Capitolo 8
23 Agosto 1268 –
Pianura di Scurcola
Il Salto era un fiumicello di appena due metri di
larghezza, e si allungava nella stretta pianura tra montagne di Scurcola, ma in
quel momento separava due grandi fazioni: dal lato nord erano schierati i Ghibellini
di Konrad; mentre a sud stavano i Guelfi di Carlo d’Angiò.
I due eserciti erano in formazione da battaglia, e si
scrutavano torvi dai due versanti della pianura. I campi e le tende dei soldati
erano stati smantellati, per dare spazio alla battaglia. Le armi brillavano
accecanti alla luce di un cielo limpido e sgombro.
L’unica cosa che mancava agli eserciti, erano i
rispettivi capi, che ancora preparavano la strategia, nelle retrovie delle
milizie.
***
<< Stiamo perdendo tempo. >> Sbottò Konrad. <<
I soldati si innervosiscono! >>
Federico scosse la testa e lo guardò di traverso.
<< Se non abbiamo una strategia; allora non avremo una vittoria. >>
Disse, serio. << Quante volte te lo ha ripetuto il duca Luigi? >>
Konrad, sentendo nominare suo zio, si scurì ancora di più
in volto. << E io gli ho ripetuto altrettante volte che non sono uno da
sotterfugi e giochetti … >>
<< Come il nostro avversario, temo. >> Si
intromise mesto il senatore Enrico di Castiglia. Tutti lo guardarono, ma lo
sguardo più interrogativo era quello del re. << Tra le file dell’Angiò c’è
Alardo di Valery. >> Sospirò. << Sapete di chi sto parlando?
>>
In molti, soprattutto veterani della Terrasanta,
abbassarono il capo, tristemente. Lo conoscevano di certo, perché era il più
noto e meschino stratega delle file Guelfe.
Konrad cercò di non far trasparire la propria tensione.
<< Voglio dividere l’esercito in due parti. >> Cominciò, attirando
a sé gli sguardi di tutti. << Una parte guidata da me e da Federico di Baden.
>> Osservò gli altri, e capì che non avevano nulla da ribattere,
soprattutto lo stesso Federico. << E l’altra da voi, senatore. >>
Guardò Enrico di Castiglia. << Se siete con me. >>
Tutti i baroni accettarono la strategia di Konrad, anche
se, come lui, non ne erano per niente sicuri.
***
Alardo di Valery stava riflettendo, glielo si leggeva in
viso da come scrutava tutti i baroni di fronte a sé. Sembrava molto interessato
al Maresciallo Enrico di Cousence, che osservava attentamente, in alternanza
con Carlo d’Angiò. Tra i due c’era una discreta somiglianza: stessa statura,
stesso fisico possente, ma una differenza palese: a Cuosence mancava un occhio.
Una grande cicatrice gli attraversava il volto, e l’occhio sinistro era chiuso
e attraversato da essa proprio a metà.
Carlo interruppe il filo dei pensieri del Maresciallo:
<< Alardo, il tempo scorre. >> Si capiva che era a disagio a
parlare in quel modo all’amico, di cui aveva grande stima. << Hai qualche
idea? >>
Alardo fece una smorfia, ma rispose serenamente. <<
Sire, posso chiedervi di togliervi la vostra armatura ed il vostro elmo?
>>
Carlo lo guardò un po’ stupito, ma seguì il consiglio di
Valery, perché era uno dei pochi di cui si fidava. Si ritirò dietro una tenda
con il suo scudiero, mentre Alardo continuava a spiegare il suo piano,
visibilmente soddisfatto. << Ho pensato di dividere il nostro esercito in
tre parti. Se teniamo una schiera nascosta nella valle a sud, avremo un numero
di uomini minore rispetto a quello dei nemici. >>
<< E lo trovate un fatto positivo? >> Domandò
Carlo, da lontano.
<< Certo che sì. >> Rispose Alardo lisciandosi
la barba. << Crederanno di avere la vittoria in tasca, e se venissero sconfitti
dalle prime due schiere, tornerete vittorioso che ottocento cavalieri incolumi,
e sarebbe una vittoria ancora maggiore. >>
<< E se le prime due schiere venissero sconfitte?
