1. Ossia, la strana giornata della sincerità.
Si
era nella primavera del 1895. Quello fu uno degli anni più prosperi che il
nostro appartamento da scapoli in Baker Street vide.
Era
stata una mattinata stranamente tranquilla. Mi ero insolitamente svegliato verso
le sette e fui sorpreso di vedere il mio coinquilino Sherlock Holmes senza la
sua vestaglia color topo, ma già vestito di tutto punto. Era seduto vicino al
tavolo, dove era stata servita una fumante colazione.
-Buon
giorno, Watson-, mi augurò calorosamente.
-Buon
giorno a lei, Holmes-, risposi cortesemente per poi sedermi vicino a lui.
Sembrava
di ottimo umore e sia il suo appetito che la sua loquacità escludevano
qualsiasi altra ipotesi. Non chiesi nulla su quella sospetta allegria per non
rompere quell’idillio che mi era stato concesso. Quando voleva, Holmes sapeva
essere di eccellente compagnia.
Finito
quel pasto abbondante, il mio amico si alzò di scatto preso da uno di quei suoi
momenti d’iperattività. Io lo seguì con lo sguardo mentre zampettava verso la
sua camera.
Sbattei
più volte gli occhi, incredulo per quella visione. Raramente avevo visto Holmes
così felice. I suoi occhi grigi brillavano di un insolita luce. Proprio due
giorni prima aveva concluso un importante caso, ma poi era caduto nella sua
solita pigrizia. Cosa poteva essere cambiato dal giorno alla notte? Mi alzai da
tavola e ispezionai la stanza, ma non vi trovai niente di rilevante, nessuna
proposta di consulti, nessun caso irrisolto.
-Watson,
cosa ci fa ancora in vestaglia? Si vesta che andiamo a fare una passeggiata!
A
quelle parole mi girai di scatto. Holmes si ergeva di fronte a me, in tutta la
sua altezza, con già il cappotto e il cappello in testa. Non mi stupii della
sua velocità quanto della proposta. Di solito ero io che insistevo per farlo
uscire in quelle occasioni. Accettai immediatamente e non riuscii a reprimere
un ampio sorriso. Decisi di accantonare le mie inutili congetture, che sapevo
non mi avrebbero portato da nessuna parte.
Ci
godemmo la giornata. Londra fu accondiscendente e ci regalò un magnifico sole.
Passeggiammo a lungo e visitammo diversi parchi. Feci notare a Holmes diversi
fiori e uccelli, ma invece delle sue solite risposte secche, ricevetti delle
piacevoli osservazioni.
Passammo
ore serene, finché il tempo non si guastò, obbligandoci a ritornare a casa.
Quando
arrivammo, ordinammo subito alla signora Hudson di preparare il pranzo, che ci
fu servito poco dopo. Durante il pasto, cedendo alla mia smisurata curiosità,
provai a chiedere ripetutamente a Holmes quale fosse il motivo di tanta gioia.
Lui cambiò più volte discorso, così mi rassegnai ad aspettare, come avevo fatto
tante altre volte in passato. Avrebbe deciso lui il momento opportuno in cui
parlarmene.
Dopo
esserci saziati ci sedemmo ognuno sulle rispettive poltrone e, concedendoci una
fumata, ci apprestammo a leggere i giornali del giorno.
Dopo
pochi minuti, Holmes se ne uscì con una strana domanda.
-Lei
crede nella psicologia, Watson?
Alzai
lo sguardo dal quotidiano per posarlo sulla figura rannicchiata di fronte a me.
-Come
prego?
Lui
piegò il giornale buttandolo sul tavolo con fare non curante.
-Le
ho chiesto se crede nella psicologia.
Lo
guardai negli occhi, per cercare uno dei suoi soliti trabocchetti, ma notai
solo una serietà rilassata che non aveva niente a che fare con la sua solita
ironia.
-Uhm,
credo che la psicologia sia una rispettabile scienza e che sia stata molto
utile in molti casi medici, ma non capisco dove vuole arrivare.
Sul
suo volto si fece largo un piccolo ghigno che sparì dietro il giornale appena
recuperato.
-L’articolo
di quest’oggi sul Times parla di un nuovo studio psicologico che spiega
come la sincerità umana venga dall’istinto.
Era
un argomento strano, ma vista la giornata non mi feci troppi problemi.
