-…e questo era
l’ultimo valido motivo per cui non hai ragione di
considerarmi pazzo- cinguettò
Dick, col naso per aria e la voce piena di saccente pedanteria.
Jacob, stravaccato
davanti a lui nella carrozza, con il braccio a penzoloni fuori dal
finestrino,
alzò scetticamente il sopracciglio sinistro.
-Davvero?...Allora dovresti spiegarmi perché- tanto per fare un esempio- sulla nave,
col mare in
tempesta, urlando come se ti stesse inseguendo il diavolo, hai tentato
clamorosamente di buttarti giù dalla prua?-
Dick rimase
tramortito per un istante, come se gli avessero appena fatto uno
sgambetto.
-Quello era
semplicemente uno scatto irrazionale! Dovuto al fatto che il comandante
ci
aveva avvisato che, se avessimo imbarcato ancora l’acqua
della tempesta, saremo
affondati entro dieci minuti- si riprese risentito, evidentemente punto
sul
vivo –Anzi, mi meraviglio che quella notizia non ti abbia
nemmeno scalfito-
Ci fu uno scossa
della vettura che per poco non fece cadere Dick dal sedile.
Sulla bocca di Jake
si aprì un sorriso limpido come la neve che rimanda il bagliore
del sole.
-Non è che io sia
rimasto così indifferente
ma, non so te, se io sapessi di
star per
morire, non ci terrei ad accelerare la cosa, cercherei la soluzione.
Infatti,
come puoi notare, siamo qui che ci scambiamo piacevolezze solo
perché tutti si
sono messi a dare una mano per governare la barca. Dopo, naturalmente,
averti
legato all’albero maestro per impedirti di suicidarti-
concluse Jake,
soddisfatto di averlo demolito, sempre con l'intramontabile sorriso
capace di
sciogliere i ghiacciai perenni.
-Le reazioni
sconsiderate nelle situazioni a rischio di vita sono perfettamente
normali-
berciò Dick come una zitella incattivita, risistemandosi sul
sedile.
-Non cercare di
arrampicarti sugli specchi, mio caro- sbuffò Jake, come se
ormai ritenesse che
discutere con Dick fosse uno sforzo inutile –Se non fossi
svenuto come una
femminuccia, la nave sarebbe sicuramente affondata per quei cazzo di
urtoni che
provocavi con quella stramaledettissima aura del cazzo…-
continuò, rimestando
cupamente i ricordi delle scosse di terremoto che avevano investito la
nave,
degli urli disperati di Dick che cadeva in deliquio, e degli Slovacchi
spaventati che si davano da fare attorno alle vele e alle corde.
Avevano sbarcato,
finalmente, con grande sollievo di Dick, che per gran parte del viaggio
non
aveva fatto altro che spargere bile nel mar Nero.
Lì si accorsero che
una fila di lettere del cardinale li aveva di gran lunga preceduti, e
che una
carrozza li aspettava alla stazione di Galati.
-Se hai finito di
adularmi, mi dici con chi dobbiamo prendere contatti adesso?
Perché penso che
il vecchio non avesse in serbo per noi le gioie del campeggio, ma una
stanza,
con dentro un letto, e magari una bottiglia di vodka per scaldarci, o
come
minimo…- l’estenuante logorrea di Dick (talmente
trascinato dal discorso da
essersi scordato le opportune domande fatte in precedenza) si protrasse
a lungo
in argomenti che abbracciavano una delle sue grandi passioni: i
superalcolici,
che un giorno o l’altro avrebbero inferto il magistrale colpo
di grazia al suo
già rovinoso sistema nervoso.
Jacob aspettava solo
il giorno in cui Lucio gli avrebbe trapiantato il fegato
perché Dick imparasse
la lezione.
Dick continuò
imperterrito nei suoi acrobatici voli pindarici, saltando velocemente
di
argomento in argomento, senza evidentemente sentire il bisogno di un
interevento da parte dell’altro.
Jake continuava a
guardarlo, non interessato ad ascoltarlo, naturalmente, ma piuttosto a
capire
quanto potesse resistere parlando senza respirare tra una frase e
l’altra.
“Ma non gli si secca
mai la lingua?!” pensò di sfuggita, sbadigliando
fiaccamente, mentre perdeva di
vista il filo dell’aggrovigliata conversazione di Dick e
tenere gli occhi
aperti e l’attenzione vigile diventava faticoso.
Ad un tratto,
estenuato, alzò una mano a significare che voleva
intervenire in quel dialogo
unilaterale.
