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Autore: keska    26/09/2010    26 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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«Mh…» mi lamentai lievemente, tirandomi a sedere sul divano copertina

«Mh…» mi lamentai lievemente, tirandomi a sedere sul divano. L’intera stanza era avvolta nella penombra. Sentivo il corpo pesante e pervaso dal torpore che segue a un sonno poco comodo. «Mi sono addormentata?». La domanda mi uscì con un tono impastato, diretta al vuoto dinanzi a me.

Sentii subito dopo l’eco di alcuni passi sul pavimento, e le finestre furono subito aperte. «Avresti potuto dormire ancora». La voce di Edward, il viso lievemente accigliato.

Sospirai, raddrizzando le gambe e poggiandomi contro lo schienale del divano. Magari sì, avrei potuto dormire ancora. Non dicevo di non essere completamente esausta. Ma in quel momento la mia mente aveva qualcosa di meglio a cui pensare.

Non appena Edward mi raggiunse, sedendosi al mio fianco, intrecciai le dita con le sue in un gesto di automatica ricerca di forza e conforto. Era così. Sentirlo accanto, fisicamente e non, era la necessità della mia vita.  

«Andrà tutto bene, vero?» chiesi insicura.

Annuì, silenzioso, scendendo con le labbra fredde a lambirmi una guancia, lasciando sulla mia pelle l’impronta perfetta.

Eravamo entrambi preoccupati, ed entrambi sapevamo quanto inevitabile fosse quello che stava per accadere. Non potevamo continuare più a lungo in queste condizioni.

«Katie?» chiesi, senza riuscire a nascondere il tremore nella voce.

Edward mi accarezzò i capelli. «Era con i nonni. Stanno per arrivare», si voltò a guardarmi con un sorriso appena accennato, rigirandosi una mia ciocca sul dito. L’aria era densa d’attesa. «Vuoi mangiare qualcosa?».

Scossi il capo, sollevandomi goffamente dal mio posto. «Credo di avere lo stomaco chiuso».

Non feci a tempo a finire la frase che la porta di casa si aprì, sbattendo, rompendo l’attesa e inviandomi immediatamente una scarica lungo la spina dorsale. «Mammi!» gridò, sgambettando, la mia piccola bambina.

«Tesoro» la chiamai con un sorriso. Ogni volta, ogni volta che la vedevo mi rendevo conto della meraviglia che avevamo creato. Era un vero amore. Dolce, così riflessiva. Così intelligente…

Corse verso di me e si fermò, appena un passo prima. I suoi vispi occhi verdi cercarono immediatamente il padre, come se si aspettasse un rimprovero, come se fosse perfettamente cosciente che quella che stava per fare era una marachella.

«Kate, non saltare in braccio alla mamma» la riprese bonariamente, come c’era da aspettarsi.

Ridacchiai, cercando di mascherare tutto il mio nervosismo, accovacciandomi goffamente a terra nonostante il grosso pancione. «Vieni qui tesoro» dissi, aprendo le braccia e stringendomela al petto. I suoi capelli si erano man mano scuriti, fino a diventare dello stesso color mogano dei miei. Mori, morbidi, profumati.

Si strinse a me, strofinando la guancia soffice e rosa contro la mia. Aveva appena un anno e mezzo, capacità intellettive decisamente più sviluppate, e si dimostrava appena più minuta per la sua età. Fortunatamente, la crescita sarebbe rallentata sempre più nel corso degli anni, senza far apparire troppo forte il contrasto fra l’età del suo corpo e quella della sua mente.

Edward la sollevò dalle mie braccia, facendole fare una mezza giravolta, e riempiendo la stanza del suono della sua risata fanciullesca. «Ti sei divertita con i nonni?» chiese, baciandole la fronte.

«Ti, papà! Ancola, ancola!» chiese, saltellando impaziente fra le sue braccia.

Edward spalancò la bocca con fare teatrale. «Ancora? Sei sicura?». E contemporaneamente la fece volteggiare ancora, lanciandola in aria e facendola ridere.