-Si
spieghi meglio-, chiesi con un briciolo di curiosità.
Lui
alzò lo sguardo verso l’alto e fece un rapido ripasso delle macchie d’umidità
presenti sul nostro soffitto, prima di rispondermi.
-Una
persona sarà sincera solo se seguirà il suo istinto, il suo subconscio.
Io
annuii in segno di comprensione e mi sistemai meglio sulla poltrona. Era
insolito che Holmes s’interessasse a campi di lavoro che non riguardassero il proprio
o che non gli fossero utili per le indagini.
-Qualche
nuovo caso?-, domandai tentando di mettere a tacere la mia curiosità.
Lui
riportò gli occhi di me e mi sorrise.
-Ottimo
ragionamento, Watson-, disse, rispondendo come al solito più ai miei pensieri
che alle mie parole. –Forse sì, forse ne avrò uno più tardi.
Il
suo sguardo per un attimo si fece vacuo e lontano, ma subito ritornò a brillare
di quello strano scintillio che si era risvegliato in lui quella strana
giornata.
-Ora,
invece, voglio testare la veridicità di questo articolo.
-E
come?-, chiesi interessato.
Holmes
si allungò verso di me, concedendomi la sua totale attenzione.
-Proverò
mettendo in atto un semplice giochetto. Io dico un nome e lei mi dice la prima
cosa che le viene in mente, la prima cosa a cui la collega.
Si
buttò contro lo schienale della poltrona e alzò gli occhi con uno sguardo
assorto.
-Per
esempio…
-Lestrade!-,
esclamai io e non senza ragione.
Infatti
il noto poliziotto aveva fatto irruzione della stanza completamente fradicio.
-Yarder!-,
disse Holmes, senza dare all’uomo il tempo per dire niente; -Che, sapendo cosa
penso di Scotland Yard, vuol dire tutto.
Vedendo
la faccia perplessa di Lestrade e il sorriso malizioso di Holmes, non potei
trattenere uno sbuffo divertito.
-Non
so a che giochetto stiate giocando, signori-, sbottò un po’ irritato, –ma…
ispettore Gregson!
Il
poliziotto nominato si fece largo nel nostro piccolo salotto, ma non ci fu
tempo per spiegazioni.
-Lestrade!-,
esclamò il mio camerata continuando imperterrito nel suo esperimento. –Che poi,
in verità, ricollego a Yarder quindi…
Questa
volta non seppi resistere e scoppiai a ridere sotto lo guardo sbigottito dei
due ispettori e quello soddisfatto di Holmes.
Dopo
essermi ricomposto con un lieve colpo di tosse, ma con un malcelato sorriso,
chiesi il motivo di quella duplice visita.
-Abbiamo
già sprecato troppo tempo con i vostri giochetti! Avrete tutte le informazioni
sulla carrozza che ci sta aspettando giù-, proferì con fare sbrigativo Gregson.
Lestrade
fece per ribattere, quando Holmes si alzò in piedi e con un gesto imperioso li
zitti immediatamente. Era in momenti come questi che comprendevo sempre di più
quale ascendente il mio coinquilino avesse sulle persone, di qualsiasi rango,
genere e sesso.
-Avremo
tempo di ascoltare entrambi. Aspettateci giù, arriviamo subito.
I
due poliziotti si avviarono giù per le scale borbottando, ma senza obbiettare
la decisone presa dal mio coinquilino.
Quando
la porta si chiuse, Holmes mi lanciò una maliziosa occhiata d’intesa.
-La
prego, non mi guardi così, se no le risa avranno il sopravvento.
Quell’implicito
elogio sembrò bastargli, infatti si preparò subito per uscire, mettendosi in
tasca i suoi ferri del mestiere.
-Alla
fine, il suo esperimento?-, chiesi mentre cercavo con lo sguardo il mio
cappello disperso nel caos del nostro salotto.
Holmes,
già pronto sulla soglia della porta, me lo sventolò davanti agli occhi.
-Devo
ammettere la veridicità di quell’articolo-, ammise mentre mi aiutava ad
indossare il cappotto. -Se avessi aspettato di più a rispondere, sarebbero
sopraggiunte altre parole alla mia mente, ma quelle che ho detto sono le più
adatte e sincere
Dopo
essermi sistemato il colletto, mi girai verso di lui per rispondergli.