-Primo- esordì
bruscamente, prima di dargli il tempo di finire l’ultima
frase -Non mi stupisco
affatto che tu senta più la mancanza della vodka che del
cibo. Secondo. No, il
vecchio non ci ha lasciati sotto i ponti, ma devo avvisarti, mio caro
ubriacone, che saremo ospiti di religiosi. Parlo di religiosi devoti e
retrogradi, che non ti conoscono, e che potrebbero rimanere
scandalizzati.
Intonano salmi, non canti da taverna. Spiacente di infrangere i tuoi
sogni, ma
modera la sete, le parole, i modi, gli esperimenti su quelle cose
verdastre che
ti sei portato dietro…tutto! Niente comportamenti strani.-
Dick, ascoltandolo,
cercava di non sbuffare come un bambino costretto ad ascoltare le
insistenti
raccomandazioni dei genitori, e alzò gli occhi al cielo in
cerca di una
dispensa divina.
Per una volta che
pensava di fare quello che voleva senza le ramanzine del vecchio prete!
Ma gli andava sempre
male: passava da un guardiano a un altro senza riuscire a fare di testa
sua.
Sperava sempre che
qualche santo gli fosse propizio, ma la sfortuna lo tallonava
continuamente
come un cane da caccia che l’avesse scambiato per una lepre.
Naturalmente, a
guardar meglio le cose, quella che lui chiamava
“sfortuna” era una divina
benedizione che gli impediva di fare cose così stupide che
sarebbero state un
vero e proprio suicidio plurimo.
Si chiuse in un
silenzio oltraggiato e non scucì più una parola
fino a che la carrozza non si
infilò in un sentierino sperduto al centro di una
valle fortificata da immense
montagne.
***
-Non è possibile
Bella, veramente…-
-È proprio un bel
casino-
-Se capitasse, non
potremo fare niente. Dovremo ubbidire-
Bella era in preda a
un paralizzante senso di irrealtà. Non
è
vero…n-no…non puo’ essere la volta
buona che muoio… farneticava penosamente
tra sé ma no…non
puo’ essere
vero…certamente…ecco spiegato
tutto…stanno scherzando!
Si sentiva smarrita
come una prigioniera a cui è stato tagliato
l’ultimo ponte di fuga.
In effetti sentiva
meno speranze di sopravvivere che se fosse stata già dentro
la bara che le si
chiudeva addosso, pronta per essere calata sotto terra, nel buio
perenne, pieno
di vermi e ossa, del regno che non vede il sole.
Con una sensazione di
mancamento allo stomaco giro uno
sguardo,
atterrito in modo commovente, sui lupi, che la guardavano ansiosi farsi
sempre
più bianca.
Era in uno stato di
paura tale che anche gli alberi le sembravano le sbarre di una gabbia
architettata dal conte.
-Noi continueremo a
proteggerti finché potremo, Bells, ma di a tuo
padre di tenere carico il fucile con le pallottole d’argento-
fece Sam; il suo
solito tono serio era diventato più grave che mai.
La ragazza aveva lo
sguardo smarrito in pensieri spaventosi.
-Isabella? Ti senti
bene? Mi senti?- fece Quil preoccupato, scuotendola per una spalla.
Isabella si tirò
indietro sobbalzando, concentrando ogni sforzo per trattenere le
lacrime.
La prese un malore di
angoscia claustrofobica.
Respirava peggio di
un’asmatica, si sentiva malferma sui piedi, il cuore in
tachicardia, la testa
che girava come se dovesse svitarsi dal collo, la gola chiusa dalla
nausea, e
la paura che le rimescolava gli organi interni.
Il terreno sotto ai
suoi piedi oscillò bruscamente, fece appena in tempo ad
avvisare tutti di stare
per svenire che Sam le arrivò alle spalle per sorreggerla
prima che cadesse nel
fiume Bistrita.
Sentiva delle voci
che le facevano circolo attorno.
Era stata stesa per
terra, ma il mondo continuava a girare, ed era certa che da un momento
all’altro tutto sarebbe imploso su di lei, risparmiando al
conte la fatica di
ucciderla.
***
Il getto d’acqua
fredda sembrò rianimarla un po’.
Nonostante tutto, aveva avuto
l’effetto di strapparla dalla sensazione di trovarsi al
centro del vortice
implosivo dell’universo, il che le diede il magnifico istante
di sollievo di
cui aveva bisogno da due settimane a questa parte.
I lupi discutevano
intorno a lei, che si limitava ad ascoltare, come una bambina che non
puo’
prendere parte alle decisioni degli adulti.
Bella non aveva più
la possibilità, né il coraggio, di uscire di
notte.
Il conte aveva preso
a girare intorno al villaggio e i lupi avevano riconosciuto il suo
odore.