Sospirai, con un sorriso. Mi tirai a sedere per sistemarmi sul divano, un nugolo in petto. Era sempre stata una bambina allegra e serena, fin da quando era nata. Vederla così, ancora, ancora oggi, mi rincuorava e mi destabilizzava enormemente.

E non riuscivo a non pensare, mentre il cuore mi batteva sordo nel petto, che quello che stavamo per fare era un grosso errore, la scelta più sbagliata per la nostra bambina.

«Bella» mi salutò Esme, entrando in casa affiancata da Carlisle. Feci per alzarmi, ma immediatamente mi raggiunse, posandomi una mano sulla spalla. «Stai seduta, cara» mi ammonì, baciandomi una guancia.

Edward si lasciò cadere, fintamente esausto, sul divano accanto a me. «Basta… Papà è stanchissimo…». Trascinò la bambina fra le sue braccia, prima di lasciarla andare fra me e lui. La verità era che non si sarebbe mai stancato di giocare con lei. Ogni volta che la guardava leggevo una tale devozione nei suoi occhi… pari solo a quella che, mi rendevo conto, aveva quando guardava me.

«Dai papà, ancola, ancola!» protestò. Poi volse lo sguardo verso di me, e la bocca si aprì in un sorriso pieno di minuscoli dentini. «Atellino! Papà! Atellino!».

Edward ridacchiò, accarezzandole una guancia. «E come vuoi giocare col fratellino? É ancora troppo piccolo. Quando nascerà potrai giocarci» disse, con uno sguardo affettuoso. Mi sorrise, un sorriso pieno d’amore e devozione, d’affetto per me, per sua figlia, per quel piccolo che stava per venire. Per tutta la famiglia. Posò la mano alla base del pancione, facendomi rabbrividire.

La bambina seguì il movimento e puntò i suoi grandi occhioni verdi nei miei. Le sopracciglia si piegarono leggermente, e le guanciotte si gonfiarono, dandole una buffa aria pensierosa. «Mammi… bascio».

Prima che potessi accontentarla le mani di Edward la tirarono indietro, facendola voltare verso di lui. «Come ho detto che si dice? Bacio. Ba-cio» fece, scandendo con le labbra le parole.

Sollevai gli occhi al cielo. Edward aveva la fissa di insegnarle a pronunciare correttamente le parole che usava più spesso. Ma per quanto fosse strano da dire, non mi piaceva l’idea che mia figlia imparasse a parlare così bene. Insomma… era già strano che parlasse, che lo facesse così tanto e così scioltamente. Non mi piaceva insegnarle qualcosa e poi chiederle di non farla. E poi, imparava sempre così presto…

«Scio. Scio. Papà, no!» strinse le piccole labbra in un buffissimo sforzo, mentre sbatteva i piccoli pugnetti sul suo vestitino. «Bacio». I suoi occhioni si allargarono, liquidi, soddisfatti, appagati. Felici, come solo un bambino può esserlo. «Cio!» esclamò contenta, ridendo a battendo le mani.

Edward, contento, orgoglioso, la prese fra le braccia e cominciò a tempestarle il viso di baci, appagando l’ilarità di Kate.  

Sentii l’esigenza di distogliere lo sguardo da mia figlia e mio marito, per evitare che il fastidio pungente agli occhi si trasformasse in lacrime. «É stata brava?» chiesi, quasi sottovoce, accarezzandole distrattamente i capelli.

«Certo Bella. Tua figlia è sempre un amore» rispose con piacere Esme, seduta sul divano davanti al nostro, accanto a Carlisle.

Non potevo essere propriamente d’accordo con la sua affermazione. Mia figlia aveva… molta voglia di vivere, e molta curiosità. Appena nata mi aveva tenuta sveglia per più di una notte. Avere un marito vampiro senza bisogno di dormire era stata una benedizione, ma all’ora della pappa nessuno poteva convincere mia figlia a preferire un biberon al mio seno.

