delle orecchie.

«Come fai a sapere tutte queste cose di lei? La conosci?». Chiese Steve curioso.

«Me le ha dette lei adesso». Lo sconosciuto sorrise all’amico e si voltò verso la strada perché aveva visto un lampo giallo fermarsi verso la sua direzione.

«Non dirmi che ti piace». L’amico lo guardò di sottecchi mentre gli si faceva più vicino quando era entrato nel taxi.

«Non dire stupidaggini, Steve». Stava quasi per salutarlo quando Steve lo interruppe con un’altra domanda.

«Che farai domani?».

«Penso che farò un giretto a Brooklyn».

  
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