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Autore: _Syn    25/09/2010    1 recensioni
SasuSakuNaru
Si guarda intorno anche se vorrebbe riaprire gli occhi sull’altra parte del mondo. Resta ciò che le mani non stringono quando la pace soffia rapida e silenziosa. Resta la vita, a stento, ma resta. Quella vita che viene guardata come se fosse destinata a morire, come se l’unico scopo fosse quello: morire in guerra, ecco l’obiettivo, lo scopo. Proteggere vite finendo altre vite. Ma se poi ogni vita finisce dove si trova il senso?
Nel rosso.
Trema di terrore e le sue ginocchia toccano terra. Sangue a fiotti esce dalla terra, fiori sciolgono lava sulla pelle e polvere nera si insinua negli occhi. Ma invece di diventare cieca, Sakura vede meglio di prima. Fa male, vedere.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A volte ritornano... si dice così, no?
Ma ritorno per un motivo ben preciso, perché una persona si merita questa storia, perché lei è la mia migliore amica e meriterebbe anche di più, ma ahimè, questo è il risultato. L’ho scritta un mesetto fa, l’ho rivista un po’ stamattina, ma sicuramente mi sarà sfuggito qualche errore di battitura, quelli mi sfuggono sempre .-.
E’ angst puro, forte e folle. Perciò, magari, dosatela XD Altra cosa: NON ci sono Spoilers. La persona a cui è dedicata conosce gli eventi che arrivano fino alla morte di
Orochimaru, perciò ho dovuto limitare parecchio la realtà e far lavorare la fantasia. Insomma, non è che cambi granché, solo scordatevi Danzou, Team Hebi, la morte di Itachi e tutto il resto.
SasuSakuNaru. E considerate che l’avevo concepita come drabble *conta un po’... mh, circa 7000 parole, bello*.
Well, buona lettura.

Alexiel.

P.s.: i vari intermezzi o come volete chiamarli voi che ci sono nel testo non appartengono a nessuna canzone, ma sono frutto della mia mente decadente. Quindi i credits a me.
Chiaramente, tutto il resto, personaggi e ambientazioni, appartiene a Masashi Kishimoto. Nel caso in cui qualche pazzo creda che sia roba mia
.


Dall’altra parte del mondo [Sunday]


A te.


Dondola come una bambola di porcellana sull’altalena che si muove – avanti e indietro, avanti e indietro, come una ninna nanna silenziosa che si ripete all’infinito – e i raggi del sole pomeridiano si intrecciano ai capelli rosa, riscaldandoli. Ma ciò che c’è dentro, raggelato in scie di sangue che servono unicamente a mantenere in lei una vita vuota – morta – è il freddo di una stagione che tocca solo chi non comprende più il tempo.

Dondola come la morte che, silenziosa e improvvisa, si lascia cadere sugli occhi umani, per poi saltare via, per colpire qualcun altro. Come saltare via dall’altalena e poi rialzarsi, risalire e saltare di nuovo. E’ un gioco per bambini, è cecità che colpisce chi può vedere la luce.

Dondola con gli occhi imprigionati dalla luce del sole che cala oltre la linea dell’orizzonte. Lei non la vede, la luce, ma essa può trascinarla insieme a sé laggiù, dove il sole esiste per una sola metà del mondo. Ed è lì che va ogni notte, Sakura, dove l’altra metà del mondo si libera dalle ombre malefiche della notte. E’ quel posto dove si va non per continuare a guardare la luce, ma per essere sicuri che il buio smetta di rendere così sinistro il cigolio dell’altalena, smetta di rendere i passi degli estranei indizi sinistri di paura, smetta di trasformare in un sorriso terrificante le labbra distese dell’infermiera che la porta via quando il sole scompare. Perché andare via da lì? Perché andare da qualche parte? Cos’altro c’è da vedere, dove è mai possibile camminare se il sole non è neanche capace di sciogliere il sangue freddo che stringe a sé il ricordo della morte passata un istante, e poi saltata via? Ha cambiato bersaglio, quella volta, la morte. Gelida come la carezza di un pazzo le ha sfiorato il cuore, e poi ha fiutato l’odore di un battito più invitante, forse, oppure ha capito che il suo cuore avrebbe comunque smesso di vivere se avesse colpito lui.

Ha dondolato sempre più veloce, la morte, e poi è saltata dal seggiolino della vita, sempre in bilico, sempre incerta, e ha colpito gli occhi vermigli di lui. L’ha fatto piano, senza colpi veloci, rapidi. L’ha fatto aspettando che il seggiolino da cui era saltata smettesse di dondolare, rendendo ogni istante un’agonia sempre più buia.

E ogni scintilla di luce rubata agli occhi di lui era un battito di strappato al cuore di lei. Ogni respiro più debole era una lacrima rubata agli occhi di Sakura.

Ogni passo verso il buio era l’amore per la luce che passava, era l’apatia dei sentimenti e la morte della vita che, testarda, restava attaccata alle membra per non saltare dal seggiolino. Fa paura il cigolio, perché potrebbe durare per sempre se non si smette di ascoltare.

E poi la luce aveva brillato più forte che mai, per un secondo, finché il buio non era arrivato come un incendio oscuro, che aveva divorato persino la polvere. Il respiro della metà del mondo in cui Sakura viveva si era trasformato nel soffio freddo della morte, pronta a sussurrarle ninna nanne macabre in cui il nome di lui risuonava sempre, ricordandole quanto fosse lontano.

Sasuke...

Sasuke...

Non c’è...

E’ là, dove tu non ci sei...


Ti racconto una storiella

e tu ascolta attentamente

parla di fate, altalene e lucciole;

lassù nel cielo

la luna ascolta preghiere

lassù nel cielo

il sole le brucia come ali di fata.

Nell’aria pulita

tu canti l’amore

e l’aria sporca

lo trasforma in dolore.

Quaggiù sulla terra,

i sogni si accendono,

quaggiù sulla terra

i morti ti tormentano.

Ti racconto una storiella

che ha gli occhi rossi come l’amore

ma tu ascolta attentamente

oh, mia bambola senza cuore.

Dall’altra parte del mondo

la luce si accende quando il buio tu vedi

Dall’altra parte del mondo

i nomi hanno suoni diversi

e il suo nessuno lo ricorda.

