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Autore: LoveChild    26/09/2010    4 recensioni
Serie di one-shot. Sono donne immaginarie che hanno avuto un ruolo importante nella vita di alcuni personaggi.
Capitolo I - Cassandra Yaxley [Severus Piton]
Capitolo II - Drusilla Balchair [Sirius Black]
Capitolo III - Alice Beetlebum [Bartemius Crouch Jr.]
Capitolo IV - Elizabeth Almond [Regulus Black]
Capitolo V - Glencora Evelyn O'Grady [Nott Sr.]
(dal I al V edit 9/09/2014)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartemius Crouch junior, Nuovo personaggio, Regulus Black, Severus Piton, Sirius Black
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Raccolte'
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Questa fan fiction ha partecipato, classificandosi Prima, all' "Oc's Contest [Quando la fantasia dell'autore prende il sopravvento]" di Only_Me

Nick Autore: LoveChild
Titolo:
Glencora Evelyn O’Grady
Personaggi:
Glencora Evelyn O’Grady, Plantagenet Sebastian Nott (aka Nott senior), Theodore Nott
Pairing:
Glencora/Nott senior
Genere:
triste, drammatico
Rating:
verde
Avvertimenti:
/
Introduzione:
Pezzi di vita della madre di Theodore Nott, dall’incontro con il suo futuro marito alla morte.
Dati OC:
Glencora Evelyn O’Grady è una Purosangue scozzese di famiglia aristocratica. Nasce nel 1944 da Mr e Mrs O’Grady. E’ la terza di quattro sorelle: Deirdre, Imogen e Morgause. Ha lunghi capelli color tiziano e gli occhi grigi, entrambi retaggio delle sue origini irlandesi.

 

 

Glencora Evelyn O'Grady

Conobbi Plantagenet ad una festa in casa Black; fu sul finire di agosto, qualche giorno prima della partenza per Hogwarts, prima dell’inizio del mio ultimo anno di scuola. Mi colpì subito: era diverso dagli altri, era adulto. Alto e muscoloso, il viso dai lineamenti duri, perennemente assorto, produceva una serie di rughe sulla fronte aggrottata. I capelli mossi gli arrivavano a metà del collo ed erano di un biondo chiaro. La pelle lattea contribuiva a far risaltare i grandi occhi blu, le ciglia folte ma non troppo lunghe rendevano lo sguardo, già fermo ed indagatore, ipnotico. La bocca carnosa e sensuale era leggermente stretta, come a bloccare qualcosa. Era vestito elegantemente e s’intuiva che ogni particolare era stato curato con minuziosa attenzione. Era l’uomo più affascinante che avessi mai visto. Solo in seguito scoprii che aveva quindici anni più di me, ma allora, certa che non poteva superare i venticinque anni, mi avvicinai a lui con grazia e una certa dose di sfrontatezza, pronta, se non a conquistarlo, a farmi prestare attenzione.

 – Finite Incantatem.

Avevo mormorato con l'aria più seria del mondo. Plantagenet ruotò la testa e la piegò quel tanto che bastava a guardarmi dritto negli occhi. Con un’impertinenza che stupì anche me stessa, assunsi un’espressione stupita.

 – Oh, scusatemi, credevo foste vittima di un Immobilius…

Non rispose, si limitò ad alzare le sopracciglia con aria scettica. Sentii il sangue che cominciava la sua frettolosa risalita verso le guance. 

– Bene, vi chiedo ancora scusa, Signor…?

– Nott. – rispose secco. 

– Buona sera, Signor Nott.

Dopo un piccolo inchino, mi allontanai. Appena fuori dal suo campo visivo lasciai fluire il sangue che avevo trattenuto, fino alle mie guance, la sconfitta mi bruciava cocente nel petto. Durante la breve conversazione, se così si poteva definire, avevo avuto la precisa sensazione che lui fosse un uomo di quelli con cui non ci si possono concedere libertà di nessun genere e per nessun motivo. 

 

***

 Glencora  era seduta composta, ma rilassata, sul pavimento di dura pietra di una delle torri del castello; aveva sciolto la lunga treccia color tiziano e tolto scarpe e calze, il freddo vento di ottobre le pizzicava la pelle, ma lei pareva non farci caso. Stava spesso così, su una torre solitaria a guardare il paesaggio, guardava e pensava. Era dalla metà dell’anno precedente che una domanda la assillava in quei momenti di tranquillità. “Perché nessuno mi ha chiesta in moglie?” Già, perché? Se lo chiese anche in quel momento, mentre i piedi perfetti disegnavano strani arabeschi in aria. Era una Purosangue, era bella, con una reputazione pressoché immacolata, un fisico adatto a donare eredi, e poi era intelligente. Aggrottò le sopracciglia. Intelligente. Era forse quello il suo problema? L’intelligenza? Non ebbe, però, modo di interrogarsi oltre.

