Scendo dall’aereo con l’aria di
una che ne sa una più del diavolo. I viaggi non mi sono mai piaciuti,
soprattutto quelli lampo. Inutile dire che questo l’ho odiato
particolarmente. E’ notte fonda, e a Port
Angeles fa freddo. Tanto freddo. Nemmeno riesco a pensare alle
fitta pioggia che ci sarà a Forks. Spero solo
ti trovare un taxi, che mi porti nell’unico motel della mia cittadina. Ma
se la permanenza si dovesse prolungare, andrò da Charlie. Mio padre
sarà felice, di vedere la sua unica figlia. Almeno lo spero. Mentre esco
con una valigia di Louis Vuitton, una bella donna fa dei cenni con la mano.
Sembra che stia catturando l’attenzione di qualcuno, o forse proprio la
mia. Mi avvicino, notando che ce l’aveva proprio con me.
“Tesoro! Come sono felice di
rivederti!” Lascio cadere tutti i bagagli, compresa la borsa che ho in
mano, per abbracciare di slancio la mia seconda mamma.
“Esme! Quanto mi sei
mancata!” Dopo alcuni minuti ci stacchiamo, anche perché abbiamo
quasi il fiato corto.
Con la mano porta una ciocca di capelli
dietro l’orecchio. “Come sei bella.
E… diversa.” Si nota, il cambiamento. Lo
noto anch’io, guardandomi allo specchio. Non sono più Bells. Ora sono Isabella Swan,
giornalista di Phoenix, quasi sposata
con l’imprenditore Jacob Black. Vesto firmata,
porto anche le scarpe con il tacco. Gli abitanti di Forks,
se mi vedono ora, penseranno che sono la gemella di Bella. Isabella.
“I cambiamenti sono
inevitabili”, dico, riprendendo possesso dei miei effetti. La sento
sussurrare qualcosa, del tipo c’è
chi cambia per dimenticare. Ma non dico niente, e la seguo fino al
parcheggio. Una volta dentro al caldo nella sua Jeep, mi decido a parlare.
“Come mai sei qui?” Chiedo,
scrivendo un messaggio a Jake, avvertendolo che sono
arrivata.
“Renèe
ha chiamato tuo padre, avvisandolo che saresti tornata. Charlie ha chiamato Carlisle,
che l’ha detto a me. Sapevo che avresti preso un taxi, per andare da
qualche parte, e proprio non potevo permettertelo. E allora
eccomi qua”. Mentre parla, ha messo in moto, e siamo partite per
le strade buie.
Come faccio, a non adorare Esme? Quando ero a Forks,
l’ho sempre considerata mia mamma. Quella
premurosa, quella che si prendeva cura di me, come se fossi la sua vera figlia.
La mamma che io non ho mai avuto.
“Grazie”, sussurro, guardando
fuori dal finestrino. Sono tre anni, che non vengo a Forks.
Sono tre anni, che non vedo nessuno dei miei più cari amici. Sono tre
anni, che non ho la minima idea di cosa faccia Edward, se sta con qualcuno, se
lavora ancora in città.
E’ la voce di Esme,
a distogliermi dai miei pensieri “Tesoro, dove ti porto?” Ci penso
un po’ su. Se le dicessi di portarmi in un motel, mi costringerebbe a
passare la notte a casa sua. Ma non voglio nemmeno disturbare Charlie, sono le
tre di notte.
“Portami da Edward.” Come dice
sempre Jake: via il dente, via il dolore.
“Ne sei sicura?” Anche Esme, l’ha capito. Ha capito che il mio umore non
è dei più rosei, quindi sa
quello che succederà stanotte. Grida, urla, anche qualche schiaffo
– naturalmente da parte mia -. Proprio come l’ultima volta.
“Cosa?”
Non è arrabbiato. E’ incredulo. Stupito. Impaurito.
“Non
so come sia potuto accadere.” Sussurro, passandomi una mano sulla mia
chioma castana. Indosso un paio di jeans sbiaditi, una camicia a quadri –
rigorosamente di mio marito -, e le Superga bianche. E sento, che le lacrime
stanno per affiorare dai miei occhi.
“Hey, amore.