Dall’altra parte del mondo

tu non esisti.

Ti racconto una storiella

che né qui né lì mai esisterà,

ma tu ascolta attentamente

perché il cuore tu non hai

e solo ciò che non esiste

comprendere potrai.

Ti racconto una storiella

ma tu la luce smetti di guardar

e scappa dal buio.

Insegui lucciole morte,

oh mia bambola rosa.

Dondola sull’altalena,

mio fiore di morte,

spandi il tuo profumo

laddove il suo nome risuona.

Ti racconto una storiella,

mia bambola rosa,

ma tu muori per me, dischiusa tra i petali del mondo.

Ti racconto una storiella,

dolce lucciola senz’ali e senza luce,

ma tu rinuncia al mondo.

Ti racconto la tua storia,

mio fiore di morte,

ma tu continua a dondolare.

Ti racconto una storia,

Sakura,

ma tu lasciati cadere.


E’ strano attraversare i corridoi dell’ospedale mentre i piedi toccano il niente, oppure non è strano per niente, perché in fondo lei non prova niente. Non sente la mano dell’infermiera intrecciata alla propria, perché l’infermiera dall’altra parte del mondo non esiste, così come non esiste lei. Il buio che incenerisce le ciglia, annegate nella pelle delle guance, diventa un incantesimo di nulla, l’oblio dell’anima che diventa tutt’uno con l’universo e si annulla quando le stelle esplodono nel caos che l’umanità non coglie.

E’ impossibile persino sentire il respiro pesante di Naruto che, riverso sulla poltrona posta accanto al suo letto, l’aspetta. Non può vedere che Naruto è addormentato, né che tra le mani ha qualcosa – forse un kunai, forse una ciotola di ramen, forse la sua mano – ma come potrebbe? Neanche Naruto esiste dall’altra parte del mondo.


L’altra parte del mondo è un posto diverso. Non c’è il rumore della gente il lunedì mattina, né il profumo dei fiori il martedì. Ed è ancora più strano, ma il mercoledì non sente neanche l’odore del ramen – Naruto mangia sempre più ramen il mercoledì, questo lo ricorda, ma neanche lei sa come possa ricordarlo. Il giovedì non può toccare il pelo morbido di Akamaru né sentire la voce festosa di Kiba, e il venerdì non riesce ad ascoltare le parole dolci di Hinata e la voce tesa di Kurenai-sensei. Il sabato è ancora più strano, perché è come un passo verso l’ignoto. Nessuno sa se la domenica arriverà il giorno dopo, perciò nessuno fa nulla. Sakura avverte il sapore del niente più che mai in quei momenti, ma non vi fa caso, perché lei è dall’altra parte del mondo. Della parte giusta – o sbagliata? - del mondo non deve importarle. Lì Sasuke c’è stato ma ora non c’era più. Dall’altra parte del mondo lui non è mai esistito e forse, se lo fosse stato e fosse morto lì, per lei sarebbe stato più facile cadere dall’altalena e inseguire lucciole senza luce e senza ali.

Se la domenica arriva, poi, tutti restano in silenzio. Sakura non sa come possa sentire il loro silenzio, forse lo sente perché dall’altra parte del mondo tutti urlano come matti e lei si tappa le orecchie. La sua mente vola al mondo originale, quello dove non c’è luce artificiale, quello dove le nuvole vagano davvero trasportate dal vento e i fiori ondeggiano per terra e non bruciano nel sole. Il loro silenzio le fa paura, come i loro volti smunti, pallidi oppure scuri. E l’assenza di voce le fa pensare che potrebbero non parlare mai più. Loro le parlano sempre, dal lunedì al sabato, ma la domenica smettono, e chissà per quale motivo poi. Anche se lei non li ascolta mai, Sakura sa che parlano. Magari le fa piacere che parlino, ma a questo enigma non riesce a rispondere. Una volta si è detta che dall’altra parte del mondo non esistono domande, perciò lei ha dimenticato come rispondere. Sì, deve essere così, perché prima lei rispondeva a ogni domanda. In un flash fugace, riesce a sentirla quell’emozione. Ma è vuota, non può assaporarla né sentirne la consistenza intorno alle dita. E’ un guscio vuoto schiacciato, da cui la vita è già nata. L’ha ospitata per un po’, ma ora era solo il ricordo pallido di qualcosa che esisteva come vitale da un’altra parte. Lontano.



Ogni tanto Sakura sogna. Non lo fa apposta, è solo che qualche volta perde il controllo della mente e i pensieri di riuniscono come falene intorno alla luce e si offrono come martiri, morendo, bruciando, e allora lei sogna. Sogna cose rosse, sempre, e le lucciole brillano sempre come stelle. Le altalene sono ferme, invece, e quel silenzio in cui non si ode neanche il cigolio le fa paura. Poi si guarda intorno e cerca il sorriso sinistro dell’infermiera, tende la mano perché ella la prenda, ma c’è solo il vuoto intorno a lei. Neanche il respiro pesante di Naruto o la voce di Kiba. Prova a lanciare un rametto – dove l’avrà preso? - e aspetta che Akamaru glielo riporti. Nulla. Silenzio di tenebra tutto intorno, attesa logorante di una tragedia già avvenuta ma dimenticata. E’ il ricordo che vuole ottenere la sua attenzione, che vuole riemergere, perché se lei non soffre lui non ha motivo di esistere. Anche i ricordi reclamano la loro esistenza nei sogni.

Allora ricorda, Sakura:


cielo tinto di rosso, nuvole chiazzate di porpora, terra sporca di sangue, mani sporche della vita di qualcuno.

Respiri lenti, lievi, deboli, poi urla che spaccano il cielo e fanno tremare la terra. Esplode ogni cosa e la distruzione raggiunge le vette della follia. Non c’è più motivo di distruggere, eppure ciò che resta continua a crollare. Cosa resta?

Si guarda intorno anche se vorrebbe riaprire gli occhi sull’altra parte del mondo. Resta ciò che le mani non stringono quando la pace soffia rapida e silenziosa. Resta la vita, a stento, ma resta. Quella vita che viene guardata come se fosse destinata a morire, come se l’unico scopo fosse quello: morire in guerra, ecco l’obiettivo, lo scopo. Proteggere vite finendo altre vite. Ma se poi ogni vita finisce dove si trova il senso?