Il punto focale di
tutto il suo macchinare, spostarsi e tramare era lei.
Bella pensava che i
suoi nervi avessero già raggiunto il punto estremo di
tensione, ma scoprì che
si poteva ancora largamente infierire su di loro senza raggiungere il
tracollo
quando i lupi la informarono che anche altre due assetate vampire non
potevano
fare a meno di girarle attorno.
Bella aveva paura.
Spesso, mentre dormiva, aveva le convulsioni e quando
si svegliava, in lacrime dallo spavento, gettava il aria le coperte e
ululava
-Sono entrati! Sono entrati!-
Charlie accorreva,
venendo scambiato per un aggressore dalla mente ancora allucinata dai
sogni di
Isabella e facendo raddoppiare i suoi strilli.
Era costretto ad
afferrarle le mani che trinciavano l’aria con gesti
scomposti, si faceva
riconoscere diradando lo spavento notturno, le parlava, la calmava, le
prendeva
la testa tra le braccia e la cullava.
-Non voglio morire
papà…- singhiozzava –Non farmi
più uscire, papà. È fuori che aspetta!
È sempre
fuori che mi aspetta…- sapeva che non poteva entrare, ma
ciò che poteva fare
era convincere lei a uscire.
-Sta calma Bells,
calma. È lui che ti manda quei sogni Bells, lo sai, vero?,
ti ricordi che
quello che vedi non sta per succedere, lo sai?, è tutta
fantasia…tutta quella
sua malata fantasia... Qualunque cosa tu faccia non guardare fuori
dalla
finestra. Non guardarlo e non ti succederà niente. Te lo
giuro sulla mia testa,
Bella- diceva, commosso anche lui –Sulla mia testa!-
Bella raddoppiava le
lacrime e si gettava ad abbracciarlo, rinfrancata, poiché
quei discorsi
incoraggianti erano fatti con la vera voce dell’amore, una
voce capace di
risollevare sempre ogni speranza.
-Non voglio dormire-
pigolava –Mi manderà i sogni…-
-Cosa vedi Bells?
Cos’è che ti fa spaventare tanto?-
Isabella non
rispondeva, ma stringeva più forte la presa e ricominciava a
singhiozzare.
-Cosa vedi Bells?-
insisteva.
-Non lo so! Non vedo
niente! Mi…mi tolgono gli
occhi…con…con gli spilli e i cucchiai!...-
strepitava
e qui esplodeva il pianto dirotto inframmezzato di incongruenti grida.
Improvvisamente Bella
si attaccava a Charlie come se una corrente fortissima la stesse
strappando
via.
-Mi chiudono…mi
chiudono dentro un posto stretto, e ridono, e poi…- tentava
di raccontare lei,
agitata e singhiozzante, ancora sotto la violenta impressione di quel
sogno
raccapricciante -…non lo so…poi…fa
buio…c’è puzza…io
puzzo…puzzo di morto...poi
sono nel letto…e…e entrano…entrano, mi
prendono…mi trascinano…mi strappano i
capelli…mi azzannano…ogni brano di pelle che
trovano...-
Non c’era modo di
scucirle qualcosa di più coerente di quello.
A quel punto
Charlie doveva riprendere a calmarla finché non
si addormentava, esausta; ma, a giudicare dall’espressione
tormentata e dai
lamenti che riprendevano pochi minuti dopo, era tutt’altro
che un bene.
La mattina, al posto
di sua figlia appariva una ragazzina magra e occhiuta come un gufo: con
due
enormi occhiaie blu, un coacervo di dolori, la pelle trasparente, e il
viso
sfatto, meno vitale di uno zombie.
Di giorno quella
ragazza pallida e fragile come una tisica non parlava mai dei suoi sogni o del conte.
Charlie raramente si
azzardava a chiederle come stesse o se c’era qualcosa che lui
stesso potesse
fare per aiutarla, ma lei non poteva e non voleva dare
una risposta.
Non voleva mai
parlare della situazione, nonostante ne sentisse su di sé
tutta la gravità e la
minaccia.
Parlarne significava
abbandonare l'ultima speranza di essere solo in un sogno.
L’avrebbe trascinata
in un baratro di vertigine.
Charlie credeva che
stesse diventando pazza, e lei stessa sentiva che la follia la incalzava, che teneva in pugno il suo cervello e lo stringeva come un limone da spremere.
A volte la
sorprendeva a mormorare da sola, o si accorgeva che lo fissava con uno
sguardo
stralunato, come se non lo riconoscesse.
I vicini cominciavano
a mormorare su Charlie.
