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Autore: ginnyx    29/09/2010    4 recensioni
Il vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.
Queste due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le intemperie della vita.
Ma, cercando di perdere quel brutto vizio tipico degli impazienti, partirò dall’inizio, da come e chi scelse quelle due tombe.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Holmes' Private Life2-Ossia, la strana giornata della sincerità

1. Ossia, la strana giornata della sincerità.

 

 

Si era nella primavera del 1895. Quello fu uno degli anni più prosperi che il nostro appartamento da scapoli in Baker Street vide.

Era stata una mattinata stranamente tranquilla. Mi ero insolitamente svegliato verso le sette e fui sorpreso di vedere il mio coinquilino Sherlock Holmes senza la sua vestaglia color topo, ma già vestito di tutto punto. Era seduto vicino al tavolo, dove era stata servita una fumante colazione.

-Buon giorno, Watson-, mi augurò calorosamente.

-Buon giorno a lei, Holmes-, risposi cortesemente per poi sedermi vicino a lui.

Sembrava di ottimo umore e sia il suo appetito che la sua loquacità escludevano qualsiasi altra ipotesi. Non chiesi nulla su quella sospetta allegria per non rompere quell’idillio che mi era stato concesso. Quando voleva, Holmes sapeva essere di eccellente compagnia.

Finito quel pasto abbondante, il mio amico si alzò di scatto preso da uno di quei suoi momenti d’iperattività. Io lo seguì con lo sguardo mentre zampettava verso la sua camera.

Sbattei più volte gli occhi, incredulo per quella visione. Raramente avevo visto Holmes così felice. I suoi occhi grigi brillavano di un insolita luce. Proprio due giorni prima aveva concluso un importante caso, ma poi era caduto nella sua solita pigrizia. Cosa poteva essere cambiato dal giorno alla notte? Mi alzai da tavola e ispezionai la stanza, ma non vi trovai niente di rilevante, nessuna proposta di consulti, nessun caso irrisolto.

-Watson, cosa ci fa ancora in vestaglia? Si vesta che andiamo a fare una passeggiata!

A quelle parole mi girai di scatto. Holmes si ergeva di fronte a me, in tutta la sua altezza, con già il cappotto e il cappello in testa. Non mi stupii della sua velocità quanto della proposta. Di solito ero io che insistevo per farlo uscire in quelle occasioni. Accettai immediatamente e non riuscii a reprimere un ampio sorriso. Decisi di accantonare le mie inutili congetture, che sapevo non mi avrebbero portato da nessuna parte.

Ci godemmo la giornata. Londra fu accondiscendente e ci regalò un magnifico sole. Passeggiammo a lungo e visitammo diversi parchi. Feci notare a Holmes diversi fiori e uccelli, ma invece delle sue solite risposte secche, ricevetti delle piacevoli osservazioni.

Passammo ore serene, finché il tempo non si guastò, obbligandoci a ritornare a casa.

Quando arrivammo, ordinammo subito alla signora Hudson di preparare il pranzo, che ci fu servito poco dopo. Durante il pasto, cedendo alla mia smisurata curiosità, provai a chiedere ripetutamente a Holmes quale fosse il motivo di tanta gioia. Lui cambiò più volte discorso, così mi rassegnai ad aspettare, come avevo fatto tante altre volte in passato. Avrebbe deciso lui il momento opportuno in cui parlarmene.

Dopo esserci saziati ci sedemmo ognuno sulle rispettive poltrone e, concedendoci una fumata, ci apprestammo a leggere i giornali del giorno.

Dopo pochi minuti, Holmes se ne uscì con una strana domanda.

-Lei crede nella psicologia, Watson?

Alzai lo sguardo dal quotidiano per posarlo sulla figura rannicchiata di fronte a me.

-Come prego?

Lui piegò il giornale buttandolo sul tavolo con fare non curante.

-Le ho chiesto se crede nella psicologia.

Lo guardai negli occhi, per cercare uno dei suoi soliti trabocchetti, ma notai solo una serietà rilassata che non aveva niente a che fare con la sua solita ironia.

-Uhm, credo che la psicologia sia una rispettabile scienza e che sia stata molto utile in molti casi medici, ma non capisco dove vuole arrivare.