Nel rosso.

Trema di terrore e le sue ginocchia toccano terra. Sangue a fiotti esce dalla terra, fiori sciolgono lava sulla pelle e polvere nera si insinua negli occhi. Ma invece di diventare cieca, Sakura vede meglio di prima. Fa male, vedere.

Naruto affronta qualcuno, combatte, e il sangue domina ancora. Già sa che sopravvivrà perché l’ha già visto accadere.

Ino colpisce un nemico – un volto senza nome, e senza un nome come puoi avere il diritto di prendere una vita? - e poi viene colpita a sua volta. Ma Sakura lo conosce il nome di Ino, perciò nelle lacrime pensa di nuovo: che diritto ha l’uomo, con nome o senza, di strappare la vita della mia migliore amica? Di strappare LA vita.

Piange lacrime già versate, ma le guance sono davvero bagnate e forse anche l’altra parte del mondo sta piangendo.

Torna a guardare Naruto. Piange anche lui, anche se non versa lacrime. Ha appena ucciso qualcuno e probabilmente si odierà. Vorrebbe dirgli di non odiarsi, perché non servirà a niente. Vorrebbe dirgli di amarsi, perché l’odio non genera niente se non altro odio. L’amore potrebbe portare il perdono, la redenzione, ma questo Sakura non può dirglielo. Resta lì, ginocchia sul sangue, a guardare.

Tutto è rosso, il rosso è tutto.

Non guarda più Ino, riversa sul terreno come un fiore senza petali, e spera che le lacrime la rendano cieca, perché dentro di lei sente che il momento che più teme sta per arrivare. E’ per quello, no, che si è rifugiata dall’altra parte del mondo?


Ti racconto una storiella

ma tu dormi, piccola stella,

perché il cielo non ti accoglierà stanotte.


Le urla sono di meno, ma più forti. Bruciano la gola, sferzano la pelle più del vento e la pioggia arriva come un requiem.

Il respiro si abbatte sui polmoni come una marcia. Bum bum bum, i passi del respiro conducono l’esercito del coraggio di Sakura verso la rovina. Bum, bum, bum, i passi del respiro le portano la vita che avrebbe potuto perdere.

Retrocedono un attimo, mentre Sakura raggela e lo vede. Lui è lì, pochi passi li separano, e la marcia riparte.

Ed ora eccolo, il cigolio dell’altalena. Il vero requiem, quello che l’accompagnerà per sempre.

Chiude gli occhi, ma non serve. Vede ancora.

Afferra un kunai e si trapassa il petto, ma non sanguina. Lei un cuore non ce l’ha più.

Cerca di raggiungere la sua mano, gli dice di andare via, ma lui non la sente. Lui non esiste più. Le sue preghiere le ha bruciate il sole sanguinante.

Respira per rendere roventi i polmoni e svenire, respira polvere, respira morte, si uccide tante di quelle volte che si domanda come sarà la morte vera quando giungerà. Poi stringe il corpo di Ino tra le braccia, è fredda e i suoi occhi azzurri non riflettono niente. E’ sporca di polvere e sangue, non ci sono lacrime intrappolate negli occhi. Chissà se si è accorta di morire.

Il requiem raggiunge la massima intensità quando un fulmine esplode nel cielo. Vorrebbe che la colpisse, ma ancora una volta non c’è pietà per lei. Un attimo ancora.

Dondola su se stessa, il corpo freddo di Ino tra le braccia, e aspetta. Ora, non può fare altro. Aspettare la fine.

Sente un dolore lancinante alla nuca, e ogni volta, a questo punto dell’incubo, si dice che è finita, che sta morendo, ma quello è solo un nuovo, orribile inizio.

Lentamente il dolore svanisce e lei si ritrova schiacciata contro il petto di...

Sasuke...” deve essere stata l’ultima parola che ha pronunciato. Per questo risuona nella sua ninna nanna, un nome mai pronunciato ma sempre presente.

Lui non dovrebbe stringerla, pensa poi. E’ contro Sasuke che stanno combattendo, è contro Sasuke che il cielo si abbatte.

Nessuno le ha mai detto perché lui l’abbia salvata quel giorno, perché lui continui a salvarla anche nell’incubo. E’ una di quelle domande che nascono senza punto interrogativo, perché nessuno risponderà mai.

Quando sente il suo cuore battere contro l’orecchio, Sakura sa che si sveglierà presto. Perché in quei momenti non sogna ricordi, favole e ninne nanne. Quello era davvero il cuore di Sasuke, ed erano anni che lei non lo sentiva. Batteva mentre lui la salvava, batteva per l’ultima volta su di lei, come un addio.

Batteva come la morte che salta dall’altalena cigolante e la scaglia via, per impossessarsi di un nuovo bambino da far volare in alto.

Va via, bambola rosa, tu hai giocato troppo sull’altalena. Tocca a lui, adesso. Morire.

Tocca a lui, ma tu torna da me domani, giocheremo insieme.

Tocca a lui volare, ma tu trattieni nel sangue il battito del suo cuore, ibernalo come la speranza di una vita che non tornerà mai, e vieni a giocare con me. Tu sarai la sua tomba, mia piccola bambola rosa, e inseguirai lucciole senz’ali e senza luce.


Apre gli occhi, Sakura, ed è l’alba. L’altra parte del mondo ora giace nel buio, ma lei non ne ha visto neanche uno spicchio, perché ha sognato.

Sakura odia sognare, perché sente nelle orecchie il sangue che pompa, un sangue che non le appartiene.

Lo vede, lo assaggia, lo vomita per liberarsene e cerca acqua per farlo scivolare dalle mani. Aspetta la notte, che il sole vada dall’altra parte del mondo per cercare acqua. Ci va, ma quando apre i rubinetti è il rosso che scorre, quando cerca il mare non è il sale che rende salata l’acqua, ma il sangue. Se cerca una cascata ci sono solo corpi morti che cadono sulle colpe dei vivi, un’acqua verdastra, che brilla oscura.

