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Autore: Aya88    29/09/2010    4 recensioni
A volte il passato può essere doloroso, ma si cerca ugualmente di andare avanti e si può giungere a pensare di averlo superato. Quando però ritorna insieme alla sofferenza e ai sentimenti negativi che l'avevano caratterizzato, le certezze acquisite crollano e per non crollare con esse è indispensabile il sostegno di chi ci sta accanto.
E' questo quello che capiranno i protagonisti, chi in un modo, chi in un altro, tra indagini poliziesche e banchi di scuola.
Prima long-fic, spero possa piacere a qualcuno.
Paring: KakaSakuNaru, InoShika, TsunadeJiraiya, AsumaKurenai.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capiolo VI


 

CAPITOLO VI

 

 Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasfoma,
ma qualcosa resta anche uguale

Molti anni prima, quando la sua vita percorreva ancora binari prestabiliti, non si sarebbe mai sognato di frequentare assiduamente una discoteca; era un ambiente che non  si adattava alla sua indole tutto sommato calma e pacata, tanto più che gli eccessi che lo contraddistinguevano sfuggivano alle regole di buon senso che la sua educazione gli aveva trasmesso. Tuttavia, nel giro di pochi istanti, ogni cosa era cambiata capovolgendosi come un treno deragliato, e lui era finito addirittura a viverci in un locale notturno, a contatto ogni sera con la vendita fin troppo liberale di alcolici e lo spaccio impunito di sostanze stupefacenti; d’altronde, chi gestiva quel posto non sapeva cosa fossero gli scrupoli di coscienza.
Con la schiena appoggiata ad un pilastro e la braccia conserte, Itachi osservava la pista da ballo gremita come sempre da una folla che si scatenava al ritmo frenetico della musica, sotto luci multicolori che si accendevano e si spegnevano ad intermittenza. Dalla sua posizione poteva vedere chiaramente il bancone del bar, intorno a cui nella più totale tranquillità, Kisame aveva già venduto diverse dosi di droga con trattative veloci che non gli avevano sottratto più di qualche minuto.
Più volte, assistendo a quella scena, si era reso conto con una certa inquietudine che, fino a quando sarebbe stato considerato una routine, la criminalità avrebbe sempre avuto facilità d’azione. E anche quella sera una simile riflessione si insinuò a tradimento nella sua mente, ma fece in modo di scacciarla subito, perché senza libertà di scelta pensare era solo dannoso e controproducente.
Quindi tornò a scrutare la situazione generale con distacco, imponendosi di accantonare qualsiasi questione morale, e la sua attenzione ricadde su un ragazzo dai lunghi capelli grigi raccolti in una coda e un paio di occhiali ad accompagnare gli occhi scuri. Lo vide avvicinarsi a Kisame, scambiare con lui due parole e poi ordinare un cocktail al barman. Non era certo la prima volta che lo intravedeva, ma solo allora si chiese cosa sapesse dei traffici illegali dello zio, il noto proprietario della discoteca. Forse aveva colto nella sua espressione qualcosa di diverso, o semplicemente era la presenza di Madara che lo induceva a scorgere dappertutto segreti e sotterfugi.
Come richiamato dai suoi pensieri, un dipendente del locale lo raggiunse, salutandolo formalmente, poi lo avvertì che lo attendevano nell’aria privata, consapevole di non dover fornire nessuna ulteriore spiegazione. Itachi rimase a fissarlo per qualche istante, in silenzio, celando sotto l’apparenza apatica l’insofferenza per quella notizia prevedibile, poi si staccò dal pilastro e avanzò leggermente.
“Ho capito.” Annuì congedandolo.