-Allora
mi complimento per la riuscita del suo esperimento e…
-Signor
Holmes!-, m’interruppe una voce imperiosa dal basso.
Rimasi
un attimo a bocca socchiusa, con la frase ancora in gola.
Subito,
in neanche un secondo, la parola che inconsciamente associavo al nome di Holmes
o alla sua figura dinoccolata si fece largo nella mia mente, e la pronunciai
con un sorriso.
-Amico-,
dissi soltanto.
Alzai
gli occhi e li incrociai con i suoi. Per un attimo mi sembrò che ci fosse di
più nascosto tra quei riflessi d’acciaio. Vidi il suo sguardo farsi perso, poi
in neanche un secondo illuminarsi della consapevolezza delle mia affermazione e
infine vidi un sentimento che non riuscii a capire, che non volli capire.
Mi
voltai rapidamente verso le scale e, aperta la porta, uscii. Sentivo lo sguardo
di Holmes bruciarmi sulla nuca, ma lo ignorai continuando a scendere.
Appena
fuori, l’odore di strada bagnata m’inondò le narici. Il tempo incostante di
Londra era cambiato ed ora solo una lieve pioggerellina primaverile
picchiettava sui marciapiedi.
Vedendomi,
Lestrade mi venne subito incontro e mi condusse sulla sua carrozza.
-E
il signor Holmes?-, mi domandò.
Immediatamente
quella parola mi lampeggiò nella mente e io mi ritrovai a sorridere di
cuore davanti alla più pura e semplice verità.
Sarò
stato uno sciocco, sarò stato un ingenuo ma sapevo, so, che Holmes ogni
volta che sentiva il mio nome pensava alla mia stessa medesima parola. Amico.
Non
avevamo bisogno d’altro.
***Angolino
della squinternata***
1) “Si era nella primavera del 1895”. Questa
frase che introduce alla storia non è una mia sbadataggine grammaticale. L’ho
trovata leggendo il Canone e da quel momento mi sono innamorata di questa forma
ormai inutilizzata ai giorni nostri. C’è un perché anche per la data. Gli anni
dal 1894 fino al ritiro di Holmes, come ben sappiamo, sono stati i più proficui
per il nostro consulente investigativo. Ho escluso 1894 perché era stato un
anno un po’ agitato sia per Watson che per Holmes, le cascate erano una ferita
troppo recente e il detective aveva troppe cose di cui preoccuparsi in quella
primavera. Quindi mi sono detta “se il 1894 no, perché non concentrarsi sul
1895 che nei racconti del dottore viene sempre descritto come un anno
straordinario?”. Infatti quell’anno viene risolto brillantemente il caso dei
piani di Bruce-Partigton, avventura che io amo moltissimo e in cui c’è un
Holmes da infarto (rileggetelo e capirete u.u). In più Watson lo chiama per la
prima e ultima volta solo Sherlock. Insomma un anno misterioso, rilassato e
strampalato proprio come questa ff.
2)Sherlock Holmes è euforico, il perché forse Watson lo scoprirà un giorno o forse no. Anche se il motivo di questa gioia è ben chiaro nella mia mente, non era importante ai fini della one-shot così mi sono presa la libertà di ometterlo. Chiedo perdono, ma non avrei saputo dove inserirlo senza creare divagazioni assolutamente fastidiose. Comunque conoscendo gli interessi del detective non dovrebbe essere difficile da intuire.
3)La
psicologia. Qui vi chiedo di concedermi una piccola licenza letteraria. Non so
se nell’epoca tardo vittoriana esistessero articoli di psicologia come quello
letto da Holmes, quindi chiudiamo un occhio e diciamo che, sì, il Times avrebbe
potuto pubblicare un pezzo del genere. Data questa premessa, la domanda nasce
spontanea “Perché Holmes se ne interessa?”, Watson (forse contagiato dalla
deduzione del suo coinquilino) ha indovinato? Qui mi tocca alzare le spalle,
perché non lo so neanche io.