Non preoccuparti. Lo sai, ci riproveremo. Shh, non preoccuparti.” Quando i singhiozzi iniziano a
scuotere il mio corpo, Edward viene dinnanzi a me e mi
abbraccia. Un abbraccio caldo, pieno d’amore. “Shh”, sussurra, accarezzandomi i capelli. Io non so
davvero come sia potuto accadere. Carlisle, qualche
settimana fa, aveva detto che andava tutto bene. Tutto bene.
“Mi
dispiace.” Mio marito continua ad accarezzarmi i capelli.
“Bella,
non fa niente. Ci riproveremo. Riproveremo ad avere un altro
figlio.”
“Allora, sei proprio
innamorata.” Dice Esme, indicando con un cenno
del capo la mia figura. Per innamorata, sicuramente intende cambiata. Indosso
un maglione avana, lungo fino a sopra le ginocchia. Dei collant neri, pesanti.
Una giacca dello stesso colore del maglione, tre bracciali d’oro, e il
mio anello di fidanzamento. E poi, i miei più fidati amici: gli stivali
UGG. Lì adoro, sono caldissimi e molto comodi.
“Sì. Sono innamorata.” Non è una
bugia, ma nemmeno la verità. Amo Jacob, da impazzire. Ma non sono
felice. E’ uno scherzo della natura, questo.
“E lui… com’è,
lui?” Domanda, la mia mamma. Sorrido, pensando a Jake.
“Si chiama Jacob Black,
e lavora nella concessionaria d’auto del padre. E’
alto, muscoloso, e abbronzato anche d’inverno”.
“Il contrario di Edward”,
sussurra Esme, continuando a guardare la strada.
E’ inutile ascoltarla, perché so
che è Jake è il contrario di
Edward.
Edward ha i suoi muscoli, ma anche la
pancetta. Che io adoravo. Edward, non si abbronza
neanche d’estate, proprio come me.
“Già”. Esme parcheggia nel vialetto della mia vecchia casa. Prima
che scenda, mi ferma per un braccio.
“Bella, tesoro, per
favore vacci piano. Per
lui… per lui questi tre anni non sono stati come i tuoi. Pieni di
sorprese e di un matrimonio imminente. Parlaci, chiarisci, fai firmargli quelle
carte, ma non assalirlo.” Per lui questi tre anni non sono stati facili.
E per me, che cosa sono stati? Io, ho perso
un bambino. In parte, la colpa della nostra sofferenza è mia. Il giorno
dopo, sono stata io a lasciare Edward, con un bigliettino sul tavolo della
cucina. Ma da parte sua, nessuna chiamata. Nessun segno di vita. Segno che
aveva chiuso la porta, buttando la chiave al seguito. Ed io ho fatto lo stesso.
Poso un bacio sulla guancia di Esme, sussurrando un “Non preoccuparti.”
Lei riparte sgommando, ed io fisso la figura
della Jeep finché non scompare. La pioggia mi ha bagnato i vestiti, ed i
capelli. Ma me ne frego. Qui, a Forks, non sono
Isabella Swan. Qui sono Bells.
La donna a cui non le frega niente di andare in giro con gli stivali pieni di
fango, anche se sono costati duecento dollari. Quella che struscia in mezzo al
fango la valigia di Louis Vuitton, regalatami proprio da Renèe.
Quando sono davanti alla porta, faccio un bel respiro. Devo ascoltare Esme: non attaccarlo, parlaci. Ma come faccio a non
attaccare una persona che ha quasi rovinato il mio matrimonio? Quasi un cavolo,
visto che ho dovuto rimandare le nozze! Con la mano a metà strada fra la
porta, sono pronta a bussare.
“Dai! Amore, ti prego! Guarda com’è
carino! Me l’ha regalato la signora Newton,
perché al negozio non lo comprava nessuno!” Edward mi fissa
allibito. Prende il piccolo oggetto dalla mie
mani, e me lo sventola davanti agli occhi.
“Non lo comprava nessuno?
Ci credo, che non lo comprava nessuno. Chi mai
attaccherebbe alla sua porta di casa due…” ora, lo volta dalla sua
parte per guardarlo meglio “chi prenderebbe due pupazzetti fatti di
paglia, per attaccarli sulla porta di casa? Bells, è
inquietante!” Sbuffo infastidita. A me piacciono tanto, quei due
pupazzetti.