Sul suo volto si fece largo un piccolo ghigno che sparì dietro il giornale appena recuperato.

-L’articolo di quest’oggi sul Times parla di un nuovo studio psicologico che spiega come la sincerità umana venga dall’istinto.

Era un argomento strano, ma vista la giornata non mi feci troppi problemi.

-Si spieghi meglio-, chiesi con un briciolo di curiosità.

Lui alzò lo sguardo verso l’alto e fece un rapido ripasso delle macchie d’umidità presenti sul nostro soffitto, prima di rispondermi.

-Una persona sarà sincera solo se seguirà il suo istinto, il suo subconscio.

Io annuii in segno di comprensione e mi sistemai meglio sulla poltrona. Era insolito che Holmes s’interessasse a campi di lavoro che non riguardassero il proprio o che non gli fossero utili per le indagini.

-Qualche nuovo caso?-, domandai tentando di mettere a tacere la mia curiosità.

Lui riportò gli occhi di me e mi sorrise.

-Ottimo ragionamento, Watson-, disse, rispondendo come al solito più ai miei pensieri che alle mie parole. –Forse sì, forse ne avrò uno più tardi.

Il suo sguardo per un attimo si fece vacuo e lontano, ma subito ritornò a brillare di quello strano scintillio che si era risvegliato in lui quella strana giornata.

-Ora, invece, voglio testare la veridicità di questo articolo.

-E come?-, chiesi interessato.

Holmes si allungò verso di me, concedendomi la sua totale attenzione.

-Proverò mettendo in atto un semplice giochetto. Io dico un nome e lei mi dice la prima cosa che le viene in mente, la prima cosa a cui la collega.

Si buttò contro lo schienale della poltrona e alzò gli occhi con uno sguardo assorto.

-Per esempio…

-Lestrade!-, esclamai io e non senza ragione.

Infatti il noto poliziotto aveva fatto irruzione della stanza completamente fradicio.

-Yarder!-, disse Holmes, senza dare all’uomo il tempo per dire niente; -Che, sapendo cosa penso di Scotland Yard, vuol dire tutto.

Vedendo la faccia perplessa di Lestrade e il sorriso malizioso di Holmes, non potei trattenere uno sbuffo divertito.

-Non so a che giochetto stiate giocando, signori-, sbottò un po’ irritato, –ma… ispettore Gregson!

Il poliziotto nominato si fece largo nel nostro piccolo salotto, ma non ci fu tempo per spiegazioni.

-Lestrade!-, esclamò il mio camerata continuando imperterrito nel suo esperimento. –Che poi, in verità, ricollego a Yarder quindi…

Questa volta non seppi resistere e scoppiai a ridere sotto lo guardo sbigottito dei due ispettori e quello soddisfatto di Holmes.

Dopo essermi ricomposto con un lieve colpo di tosse, ma con un malcelato sorriso, chiesi il motivo di quella duplice visita.

-Abbiamo già sprecato troppo tempo con i vostri giochetti! Avrete tutte le informazioni sulla carrozza che ci sta aspettando giù-, proferì con fare sbrigativo Gregson.

Lestrade fece per ribattere, quando Holmes si alzò in piedi e con un gesto imperioso li zitti immediatamente. Era in momenti come questi che comprendevo sempre di più quale ascendente il mio coinquilino avesse sulle persone, di qualsiasi rango, genere e sesso.

-Avremo tempo di ascoltare entrambi. Aspettateci giù, arriviamo subito.

I due poliziotti si avviarono giù per le scale borbottando, ma senza obbiettare la decisone presa dal mio coinquilino.

Quando la porta si chiuse, Holmes mi lanciò una maliziosa occhiata d’intesa.

-La prego, non mi guardi così, se no le risa avranno il sopravvento.

Quell’implicito elogio sembrò bastargli, infatti si preparò subito per uscire, mettendosi in tasca i suoi ferri del mestiere.

-Alla fine, il suo esperimento?-, chiesi mentre cercavo con lo sguardo il mio cappello disperso nel caos del nostro salotto.

Holmes, già pronto sulla soglia della porta, me lo sventolò davanti agli occhi.

