Per l'ennsima volta,
mi rigirai nel grande letto matrimoniale dalle lenzuola rosse.
Non c'era freddo, non c'era nemmeno caldo, per una volta si riusciva a
respirare, ma...non avevo sonno. O meglio, i pensieri mi impedivano di
dormire come avrei voluto.
Inutile girarci intorno: mi sentivo tremendamente in colpa.
Solitamente non ero brava ad ammettere certe cose, ero fin troppo
orgogliosa, anche non essendo molto sicura di me...
Quella notte, tornati dal disastroso primo giro di perlustrazione, dopo
la mia sfuriata e la sua spiegazione sconvolgente eravamo andati a
cambiarci senza dire nulla, io troppo scombussolata, lui...immaginavo
che pensieri dovesse aver avuto.
Poi ci eravamo infilati sotto le lenzula in religioso silenzio e
avevamo spento la luce. Di parole ne avevamo dette forse anche troppe
per quel giorno. Io di sicuro.
Fortunatamente durante la notte un po' in fondo ero riuscita a dormire
nonostante i dolorosi e confusionali pensieri.
Perché infondo della sua spiegazione non avevo capito
tanto...solo che ero stata io a fare una grandissima cazzata e che
forse entro poco tempo mi sarei ritrovata senza un compagno per la
missione, visto il suo coinvolgimento personale.
Guardai l'orologio: erano le 5.30...la luce cominciava ad illuminare la
stanza attraverso la porta finestra semi aperta.
Ho dormito abbastanza,
pensai tanto più che finché fossi rimasta a letto
avrei avuto pensieri sempre più negativi.
Scostai in fretta il groviglio delle lenzuola dai piedi, e mi alzai
anche se ancora con le vertigini.
Cercai le infradito da sotto il letto, e le misi ai piedi sollevandomi
nuovamente. Davanti a me c'era ancora Edward dormiente, proprio come
ieri: un bambolotto nel corpo di un venticinquenne. Quella mattina
però la sua espressione non era rilassata e sorridente come
il giorno prima...e mi dispiaceva sapere che era anche colpa mia.
Mi avvicinai maggiormente a lui facendo il giro del letto, attirata da
quella rughetta sulla sua fronte. Segno di preoccupazione?
Una volta che fui però a pochi centimetri da lui un altro
particolare mi fece aggrottare le sopracciglia. Sul comodino accanto al
letto di Edward, vi era un portafogli marrone chiuso, dal quale
sporgeva un angolo di una fotografia che mostrava un cielo terso e
perfetto.
La curiosità fu troppa perché riuscissi a
reprimerla, e, facendo attenzione a non far rumore, lo presi in mano,
dirigendomi verso il balconcino poco distante.
Aprii leggermente l'anta della porta finestra prima di entrare nel
terrazzino e aprire il portafogli. Sorrisi al pensiero che chiunque mi
avesse visto in quel momento avrebbe pensato che lo volessi derubare...
All'interno di una taschina trasparente vi era una foto ritraente
quattro persone.
La terza era Edward, senza ombra di dubbio. Riconobbi immediatamente i
suoi capelli ribelli e i suoi caldi occhi verdi. Alla sua destra
c'erano invece un uomo e una donna molto belli nonostante
l'età che sembravano comunque avere. Il primo era un uomo
alto, magro e muscoloso, con capelli ramati - lo stesso colore di
quelli di Edward - e occhi azzurro-grigio. La donna accanto a lui
doveva essere sue moglie, una signora elegante e sorridente, gentile
all'aspetto e della quale riconobbi immediatamente gli occhi, verdi
come smeraldi.
Infine, la ragazza alla destra di Edward. Spalancai gli occhi
guardandola più attentamente. La somiglianza tra lei e il
ragazzo era impressionante...lunghi capelli bronzei ondulati, fisico
statuario, pelle lattea e grandi occhi verdi...quelli però
erano piuttosto strani: uno era puntato verso l'obiettivo mentre
l'altro...guardava da tutt'altra parte.
Lo sfondo era un paesaggio di mare, probabilmente greco.
Ero confusa nel guardare quella foto e anche molto interessata, mio
malgrado. Più guardavo l'uomo con i capelli biondi,
più mi sembrava di scorgere una somiglianza con Marcus...