Ed ero lusingata, in un certo senso, di questo suo attaccamento a me. Mi mancava il contatto speciale che avevamo avuto quando era nella mia pancia, tutta quell’armonia, quello scambio costante di emozioni. E sapere di non aver perso completamente quel nostro legame non poteva che farmi felice.

Carlisle sorrise, stringendo la mano sul ginocchio di sua moglie. «É stata a casa per un’oretta, e ha fatto la merenda. Volevi che si distraesse un po’, così…» fece, con un sorriso appena accennato.

«Non dirmelo» esalai, un misto di bonaria esasperazione.

Kate scivolò sulle gambine, giù dal divano, correndo verso Carlisle. «Nonno ha portato Kate al lavolo!» gridò entusiasta, afferrando la sua mano e saltellando. «Lavolo! Lavolo!».

Mia figlia… che adorava andare a lavoro in ospedale con Carlisle. Questa sì che era una cosa che di certo non poteva aver ereditato da me.

Sulla mia fronte comparve una ruga d’apprensione. «Non hai parlato Katie, vero? Ricordi quello che ti hanno detto mamma e papà?».

Inclinò lievemente la testa per guardarmi di sottecchi, portandosi un dito sulle labbra umide. «No, mammi» dichiarò sincera.

Carlisle sorrise, accarezzandole i capelli. «É stata brava. Si è limitata ai monosillabi e a “nonno”». Esme la prese fra le braccia e se la tirò a sé, parlandole intensamente. «É una bambina intelligente, Bella» continuò rivolto a me, e sapevo che le sue parole non si riferivano solo a quanto gli avevo chiesto. «Lei capisce, capisce tutto» disse eloquentemente. Poi sospirò, «si è comportata molto bene, è un piacere per noi tenerla, lo sai». 

Annuii, e ringraziai. Se non fosse stato per l’aiuto su cui sapevo di poter contare, su tutta la famiglia di Edward, non mi sarei mai lasciata convincere ad avere un altro figlio, non così presto.

Accarezzai il grosso pancione con una mano, l’altra stretta costantemente a quella di mio marito.

«Emmett dice che ci aspettano per le sei di stasera. Al crepuscolo» ci informò Carlisle, acquisendo un tono estremamente serio.

Rabbrividii, e mi lasciai andare con la testa nell’incavo del collo di Edward.

«Andrà tutto bene» mi rassicurò, accarezzandomi dolcemente il fianco. Le dita scorrevano sul vestito leggero, senza quasi toccarmi. Sentivo la rigidità del suo corpo e il suo nervosismo, specchio del mio.

«Mammi, mammi!» gridò Katie, distogliendomi improvvisamente dai miei pensieri. Mi liberai da Edward per prestare attenzione a mia figlia, che sgambettava verso di me col suo zainetto rosa - dono di zia Alice. «Mammi! Uarda cosa mi hanno legalato nonno e nonna!» disse contenta.

Mi ripresi in fretta, scacciando ogni traccia d’ansia dal mio viso. «Oh, nonno e nonna ti viziano incredibilmente» dissi, scuotendo il capo con un’occhiata affettuosa. «Fammi vedere tesoro».

Posò lo zainetto a terra, attenta a non sbilanciarsi, e subito dopo si lasciò cautamente cadere a terra col sedere. Sbirciò nello zainetto e vi infilò una manina, tirando fuori l’oggetto che stava cercando. «Uarda, mammi!» disse, mostrandomi quello che aveva tutta l’aria di essere un camice in miniatura… rosa. «Uesto me l’ha regalato nonna» fece seriamente, posandolo con precisione accanto a sé, sul pavimento. Il sorriso si allargò, birichino, quando dallo zainetto afferrò l’altro oggetto.

Mi portai le mani alla bocca, guardandola con tutta la sorpresa che si aspettava di ricevere.

«Setoscopo!» disse, dimenando la mano con l’oggetto in questione. «E uarda mammi, è osa, osa!».

Scossi il capo, lanciando un’occhiata a mio suocero. Volevo che mia figlia capisse il valore delle cose che aveva in mano. Una cosa erano oggetti con cui giocare, un’altra era prendere uno strumento medico e consegnarlo in mano a una creatura che non volevo rinunciare a chiamare piccola bambina.