E il sangue resta sulle mani, si incrosta e poi viene assorbito dalla pelle. Sotto pelle, resta lì, dove sentirlo pulsare è peggio che vederlo e sapere di non poterlo lavare via.

Intanto l’altra parte del mondo continua a esistere, anche se l’acqua è rossa. Perciò Sakura chiude i rubinetti e va via dalle cascate. Cerca solo un angolo buio – senza guardarlo – e rimane lì. La luce è lontana, però esiste. La luce occhieggia curiosa in quell’angolo, ma va subito via, perché non c’è niente da vedere, da illuminare. Non c’è un cuore da rallegrare, solo cenere che il vento spazzerà via.


Sasuke... Tu non esisti più. Allora perché il rosso continua a esistere anche dall’altra parte del mondo?



Riapre gli occhi, Sakura, ed è lunedì. Tornano le voci che non ascolterà, tornano i profumi che non la invaderanno, tornano i colori che non vedrà. Torna il mondo.

Ogni tanto ha lievi attimi di lucidità, quando vuole liberarsi del dolore perché diventa insostenibile, e le sembra di sentire la voce di Naruto, le sue mani che le accarezzano i capelli. La sua voce è sempre gentile, ma la sua tristezza fa tramare persino le lenzuola... Oppure è lei che trema? E’ lei che scuote l’aria, il letto su cui è distesa, le mani di Naruto che cercano di fermarla... E’ tutto così confuso, a volte, che non sa se sia la terra a tremare oppure lei. Magari è solo Naruto che cerca di tenere fermo il mondo per restare un attimo da solo con lei, dove tutto è immobile e gli occhi non hanno bisogno di vedere.

Forse Naruto sente la sua mancanza, ma quando riesce a vedere la luce e gli occhi le sanguinano, un vortice di nostalgia mista a oblio le dice che lui sente la mancanza di Sasuke. E la sua. E sente anche la mancanza del vecchio Naruto. Sente mancanza di loro.

Potrebbe respirare come una volta quando quella consapevolezza la colpisce, ma la ninna nanna tornare a cantare – la voce di Sasuke torna a intristire i vetri e a invocarla piano – e la terra smette di tremare. Anche le mani di Naruto sono ferme, ma continuano a tenerle le braccia. Sono calde e le bruciano, tanto che piange. Poi Naruto non prende i fazzoletti che sono sul comodino, ma si china su di lei e le asciuga le lacrime con le labbra, mentre nessuno guarda. E’ come se volesse entrare dentro il suo mondo e annullarsi insieme a lei, e Sakura crede che per un attimo lui entri davvero. Perché di notte, poi, le lacrime che giacciono asciutte sulle sue labbra gli aprono le porte dell’altra parte del mondo, e sembra che la luce torni a splendere senza che lei debba sentirsi in colpa per questo. Sembra che i sorrisi siano reali e sinceri, e non maschere di compassione e menzogne.

Dovrebbe piangere di più, si dice, ma poi pensa che questo farà male a Naruto. Lo pensa solo un attimo, poi perde la strada dei sentimenti e slega ogni cosa, riduce a mucchietti di ossa incenerite ogni pensiero, ogni istante lucido.

Si ritrova di nuovo nel sogno, Ino tra le braccia, Naruto che combatte, Sasuke che arriva e la porta via. Sasuke che muore, lei che pronuncia il suo nome.


Ti racconto una storiella

bimba bella,

ma tu chiudi gli occhi.


Sakura...”

E’ un cerchio che gira, che non conosce inizio né fine.

Ti ricordi quando... quando abbiamo preso le campanelle a Kakashi-sensei?”

Un leggero scampanellio raggiunge la sua mente, e il profumo di un pranzo gustato con felicità le fa brontolare lo stomaco. Forse è viva, altrimenti perché avrebbe fame? Sente le campanelle suonare piano e due... tre volti che la guardano.

Occhi azzurri per farla infuriare e poi sorridere, addolcire, rendere la Sakura che era.

Occhi pazienti e comprensivi, fiduciosi, pronti a sostenerla e a trovare le parole giuste.

Occhi scuri – no, rossi – lontani. Occhi che la guardano e poi spariscono, occhi che cercano qualcosa che non è lei, ma che alla fine tornano sempre sul suo sguardo verde. Una pugnalata al cuore, il pugnale che si conficca nel cuore di qualcun altro, e poi ancora nel suo. Sangue che scorre e mani che lo raccolgono, senza smettere di guardare quegli occhi.

Le campanelle non suonano più e il mondo trema di nuovo.

SAKURA!”

Disperazione porta il suo nome.

Dolore si erge come un re nel suono di quella voce.

Agonia le accarezza le guance e canta la ninna nanna.


Ti racconto una storiella,

piccolo fiore di morte,

ma non ti svelerò la fine.


Il cuore che non esiste esplode insieme alle lacrime mentre una calma che sa di bugia le attraversa le vene. Qualcosa le ha punto la pelle, qualcosa continua a tenerla ferma, ma non sono le mani di Naruto. E il mondo trema peggio che mai, come se dovesse accartocciarsi e smettere d’esistere insieme a lei.

SAKURA! SAKURA!”

Chiude gli occhi e non sente quelle voci. Torna nell’incubo, oppure dall’altra parte del mondo. Sakura smette di guardare. Ovunque andrà, non conoscerà mai la fine, e allora perché continua a camminare verso una meta conosciuta?


Ti racconto una storiella,

lucciola senz’ali,

ma spegni la luce,

perché non dovrai vedere la fine.


Dopo un terremoto, c’è quel momento incastrato tra il terrore e la speranza in cui si pensa che non ci si rialzerà mai più. E’ come se la terra, nella stasi del terrore, continui a tremare.

Sakura nell’immobilità del martedì mattina sente scosse violente provenire da ogni dove. Dentro di lei si muove qualcosa, come un enorme serpente che le mozza il respiro, e poi si placa, e poi esplode in un terremoto di paura. Là fuori non sa cosa succede, quel giorno proprio non riesce ad aprire gli occhi. O forse sono aperti, ma lei vede tutto buio. No... è grigio, sì, un grigio scuro che non sa né di nebbia né di fumo. E’ come il cemento che ferma i pensieri e impedisce a ogni cosa di passare. E’ imprigionata dentro se stessa, dentro la follia, dentro il dolore. Ogni porta della sua anima è chiusa, intrappolata dalla frana causata dai ricordi violenti.