"La mia famiglia, al completo", una voce profonda mi fece trasalire.
Oddio.
In quel momento volli sprofondare nelle profondità
più remote della terra. Avevo forse fatto rumore? E allora
perché si era svegliato scoprendomi a ficcanasare tra le sue
cose?!?!
Non mi voltai nemmeno, mi limitai a chiudere gli occhi dalla vergogna.
Si avvicinò maggiormente a me, sino ad arrivare al mio
fianco.
"Ehi, non mi sembri più nemmeno tu. Da quando non mi
rispondi?", la sua voce era calma, tranquilla. Molto più di
quanto mi sarei aspettata.
Sollevai le palpebre e lo guardai, incontrando i suoi occhi verdi.
Mi sorrise, come per rassicurarmi, per poi distogliere lo sguardo verso
l'orizzonte.
Il paesaggio che mi vedeva dal balcone era davvero splendido, ma prima
ero così concentrata sulla fotografia da non averlo nemmeno
lontanamente notato.
"Mia sorella era splendida...una ragazza unica...", mormorò
come perso in un ricordo lontano.
"Come si chiamava?", chiesi titubante.
Si voltò verso di me, sempre con il sorriso sulle labbra.
Era strano non trovare quel solito ghigno strafottente sul suo
volto...ma in effetti speravo di fare l'abitudine a questa
sfaccettatura del carattere di Edward, così nuova e diversa
da quello che stavo iniziando a conoscere.
"Renesmee, anche se tutti la chiamavano Nessie...", rispose con un
luccichio negli occhi.
Prese ad osservare la foto ancora tra le mie mani e
ricominciò a parlare, quasi tra sé e
sé.
"Mi sembra ancora di vederla, con quei suoi capelli mossi, il corpo
esile...e quegli occhi, quei grandi occhi verdi leggermente strabici
che facevano perdere il senno a tutti... erano davvero magnetici:
più la osservavi, più non potevi fare a meno di
distogliere lo sguardo.", tornò a fissare il mare, gli occhi
spalancati.
"Ti va di raccontarmi cosa le è successo...?", a dire il
vero non ci speravo molto, e infatti non erano nemmeno affari miei,
perciò mi stupii quando lo vidi annuire, spostando lo
sguardo leggermente verso il basso, come se fosse in un qualche modo
divertito.
"Venti giugno 1985: è questo il giorno in cui entrambi
cominciammo a vivere...eravamo fratelli gemelli. Io ero il maggiore,
anche se lei, fino all'ultimo, continuava a sostenere il contrario",
s'interruppe un attimo, appoggiando entrambe le mani alla ringhiera del
balcone. "Eravamo una famiglia molto unita, felice, nonostante i nostri
genitori, Esme e Carlisle, stessero lontano molto tempo, in quanto
anche loro agenti della CIA. "
"Cosa? Davvero? Non sapevo che anche i tuoi fossero spie!"
Sorrise lievemente, un sorriso tirato che non accese i suoi occhi.
"Sì, ed è grazie a loro che questa...professione
è diventata il mio sogno. Comunque...ci predemmo una
vacanza di circa tre settimane tutti insieme quando io e
Nessie avevamo vent'anni...andammo in un paesino dello Stato di
Washington a dir poco orrendo dove i miei abitavano da
giovani...trascorremmo la vacanza tranquilli, ci divertimmo nonostante
la pioggia...Renesmee però, man mano che passavano i giorni,
si faceva vedere sempre meno,", s'irrigidì ancora di
più, "finché, la sera prima della nostra
partenza, non la trovammo più. E con lei erano scomparsi
tutti i suoi vestiti, i suoi libri, tutto..."
La sua espressione era dura, la mascella contratta, gli occhi puntati
verso un punto indefinito. Sembravano bruciare.
"Eravamo sconvolti...e non tanto per il fatto che fosse sparita, ma
perché sembrava un qualcosa di volontario. Cercammo e
ricercammo all'infinito: il paese era piccolo e non c'erano posti
'pericolosi' dove avrebbe potuto nascondersi, eppure...passarono tre
anni, prima che uno dei nostri investigatori privati la trovasse.",
fece una pausa, mentre i suoi occhi si riempivano lentamente di lacrime.