– Finite Incantatem.– Sussurrò una voce profonda e vagamente sarcastica alle sue spalle.

 L’istinto l’avrebbe fatta voltare di scatto, ma lo dominò e decise di non girarsi. Con estrema lentezza cominciò a rinfilarsi le parigine, stando bene attenta a non far alzare la gonna eccessivamente, poi infilò le scarpe. Non si mosse.

–Buongiorno, Signor Nott. – Sussurrò. Una specie di sorriso increspò le labbra dell’uomo.

 – Buona sera, vorrete dire, Miss O’Grady. E’ passata l’una da un bel pezzo.

Glencora arricciò il naso e fece una piccola smorfia. 

– Buon pomeriggio, allora, Signor Nott.

Si alzò con grazia e si voltò a guardarlo. Lui se ne stava appoggiato al muro della torre ad osservarla attentamente, questo la irritò enormemente. 

– Ehi!– sbottò – Non si fissa la gente!

– Mia cara, voi non siete la gente. 

– Ma se non ti conosco nemmeno!

Il passaggio repentino dal voi al tu, lo infastidì, perché replicò piccato: 

– Madamoiselle, dovreste avere più rispetto per gli adulti.

–Oh, andiamo! Non puoi avere più di ventitré anni, venticinque al massimo! 

– Ne ho trentadue, Miss O’Grady. Quindici più di voi. 

Lo guardò stralunata.

– V-voi… trentacinque?– inspirò profondamente – Cosa intendeva con “lei non è la gente”?

– Ah!– esclamò con disappunto l’uomo, aggrottando leggermente le  sopracciglia – Vedo che non vi hanno ancora detto…

Glencora, lo fissò come se fosse pazzo, ma un frullio d’ali la fece voltare.

– Mennès!– l’allocco lasciò cadere una lettera tra le mani della ragazza, che lanciò un’occhiata penetrante a

Mr. Nott e poi aprì la busta. Il contenuto le comunicava quanto segue:

“Diletta Glencora,

 è per noi una grande gioia ed un grande onore annunciarti che Plantagenet Sebastian Nott, un gentiluomo del nostro stesso ambiente, ti ha chiesta in moglie. Egli possiede numerose proprietà in Scozia, una vasta proprietà nel Derbyshire e un castello in Irlanda. La sua rendita annuale è di cinquantamila galeoni. Sappiamo bene che la scelta finale tocca a te, ma ti invitiamo a riflettere attentamente sulla proposta. Ricorda che, avendo ormai compiuto diciassette anni, le probabilità di ricevere un’altra proposta di matrimonio sono davvero poche, e che sarebbe imbarazzante spiegare perché una ragazza della tua posizione non ha trovato marito.

Aspettando la tua risposta, ti salutiamo con affetto,

                                                        Mr. and Mrs. O’Grady”
 

– Allora è così?– Sussurrò, assorta. Non le dispiaceva, tutt’altro, era solo stupita. Piantò gli occhi grigi in quelli blu dell’uomo.

– Perché mi avete chiesta in moglie?

Lui fece spallucce.

– E se io non accettassi?

Un guizzo sinistro attraversò gli occhi di Plantagenet Sebastian Nott.

– Non lo farete.

– Come potete esserne certo?

L’uomo si avvicinò e le intrappolò i polsi.

– Perché io vi piaccio Glencora… Ma soprattutto perché io lo voglio.

Probabilmente un’altra donna sarebbe affogata nel mare di quegli occhi, sarebbe soffocata, lei non lo fece. Non abbassò lo sguardo, non vacillò, né tremò, non tese i muscoli, né tentò di divincolarsi. Continuò a fissarlo piatta, finché, ruotando i polsi con leggerezza, poggiò i palmi delle mani sui polsi di lui.

– In cosa consiste il contratto?

Plantagenet lasciò i polsi della ragazza, si voltò verso il parapetto della torre e scrutò con attenzione il panorama.