Vorrebbe tremare ancora, perché così non sa se potrà tornare dall’altra parte del mondo, ma neanche il terrore riesce a passare. La prigionia interiore corrode ogni angolo di lei, e lo sforzo immane che fa nel tentativo di scappare la riporta indietro. Ancora.

Tum, tum, tum...

Odio... amore... morte... fiori appassiti, kunai, cuori, sangue, colpe, nomi non pronunciati, passi veloci, braccia, occhi, respiri, salti, rischio, fuga, paura... Tutto in un secondo. Tutto intrappolato in un corpo che non può sopportare neanche il ricordo di un respiro, tutto in un corpo che ha cacciato fuori ogni cosa attraverso la pazzia. Tutto è tornato dentro di lei, in una prigione in cui non c’è bisogno di esistere oppure no. Nessuno dirà niente, nessuno saprà niente.


Piange in silenzio senza saperlo, gli occhi sigillati e le labbra immobili. Naruto la guarda e vorrebbe svegliarla, vedere che apre gli occhi e guardarla tornare. I suoi occhi verdi brillano contro i suoi, così dovrebbe essere. Le labbra si muovono svelte mentre parla, lo rimprovera, urla che non dovrebbe mangiare così tanto ramen.

Piange in silenzio, Sakura, e intanto mercoledì passa.


Giovedì non lo sente neanche arrivare, venerdì finisce prima che possa ricordare che esista un giorno della settimana chiamato così, e sabato vorrebbe poter aprire gli occhi e riversare sul mondo tutto quello che vede dentro.

Trema solo un po’, quando le fitte di dolore diventano lancinanti, e Naruto scatta in piedi ogni volta, pronto a fermarla, pronto ad accogliere in lui quella sofferenza – o a illudersi di farlo, perché Sakura non migliora. Cosa sta facendo, lui, per salvarla? Cosa sta facendo, lui, per riportarla alla luce, per riportarla...

Respira forte, più forte del solito, come se volesse tenere in vita qualcun altro oltre a lei.

Naruto si stringe la testa fra le mani, rifiutandosi di guardare, perché arrivati a quel punto nessuno può sopportare quello che succede. Nessuno. Nessuno tranne lui.

Lui che arriva di domenica. Lui che ascolta in silenzio e le muore accanto, sapendo di non poterla salvare. Una persona la salvi una volta, poi puoi solo tenerla stretta.



Lui arriva sempre di domenica, quando Tsunade-hime stessa lo porta all’ospedale. C’è chi lo guarda con disprezzo, e poi c’è chi non lo guarda affatto. Alcuni voltano la testa, altri continuano a fare quello che stanno facendo senza neanche notare la sua presenza, come se guardassero attraverso l’aria. E’ un fantasma di morte, è la minaccia che ha distrutto Konoha. E’ un uomo. Già...

Lui arriva sempre quando Naruto lascia andare la mano di Sakura, che giace sul copriletto inerme, come la mano di un corpo senza vita. Non dice mai nulla, neanche ciao, perché se lei lo sentisse, forse, potrebbe finire il mondo.

Si siede di fronte a Naruto, dall’altra parte del letto, e la guarda. Per ore e ore, finché il sole non tramonta, Sasuke Uchiha rimane lì a guardarla.


Sakura non ricorda di aver urlato qualcosa alla fine, tra le braccia di Sasuke. Non ricorda niente.

Sasuke-kun! Svegliati! Svegliati! No... non anche tu! Non lasciarmi anche tu!”

Urlava contro la morte, urlava contro se stessa.

Gli occhi sbarrati, di un verde irriconoscibile, opaco, coperto da un velo grigio, guardano il mondo crollare e, tra le macerie che fendono l’aria, non vede il viso di lui. Gli occhi rossi, sbarrati come i suoi, continuano a guardarla. Sasuke Uchiha è convinto di aver conosciuto la paura – quella notte... - ma in quel momento preciso, quando Sakura aggrappata alle sue spalle invoca la sua vita, richiamandola indietro, Sasuke viene investito da una paura che non sa né di reale né di finzione. E’ solo che non ha senso, è solo che due occhi così e una voce che ti uccide non puoi spiegarli.

SASUKE-KUN! NO! Perché...” piange e comincia a perdere se stessa tra la colpa e l’irreale, tra i mondi che non esistono, dove LEI non esiste. “non dovevi salvare me... io... no... Sas... Sasu... Sasuke... kun...” sempre sbarrati, quegli occhi incontrano solo morte ovunque guardino.

Non c’è più speranza lì, né per se stessa, né per gli altri. C’è solo la colpa del mondo.


E’ stato Sasuke a portarla in braccio fino a Konoha, all’ospedale, dove la distruzione non aveva colpito ogni angolo. Sakura ha continuato a urlare tutto il tempo, senza guardare, ma lui non ha mutato il suo sguardo. Fisso davanti a sé. Non era necessario guardarla direttamente, Sasuke sapeva che quell’immagine non l’avrebbe mai lasciato. Se fosse il suo peccato o la colpa da scontare, questo, se lo chiede ancora adesso. Forse entrambi.

Sakura è un peccato che in mille anni non potrebbe mai lasciare andare, nemmeno se la redenzione venisse davanti a lui dicendogli che non ha bisogno di pentirsi, che otterrà il paradiso senza fare nulla. No... Sasuke non potrebbe abbandonarla neanche così.

Sakura, ora, è anche la colpa. Sua. E’ ciò che ha creato, ciò che dovrà osservare per sempre, fin quando potrà vedere, fin quando non impazzirà anche lui.

E’ lo specchio attraverso cui osserverà Naruto, le sue mani strette a pugno e la sua voglia di ucciderlo e di piangere su di lui al tempo stesso. E’ lo specchio della follia di tutti quanti.


Perché pensa che sia morto?”

E’ impazzita...”

Forse è stato lui...”

Ma lui è vivo, perché crede che sia morto?”

Sono domande tutte uguali, ma da quel giorno se le pongono tutti. Se Sasuke Uchiha è vivo, perché Sakura Haruno è impazzita credendo che sia morto?