"L'uomo parlò con me al telefono perché i miei
erano in missione ed io mi trovavo in casa loro giusto per studiare per
l'esame finale con alcuni loro vecchi manuali. Mi diede immeditatamente
la notizia...mi disse di andare in un posto... lo feci, ero
felicissimo, così preso dal desiderio di rivederla da non
dirlo nemmeno subito ai miei... ma...quando andai da lui, la
trovai...morta." s'interruppe chinando il capo verso terra.
Rimanemmo in silenzio per pochi interminabili minuti, finché
non risollevò la testa tornando a guardare il cielo.
"Eravamo ancora più sconvolti di prima, lo puoi immaginare,
ma poi, poco dopo la terribile notizia, i miei dovettero partire per
un'altra missione. Ricordo ancora il volto di mia madre, preoccupato ed
amorevole mentre mi diceva che quest'ultima sarebbe stata pericolosa,
di accompagnarli all'aeroporto...non lo feci, ero ancora arrabbiato con
loro perché se non fosse stato per il loro 'lavoro' non mi
sarei ritrovato io con il corpo morto di mia sorella
davanti...eppure...eppure non avrei potuto sapere che mia madre
aveva ragione...che quella sarebbe stata l'ultima che li
avrei visti...se fossi andato all'aeroporto.", fece un profondo
respiro, prima di continuare. Capii che gli costava molto dire a me
quelle cose...mi sentivo in colpa. Immaginavo che trauma dovesse essere
perdere tutta la propria famiglia, ciò a cui si vuole
più bene in assoluto, così, in una
settimana...sapevo perfettamente che tutti, chi prima e chi dopo,
dovevamo morire, ma...così...sembrava molto, molto
più doloroso, nonostante non riuscissi a mettermi nei suoi
panni.
"Durante quella missione sono morti entrambi, uccisi da un gruppo di
criminali. Così sono rimasto solo...solo con me stesso",
concluse. Ormai le lacrime gli rigavano il volto pallido testimoniando
il suo dolore.
Sentii gli occhi pizzicarmi, segno evidente che presto sarei scoppiata
in lacrime anche io.
Tutto, avrei immaginato tutto, salvo che questa storia così
traumatica...
"M-mi dispiace, Edward, i-io non avrei dovuto...scusa, davvero",
mormorai con la voce rotta dai lucciconi di acqua salata che ormai
avevano preso a scorrere sulle mie gote.
Il suo sguardo triste si posò su di me. "Sei la prima
persona a cui lo dico...non voglio che gli altri provino compassione
per me, non voglio elemosinare affetto da nessuno. Quello che mi ha
lasciato la mia famiglia è stato...sufficiente. Adesso sto
solamente continuando ciò per cui avevano faticato molto, la
CIA...", sussurrò passandosi una mano sugli occhi.
Feci un passo incerto in avanti. Qualcosa mi diceva di abbracciarlo, ma
non sapevo se avrei potuto prendermi tutta questa
confidenza...d'altronde ero stata abituata a trattare con lui in vesti
di stronzo pervertito...non avrei mai immaginato...
Gli buttai le braccia al collo e mi strinsi a lui con impeto
singhiozzando.
Mi accorsi solo troppo tardi che lui invece era rimasto immobile come
un pezzo di marmo. Mi allontanai di scatto, un po' impaurita e sicura
di aver fatto male.
"Scusa, è stato più forte di me, io...mi sento
così in colpa, non sapevo nulla, non potevo permettermi di
giudicare, non...", questa volta però fu lui a lasciarmi di
stucco mormorando: "Stai zitta", e abbracciandomi stretta alla vita. Lo
sentivo singhiozzare piano sulla mia spalla in una muta richiesta di
conforto.
Un po' titubante appoggiai le mani sulla sua schiena muscolosa,
percependo brividi lungo il corpo, nonostante sapessi benissimo che non
fosse affatto il momento.
Non avevo mai visto un uomo in lacrime, però lui ne aveva
tutto il diritto, assolutamente, nonostante la cosa mi lasciasse
abbastanza sorpresa.
Perdere tutto in così poco tempo...doveva essere devastante.
Dopo qualche minuto si allontanò da me, con ancora gli occhi
gonfi e arrossati dal pianto.