>> Domandò ancora Carlo, anche se sapeva già la risposta.
<< La terza uscirebbe allo scoperto. >>
Lo scudiero uscì dalla tenda con una pesante corazza tra
le mani. Lo seguiva Carlo. << Allora, Alardo, mostrami la Valle dove
staremo con la terza schiera. >>
Valery fece per andare seguito da tutti gli altri cavalieri.
Prima di andarsene, prese Enrico di Cousence per un braccio. << Voi no,
Maresciallo. >> Disse con il suo sorriso più malefico. << Ragazzo!
>> Chiamò lo scudiero. << Aiuta il maresciallo. >>
***
Le due schiere adesso erano al completo: Konrad stava in
testa ai suoi uomini dal suo morello, mentre Federico gli stava fiero alla
destra. Osservavano le file del nemico, quando questo si aprì in due ali per
far passare un uomo in sella ad un possente cavallo baio. Aveva un’armatura a
dir poco impenetrabile, senza un lembo
di pelle scoperta. L’unico punto debole erano le giunture: in vita la corazza
si congiungeva ai gambali tramite una sottile cotta di maglia, e la gola aveva
solo le protezioni di un pesante elmo calato sul viso.
Konrad non poté non farsi ancora più nervoso: non aveva
mai visto l’Angiò, ma era sicurissimo che fosse quell’uomo. Infatti, Federico
gli prese un braccio appena lo videro arrivare sul campo di battaglia.
<< Eccolo, l’usurpatore. >> Disse, tra i
denti. Lasciò un lungo silenzio, mentre scrutava il campo di battaglia. Era tutto
pronto, la tensione era palpabile.
<< Ricordi cosa ti ho detto prima di partire da Pisa?
>> Chiese Federico, con la voce resa molto sottile dall’ansia.
Konrad sembrava non avere intenzione di rispondere. Osservava
il suo nemico dall’altra parte del fiume. << Certo che mi ricordo.
>> Rispose dopo un po’, volandosi a guardare l’amico. << Di
combattere ancora più ferocemente di come facevamo a Landshut. >>
Federico lo guardò ancora più intensamente. << Mi
hai promesso di farlo. >>
Konrad tornò a guardare la pianura, e il suo sguardo corse
subito al nemico, nella sua stessa posizione, ma dall’altra parte del Salto. Portò
una mano sopra la testa, abbassò la visiera dell’elmo sugli occhi. << Lui
è mio. >> Disse, a denti stretti. Sfoderò la spada, con il suo che gli
batteva così forte che avrebbe potuto bucare la corazza. Puntò l’arma verso i
nemici, ma il suo sguardo vedeva solo l’Angioino.
Prese un profondo respiro. L’ordine che stava per dare
era il primo, ma poteva anche essere l’ultimo. Ma lui non si lasciava
intimorire. Doveva essere forte, altrimenti i suoi uomini sarebbero stati perduti.
<< All’attacco!! >> Urlò, sentendo che Federico, al suo fianco,
aveva paura. Lo capiva da come stava rigido in sella, lui che era un perfetto cavallerizzo,
e dalle parole che gli aveva detto prima.
Per lui non era la prima battaglia in assoluto come lo
era per Konrad, ma sapendo il re al suo fianco, temeva di non riuscire più a
fermarlo, una volta partito al galoppo verso il nemico.
Infatti fu così: i Ghibellini di Konrad partirono al
galoppo come fossero l’ombra del re, e superarono per la lunghezza il Salto. Ora
erano davanti ai nemici, nessun ostacolo più li separava.
La prima schiera di Angioini fu sbaragliata da Ghibellini
di Enrico di Castiglia, e non resistette all’urto, piegando verso le montagne.
La seconda schiera invece, fu assalita dagli uomini di
Konrad. L’urto fu violento, il clangore delle armi riempì in un istante il
silenzio della valle.
Gli Angioini furono disarcionati per la maggior parte, e
subito dopo venivano finiti dai cavalieri Ghibellini, che passavano in mezzo alle
schiere ormai disunite facendone strage.