– Finirete l’anno scolastico, Miss O’Grady. Appena conseguiti i M.A.G.O. fisseremo la data delle nozze, vostro padre ha predisposto che la dote sia composta da Glenn Castle e ventimila galeoni.– detto questo si voltò verso la ragazza e le fece segno di porgergli la mano; quando Glencora gliela porse lui si chinò a baciarle il palmo, e lei suo malgrado arrossì. Plantagenet estrasse dalla tasca un anello. Era una sottile fascia d’argento intarsiata e frastagliata da minuscole ed innumerevoli pietre preziose. Glencora rimase incantata a guardarla mentre lui gliela infilava all’anulare. 

– E’ stato forgiato dai folletti. Viene passato di madre in figlio da sedici generazioni, lo porterete finché il nostro primogenito maschio non lo passerà alla sua futura moglie. Abbiatene cura.

Plantagenet la superò degnandola solo di un’occhiata fugace e lasciò la torre, lasciandola sola. 

 

***

 
I mesi s’inseguivano veloci, e così si trovò alle porte di Maggio. La notizia del fidanzamento era trapelata poco dopo il loro incontro, precisamente con il numero della Gazzetta del Profeta successivo.
La ragazza aveva avvertito il peso consistente di essere la promessa sposa di un uomo importante, temuto, eppure non era mai riuscita a capire fino in fondo gli sguardi di disprezzo, talvolta paura, che alcuni studenti le lanciavano a intervalli regolari. C’erano notti che passava totalmente insonni pensando a sua sorella, Deirdre, ormai sposata da tre anni; si chiedeva se anche lei, prima del matrimonio, non sapesse nulla del suo sposo.
Qualche giorno prima dei M.A.G.O. un avvenimento chiarì quei messaggi oscuri a Glencora. Era seduta all’ombra di una quercia nel parco di Hogwarts, intenta a ripetere per l’esame di Pozioni, quando aveva visto risalire dal lago un ragazzino che doveva avere circa quindici anni; questi le era passato accanto diretto verso il castello e le aveva sibilato, guardandola con disgusto, “Schifosa puttana di Mangiamorte”.
Sebbene l’ambiente della scuola fosse ovattato, Glencora sapeva bene chi erano e, soprattutto, cosa facevano i Mangiamorte. La purezza di sangue per lei e la sua famiglia era fondamentale, certo, ma si era sempre chiesta se ciò che faceva quella gente fosse giusto e scoprire che il suo promesso faceva parte di quella cerchia di persone la poneva davanti ad un dato di fatto: se lui era un Mangiamorte, lei, in quanto futura moglie, non aveva scelta, doveva appoggiarlo.
Si chiese se avrebbero costretto lei stessa a diventare Mangiamorte, se avrebbe dovuto uccidere, seminare terrore e morte. L’angoscia s’impadronì di lei, quando pensò ai racconti di suo cugino Ulster: “Molti pare che dormano… l’Avada Kedavra è una morte dolce, dopo tutto. Ma ve ne sono altri, – un brivido aveva scosso il bel viso dell’uomo – a volte non si limitano ad uccidere, hanno trovato cadaveri in condizioni disumane... Si divertono, giocano con le loro vittime. Non è consigliabile essere in contatto con i mezzosangue e i nati babbani, di questi tempi”.
Visi sfigurati, toraci dilaniati e tanto sangue, ovunque. Ecco cosa aveva iniziato a sognare. I suoi sogni erano affollati da migliaia di paia d’occhi che la guardavano, sguardi minacciosi, disperati, di pena e cordoglio, occhi che piangevano; ma qualsiasi cosa facessero, quegli occhi la fissavano continuamente con aria di rimprovero. Rivedeva il volto insolitamente pallido di suo cugino mentre raccontava ciò che sapeva; rabbrividì pensando che sarebbe potuto capitare ad ognuno di loro, ognuno di loro sarebbe potuto morire per mano dei Mangiamorte, anche soltanto per errore.
Glencora si guardò intorno e il dormitorio le si presentò distorto; più piccolo e stretto, troppo stretto. Si guardò allo specchio: le pupille erano dilatate. La testa le doleva, la sua frequenza cardiaca era aumentata, si sentiva intorpidita e aveva una leggera sensazione di nausea, il respiro si era fatto superficiale e le mani erano diventate ghiacciate e scosse da tremore. Si sedette sul letto e provò a focalizzare l’immagine più bella che le venisse in mente.
Si formarono nella sua mente le coste vicine al castello di Glenn, le lunghe spiagge sabbiose di Donegal, dove lei e le sue sorelle, Deirdre, Imogen e Morgause, facevano lunghe camminate nei pomeriggi d’estate. Poi, uno squarcio di sangue nel ricordo, Imogen aveva sposato Ulster; altro sangue scorse dietro le palpebre chiuse di Glencora, anche Deirdre si era sposata. La lunga spiaggia bianca cominciò a coprirsi di macchie rosse, Morgause fuggiva ma Glencora non poteva che fissare il fiume di sangue che continuava a scendere verso la costa, verso di lei. Spalancò gli occhi impaurita e un grido le morì in gola, poi svenne.