“Dai! Sembrano Romeo e Giulietta.” Ed
è vero. Appena gli ho visti, mi sono venuti in mente i due innamorati. E quando ho
chiesto alla signora Newton quanto costava quell’oggetto da appendere
alla porta, lei mi ha detto che me lo regalava. Era anni che stava lì, e
nessuno lo comprava. Proprio perché i due pupazzetti avevano un aria inquietante. Edward sbarra gli occhi.
“Lo
sai che fine fanno, Romeo e Giulietta?” Domanda, con una faccia schifata.
“Ma che sarà mai!
Dai, appendiamolo! Non abbiamo nulla fuori alla nostra
porta!” Manca davvero poco, che mi si avventi contro.
Poi,
scuote la testa. “Non se ne parla. Ho costruito questa casa meno di un mese fa, e tu pretendi che
faccia un buco sulla porta per… per questo coso?” Ora, più
che arrabbiata sono infastidita. Un buco sulla porta, dovrà
attaccare un chiodino quasi invisibile, che sarà coperto da l’oggetto che dovremmo appendere.
Sbatto
le mani sulle mie gambe, e mi dirigo al piano superiore. “Lo
sai che ti dico, fai quello che ti pare! E stanotte,
dormi sul divano che è meglio!” Urlo, prima di sbattere la porta e
buttarmi di peso sul letto.
Ancora non ho bussato. Fisso
incredula il Benvenuto, che
ancora è sulla porta di legno. Un po’ sbiadito, e con qualche
pezzo di paia in meno. Ma è lì.
La
mattina, mi sveglio più assonnata di prima. Di solito, appena sveglia
cerco la mano di Edward, per stringerla. Per accettarmi che quello che sto
vivendo è tutto vero, e non un sogno. Un bellissimo sogno. Invece, non
trovo nulla. Soltanto un bigliettino.
Sono andato a lavoro presto.
Ci vediamo a pranzo.
Ti amo, Edward.
Non
lo accartoccio. Questo è un vizio che ho da quando vivevo con Charlie.
Ho conservato ogni singolo bigliettino che le persone mi lasciano. Lo piego,
riponendolo in un cassettino. Guardo l’ora, e mi rendo conto che è
tardi. Sono le otto e trenta. Di sicuro James mi sta già aspettando,
alla redazione. Scendo trafelata dal letto, e prendo le prime cose che trovo.
Un paio di jeans neri, una maglia rosa e le Nike. Vestita e lavata di fretta e
furia, scendo al piano inferiore, dove trovo la colazione pronta. Un cornetto,
un bicchiere di succo di frutta e del caffè. Se avessi tempo, mangerei
tutto. Ma di tempo, non ne ho. Prendo la borsa nera ed il portatile, uscendo di
casa. Faccio appena in tempo a voltarmi, per chiudere la porta di casa, quando
le chiavi mi cadono per il vialetto. E’ lì. I due pupazzetti di
paia sono lì, che si tengono la mano. Edward gli ha attaccati. Sorrido,
accarezzando le rifiniture di quell’oggetto.
“Apri!” Ora i colpi si sono
fatti insistenti. Inutile perdermi in ricordi, non servirebbe a nulla.
“Cullen! Apri immediatamente!!”
E busso ancora. Una. Due. Tre volte.
“Ma lei alle tre di notte non ha
niente di meglio da fare?” Domanda, dopo aver aperto al
porta. Ora, sono più arrabbiata di prima.
“Non ho niente da
fare? Se
tu avessi firmato le carte del divorzio ad Angela, a quest’ora stare festeggiando
il mio addio al nubilato!” Dico, poggiando le mani sul suo petto e
trascinandolo direttamente dentro casa. Non si tira indietro, mi guarda,
basito.
“Bells?”
Sussurra ora, sgranando gli occhi. Lascio la presa dalla sua maglietta bianca,
e gli faccio una radiografia. I capelli sono sempre spettinati, come al solito.
Indossa una maglietta bianca, semplice. E dei boxer neri. Il fisico è
sempre quello, perfetto.