Sorrise debolmente e si scusò. "Perdonami, sono tre anni che
non reagisco così, ma vedere quella foto...pensavo di aver
ormai superato quella fase..."
Era un po' impacciato, si torturava la nuca con una mano, grattandosela
e tenedo gli occhi bassi...tutto assolutamente nuovo. Lui sembrava nuovo.
Dovetti sbattere le palpebre prima di rispondergli. "Edward...tu non mi
devi nulla. Questa è una cosa che riguarda te. Hai tutto il
diritto di reagire in questo modo, anzi, se non lo facessi forse ti
reputerei un insensibile."
Il suo sorriso si allargò, mesto. "Io sono un
insensibile...è solo in questi momenti che non riesco a
trattenermi...la mia famiglia era tutto...e anche se so che adesso mi
stanno guardando da lassù, mi mancano. Mi mancano le loro
continue ramanzine, le litigate con mia sorella...", fece un sospiro,
"sembro proprio una ragazzina alla sua prima delusione d'amore",
ridacchiò alzando lo sguardo verso di me, nonostante i suoi
occhi ancora lucidi.
"Oh, sì, puoi starne certo...", risposi scuotendo la testa.
Gli porsi la fotografia.
"Questa è tua...mi dispiace di averla presa senza il tuo
consenso...", mormorai guardandomi la punta dei piedi. Mi sentivo tanto
una ladra appena beccata dalla sua vittima stessa...che vergogna.
"No, non ti preoccupare...in fondo ne avevi diritto", sorrise,
prendendo la foto in mano. La fissò a lungo, secondi,
minuti...non sapevo quanto, sapevo solo che era stato per un tempo
interminabile, avevo in testa solo i suoi occhi vitrei mentre la
esaminavano.
Improvvisamente alzò la testa con gli occhi di nuovo lucidi.
"Mi devi promettere una cosa", disse con tono fermo, i suoi occhi color
smeraldo fiammeggiavano.
"Sì", risposi flebile, intrecciando le dita tra loro, in un
gesto di nervosismo.
"Devi fare il possibile per aiutarmi a capire perché
questa foto si trova lì e non dire niente a mio zio di
tutto questo.", rispose fissandomi attentamente, come pronto a scorgere
ogni mio segno di titubanza.
"Sì, tutto chiaro", mormorai. "E' il minimo che possa fare"
Sorrise dolcemente, il primo vero sossiso che gli vedevo fare. Un
sorriso che gli accese anche quegli splendidi occhi che si ritrovava.
Mi prese una mano tra le sue, allontandandola dalla mia. "Grazie, Bella"
* * * * *
"Ricapitoliamo?", chiese Edward.
Eravamo seduti sul letto matrimoniale a gambe incrociate, ripetendo e
analizzando per bene ciò che c'era da fare questa sera. Quel
giorno era lui che dettava le regole ed io, per una volta, forse
l'unica in vita mia, mi imposi di rimanere ferma e zitta e sottostare
'ai suoi voleri'.
"Ok...", farfugliai.
"Guarda che hai promesso", ribatté schietto. Impressionante
come fosse ritornato entro poco l'uomo privo di sentimenti umani come la
compassione. Davvero notevole.
"Losso", risposi attaccando le due parole con fare stizzito.
"E allora ascoltami, benedetto Dio! Allora...come stabilito, questa
notte tu sedurrai Jacob mentre io andrò a cercare altre
notizie in giro per la casa. Preferirei stare lontano dalla stanza per
almeno un giorno"
"Aspetta, aspetta...'sedurrai' non credo proprio che sia il termine
giusto. Io preferirei dire 'tenere impegnato' visto che, per colpa di qualcuno, la notte
scorsa avrebbe potuto avere dei sospetti riguardo a certi spioni in
casa sua.", puntualizzai.
Sbuffò. "Dì quel che vuoi, tanto la sostanza
è la stessa. Adesso che non c'è dovremmo
approfittarne per capire bene cosa dovresti fare...a quanto ho capito
questa notte o domani mattina arriveranno due suoi amici, uno dei quali
è Quil, tra l'altro. E non mi è sembrato che
provasse molta simpatia per te, perciò...vedi, perlomeno, di
metterti nelle grazie di Jacob- una- camicia- manco- morto!"