«Katherine, non lo rompere. Uno stetoscopio non è una cosa con cui giocare. Anche se è rosa…» dissi, alzando gli occhi al cielo.

Smise di agitarlo e dimenarsi, e fece peso su una mano per alzarsi. Camminò con un visino serio, tendendo l’oggetto verso di me, fino a posarlo sul pancione. «No, mammi. Uesto è per sentile atellino. Katie no rompe». Alzò lo sguardo, e mi fissò intensamente e seriamente. Mi guardò, e i suoi occhi verdi incontrarono i miei, ripristinando ancora una volta quel legame che da sempre ci aveva unite.

Mi lasciai sfuggire un sorriso appena accennato, quasi un rantolo. Per poco non mi scivolò una lacrima dagli occhi. «Va bene» mormorai, accarezzandole la testa, «non lo rompere tesoro».

Scosse il capo, facendo ricadere qua e là le ciocche scomposte. Tese le braccia e provò a circondare il pancione in un abbraccio. «Basc…» strinse gli occhi, sforzandosi «Bacio» sussurrò soddisfatta, posando le labbra sulla pancia.

Ero un misto di tenerezza, ansia, paura, senso di colpa. Sospirai, tremante. Mi asciugai velocemente le guance, provando a chinarmi per baciarle il capo.

 

Esme saettò da una parte all’altra della cucina, facendo scomparire i nostri piatti vuoti. «Non ti preoccupare tesoro, ci penso io a sparecchiare».

Sospirai, accarezzandomi il ventre pieno. Kate era intenta a mangiare la sua pappa, serena rispetto a quello che di lì a poco sarebbe successo.

Mi chiedevo, con una fitta nel petto, se quella serenità derivasse dall’innocenza dei suoi anni o semplicemente dalla sua indole. Non capivo. E il suo atteggiamento non faceva che allarmarmi ancor di più.

Trasalii quando sentii il tocco di una mano fredda sulla spalla. Carlisle si chinò, fissandomi attentamente. «Vieni di là in camera? Ieri avevi il controllo, anche se è saltato» mi spiegò con un sorriso gentile «Edward ha detto che hai avuto delle contrazioni».

Annuii, lasciando che mi aiutasse a sollevarmi dalla sedia.

Quando fummo in camera Edward chiuse velocemente la porta, e corse da me per guidarmi sul copriletto. Sapevamo entrambi della nostra ansia, e entrambi stavamo cercando di distrarci. «Credo che questo piccolo nascerà prima, rispetto a Katie» buttò lì con leggerezza, la voce tenue. Accarezzò il pancione.

Carlisle posò le mani sul mio ventre scoperto, misurandone le dimensioni. «In effetti il piccolo Mark è più grosso rispetto a Kate. Penso e spero che fra qualche giorno ti aspetterà la sala parto».

Mi lasciai andare sul cuscino, chiudendo gli occhi. «Sembra strano da dire, ma per adesso è l’ultimo dei miei pensieri» confessai nervosamente.

Edward mi accarezzò i capelli. «Andrà tutto bene… vedrai. Nostra figlia è davvero forte, e credo che ce lo dimostri giorno dopo giorno. Affronterà anche questo, e sarà per sempre al sicuro».

Lui aveva un forte legame con la piccola. Non sempre, ma quando era più vulnerabile poteva sentirne i pensieri. Dovevo affidarmi a lui, quando mi diceva quanto fosse forte nostra figlia, per non dare di matto per quello che stava per accadere.

Jared, Sam e Paul erano ancora sotto l’“incantesimo” di Jacob, sotto il suo ordine di uccidere me e Edward. L’unico modo per rompere quel laccio invisibile che li soggiogava, era far revocare l’ordine dall’unica persona che fosse in grado di farlo. L’unica che lo tenesse ancora in vita.

Mia figlia.