“Bells? Ti stai forse prendendo gioco di me,
Edward? Tra sette ore mi sarei dovuta sposare, e tu hai combinato un bel
casino. Non sai cosa significa avvisare duecento persone, per
dirgli che il matrimonio è rimandato, per colpa del mio ex marito
idiota!” E’ una risata amara, quella che proviene dalle sue labbra.
“Tuo marito”,
sussurra.
“Cosa?”
“Per la legge, sono
ancora tuo marito.
Altro, che ex marito.” Spiega, passandosi una mano tra i capelli bagnati,
a causa della pioggia che ha preso quando è uscito per aprirmi.
“Dio, Edward! Tu mi porti all’esasperazione, come
hai sempre fatto! Se firmi quelle carte, non mi vedrai per il resto della tua
vita. Ma firmale!” Ora sorride, e mi scompiglia i
capelli. Una cosa che ho sempre odiato.
“Non se ne parla,
Bells. Se vuoi puoi dormire sul
divano, sai come si tira giù, no?” Dice, avviandosi al piano superiore.
“Ah, prendi le tue valigie, che sono ancora fuori.” Finisce,
sbattendo la porta della camera.
Odio quell’uomo. Lo odio! Prendo
l’enorme borsa che ormai è diventata letteralmente fradicia, e la
porto nel salone.
Il salone è buio, ed un po’
inquietante, a causa del fruscio degli alberi che si sente da fuori. I mobili
sono sempre lì stessi, e sono messi allo stesso posto di sempre.
Però, non c’è nessuna fotografia, sopra. Mi passo una mano
tra i capelli, prendo un pigiama a caso, e mi dirigo al bagno. Il solo ed unico
bagno che c’è a casa Cullen, è al
piano superiore. Quindi, devo per forza passare davanti alla camera di Edward.
Che una volta, era la nostra camera da letto. Faccio finta di niente, e una
volta dentro al bagno mi cambio, e do un colpo di phon hai capelli ormai
fradici. Mi sarei fatta una doccia il giorno dopo. Metto i vestiti bagnati
nella lavatrice, sperando che Edward non me lì
strappi in mille pezzettini – per tutto quello che sono costati –.
Però, non sono di nuovo indifferente, ripassando dinnanzi alla sua
porta. La apro, lentamente. Cercando di non farla cigolare. Sorrido,
constatando che Edward dorme nella stessa posizione di sempre. A pancia sotto,
con un braccio che si prende quasi tutto il letto. Abbiamo litigato molto, ogni
volta che mi ritrovavo quel braccio sulla faccia, sui fianchi o su qualunque
altra parte del corpo.
Anche la camera,
è identica a tre anni fa.
Il letto di legno, al centro. I due comodini
pitturati proprio da me. L’immenso armadio, e il settimino. Però,
sopra al settimino ci sono ancora delle foto.
Una sua e di Alice insieme. Una di Esme, Carlisle ed Emmett.
Ed una, del giorno del nostro matrimonio. Ed
io sono lì, con un sorriso a trentadue denti. Sospiro, ed esco di corsa
dalla camera, quasi inciampando. Una volta sul divano, prendo il cellulare,
inviando un messaggio a Jacob.
‘Sono
arrivata, va tutto bene. Ora sono in un motel, parlo con Edward domani. Un
bacio, Isabella’.
Lo spengo, e mi addormento, con mille
pensieri che vorticano nella mia testa.
Come ben sapete, gli
aggiornamenti di Non mi lasciare, saranno ogni domenica.
Allora, miei dolci lettori. L’inizio
è stato davvero uno dei più graditi *--* La vostra accoglienza
è davvero splendida, e ringrazio chi mi ha linkato il film. Non lo
ricordavo bene, quindi l’ho rivisto. E devo dirvi che questa storia
sarà molto diversa, dal film.
Insomma, Bella è
scappata di casa, perché ha perso il bambino. Nel corso della storia,
capirete perché ha avuto questa reazione così istantanea.
Ringrazio tutti, dal primo all’ultimo.
Ai preferiti, seguiti, a chi
mi ha messo tra le storie da ricordare, tra gli autori preferite e chi legge
tutte le mie fanfictions.
Grazie.