E mentre il giovane si allontanava ritornando al suo lavoro, lui si ripeté per l’ennesima volta di lasciarsi scivolare addosso qualunque provocazione, diretta o velata, avrebbe dovuto subire. Poi abbandonò la postazione che aveva scelto un’ora prima, ben conscio di non poterla occupare a lungo, e si diresse in una zona molto distante dalla pista da ballo, dove individuò la saletta che gli interessava, riconoscibile dagli scagnozzi vestiti di nero all’ingresso. Questi lo lasciarono entrare senza fare alcuna storia. Dentro due uomini lo aspettavano seduti comodamente su un divano ad angolo, l’uno di fronte all’altro, davanti ad un tavolino basso e ad una bottiglia di buon vino rosso. Il proprietario Orochimaru, col volto pallidissimo illuminato da inquietanti occhi color ambra e incorniciato da lunghi capelli neri, faceva ondeggiare il liquido rosato muovendo con delicatezza il bicchiere che aveva nella mano destra, mentre Madara Uchiha, colui che aveva stravolto la sua vita, posò il proprio non appena lo vide e gli rivolse uno sguardo in cui Itachi lesse la consueta soddisfazione.
“Benvenuto tra noi, caro nipote. E’ trascorso molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, così ho pensato di dover rimediare. E devo dire che ti trovo bene, mi fa molto piacere.” Esordì, con un tono e un’espressione che riproponevano la solita affettata gentilezza. “Prima che arrivassi” continuò poi, sapendo che non avrebbe ricevuto nessuna risposta, “stavamo parlando degli ultimi avvenimenti. La polizia è sempre un problema da non trascurare, tanto più se tra chi indaga vi è il tuo caro fratellino.”
Ecco che arrivava la prima provocazione, pensò Itachi; e come si era ripromesso poco prima cercò di ignorarla, ma non aveva fatto i conti con i ricordi.
“Qualche giorno fa ho anche visto una sua intervista, sembrava molto sicuro di sé e padrone della situazione, niente a che vedere con il bambino di una volta.”
Ancora parole, parole inclementi, che colpivano il bersaglio. Non l’aveva visto crescere Sasuke, non aveva potuto farlo, e Madara lo sapeva perfettamente. Di lui gli rimanevano solo immagini sfocate, bloccate dal tempo perduto; un bambino di dieci anni silenzioso e solitario, ma capace di illuminarsi davanti a qualcosa che suscitava il suo interesse o davanti ad una promessa di uscire insieme, oppure concentrato nello svolgere i compiti scolastici, speranzoso di ottenere un suo complimento. Frammenti che volavano confusi nella memoria, e che quando si era imbattuto nell’intervento al telegiornale avevano rischiato di disintegrasi come se non fossero mai esistiti. Aveva dovuto faticare davvero molto per riconoscerlo; il poliziotto che rispondeva ai quesiti con tono distaccato e professionale non sembrava avere niente di suo fratello, al di là della capigliatura che ricadeva in ciocche scomposte sulla fronte. In lui aveva visto solo freddezza, troppa, e ne aveva avvertito tutta la responsabilità; era riuscito a difendere la sua vita ma non la sua anima dal dolore. Ripensando ai fotogrammi di due giorni prima, succedutisi davanti ai suoi occhi opachi, un violento senso di colpa calò su di lui opprimendolo. Conservò tuttavia un’espressione imperturbabile, mentre soffocava nel pugno destro, stretto fino a fare male, la frustrazione.
“Comunque” disse Madara, apparentemente noncurante dell’effetto delle sue parole, “finché i nostri contatti nel liceo di Konoha non vengono scoperti possiamo stare tranquilli, senza contare che non c’è nient’altro che leghi lo spaccio di droga alla discoteca Alba.”
“Tuttavia bisognerebbe prevenire ogni rischio.” Intervenne il proprietario del locale, rimasto fino a quel momento in silenzio ad assecondare la pressione psicologica del collega d’affari.  
Depose poi anche lui il proprio bicchiere sul piccolo tavolino cessando di tormentare il vino.
“Forse sarebbe opportuno trovare un altro posto dove nascondere la droga e non più qui.” Spiegò.
“Sì, è un’idea. Tu che ne pensi, Itachi?”
Lo spacciatore provò un muto disappunto per essere stato interpellato, ma rispose in modo da non concedergli ancora soddisfazione.
“Può essere utile.” Commentò atono.
“Bene, allora vedrò cosa posso fare. Adesso, però, direi di passare ad altro. Una bella partita a carte è quello che ci vuole”. Replicò Madara, alzandosi dal divano seguito a ruota da Orochimaru.
Poi, con un mezzo sorriso quasi beffardo, invitò anche Itachi a partecipare, ma questo rifiutò con finta cortesia per liberarsi dall’insostenibile situazione. E chiusasi finalmente la porta alle spalle, pensò che aveva bisogno di qualcosa di fortemente alcolico, così da scogliere il turbamento e recuperare un equilibrio.