Dopo la sua nascita ero stata una madre angosciata e attenta, pronta a cogliere ogni segnale che quello che aveva vissuto quando era solo nella mia pancia venisse a galla. Ma in nessun modo, niente, era stato manifestato.

«É così piccola, Edward. Chi ti dice che tutto questo non la farà tornare indietro a tutto quello che è successo? Che non la farà stare male? Sembra così spensierata adesso…» mormorai ansiosa, portandomi una mano sugli occhi.

Mi accarezzò il volto, prendendolo fra le mani e costringendomi ad aprirli. «Ti posso assicurare che lei sa, in fondo al suo cuore ricorda. Ieri, quando le abbiamo spiegato quello che avrebbe dovuto fare, ho sentito qualcosa dentro di lei. Andrà bene» sussurrò persuasivo, verso me e lui stesso.

«Emmett, Rose e Jasper sono a La Push. É tutto pronto, l’incontro avverrà nella massima sicurezza» intervenne Carlisle.

Alternativamente i vampiri si erano dati da fare per mantenere sottocontrollo la situazione. Ma tenere bloccati tre licantropi non era facile, anzi, stava diventando un’impresa via via più complicata.

Perché semplicemente non avevano potuto comprendere, trovare un escamotage come tutti gli altri? Non sempre, mi aveva spiegato Seth, le leggi delle tribù erano radicate allo stesso modo in un individuo.

«Mammi» mi chiamò debolmente Kate, sbirciando nella stanza. Esme le aveva fatto indossare il suo camice, e dalla tasca destra sbucava lo stetoscopio.

«Vieni qui» mormorai in un sospiro, lasciando che sgambettasse fino a me. Edward la aiutò ad issarsi sul materasso. Volevo tenerla vicina, e stare attenta a captare ogni minimo segnale d’ansia. Se solo mi fossi accorta del suo pur minimo turbamento avrei fermato ogni cosa.

«Atellino». Kate indicò la mia pancia e tirò fuori lo stetoscopio dalla tasca.

Carlisle ci lasciò soli, e Edward aiutò la piccola a cercare il punto in cui avrebbe potuto sentire il cuore del fratello. Cercai di rilassarmi, mentre osservavo quella piccola grande personcina, così serena, dimostrare e regalare tanto affetto e amore con dei gesti così semplici.

Sentivo un brivido partire dal punto in cui Edward e Kate tenevano la mano sul pancione, così vicini a me e a quel bambino non ancora venuto al mondo, ma a cui già volevano bene.

«Come fa il cuore di Mark?» chiese affettuosamente Edward, accarezzandole i capelli.

«Mak!». La piccola strofinò la mano sul mio ventre pieno, poi sollevò lo sguardo su di noi. «Tum tum tum tum» mimò, facendo muovere le labbra umide.

I suoi occhi risplendettero in quelli della figlia, verde nel verde. «Si tesoro, fa proprio così» disse soddisfatto, guardandola con orgoglio.

Non potei fare a meno di sorridere.

«Papà» fece, sollevando lo sguardo su di lui.

«Dimmi».

I suoi occhi ardevano di curiosità. Si posò una manina sul petto. «Mammi fa tum tum. Io faccio tum tum. Perché tu no tum tum? E nonno? E zii?».

Mi mancò un respiro, presa in contropiede da quella domanda. Non era la prima volta che si rendeva conto delle differenze che c’erano fra di noi, e ogni volta, pazientemente, Edward e io le rivelavamo una parte della verità.

Così fece quella volta. Sospirò, le prese fra le braccia, la mise fra noi. Cominciò a spiegarle la differenza. Tuttavia, la piega che stava prendendo il suo discorso era fin troppo scientifica, e man mano notai quanto mio marito fosse turbato e stranamente a corto di parole.

Presi la mano di Kate, facendola accoccolare sul mio petto. Le accarezzai una guancia. «Tesoro, il nostro cuore fa tum tum, ed è un suono bellissimo. É bello perché significa “vita”. Ma ti ricordi quanto ti dissi com’è bello essere unici e speciali, che ognuno di noi lo è?».

La piccola annuì, guardandomi attentamente.