Nessuno risponde, e il silenzio si accumula.


***


Solo per due ore al giorno Naruto lascia l’ospedale per andare da un’altra parte. C’è Rock Lee con lei quando lui va via, oppure Kakashi-sensei. L’importante, dice Naruto, è che Sakura non sia mai sola, che ci sia qualcuno accanto a lei che le ricordi il suono che fa un respiro.

In quelle due ore lui va a trovare Sasuke e smette di respirare. Non respira mai davanti a lui, non come fa davanti a Sakura, perché Sasuke il respiro glielo strappa via come se dovesse ucciderlo. Ha quel potere, sa che lui non vorrebbe averlo, ma è una parte di lui che non può negare né ripudiare. E’ come il sangue. Incancellabile.

Quando Naruto entra in quella prigione protetta da ANBU ventiquatt’ore al giorno trova Sasuke bendato, le ginocchia sul pavimento di pietra e le mani bloccate da pesanti catene e poggiate sulle cosce coperte da un paio di pantaloni laceri, che una volta erano bianchi, ma che ora hanno preso il colore della sporcizia. Non si muove, ma quando arriva Naruto sente che anche lui smette di respirare. Una statua di pietra non potrebbe essere più immobile di lui; se anche la terra si aprisse, lui resterebbe lì, sospeso, ancorato al luogo in cui risiedono anche le sue colpe. Sembra quasi che abbia finito di vivere, che si neghi quel diritto.

Nel silenzio totale, rotto ogni tanto solo dalle guardie che si danno il cambio o che ricevono ordini impartiti da Tsunade, Naruto gli si avvicini e si inginocchia davanti a lui. Resta così per qualche minuto, cercando di capire se sia vero oppure no. Per anni ha inseguito Sasuke, desiderando di riportarlo a casa, ma lo scenario che si era figurato è ben diverso. Perché lui lo sogna ancora quello scenario, e non somiglia a un incubo.

Non c’è Sakura in un letto d’ospedale, tormentata dalla follia. Non c’è lui seduto accanto a lei, nel dolore che neanche si spiega a parole, né c’è Sasuke in una prigione, a marcire, a morire lentamente ma senza raggiungere il momento cruciale, quello in cui gli occhi si chiudono. Sasuke non chiuderà gli occhi finché non l’avrà fatto Sakura, questo Naruto lo sa, anche se Sasuke non gli ha mai parlato di cosa abbia intenzione di fare. Non che abbia scelta, la sua vita, ora, è questa e così sarà. Non sa perché l’ha fatto, forse proprio perché Sasuke gliel’ha sussurrato all’orecchio senza aprire bocca, ma è riuscito a convincere Tsunade-hime e i consiglieri a lasciarlo in vita.

Sarò io responsabile, la colpa ricadrà su di me se dovesse succedere qualcosa.”

Ma Naruto sa che non succederà niente, che nel momento in cui la guerra è finita loro sono morti e che un’ulteriore condanna non sarebbe servita. Forse avrebbe solo fatto contenta tutta Konoha, ma dopotutto tutti hanno altro a cui pensare. Sasuke è sempre il punto centrale del loro odio, della rabbia, ma la concentrazione è focalizzata sulla ricostruzione del villaggio. Non c’è il tempo di penetrare in una prigione circondata giorno e notte da ANBU per lanciare pietre a un traditore.

Perciò li ha convinti tutti, anche se il lavoro più grande è stato svolto da Tsunade e Kakashi. Nessuno è davvero convinto di quella scelta, ma così è.

Sasuke...” dice poi Naruto, sollevando una mano e toccando la benda che gli copre gli occhi. Non dovrebbe farlo, non sa che cosa potrebbe fare usando lo Sharingan. Magari qualcosa è già successo, ma se Naruto fosse finito in un altro mondo a causa dei poteri di Sasuke sicuramente non sarebbe quel mondo. Perché Sasuke lo odia quanto lui. Allora lascia che la benda scivoli via dal suo viso, carezzando gli occhi, la pelle. Le mani di Naruto non sono delicate né violente, sono solo le sue mani. Tieni gli occhi chiusi, Sasuke, e sa che l’altro lo guarda in attesa che lo sguardo venga ricambiato. E’ come un rito: aspettano entrambi che il momento arrivi, che le urla di Sakura raggiungano il cielo e siano trasportate come pioggia su di loro, attendono che quella follia li costringa a guardarsi negli occhi.

Naruto ha lo sguardo esausto, Sasuke ha lo sguardo di chi si è arreso all’improvviso, non per paura, ma per qualcosa di più grande del terrore stesso. Un attimo che cambia l’universo è più grande della paura.

Si osservano e nessuno si preoccupa di contare i secondi che li dividono dalla fine. Sasuke vede che Naruto ha pianto, gli sembra di percepire l’odore di Kakashi-sensei, come se per tutto il tempo, quel giorno, lui fosse stato insieme a Naruto. Già... quando non è impegnato anche lui va a trovare Sakura, ci vanno tutti. All’inizio Naruto glielo raccontava sempre, ora per lo più rimane in silenzio a guardarlo.

Ma il silenzio di quel giorno sembra diverso, sembra crollare e farlo a pezzi. Per questo, senza che Sasuke resti sorpreso – probabilmente lo sapeva già – Naruto poggia la fronte sulla sua spalla. E piange. Non gli importa che le guardie là fuori possano sentirlo, ormai è come se fossero entrambi nel mondo di Sakura.

Chiama il tuo nome, Sasuke...” singhiozza. Con le mani si aggrappa alla sua schiena e gli fa male. Non è ancora del tutto guarito e certe ferite dolgono, ma mai quanto tutto il resto.

Ti chiede di non morire.” continua. Non vuole fargli male, ma è l’unico con cui parli davvero. Ora che può stringerlo davvero, che non è più un fantasma che fugge, a Naruto sembra che ogni cosa sia ingiusta. Tutto è andato storto, le promesse sono state infrante e tutti e tre sono morti prima ancora di poter sorridere e dire: ci siamo ritrovati.

Ma non lo sa... non lo sa che sei vivo.”