.

 

 
Quella mattina, dopo pochi giorni di tregua, il freddo pungente era tornato di nuovo ad avvolgere la città, infrangendo le illusioni di chi aveva interpretato il leggero aumento delle temperature come il presagio di un inverno meno rigido del solito. Il fastidio e la noia però non avevano avuto vita lunga, sommersi ben presto dalle incombenze quotidiane.
L’ispettore Sasuke Uchiha non era stato tra coloro a sprecare un solo secondo del suo tempo in preoccupazione simili; anzi, come suo solito, si era alzato molto presto e aveva sbrigato con calma tutte le operazioni mattutine, registrando il cambiamento climatico per puro e semplice senso pratico, così da recuperare dall’armadio una maglia più pesante ed aggiungere all’abbigliamento di tutti i giorni una sciarpa blu. Dopodichè era uscito di casa per immergersi in una nuova intensa giornata di lavoro, come faceva ormai da cinque anni a quella parte, inseguendo criminali e fantasmi del passato, fantasmi che si insinuarono nei suoi pensieri al secondo sbadiglio che non riuscì a trattenere, mentre attendeva impaziente uno dei suoi informatori, seduto su una fredda panchina del parco spoglio e quasi deserto.
La notte precedente era rimasto fino a tardi nell’archivio del commissariato, sfogliando con Izo-san dossier e schedari, per trovare tracce che riconducessero ad un'unica persona, l’ossessione della sua vita nel bene e nel male; e la stanchezza ne era uno dei postumi inevitabili.
Nel ripensare a quelle ricerche notturne, il ricordo lontano di Itachi lo colpì all’improvviso procurandogli un familiare tremore di sentimenti confusi.
La strada più semplice sarebbe stata quella di considerarlo morto nel preciso istante in cui aveva ucciso il loro padre, ma volente o nolente non era stato in grado di recidere il legame che li univa, ne aveva solo cambiato la forma. Da quando la realtà l’aveva travolto con tutta la sua durezza, si era prefissato l’obiettivo di sbatterlo in galera, volontà che si era rinsaldata nello scoprire i contorni della verità che ancora sfuggivano. Avrebbe ricordato per sempre il giorno in cui si era presentato da lui e da sua madre Hito Yashima, uno dei più stretti collaboratori del padre nella gestione dell’azienda di trasporti, così come avrebbe rammentato per sempre ogni sua singola parola.
Stando al racconto dell’uomo, di cui non aveva avuto alcun motivo di dubitare, in tutti quegli anni egli era sparito per timore di ritorsioni da parte della criminalità organizzata; era, infatti, l’unico ancora in vita a sapere che grazie alla complicità di organizzava il lavoro degli autisti, tra cui lo stesso Itachi, la ditta era stata utilizzata come copertura di un traffico illegale di droga. Ovviamente anche Fugaku Uchiha l’aveva scoperto, ed era quello il reale motivo per cui era morto, non un inspiegabile comportamento del figlio maggiore, come avevano concluso gli inquirenti prima di archiviare il caso.
Sasuke aveva ascoltato attentamente quella nuova verità, senza porre alcuna domanda, sebbene se ne affollassero tante nella sua testa. Quando poi la conversazione era ripiegata sul perché l’uomo li avesse cercati solo in quel momento e dove fosse stato in quel lungo periodo, l’iniziale interesse era ormai svanito, e il diciottenne si era perso a contemplare il fumo che usciva dalle tazze di tè caldo, confuso e costernato. Avrebbe sfogato la rabbia e il dolore solo un’ora dopo, nella solitudine della sua camera, sferrando un calcio violento contro il muro e reprimendo a fatica lacrime amare. Anche la debole speranza che Itachi non volesse davvero uccidere si era dissolta in una bruciante illusione: suo fratello non era altro che uno sporco criminale. Un consapevolezza che gli era entrata dentro come un cancro insanabile, seppellendo sotto cumuli di odio e rancore l’ultimo residuo di amore per la figura ideale che aveva colorato la sua infanzia.