Storsi il naso. "Si può sapere perché lo chiami
così?"
"Mi pare semplice! L'hai mai visto con una camicia da quando siamo
arrivati? Io no! Credo proprio che ne sia allergico, scusa! Ma
com'è possibile che non si copra manco una volta contata?!"
Ah-ah, gelosetto il nostro agente, eh...
"Solo perché lui ha qualche muscoletto da mostrare in
più rispetto a te...", mormorai senza guardarlo.
"Che hai detto?", strinse gli occhi. "Guarda che io quello lo posso
battere anche ad occhi chiusi!", esclamò spavaldo.
Scossi la testa. "Sembri un bambino.", mi interruppi un attimo, giusto
per pensare tre secondi prima di dire ciò che avevo in mente
da tempo. "Ma si può sapere che fine ha fatto la persona con
cui ho parlato questa mattina?"
La sua espressione divenne dura, seria, severa.
Cazzo, me l'avevano sempre detto di contare fino a sette prima di dire
qualcosa, non fino a tre!
"Non lo so, Bella. Io sono io,
punto", rispose imperturbabile. "E adesso vediamo di pensare a cose
più importanti. Appena Jacob tornerà, tu dirai
che io sono in camera mia con un torcicollo forte come non so cosa e
che ne stai 'approfittando' per divertirti un po'."
"Ma sì, tanto la figura della porca traditrice la faccio
io!", esclamai sarcastica sbattendo le mani a palmo aperto sul letto.
"Bella, hai..."
"Lo so che ho promesso, porca vacca! Ma ti dispiacerebbe evitare di
ripetermelo ogni tre
secondi netti?", esclamai esasperata.
Non ne potevo più di lui e dei suoi cambiamenti... mi
dispiaceva enormente per la sua storia, però anche io ero
umana, anche io potevo sbagliare. "Ah, un'altra cosa: lo so che ti da
fastidio che io te lo faccia notare, ma tendi a nascoderti. Se non ti
avessi visto questa mattina direi che questo", lo indicai
con un frettoloso gesto del dito, "sei tu e basta. Invece ora posso
affermare con certezza che quello che invece eri stamattina...era
meglio, era più umano, nonostante la sua storia traumatica.
Edward, io voglio davvero aiutarti perché penso a come ti
devi sentire in questo momento...", non mi lasciò finire.
"No, Bella, tu non lo sai come mi devo sentire io adesso! Tu non lo
sai! Tu vuoi essere perfetta, vuoi sempre essere al corrente di tutto,
ma ci sono cose che non puoi sapere, e come ci si sente nel perdere
tutto in un istante è una di quelle!"
Chiusi la porta davanti a me, prima di mettermi a piangere correndo via
da lui.
"Mmm...Ciao,
Bella...scusami se sono tornato così tardi...ma mi hanno
trattenuto", mormorò tra uno sbadiglio Jacob entrando dalla
porta sul retro della cucina.
Ah, certo, bella
risposta all'accoglienza calorosissima che gli avevo riservato!
Nonostante ad Edward
avessi detto il contrario, alla fine avevo fatto come mi aveva ordinato
lui, anche se i risultati non sembravano quelli che mi aspettavo.
"Ah...ok...allora a
domattina, Jake", mi finsi delusa, chiamandolo con quel nomigliolo che
sapevo adorava.
"Sì...'notte,
Bella", mormorò aprendo e chiudendo di colpo gli occhi
come un orologio a cucù.
Oddio.
Non appena sentii la
porta della sua stanza aprirsi e chiudersi, mi precipitai anche io su
per le scale, verso la mia stanza.
La trovai vuota: bene,
Edward doveva essere già andato. Non avevo assolutamente
voglia di parlare con lui dopo il modo in cui c'eravamo lasciati.
Avevo un piano: lui
non voleva tornare subito in quella stanza...ma io sì. Ne
avrei approfittato, per una volta.
Soltanto pensare il
suo nome, fece montare nuovamente il senso di colpa, ricordandomi
quello che stava passando tutt'ora. Possibile che i miei sentimenti nei
suoi confronti continuassero a cambiare costantemente? Dall'odio
all'irritazione, dalla compassione all'odio...non ero normale.