Non lo sa. Non l’ha mai visto morire, eppure lei SA che lui ha smesso di respirare, che non è altro che un’ombra appiccicata alla sporcizia di un muro. Forse, dopotutto, Sakura ha ragione. Lui è morto.

Se lo sapesse... forse lei...”

Continua a parlare, ma si inganna con le sue stesse parole. Sakura sa solo che è morto. Non accetterà altre verità neanche se le vedesse. Lei continua a dormire quando Sasuke va da lei di domenica. Dorme tutto il giorno mentre il silenzio li circonda ed è quasi serena. Se lo chiedono perché faccia così, ma nessuno ha la risposta che serve.

E’ solo la pazzia, dicono alcuni.

Forse sente il suo spirito, crede che siano all’inferno o in paradiso o in qualunque altro luogo. Sakura sente ciò che vuole sentire, la sua follia fa il resto. E’ come iniziare a suonare il pianoforte e poi allontanare le dita dai tasti e, orripilati, vedere che la melodia non si ferma.

Se tu...”

E’ finita quel giorno, Naruto.” replica Sasuke prima che lui possa dire qualcosa. Lo dice sempre, ma oggi è debole quanto lui. Sono deboli come neve che muore a primavera, ma non portano con sé l’odore della rinascita, solo delle ceneri.

Non avrei dovuto permettere che combattesse.” sussurra Naruto. Sasuke scuote piano il capo. Ancora si dà la colpa. Ancora non vede che la colpa di ogni cosa è sua, di Sasuke Uchiha. E’ lui che l’ha abbandonata anni prima, con un grazie che non è servito a niente: solo ad alimentare la follia che ora è esplosa. Se fosse solo sparito, forse... No.

Sakura l’avrebbe aspettato, l’avrebbe anche ucciso per riportarlo indietro. Sarebbe morta lei stessa per farlo tornare.

Solo, lui l’ha capito solo alla fine, quando ha guardato i suoi occhi spenti e ha visto che di Sakura non c’era più traccia, che la sua anima l’aveva divorata il suo amore per lui. Ogni passo che l’aveva allontanato da lei, ora, rappresentava la sua prigione di pazzia. Il suo mondo.

Se fosse...”

Smettila.”

Lei doveva rimanere...”

Sasuke doveva rimanere. Non lei. E ripeterlo non sarebbe servito.

Lei... lei... io credevo fosse forte...”

Lei era forte.”

Non si accorgono, o forse lo sanno fin troppo bene, che stanno usando il tempo al passato. Non come se lei fosse morta, ma come se fosse qualcosa di totalmente diverso. Un’altra persona.

Non era forte per combattere!” urla Naruto, ma non smette di stringerlo. Vorrebbe solo che Sasuke gli desse ragione, che gli dica: sì, Naruto, è tutta colpa tua. Se Sakura è in quelle condizioni la colpa è solo tua. Se tu mi avessi riportato indietro in tempo non sarebbe successo.

Non la sente la dissonanza, non lo sente l’errore, non lo sente l’amore che ci ha messo e che Sasuke ha calpestato ogni volta.

Lei era abbastanza forte da uccidermi, forse.” nella sua mente, lei l’ha ucciso. Anche se non con le sue mani, Sakura ha distrutto Sasuke nel momento in cui lei è stata annichilita da se stessa. E da lui. Non saprà mai Sasuke se Sakura avrebbe potuto ucciderlo, se sarebbe mai stato necessario, ma è sicuro che lei era forte. Aveva una forza diversa dalla sua, quella che lui non aveva mai avuto.

Sarebbe toccato a me ucciderti.” sussurra Naruto, allontanandosi e guardandolo negli occhi. “A me.” ribadisce. La determinazione è macchiata dalle lacrime, dalla debolezza dei giorni passati a guardare Sakura senza chiudere occhio. Da quando non dorme? E da quanto tempo non mangia in maniera decente senza che qualcuno lo obblighi? Lo chiede per sé e per Sasuke, perché lui non è tipo da fare certe domande.

Perché non l’hai fatto?” chiede Sasuke. L’avesse fatto, ora sarebbe tutto più facile. Magari, se fosse morto davvero Sakura non... Forse.

Perché tu non hai provato a uccidere me.” risponde Naruto. Non ci ha mai provato, non l’ha mai voluto, neanche per un secondo. Non era lui il suo bersaglio.

Non replica, non c’è niente da dire. Negare sarebbe come dire che ha ucciso tutte quelle altre persone solo per divertimento. Se fosse stato lui l’obiettivo l’avrebbe fatto fuori subito.

Non gli hai mai chiesto, Naruto, il motivo, né gli ha mai chiesto il perché dell’azione che ha fatto finire tutto. Ma Sasuke aspetta quella domanda, perché sa che arriverà, anche se senza parole. La leggerà negli occhi azzurri di Naruto e lascerà che lo torturi piano, ferendolo come neanche le torture degli ANBU possono.

La sentirà nel suo respiro che gli farà socchiudere le labbra quando Naruto riprenderà a respirare. La sentirà quando respirerà anche lui per far entrare in circolo Naruto e, assieme a lui, lascerà entrare Sakura. La sentirà quando loro tre condivideranno l’anima e il respiro, quando l’universo cambierà la sua struttura per permettere a tre persone di vivere come fossero una sola. Per soffrire insieme, per morire insieme ancora una volta.

E’ vicina, lo sente. Le mani di Naruto mollano la presa e finiscono sul suo viso, calde come la sofferenza che brucia dentro. Toccano le guance infossate, mentre gli occhi si piantano nei propri come non hanno mai fatto. Non è l’intensità che cambia, è solo il momento che è diverso. Sasuke non conta i secondi quando sono insieme, ma sa esattamente cosa succede in quel preciso momento. Naruto si alza in piedi e lo guarda per l’ora successiva, chiedendosi se sarà capace di andare via. Poi va, torna da lei, e aspetta il giorno dopo, e quello dopo ancora, finché non arriva la domenica e loro tre si ritrovano insieme, nel silenzio disumano, in camera di Sakura.

Quel giorno, invece, Naruto lo guarda e gli stringe il viso. Lo sente che il momento è vicino, che dovrà rispondere ma, quando ne è sicuro, tutto cambia.