-Devo ammettere la veridicità di quell’articolo-, ammise mentre mi aiutava ad indossare il cappotto. -Se avessi aspettato di più a rispondere, sarebbero sopraggiunte altre parole alla mia mente, ma quelle che ho detto sono le più adatte e sincere

Dopo essermi sistemato il colletto, mi girai verso di lui per rispondergli.

-Allora mi complimento per la riuscita del suo esperimento e…

-Signor Holmes!-, m’interruppe una voce imperiosa dal basso.

Rimasi un attimo a bocca socchiusa, con la frase ancora in gola.

Subito, in neanche un secondo, la parola che inconsciamente associavo al nome di Holmes o alla sua figura dinoccolata si fece largo nella mia mente, e la pronunciai con un sorriso.

-Amico-, dissi soltanto.

Alzai gli occhi e li incrociai con i suoi. Per un attimo mi sembrò che ci fosse di più nascosto tra quei riflessi d’acciaio. Vidi il suo sguardo farsi perso, poi in neanche un secondo illuminarsi della consapevolezza delle mia affermazione e infine vidi un sentimento che non riuscii a capire, che non volli capire.

Mi voltai rapidamente verso le scale e, aperta la porta, uscii. Sentivo lo sguardo di Holmes bruciarmi sulla nuca, ma lo ignorai continuando a scendere.

Appena fuori, l’odore di strada bagnata m’inondò le narici. Il tempo incostante di Londra era cambiato ed ora solo una lieve pioggerellina primaverile picchiettava sui marciapiedi.

Vedendomi, Lestrade mi venne subito incontro e mi condusse sulla sua carrozza.

-E il signor Holmes?-, mi domandò.

Immediatamente quella parola mi lampeggiò nella mente e io mi ritrovai a sorridere di cuore davanti alla più pura e semplice verità.

Sarò stato uno sciocco, sarò stato un ingenuo ma sapevo, so, che Holmes ogni volta che sentiva il mio nome pensava alla mia stessa medesima parola. Amico.

Non avevamo bisogno d’altro.

 

 

 

***Angolino della squinternata***

 

1) “Si era nella primavera del 1895”. Questa frase che introduce alla storia non è una mia sbadataggine grammaticale. L’ho trovata leggendo il Canone e da quel momento mi sono innamorata di questa forma ormai inutilizzata ai giorni nostri. C’è un perché anche per la data. Gli anni dal 1894 fino al ritiro di Holmes, come ben sappiamo, sono stati i più proficui per il nostro consulente investigativo. Ho escluso 1894 perché era stato un anno un po’ agitato sia per Watson che per Holmes, le cascate erano una ferita troppo recente e il detective aveva troppe cose di cui preoccuparsi in quella primavera. Quindi mi sono detta “se il 1894 no, perché non concentrarsi sul 1895 che nei racconti del dottore viene sempre descritto come un anno straordinario?”. Infatti quell’anno viene risolto brillantemente il caso dei piani di Bruce-Partigton, avventura che io amo moltissimo e in cui c’è un Holmes da infarto (rileggetelo e capirete u.u). In più Watson lo chiama per la prima e ultima volta solo Sherlock. Insomma un anno misterioso, rilassato e strampalato proprio come questa ff.


2)Sherlock Holmes è euforico, il perché forse Watson lo scoprirà un giorno o forse no. Anche se il motivo di questa gioia è ben chiaro nella mia mente, non era importante ai fini della one-shot così mi sono presa la libertà di ometterlo. Chiedo perdono, ma non avrei saputo dove inserirlo senza creare divagazioni assolutamente fastidiose. Comunque conoscendo gli interessi del detective non dovrebbe essere difficile da intuire.

3)La psicologia. Qui vi chiedo di concedermi una piccola licenza letteraria. Non so se nell’epoca tardo vittoriana esistessero articoli di psicologia come quello letto da Holmes, quindi chiudiamo un occhio e diciamo che, sì, il Times avrebbe potuto pubblicare un pezzo del genere. Data questa premessa, la domanda nasce spontanea “Perché Holmes se ne interessa?”, Watson (forse contagiato dalla deduzione del suo coinquilino) ha indovinato? Qui mi tocca alzare le spalle, perché non lo so neanche io.