Intrecciai le dita con quelle di Edward, racchiudendo Kate nel nostro abbraccio. «Papà è speciale. Il suo cuore è un grande cristallo, luminoso e bellissimo, e brilla, incastonato nel suo petto» spiegai con un sorriso.

Strinse le labbra - un movimento ereditato dal padre - e spostò lo sguardo sul mio polso. «Come blaccialetto?».

Sorrisi sinceramente, baciandole la fronte. «Si tesoro, come il cuore del mio braccialetto». La strinsi a me, abbracciandola. Gli occhi di Edward, brillanti, si specchiarono nei miei, pieni d’amore e gratitudine.

«Ti amo» sussurrò, muovendo le punte delle dita sui miei capelli.

Socchiusi gli occhi e sospirai, sulla testa di nostra figlia. «Ti amo anch’io».

 

«Vieni tesoro, infila il braccio» mormorai, sistemandole addosso il cappotto. Una parte della mia coscienza rideva di me. La stavo proteggendo dal freddo dell’inverno, dalle intemperie. I suoi occhi, pieni di fiducia, il suo corpo e la sua mente affidati a me. Perché si fidava, perché mi avrebbe dato la sua piccola vita.

E io. Io la stavo per portare davanti a quelli che erano stati i suoi incubi peggiori.

Sentii la porta della cameretta aprirsi, e quando mi voltai il viso di mio marito si rabbuiò immediatamente. In un attimo era ad un centimetro da me. Baciò le guance, appena sotto le palpebre, catturando con le labbra le mie lacrime salate.

Mi strinse la testa sulla sua spalla, fissando la piccola Kate. «Sei bellissima» le disse, con un tono apparentemente tranquillo. Le sue parole vibrarono nel suo torace fino al mio.

Lacrime silenziose non avevano smesso di scendere sulle mie guance. Ero riluttante. Riluttante e turbata di fronte all’inevitabile.

«Ricordi cosa devi fare amore mio?» le chiese attentamente.

«Si papà» scandì attentamente.

«Me lo vuoi dire?».

Mi liberai dalla presa di mio marito, facendo un passo lontano da loro. “Pensa attentamente che sono liberi. Pensa che ogni ordine è sciolto. Pensa anche solo a quanto vuoi bene a mamma e papà, e a quanto vuoi tenerli con te”. Già ieri le avevamo spiegato tutto. Già ieri aveva annuito, ci aveva guardato negli occhi, fiduciosa, pronta a fare qualsiasi cosa per noi.

Presi un respiro, posando un braccio fra il seno e il pancione. Con la punta delle dita mi asciugai le ultime lacrime, e mi voltai verso Kate con un sorriso forzato.

Edward la stava accarezzando. «Hai paura tesoro? Vuoi farlo?» le chiese piano, dandole possibilità di rispondere. Ma era così piccola. Cosa poteva aspettarsi, se non fare tutto quello che le chiedevamo?!

Ma lei annuì, un’espressione estremamente seria sul volto. «Katie no paura».

 “Un uomo cattivo, consumato dall’odio e dalla gelosia, voleva farci del male. A me, alla mamma, a tutti noi. Ma tu, tesoro, con l’amore che provavi per noi, l’hai mandato via. E adesso è scomparso, non c’è più piccola. Ma c’è ancora qualcosa in sospeso. Devi pensare a quanto vuoi bene alla mamma e a papà, e andrà via per sempre”. Le parole del giorno precedente risuonavano ancora nella mia mente.

Mi avvicinai di un passo, prendendola fra le braccia e lasciando che Edward mi avvolgesse da dietro.

 

Mentre la mia Mercedes scura scivolava sull’asfalto, noi eravamo ancora rinchiusi nella nostra bolla. Carlisle e Esme sui sedili anteriori. Io, Edward e Katie, stretti in abbraccio.