Naruto non gli chiede: perché hai salvato Sakura? No. Fa combaciare le loro fronti e poi respira, ma la domanda non c’è. Gli chiede di non morire, perché lui vuole sopravvivere. Gli chiede di vivere, perché sogna ancora il momento in cui Sakura aprirà gli occhi. Gli chiede di essere lì quando lo farà, perché vorrà abbracciarlo, e poi abbraccerà anche lui e tutti e tre torneranno a casa. E forse ci sarà un festa e tutti rideranno, forse nessuno ricorderà nulla e tutto tornerà come prima.

Ma i sogni di Naruto non hanno il sapore della determinazione, della speranza e dell’ingenuità come una volta. Sono amari e una patina di fiele li ricopre. E’ come se anche la sua mente, piano piano, si stia avvelenando da sola.

Noi siamo già morti, Naruto.” dice Sasuke, guardandolo. Nero contro azzurro, oscurità contro cielo. Non combattono, si fondono e basta. Non nega niente, Naruto, non ancora, ma si lascia annegare nel nero mentre Sasuke sprofonda nell’azzurro. Naruto va giù, Sasuke sprofonda, ma gli sembra quasi di volare nel cielo. E’ quasi confortante, ma il prezzo è che tutto finirà e che allora si renderanno conto che non è neanche iniziata.

Perché devi morire anche tu?” non è più ingenuità, ora Sasuke sa che Naruto pensa davvero quello che dice, nonostante tutto. Che nel suo cuore lui è sempre stato solo Sasuke, non un traditore, non un pazzo. Sasuke. L’amico con cui è cresciuto, l’amico che ha amato, l’amico che ha combattuto amichevolmente e poi con forza, per fermarlo. Sasuke è sempre stato Sasuke.

Io sono stato il primo a morire, Naruto.” e lui, ora, non può fare altro che continuare a pronunciare il suo nome – Naruto... Naruto... - e chiedere perdono, forse, ma un perdono che non arriverà mai se prima non sarà lui a concederlo a se stesso.

Non è vero. Tu non muori se non muoio io. Se non muore Sakura... Noi... noi siamo qui. Non lo senti? Respiriamo, posso... posso sentirti, Sasuke.”

Gli stringe il viso con più forza e chiude gli occhi, così da sentire il calore di Sasuke fluire dentro di sé, e viceversa.

Lo senti? Siamo... siamo qui.”

Respira con affanno, come se stesse correndo, come se il solo pronunciare quelle parole lo uccidesse di fatica.

Il fatto che siamo qui non significa che siamo vivi, Naruto.”

E muore ogni volta che dice “Naruto.” Non ha pronunciato il suo nome per anni, e ora dirlo ad alta voce è come salire al cielo e andare all’inferno contemporaneamente. Quello di Sakura evita anche di pensarlo se può, ma è difficile. Pronunciarlo... pronunciarlo è impossibile. Non sarebbe morire, è solo che non lo merita.

Tu... tu vai da lei!”

Ora li chiude, gli occhi, Sasuke. E precipita nei suoi incubi. Sasuke va da Sakura perché lei lo chiama. Continua a chiamarlo incessantemente, chiedendogli di non lasciarla, di restare con lei solo un po’, di far compagnia a Naruto e di far scendere il silenzio sulle lacrime di lui. Sakura non smette mai di urlare il suo nome, neanche in quel momento. Non diventerà pazzo, Sasuke, perché sa di non meritare neanche la follia. Lui continuerà a sentire quel richiamo e lo sopporterà. Nella vita, nella morte.

E sembra quasi... sembra quasi che dorma come se tutto fosse normale quando ci sei tu. Tu non la vedi quando non ci sei. Lei... lei continua a urlare, a tremare, ad agitarsi come se la stessero torturando, uccidendo. Lei non apre gli occhi per giorni interi!” si accascia ancora di più Naruto e affonda il capo nel petto di Sasuke, dove Sakura ha chiuso gli occhi per sempre, e si aggrappa alla casacca sporca. Piange, gli chiede di vivere per lei e per loro stessi.

E’ finita, Naruto.” ripete. E’ solo la verità. E lui l’accetta, anche se vorrebbe non condividerla. Condividerla con chi, poi? E’ amaro accettare verità che solo noi vediamo, mentre il resto del mondo crede in altro. Ma forse tutti credono la stessa cosa, solo che la esprimono in modo diverso. Forse bisognerebbe stare zitti, smettere di pensare e respirare, e abbandonarsi. Ma Sasuke ha già rischiato di perdere l’umanità, ora non vuole perdere anche quella. Se non fosse umano, dopotutto, non potrebbe morire. E lui è già morto.

Zitto... zitto...!” la debolezza si impossessa del suo corpo e la presa sulle vesti di Sasuke diventa a malapena una carezza stanca.

Il silenzio scende e le due ore passano. Diventano tre, diventano quattro.

Siamo morti tutti, pensa Sasuke.

Vivremo, torneremo a ridere, pensa Naruto.

Non siamo mai esistiti. Sakura spalanca gli occhi e urla.


***



La domenica è tutto silenzioso, innaturalmente silenzioso.

La domenica ogni ricordo sembra dimenticato, ma può succedere che all’improvviso un respiro riconduca ogni momento nella sua mente. Bello, brutto, triste, felice... E’ strano, ma in quei momenti il suono delle campanelle non fa male, e quello sguardo scuro che ogni volta la conduce al terremoto dei sensi non compare. Si annulla nel buio, nell’inesistenza, e allora Sakura sa che non esiste e si tranquillizza. Si calma perché neanche lei esiste, altrimenti sentirebbe il cuore battere. Se lui non esiste e lei neanche... allora è tutto più facile.

La domenica è tutto silenzioso, in maniera disumana. La domenica, il mondo smette di girare e Sakura Haruno, Sasuke Uchiha e Naruto Uzumaki smettono di vivere, esistere.


Ti racconto una storiella...


No... voglio solo ascoltare il suo silenzio, anche se non esiste.”


Niente storielle, niente lucciole senz’ali e senza luce, niente altalene.

Solo silenzio che scivola come vita sulla morte e la rende meno vera, mentre i petali della speranza cadono e quelli dell’immortalità fioriscono tra il silenzio di un amore mai sussurrato.

Mai esistito.








  
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