Konrad non badò a tutto questo. I suoi occhi guizzavano
alla ricerca del cavaliere che aveva visto prima, di Carlo d’Angiò. In sella al
suo cavallo, con la spada insanguinata in una mano, e lo scudo con il gonfalone
di Svevia nell’altra, scrutava il campo di battaglia alla ricerca del nemico.
Sentì la rabbia crescere dentro, montare a fargli salire
il sangue al cervello; il cuore gli batteva impazzito nelle tempie. Strinse la
presa sull’elsa della spada, anche se era ben salda, e alzò lo scudo vicino al
petto. Non aveva mai provato quelle sensazioni quando era a Landshut, e ipotizzava
una battaglia insieme a Federico. Ora tutto gli stava scivolando dalle mani:
mentre lui combatteva, il nemico era fuggito, e i suoi uomini si battevano con
ferocia contro soldati ormai allo sbaraglio.
C’erano sangue e morti ovunque, lo stesso Konrad aveva
addosso sangue non suo. No, proprio non si era immaginato così la guerra.
E finalmente lo vide: arrancava a cavallo nelle retrovie
dell’esercito, verso uno stretto valico tra i monti. “Sporco codardo.” Pensò Konrad,
facendo partire il cavallo al galoppo. Mentre la figura del nemico si faceva
sempre più vicina, si chiese se Carlo d’Angiò, il grande guerriero di cui si
parlava, fosse uno che scappava in mezzo ad una battaglia, e pensò che stava
facendo un errore.
Lo raggiunse che era ancora lontano dal valico. Il suo
cavallo era stanco, la fuga dalle milizie di Konrad lo aveva spossato.
Konrad strinse le armi. La rabbia si era trasformata in
timore, ora la paura era diventata spavalderia. << Un codardo. >>
Disse a voce alta con disprezzo. L’altro fece voltare il cavallo, e lo squadrò.
Konrad vide palpabile il riguardo che aveva nei suoi confronti. Scese da
cavallo e fece mulinare la spada, mentre anche l’altro lo imitava. “Chissà
quanti corpo a corpo ha affrontato nella sua vita.” Si disse il giovane re,
sentendosi infinitamente piccolo nei confronti dell’Angioino. Ora la sua
spavalderia era tornata ad essere un sordo timore.
Carlo fece mulinare la spada, e gli si gettò contro a
sorpresa. Konrad per un attimo rimase sopraffatto da quel peso inaspettato, ed indietreggiò
di qualche passo. Alzò lo scudo tra lui e il nemico, che cercava di fare della sua
mole un punto di forza, e riuscì a liberarsi.
Carlo allora alzò la spada, ma Konrad non si fece
prendere alla sprovvista e parò con prontezza un colpo che gli avrebbe
sicuramente rotto la testa. Mentre il nemico si preparava ad attaccare di
nuovo, Konrad ragionò sull’avversario: di certo non poteva battere la sua
forza, ma l’Angioino era vecchio e relativamente lento, lui era un ragazzo.
Non gli diede tempo di reagire, e iniziò una serie di
attacchi veloci e mirati, che lo fecero indietreggiare. Konrad parò numerosi
contrattacchi, ma un colpo dell’Angioino andò a segno. Colpì Konrad al volto,
con l’impugnatura della spada.
Il ragazzo indietreggiò barcollando. La ferita bruciava
incredibilmente, sentiva del sangue caldo scivolargli lungo il collo. Rispose all’attacco
colpendo il ginocchio dell’avversario con tutta la forza di cui era capace, e
questi cadde a terra, dando tempo a Konrad di controllare le proprie ferite. Il
colpo dell’Angioino aveva piegato il suo elmo, e la visiera gli aveva tagliato
la pelle. Strinse i denti, e si tolse l’elmo. Gli si annebbiò un attimo la
vista, e la ferita lanciò una stilettata di dolore, ma Konrad non si lasciò
sopraffare. Lasciò a terra lo scudo e buttò l’elmo lontano, pronto ad attaccare
di nuovo.