4)L’esperimento
di Holmes è stata la cosa più divertente da scrivere, nonché quella che ha
fatto scattare il resto della storia. Personalmente vedo molto il nostro
consulente destreggiarsi con questo tipo di scherzi. Sappiamo benissimo che la
sua vena ironica è grande quasi quanto quella teatrale, quindi per me è stato
normalissimo vedere Holmes divertirsi così. Se qualcuno non ha apprezzato o ha
opinioni differenti in merito sarò felicissima di sentirle. Sono aperta a nuove
interpretazioni, visto che potrei sbagliarmi. L’unica cosa potrebbe rendervi
perplessi è l’opinione di Holmes su Lestrade. Personalmente penso che i due,
dopo tanti anni, siano diventati praticamente amici. Watson nei suoi racconti
dice che Lestrade passava ogni sera a Baker Street per una chiacchierata e
qualche informazione. Per questo penso che Holmes si sia preso la libertà di
scherzare così. In verità, sia lui che l’ispettore, sanno di avere il rispetto
reciproco. Quindi non prendete le parole con cattiveria, ma come uno scherzo
tra conoscenti di vecchia data.
5)Perché
proprio Gregson e Lestrade? Lestrade lo
volevo mettere fin dall’inizio perché lo adoro, però a quel punto mi mancava il
2° Yarder. Chi scegliere? Subito avevo optato per l’ispettore McDonald, poi
avevo pensato a Hopkins, ma nessuno dei due mi convinceva del tutto. Poi mi è
venuto un flash e sghignazzando la mia scelta è caduta inesorabilmente su
Gregson. Vi ricordate Uno Studio in Rosso? Lo so che è una domanda cretina, ma
vi ricordate? Proprio lì per la prima volta ci vengono presentati sia Lestrade
che Gregson e cosa si dice di loro? Che sono in competizione, essendo i
migliori di Scotland Yard. Durante il sopralluogo sulla scena del delitto
gareggiano e si mandano frecciatine, ovviamente non come faremmo noi del 21°
secolo, le definirei “frecciatine vittoriane” xD Rende l’idea? Bhe, detto
questo avrete sicuramente capito il perché della mia scelta.
6)L’ultimo
punto, spero, è lo sguardo di Holmes. Quante descrizioni avrò letto dei suoi
occhi tra le pagine del Canone! Watson ormai li conosce troppo bene e non
avrebbe fatto fatica a identificare quel terzo sentimento che si celava dietro
quel grigio brillante. Perché non l’ha fatto? Le possibilità sono tante.
Partiamo dal presupposto che Holmes non si aspettasse la parola “amico” da
Watson. Certo, loro sono amici, guai a dire il contrario, ma lui si aspettava
qualcosa del tipo “confusionario”, “geniale”, “coinquilino”, qualcosa che
Holmes avrebbe ribattuto con una delle sue affermazioni secche e sarcastiche.
Scommetto che alla parola “Watson” Holmes avrebbe risposto “Boswell”, non
“amico”. Non per sfiducia o perché non lo consideri un amico vero, ma per il
semplice fatto che Holmes difficilmente ammette apertamente (e a parole) i suoi
sentimenti. Lo fa con i fatti, basta ricordare il finale de”L’avventura dei tre
Garrideb”, ma questa è un'altra storia. Torniamo a Watson, a Watson che guarda
negli occhi Holmes. Immaginate la sua faccia, immaginate la faccia di Sherlock
Holmes stupito. Non capita spesso che il dottore riesca a stupire Holmes.
Quindi si sofferma a guardarlo. Prima vede uno sguardo, per un secondo, perso
(perché Holmes non aveva ricollegato la parola al loro gioco), in seguito dopo
aver fatto i legittimi collegamenti diventa cosciente di come lo definisce
Watson. E poi? Watson preferisce non saperlo, preferisce ignorare quello
sguardo e fare finta di non capire. Per paura di leggerci qualcosa che
l’avrebbe ferito? Per non imbarazzare Holmes? O semplicemente perché sapeva
quale era il sentimento che gli riempiva gli occhi? Lascio a voi la scelta,
sicuramente migliore della mia. (anche se io propendo per tutte e tre insieme,
della serie “incasiniamo gli occhi di Holmes” xD).
Vi
ringrazio ancora della vostra pazienza, perché sorbirsi questo popò di roba non
è cosa da poco.
Infine
dedico questa one-shot a tutti quelli che, finita di leggerla, hanno sorriso.
Se
con le labbra, come Watson, o con gli occhi, come Holmes, non importa.
Grazie
ancora.