E in quel momento pensavo a quanto fosse stata bella la nostra vita in quell’anno e mezzo, non potendo fare a meno di distrarmi con quei pensieri. Ogni giorno era stato una gioia, una scoperta. Anche quando ero stremata, anche quando avevo dovuto sgridarla, anche quando non tutto era andato bene, conservavo un ricordo estremamente positivo del tempo passato. Vedevo luce, luce e amore nella mia vita. Vedevo gli abbracci, i baci di mio marito e di mia figlia. Vedevo le loro e le mie risate spensierate. Le prime parole, i primi passi, i giochi. Il tempo passato ad osservarla anche solo dormire, troppo bella, troppo un miracolo per non poter godere il magnifico spettacolo del suo innocente sonno.

E se da un lato avevo paura per quello che stavo per fare, paura di compromettere la felicità di mia figlia, il lato più impavido di me bramava nuovi momenti come quelli vissuti, pieni fino in fondo di felicità e serenità, per l’eternità.

Un futuro per me, Edward, Kate, il piccolo che doveva ancora venire e ognuno che sarebbe venuto.

Kate ci osservava, stretta fra me e Edward, silenziosa. I suoi occhi erano grandi e liquidi. La pelle chiara per il freddo faceva risaltare il contrasto con le labbra carnose, rosse e umide. Era così bella. Somigliava così tanto a Edward, se non fosse stato per il taglio degli occhi e i capelli…

Edward scivolò fuori dall’auto. Prese Kate da sotto le braccia, stringendole il cappotto al corpo in modo che non sentisse freddo. Mi trascinai fuori, barcollando, e raddrizzandomi sui piedi aiutata dal supporto della mano di mio marito.

Il vento soffiò, al limitare fra i nostri e i loro territori. In lontananza, fra gli alberi, il crepuscolo ci accompagnava. Rabbrividii, ma non per il freddo. Troppo questi alti alberi mi ricordavano scenari terribilmente familiari.

Il giorno in cui incontrai Edward, mai avrei previsto che la mia vita prendesse questa inaspettata piega. Eppure, non potevo fare a meno di pensare che mi avrebbe regalato tanto male quanto puro e sincero amore. E l’amore è sempre qualcosa per cui vale la pena soffrire e lottare.

Sapevo che dovevo fare questo. Sapevo che non era giusto tenere Sam, Jared e Paul imprigionati. Sapevo che non avremmo potuto vivere tutta la vita come profughi, rischiando per noi e i nostri figli.

Speravo solo ci fosse un’altra soluzione.

Mossi i miei passi, stretta a Edward e a Kate. Una fila schierata di licantropi, di cui solo tre si dimenavano, rabbiosi. Una fila di vampiri.

Ogni passo risuonava nella mia mente. Ogni passo  ero più incerta e insicura di quello precedente. Ogni passo, la presa sul corpo di mia figlia, fra le braccia di mio marito, si rafforzava.

Guardava attentamente, con un espressione neutra, i licantropi davanti a noi.

Un rantolo mi sfuggì di bocca. La piccola si voltò verso di me, scrutandomi.

«Vieni qui» mormorai, tendendo le braccia. Katie si sporse verso di me, e Edward la trattenne abbastanza per riservarmi un’occhiata. «Ho bisogno di averla con me» mimai con le labbra, sollevandola dalle sue braccia per stringermela la petto.

Mio marito rafforzò la presa sulle mie spalle, guidandomi, ancora, avanti. Il lupi ringhiavano, così vicini a noi, trattenuti dalla forza degli altri lupi.

Il vento soffiò.

Feci un passo, incerta. Al seguente mi bloccai, tremante, facendo voltare Edward nella mia direzione.

«Bella-» protestò debolmente.

Sentii tirarmi una ciocca di capelli, e allentai la presa sul corpo di mia figlia. Mi posò una mano sul petto, guardandomi negli occhi, confusa. «Mamma, erché hai paura?».

La fissai negli occhi, scrutandola. I suoi splendevano d’affetto e amore.

«Katie vi uole bene» disse, facendo stringere il mio cuore nel petto.

Le sorrisi, stringendomela al seno, senza parole e senza fiato. Edward la sollevò dalle mie braccia, baciandole la fronte e tirandomi con lei.