***
Sul capo di battaglia ormai restavano in piedi solo
Ghibellini, e i nobili di erano raggruppati per decidere casa fare. Federico e
Galvano stavano discutendo, quando da uno stretto valico sentirono provenire il
rumore di cavalli al galoppo.
<< E’ idea di Valery. >> Si infervorò Galvano
Lancia. << Ora noi siamo stremati e loro hanno cavalieri freschi. Abbiamo
anche perso Enrico di Castiglia. Quel vigliacco ha preso i suoi uomini ed è
scappato … >>
Tutti si aspettavano ordini da Federico, mentre lui era
occupato a guardarsi intorno. Un duello attirava la sua attenzione. Ci mise
qualche secondo per spronare il cavallo ed avvicinarsi a Konrad.
***
Il giovare re decise di giocare con la propria agilità, e
con la stanchezza dell’avversario. Fece un paio di finte, e una nuova serie di
attacchi che lasciarono il nemico scoperto sulla sinistra. Konrad se ne stupì:
l’Angioino aveva sempre la guardia alta, sulla sinistra, come se non riuscisse
a vedere. Se ne stupì, ma non si lasciò incantare. Anzi: prese il coraggio a
due mani, caricò la spada. Stava per colpire, quando il nemico si voltò per
evitare il colpo.
Konrad seguì il suo movimento, e girandosi sferrò il suo
attacco: si piegò sulle ginocchia, per dare più forza al colpo, cercò di
infondere all’arma tutta la forza che gli rimaneva. La lama affilata penetrò
nella cotta di maglia intorno alla vita. Lacerò la carne e i tessuti, strappò
un gemito all’Angioino.
Konrad lasciò la presa sulla spada, e l’altro cadde di schiena.
Il ragazzo tremava. Le sue mani erano viscide di sangue,
e tutto il suo corpo sembrava non rispondergli, mentre tornava vicino al nemico
per scoprirgli il volto. Voleva vedere chi aveva appena ucciso, divorato dai sensi
di colpa.
Sentì solo allora il fragore degli zoccoli di cavalli al
galoppo, qualcuno che lo chiamava. Una mano si posò sulla sua spalla, proprio
mentre stava per togliere l’elmo del nemico caduto.
<< Konrad! >> Lo chiamò Federico. <<
Cosa fai? >> I suoi occhi descrivevano al meglio la sua ansia. <<
Gli Angioini avevano dei cavalieri nascosti in una valle, dobbiamo andarcene!
>>
Konrad non disse nulla, prese tra le mani l’elmo del
nemico. << Devo sapere se è l’Angioino, ho troppi dubbi. >> Sapeva
bene che Federico lo trovava inutile, ma era una cosa che il suo cuore gli
diceva di fare. Dovette usare molto del suo coraggio per togliere l’elmo del
nemico, e quando lo fece, vide con orrore che egli non aveva l’occhio sinistro.
<< Non è lui. >> Disse mesto. << Carlo l’usurpatore non è
morto. >>
Federico non gli diede nemmeno il tempo di riprendere lo
scudo. Obbligò Konrad a salire con lui a cavallo, e lo portò via. << E
adesso? Cosa facciamo? >>
<< Enrico di Castiglia ci ha abbandonati. Gli uomini
sono morti quasi tutti e l’Angiò ci ha giocato proprio un brutto scherzo.
>>
<< Cerchiamo di tornare a Roma. E da lì a Pisa.
>>
Cavalcarono insieme per un po’, poi Konrad si decise a parlare: << Non credevo che la guerra fosse così. >>
eccoci qua, di nuovo!
che ne dite di questo nuovo capitolo?
spero che un po' di azione mi sia venuta bene, è tutto quello che posso fare! xD
oltre, ringraziare come al solito le mie mitiche "recensitrici":
Hivy: i tuoi commenti perfidi sono sempre divertenti, ed ecco qua, il nuovo capitolo è dedicato a te, così puoi sognare di sferrare colpi con la tua ascia di guerra xD
Tracywelsh: ho preferito non lasciare troppo tempo tra il vecchio capitolo e questo, comunque bando alle ciance: che te ne pare? spero veramente che ti piaccia.
ciaoo