Chinai il capo mentre
tiravo fuori la divisa dalla valigia. Mi rimbombava ancora nelle
orecchie la sua ultima esclamazione...aveva ragione. Lui aveva tutto il
diritto di essere lunatico, io ero solo un'egoista. Un'egoista che non
riusciva nemmeno a comprendere le enormi sofferenze degli altri,
pensando semplicemente a ciò che fosse meglio per lei stessa.
Ero orribile, ma
l'avrei aiutato, sarei andata in quella stanza per cercare risposte.
Per lui.
Entro poco tempo fui
pronta, come il giorno prima, con la differenza che adesso ero sola.
Uscii dalla stanza che
era tutto buio, se non fosse stato per i miei occhiali a raggi X.
Sgattaiolai ancora una
volta lungo il corridoio, attenta a non far rumore o quant'altro. Le
voci che avevamo sentito ieri non erano solo fantasie.
Scesi le scale
aspettando i momenti più opportuni, ovvero quelli in cui le
telecamere non mi sorvegliavano, tentando di non pensare che Edward era
a pochi metri da me, che gli poteva star succedendo chissà
cosa...
Mi abbassai di scatto.
Per colpa dei miei pensieri privi di senso stavo per farmi beccare
dalla sorveglianza della villa! Ero proprio una deficiente.
Cercai di ridestarmi e
concentrarmi per una buona volta sul mio lavoro.
Ed ecco che, con un
po' di attenzione in più, arrivai davanti alla famigerata
porta che tanto aveva complicato la missione.
Aprii la porta...anzi,
no, era già aperta...era stata lasciata socchiusa.
Mille brividi mi
attraversarono la schiena: lì dentro poteva
esserci chiunque, la mia vita poteva finire in un battito di ciglia
come per i genitori di Edward...
Avrei rischiato,
faceva parte del mio lavoro, avrei dimostrato a tutti che ne avevo il
coraggio, soprattutto a Edward.
Entrai dentro
velocemente, abbassandomi subito lungo il pavimento.
Ricordavo bene il
meccanismo delle telecamere nascoste, e mi stupii che quelle due che
avevamo messo fuori uso ieri non fossero state riparate.
Bene, meglio
così.
Strisciai sempre
più avanti, fino a trovarmi a pochissimi passi dalla
scrivania. Aspettai con finta calma il momento successivo, ed arrivai
dietro il tavolo.
Una figura scura era
accucciata vicino al cassetto di quest'ultimo, come a cercare qualcosa
smaniosamente.
Oddio,
oddio...sarà stato un tizio losco, un ladro...un assassino...
Per poco non lanciai
un urlo, se non fosse stato per la mano che 'lo sconosciuto' mi aveva
mi aveva appoggiato con irruenza sul volto tappandomi la bocca.
Riconobbi i suoi
occhi, era Edward.
Il mio sollievo e la
mia felicità nel costatare che era lui furono incalcolabili,
così tanto che mi rifugiai tra le sue braccia, spaventata a
morte per ciò che avrebbe potuto essere.
Purtroppo
però la reazione di Edward fu ben diversa dalla mia...
"E tu che ci fai
qui?", sibilò guardandomi truce ed allontanandomi da
sé.
Mi sentii fuori posto,
improvvisamente ricordai tutto.
"Lo stesso motivo per
cui tu sei qui, apparentemente", la mia voce voleva suonare sicura e
convincente come questo pomeriggio, ma era debole, incerta, spezzata.
"Bella, e Jacob cosa
sta facendo adesso??? Ti rendi conto che per colpa tua potremmo essere
scoperti?", era furibondo adesso, sembrava non mi avesse nemmeno
ascoltato.
La colpa era anche sua
però!
Mi avvicinai a lui,
spingendolo più indietro.
"Basta, Edward, non
puoi fare sempre come vuoi! Non, non...", non riuscii a finire,
perchè due mani - le sue - mi trascinarono nella sua
direzione, portandomi giù insieme a lui, in una galleria
buia e strettissima.
Urlai, mi dimenai,
ebbi paura di morire, proprio come quella volta da piccola che mi ero
persa nel bosco di notte.
Finalmente il tunnel
terminò facendoci cadere su di un pavimento duro come il
marmo.
Una luce in
lontananza. Poi...tutto divenne buio.