4)L’esperimento di Holmes è stata la cosa più divertente da scrivere, nonché quella che ha fatto scattare il resto della storia. Personalmente vedo molto il nostro consulente destreggiarsi con questo tipo di scherzi. Sappiamo benissimo che la sua vena ironica è grande quasi quanto quella teatrale, quindi per me è stato normalissimo vedere Holmes divertirsi così. Se qualcuno non ha apprezzato o ha opinioni differenti in merito sarò felicissima di sentirle. Sono aperta a nuove interpretazioni, visto che potrei sbagliarmi. L’unica cosa potrebbe rendervi perplessi è l’opinione di Holmes su Lestrade. Personalmente penso che i due, dopo tanti anni, siano diventati praticamente amici. Watson nei suoi racconti dice che Lestrade passava ogni sera a Baker Street per una chiacchierata e qualche informazione. Per questo penso che Holmes si sia preso la libertà di scherzare così. In verità, sia lui che l’ispettore, sanno di avere il rispetto reciproco. Quindi non prendete le parole con cattiveria, ma come uno scherzo tra conoscenti di vecchia data.

5)Perché proprio Gregson e Lestrade?  Lestrade lo volevo mettere fin dall’inizio perché lo adoro, però a quel punto mi mancava il 2° Yarder. Chi scegliere? Subito avevo optato per l’ispettore McDonald, poi avevo pensato a Hopkins, ma nessuno dei due mi convinceva del tutto. Poi mi è venuto un flash e sghignazzando la mia scelta è caduta inesorabilmente su Gregson. Vi ricordate Uno Studio in Rosso? Lo so che è una domanda cretina, ma vi ricordate? Proprio lì per la prima volta ci vengono presentati sia Lestrade che Gregson e cosa si dice di loro? Che sono in competizione, essendo i migliori di Scotland Yard. Durante il sopralluogo sulla scena del delitto gareggiano e si mandano frecciatine, ovviamente non come faremmo noi del 21° secolo, le definirei “frecciatine vittoriane” xD Rende l’idea? Bhe, detto questo avrete sicuramente capito il perché della mia scelta.

 

6)L’ultimo punto, spero, è lo sguardo di Holmes. Quante descrizioni avrò letto dei suoi occhi tra le pagine del Canone! Watson ormai li conosce troppo bene e non avrebbe fatto fatica a identificare quel terzo sentimento che si celava dietro quel grigio brillante. Perché non l’ha fatto? Le possibilità sono tante. Partiamo dal presupposto che Holmes non si aspettasse la parola “amico” da Watson. Certo, loro sono amici, guai a dire il contrario, ma lui si aspettava qualcosa del tipo “confusionario”, “geniale”, “coinquilino”, qualcosa che Holmes avrebbe ribattuto con una delle sue affermazioni secche e sarcastiche. Scommetto che alla parola “Watson” Holmes avrebbe risposto “Boswell”, non “amico”. Non per sfiducia o perché non lo consideri un amico vero, ma per il semplice fatto che Holmes difficilmente ammette apertamente (e a parole) i suoi sentimenti. Lo fa con i fatti, basta ricordare il finale de”L’avventura dei tre Garrideb”, ma questa è un'altra storia. Torniamo a Watson, a Watson che guarda negli occhi Holmes. Immaginate la sua faccia, immaginate la faccia di Sherlock Holmes stupito. Non capita spesso che il dottore riesca a stupire Holmes. Quindi si sofferma a guardarlo. Prima vede uno sguardo, per un secondo, perso (perché Holmes non aveva ricollegato la parola al loro gioco), in seguito dopo aver fatto i legittimi collegamenti diventa cosciente di come lo definisce Watson. E poi? Watson preferisce non saperlo, preferisce ignorare quello sguardo e fare finta di non capire. Per paura di leggerci qualcosa che l’avrebbe ferito? Per non imbarazzare Holmes? O semplicemente perché sapeva quale era il sentimento che gli riempiva gli occhi? Lascio a voi la scelta, sicuramente migliore della mia. (anche se io propendo per tutte e tre insieme, della serie “incasiniamo gli occhi di Holmes” xD).

 

Vi ringrazio ancora della vostra pazienza, perché sorbirsi questo popò di roba non è cosa da poco.

Infine dedico questa one-shot a tutti quelli che, finita di leggerla, hanno sorriso.

Se con le labbra, come Watson, o con gli occhi, come Holmes, non importa.

Grazie ancora.

   
 
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