Quando si riprese Mary-Anne, la sua compagna di stanza, le sedeva accanto; non le fece nessun tipo di domanda, Glencora non era il tipo di persona a cui si facevano domande, semplicemente le porse una boccetta lilla e le disse: – Me l’ha data l’infermiera, è una pozione calmante, tre gocce prima di dormire, sotto la lingua. Aiuta a fare sonni senza sogni. – concluse guardandola di sottecchi.

Fu la prima crisi d’ansia che Glencora avesse mai avuto, la prima volta che aveva dovuto prendere una pozione per dormire: non se ne sarebbe liberata mai più.

 

***

 Gli anni erano passati, così lunghi, eppure così veloci. Glencora non era diventata Mangiamorte e, per quella che considerava una segreta fortuna, a causa della sua salute debole le erano spesso risparmiate le penose riunioni private con quel mondo oscuro.
Nove mesi dopo il matrimonio era nato il primo figlio, Sebastian. A diciassette anni suo figlio si era unito ai Mangiamorte. Ricordava ancora l’orrore e il disgusto che aveva provato verso suo marito quando le era stata comunicata quella decisione. Ancor di più ricordava l’orrore e la disperazione alla vista del corpo del suo bambino, morto, per errore. Morto perché un Auror l’aveva colpito durante uno scontro. Ricordava la pelle bianca e soffice del suo viso, i morbidi capelli del suo stesso colore, ricordava di aver immaginato il suo sguardo grigio, vitreo, dietro le palpebre chiuse. Il dolore di quella perdita, si era aggiunto a quello per gli aborti subiti negli anni. Non era debole il suo fisico, questo lo sapeva, era il suo cuore di carta velina che li uccideva, che la uccideva. Come potevano non capire? Non comprendevano cosa volesse dire aspettare ogni notte il ritorno del proprio marito, non sapendo se sarebbe rincasato? E, peggio ancora, riuscivano forse a comprendere il dolore che provava nel sapere cosa suo marito stesse facendo? Per questo ricorreva alle pozioni, per non impazzire, per poter dormire.
Sul Maniero dei Nott, le sembrava, ormai da anni, che non sorgesse più il sole: quel cognome, come un presagio, avvolgeva ogni cosa come la notte. Il freddo e l’oscurità pesavano sul suo cuore leggero che però si ostinava a battere. A volte si odiava, Glencora, perché non riusciva a odiare quel mostro che era suo marito. Non riusciva a odiare quell’assassino. In lui vedeva solo l’amore, e provava un sollievo simile al dolore quando lo sentiva Materializzarsi nell’ingresso del Maniero. Si sentiva colpevole e, allo stesso tempo, sollevata quando si lasciava andare nelle sue braccia forti e fredde. Cercava disperata il calore di quel corpo impietoso, l’amore di quell’uomo distante. Trovava sollievo nel sentire la propria guancia graffiata dalla barba affilata del marito, si beava della vista dei suoi capelli rossicci mescolati a quelli brizzolati di Plantagenet, adorava la sensazione della sua bocca che le sussurrava parole dolci all’orecchio…
Fu durante una di quelle notti, mentre cercava conforto tra le braccia di Plantagenet, che Theodore fu concepito.

 

***

 

Una notte, era ormai inverno, Glencora fu svegliata da alcuni rumori provenienti dal vestibolo del Maniero. Quella notte non aveva preso la pozione perché Theodore, spaventato dai fulmini, aveva voluto dormire con lei. Plantagenet non era ancora tornato. I rumori si fecero più intensi e, pensando si potesse trattare di suo marito, Glencora si alzò e decise di andare a controllare. Percorse silenziosamente il lungo corridoio, a farle luce c’erano solo le fiaccole appese ai muri. Scese per metà la grande scalinata e notò una luce intensa provenire dal salone, guadagnò altri due o tre gradini e ciò che vide le gelò il sangue nelle vene: Mangiamorte. Ve n’erano almeno sette e fra di loro si agitava una vittima imbavagliata. I Mangiamorte bisbigliavano concitati, evidentemente stavano decidendo il da farsi. Una voce fredda si levò dal gruppo e tutti tacquero.