OK...VI
PREGO, ABBANDONATE ASCE, COLTELLI, COLTELLACCI E RIVOLTELLE...ANCHE TU,
LAGGIù CON QUELLA BALESTRA! GIù
SUBITO!!!!!!!!!!!!!
VA
BENE, ADESSO CI SIAMO!!
MI
SCUSO TANTISSIMO PER IL RITARDINO NELL'AGGIORNAMENTO, MA COME AVRETE
NOTATO, è STATO PIUTTOSTO IMPEGNATIVO E NON SO NEMMENO SE
SIA USCITO PROPRIO COME VOLEVO IO, SPECIALMENTE LA SECONDA PARTE.
EDWARD
HA AVUTO UNA STORIA TRAUMATICA COME AVETE VISTO...ED è
RENESMEE LA SORELLA PERDUTA, OLTRE AI GENITORI ESME E CARLISLE. SPERO
DI AVERE CHIARITO I VOSTRI DUBBI IN QUESTO CAPITOLO, NONOSTANTE IL
FINALE SIA SADICO COME MIO SOLITO ù.ù
DOVE
CAVOLO SI SONO CACCIATI????
BELLA
SI SENTE IN COLPA, NONOSTANTE NON RIESCA A CONCEPIRLO BENE. NON
è UNA PERSONA CON TROPPO TATTO, MA LA STORIA DI EDWARD L'HA
TOCCATA MOLTO, ANCHE SE NON LO DA' A VEDERE NEMMENO A SE' STESSA.
SCUSATEMI,
RAGAZZE, MA IN QUESTO MOMENTO SONO DI FRETTA IN UN MODO ASSURDO!
SAPETE,
DI Là C'è EDWARDUCCIO CHE MI ASPETTA...SAPETE,
NIENTE DI PERSONALE, MA EDWARD è EDWARD! XD
UN
BACIONE, RAGAZZE, A PRESTO!!!!!!!
DOMANI
METTERò LE RISPOSTE ALLE RECENSIONI, STATENE CERTE!! ^^
SPERO
DI NON AVERVI DELUSO...ANCHE SE QUESTO CAPITOLO, COME HO GIà
DETTO, NON MI CONVINCE TROPPO! PROBABILE CHE CORREGGERò
QUALCHE COSINA QUA E Là...
VABBE',
MO' VADO!!!!!
UN
ALTRO BACIO!!!!!!!!!!!!!!
ELE
P.S.
PER CHIUNQUE VOLESSE, VORREI DIRVI CHE HO APPENA INIZIATO UNA NUOVA
STORIA, SI CHIAMA
YOUR
GUARDIAN ANGEL.
^^ ( http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=575558&i=1)
SE
VOLETE LEGGERLA IO NE SAREI FELICISSIMA!
QUESTA
è LA TRAMA =)
Isabella
Swan è una ragazza di diciassette anni a cui viene
diagnosticata la leucemia. Non reagisce male alla notizia, infatti
è convinta che la sua vita non abbia senso, che questa
malattia sia una 'manna dal cielo', mandata per alleviare tutte le sue
sofferenze terrene. All'ospedale di Phoenix incontra un ragazzo dalla
bellezza sconvolgente, Edward Cullen, suo coetaneo che, nonostante le
carattersitiche fisiche, rimane sempre coi piedi per terra. E' qui per
assistere una sua parente in malattia e, giusto per scacciare la noia,
decide di scambiare due parole con Bella. Quest'ultima, piuttosto che
raccontare al ragazzo il vero motivo per cui si trova lì,
inventa una scusa, nascondedogli la sua malattia.
Da
quelle che sembrano poche ed insignificanti parole, nasce un'amicizia
che ben presto diventa un'attrazione travolgente. Purtroppo
però il loro sogno sembrerebbe irrealizzabile,
perché c'è ancora qualcosa che Edward non sa e
che minaccia di distruggere tutto.
Tratto
dal capitolo: "Lo sai che dal modo in cui scrive una persona, si
può capire come essa sia?", mormorò Edward
fissando il mio foglio scarabocchiato. Mi accigliai. "Mi stai dicendo
che faccio schifo?". Sorrise. "No, affatto. Sto dicendo che tu sei
diversa, sei speciale."