Sentendo le urla
notturne di Isabella, urla che trascinavano nell’angoscia chi
le ascoltava,
avevano pensato che Charlie la picchiasse nel più crudele
dei modi, che si
approfittasse della sua virtù, che non la facesse
più uscire di casa, che fosse
preso da una furente, e quanto mai insana e incestuosa, gelosia per sua
figlia.
D’altronde Charlie
non aveva mai parlato molto con la gente del villaggio, e ancora meno
da quando
gli era morta la moglie.
Un comportamento così
taciturno e scontroso poteva fare molto cattivo sangue in un piccolo
villaggio
come il loro, dove tutti si conoscevano fin dalle fasce e dove la loro
famiglia
bizzarra e indesiderata si era trasferita cinque anni prima,
sconvolgendo
l’amata e cristallina fissità delle loro vite.
Sembrava impossibile
che scambiassero quel burbero, timido uomo, che faceva il barcaiolo col
barcone
di sua proprietà, per un pazzo.
-Due anni fa gli è
morta la moglie. È possibile che, a furia di rimuginarci,
sia impazzito e
sfoghi il dolore sulla figlia, che le assomiglia molto- dicevano le
malelingue,
specie le signore.
Quel giorno Isabella
aveva raccolto il coraggio per uscire a cercare i lupi mannari.
Mentre camminava per
uscire dal villaggio un coro di bisbigli le si sollevava alle spalle.
Gli abitanti avevano
decisamente notato la sua fisionomia alterata dalla stanchezza, gli
occhi
grandi di paura e la pelle quasi trasparente sulle vene a causa della
debolezza.
Ignorando eroicamente
i pettegoli, che nemmeno pensavano di abbassare educatamente la voce in
sua
presenza, procedette a testa bassa, sperando che, se non li guardava,
loro non
avrebbero guardato lei.
Nella foresta, dopo
che ebbe lanciato il segnale di emergenza, i lupi si erano man mano
raccolti
attorno a lei, ma aveva capito che nemmeno loro avrebbero potuto far
nulla per
difenderla.
Non potevano mettersi
contro il conte; potevano dirne tutto il male del mondo, sputare
schifati
quando parlavano di lui, proteggere i cittadini avvisandoli sui suoi
spostamenti attraverso Bella, ma bastava un suo sguardo un
po’ più severo per
far serrare loro le file e ridurli ad una militaresca obbedienza.
Per una sorta di
gerarchia di demoni minori e maggiori più rigida delle caste
indiane, loro
scattavano agli ordini come chiamati da un fischietto a ultrasuoni per
canidi.
Nonostante si
odiassero per i servigi resi senza fiatare al vampiro, non potevano
fare
altrimenti.
Erano sotto il suo
comando, anzi, se il conte Edward era così deciso a
perseguitarla, avrebbe
chiamato anche loro in aiuto della sua impresa.
E se avesse esaurito
la pazienza di aspettare le avrebbe mandato contro loro, i suoi stessi
amici e
protettori.
Loro,
al contrario del conte, potevano
fare
irruzione in casa degli sconosciuti con o senza l’invito, a
qualsiasi ora del
giorno e della notte.
Da quel giorno Bella
si aspettò i rivolgimenti più orribili alla svolta di ogni momento e si
sentì ancora più in
pericolo di prima.
marpy:
Sono quasi più belle le tue recensioni della mia storia. Ci
ho trovato cose che
nella storia non avevo nemmeno pensato. “Infatti
la tua storia inizia con un assassinio: bellissima l'ambivalenza di
questo
episodio. La vittima “affascinata” e
“sedotta” dalla bellezza e dalla
perfezione del vampiro, accoglie la morte come un piacere inevitabile.
Il lettore,
invece, inorridisce nel leggere la descrizione dell’atto:
è il male che agisce,
è la bellezza che rivela il mostro, è
l’innocenza che soccombe dinanzi alla
malvagità.” Mi sembri talmente ispirata che ti
lascerei scrivere la storia al
posto mio^^
È tutto un “ed il bellissimo, tenebrossissimo,
perfettissimo,
dolcissimo, stupendissimo ed idealizzatissimo vampiro visse per sempre
felice e
contento con Bella, la ragazza normale di cui irragionevolmente ed
irrealisticamente
si innamorò superando la sua sete di sangue”.
Fine. Spero di non incorrere
nemmeno nel clichè del bello, cattivo e dannato che si
innamora e diventa
buono. Qui nessuno diventa buono, coglione e innamorato. Le storie in
cui i
cattivi diventano angioletti amorosi trullalero sono abbastanza.
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…un ringraziamento
speciale a LunaDiInchiostro, la mia betareader che, nonostante
sull’orlo del
suicidio da esami, è riuscita comunque a betare.
Arrivederci.
trullitrulli