Feci ancora un passo, e la bambina strinse i pugni sul giaccone di Edward e il mio, chiudendo forte gli occhi.

Pochi istanti più tardi, ad uno ad uno, i licantropi smisero di dimenarsi. Per ultimo Sam, si lasciò andare sul terreno, innocuo.

E mentre il suono del vento e del battito del mio cuore riempiva le mie orecchie, mia figlia aprì gli occhi, sorridendomi serena.

Era, davvero, tutto finito.

 

«Andrà tutto bene, vero?» chiesi. E alla stessa domanda, il tremolio che solo poche ore fa l’aveva distorta era scomparso.

Edward fece passare le braccia da dietro la mia schiena, avvolgendomi in un abbraccio. Posò il mento sulla mia spalla, dondolando piano avanti e indietro. «É già andato tutto bene».

Sentivo, vicino all’orecchio, l’odore dolce del suo respiro fresco. Le sue labbra, ci avrei giurato, piegate in un sorriso.

Mi accarezzò il grembo, con lenti movimenti circolari. «Non vedo l’ora di conoscerlo».

Le mie labbra si piegarono in una smorfia. «Io un po’ meno, permettimelo» scherzai debolmente, sollevando un braccio per accarezzargli i capelli. «Spero che sia un piccolo Edward in miniatura, proprio come te. Però… può aspettare ancora un paio di giorni» mormorai ironicamente.

«Ma guarda» sussurrò, indicando il lettino con le sbarre in legno.

Dentro, nostra figlia, in uno dei suoi sonni più beati. Me e Edward, lì, intrecciati nei suoi lineamenti. Gli occhi socchiusi, le palpebre tremolanti. Le labbra, piccole, carnose, bagnate, aperte e dischiuse ad ogni respiro che le gonfiava il piccolo petto. Il suo profumo, profumo di buono, di pulito, profumo di bambino. Il sorriso e l’aria beata del suo volto. Ed era là, la creatura più dolce e pacifica del mio universo.

Avvicinò le labbra fino a sfiorare l’orecchio. «Non ne vuoi un altro così?» chiese, suadente.

Sospirai, completamente destabilizzata da quella vista. «Mi hai convinto così ad avere Mark, non è vero?» chiesi, torcendomi per guardarlo in viso. «Ricordamelo quando non dormirò la notte. Quando dovrò allattarlo, quando riempirà le tutine di vomito e bave, quando strillerà ad ogni ora e ci subisserà di domande, richiedendo tutta la nostra forza e le nostre attenzioni. Oh, ricordamelo soprattutto mentre sto partorendo».

Ridacchiò, con tono mite, a pochi centimetri del mio volto.

Sospirai, voltandomi ancora verso Kate. «Sta bene, vero?». Mi liberai dalla presa di mio marito, chinandomi su di lei. Le accarezzai la guancia.

La sua mano raggiunse la mia, vezzeggiando la pelle color crema.

Mi voltai a guardarlo. «Benissimo».

Annuì, sistemandole le coperte e accarezzandole i capelli. «Ci vuole bene…» sussurrai, un misto di agitazione e affetto.

Restai lì, ad osservarla nel sonno, lasciando che l’idea di serenità che emanava penetrasse pian piano dentro di me. Mi dovevo abituare a quella nuova idea di pace, di armonia, cancellare per sempre le tracce di quello che era stato.

La mia mente era come la sabbia bagnata in riva al mare, gli ultimi flutti stavano cancellando, onda dopo onda, ogni traccia di quello che era passato.

«Edward?» sussurrai, smettendo di accarezzare nostra figlia per posarle una mano sulla guancia.

Si voltò a guardarmi.

Sollevai lo sguardo per incontrare il suo. Le mie labbra si piegarono in un sorriso.

«Andrà tutto bene».

 

 

Rimando ogni cosa all’epilogo, fra pochi giorni.

Per ora, GRAZIE.

Scusate la fretta.

 

La mia nuova storia, Diamante.

diamante

 

 

   
 
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