– Sapete bene – disse Plantagenet – che non mi piace affatto che succedano queste cose in casa mia. Quindi facciamo quello che dobbiamo, e facciamolo presto.

Sarebbe voluta scappare via, ma le sue gambe sembravano pietrificate.
Il bavaglio fu rimosso e un urlo spaventoso squarciò l’aria, la tortura era cominciata, infastidito Plantagenet usò l’incantesimo Silencio per ammutolire l’uomo.
Glencora non vide molto di ciò che accadde quella notte, poiché scoprì che il suo cuore non era affatto di carta velina. Lo sentì frantumarsi fragorosamente in mille pezzi.
Un lampo illuminò a giorno l’ingresso: mentre la sua anima volava via, il suo corpo rotolava giù per le scale, privo di vita. Se i suoi occhi grigi avessero ancora potuto vedere avrebbe notato il suo bambino, il piccolo Theodore, che la guardava con gli occhi sbarrati.  

 

FINE

 







Note: E’ stato un parto. Un parto molto doloroso. Ho cominciato a scrivere questa storia circa sei mesi fa, per una raccolta che sto scrivendo, e soltanto il primo mese se n’è andato per calcolare le date… ç.ç

Questa storia era un colapasta! Mi spiegherò meglio, avevo solo due informazioni precise: nel 1955 Nott si unisce ai Mangiamorte e la data di nascita di Theodore (1979/1980). Si aggiungevano informazioni meno precise: la madre di Theodore muore poco dopo la nascita del figlio, Theodore vede i Thestral. Insomma non c’era un’informazione, ma dico UNA, che fosse precisa.

Ergo ho dovuto creare uno specchietto (seguito di una serie di calcoli astrusi) che vi riporto fedelmente:        

1.   Nascita di Theodore Nott 1979\1980

2.   Mr. Nott si unisce ai Mangiamorte 1955

3.   Morte Mrs. Nott poco dopo la nascita di Ted (1982circ.)

4.   Differenza d’età fra Mr. & Mrs. Nott  (15anni)

Nome Nott :  Plantagenet Sebastian Nott 1929  

Nome Mrs. Nott: Glencora Evelyn O’Grady 1944 (fine H. 1961circ.)

Il nome di Nott Senior l’ho dovuto ovviamente inventare perché non ce n’è ha traccia. All’inizio era “Theodore Sebastian Nott” ma mi sembrava troppo ovvio e quindi l’ho cambiato. Bello Plantagenet, eh? xD

Per giustificare il fatto che il signor Nott ha avuto un figlio a cinquant’anni [cosa per nulla normale tra i maghi con il pedigree (concedetemi la battuta)] ho usato un orribile sotterfugio che, spero, mi sarà perdonato. Aver finito questa FF mi ha creato un vuoto siderale al posto del cervello e quindi, anche se sono sicura che ci saranno sicuramente altre note da scrivere, lascio andare. Mi arrendo, insomma! XD Abbiate pietà!  

Dopo queste interessantissime (come no! =.=) comunicazioni passerei ai ringraziamenti: grazie alle pazienti commentatrici quando leggo una vostra recensione la giornata si fa più bella! Grazie a chi ha inserito la mia storia fra le seguite, le ricordate o addirittura le preferite!
Questa è una raccolta a cui tengo tantissimo forse perchè è quella dove riesco ad esprimere meglio la mia inventiva, cosa per me non facile, come avrete notato dalla lentezza degli aggiornamenti. Forse quest'ultima storia è quella che preferisco anche se rimango indissolubilmente legata a Cassandra Yaxley.
So che dovrei rispondere alle vostre amabili recensioni una per una ma ho aspettato talmente tanto per pubblicare questa storia che ora mi sento un po' svuotata quindi spero non me ne vogliate se rimando le risposte al prossimo capitolo. Sappiate comunque che ciò che scrivo è sempre un dono per ognuna di voi e come tale penso che vi appartenga, o, almeno lo spero.
Bisous,
 LoveChild
   
 
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