L’ispettore Uchiha abbassò lo sguardo, freddo e impenetrabile come quella mattina d’inverno, fissando apparentemente l’erba del prato, poi chiuse gli occhi e espirò, cercando di purificarsi dalle scorie del passato. Fu però la voce di chi stava aspettando ad aiutarlo maggiormente nel suo intento, spazzando via in un attimo ogni possibile pensiero.
“Buongiorno, ispettore. Non abbiamo dormito molto?” Gli chiese l’informatore mentre si sedeva al suo fianco, iniziando a sfogliare una rivista senza un reale interesse.
Sasuke sobbalzò, riaprendo le palpebre di scatto e ritornando all’istante in posizione eretta; perso nelle proprie sensazioni, non si era accorto minimamente dell’arrivo dell’uomo.
Si ammonì mentalmente per quella distrazione, sebbene fosse giustificata, poi riprese il giornale abbandonato sulla panchina e finse di leggere un articolo in prima pagina, ripetendo uno schema ormai abituale. In commissariato era, infatti, lui ad avere i principali contatti tra gli informatori, per via delle sue segrete ricerche personali, e nella maggioranza dei casi li incontrava per ricavare notizie utili per le indagini.
“Allora, hai saputo niente di questo possibile spaccio di anabolizzanti?” Domandò atono senza alcun preambolo.
L’altro non rispose subito, ma girò con calma un’altra pagina.
“Ho parlato con alcune vecchie conoscenze e sembra effettivamente che ci sia. Va avanti da qualche mese.” Disse poco dopo.
“Conosci qualcuno che vi è coinvolto direttamente?”
“Sì, ci ho avuto a che fare tempo fa. Si chiama Kaito Oshiba.”
“Bene. E sai dove possiamo trovarlo?”
“Questo purtroppo no, però so che frequenta la palestra.”  
“Ok, meglio di niente”. Commentò Sasuke, piegando in due il giornale e simulando di interessarsi a qualcosa scritto in fondo alla pagina. “E… riguardo al solito?” Chiese poi incerto.
Non poteva fare a meno di porre quel quesito, sebbene avesse iniziato la conversazione allontanando l’angoscia legata all’argomento.
“Nulla, ispettore. Mi dispiace. Evidentemente non è nel mio giro.”
“Capisco.” Replicò, soffocando un’ennesima volta la delusione.
Poi si alzò dalla panchina e lasciò da solo l’altro uomo, che lo guardò andare via osservandolo con espressione seria. Che un poliziotto ricercasse in modo così ossessivo un criminale, con cui tra l’altro sembrava avere un qualche rapporto di parentela, non gli lasciava pensare a nulla di buono.

 

 

 
Un brivido improvviso salì veloce lungo la spina dorsale e Ino si strinse nelle spalle, maledicendo il tessuto ancora troppo leggero del suo pigiama. Subito si voltò per cercarne la causa, e la individuò nella finestra della cucina lasciata incautamente aperta, quindi si affrettò ad alzarsi dalla sedia e si precipitò a chiuderla, per poi rimanere a fissare il panorama esterno con cipiglio contrariato. Avrebbe preferito una cornice diversa per quella giornata, invece la natura non aveva voluto assecondare le sue aspettative: il cielo coperto da nubi grigie, con pochissimi spiragli per la luce solare, contribuiva solo a metterla di pessimo umore.
Sbuffò annoiata, riportando dietro le orecchie alcune ciocche di capelli biondi, liberati durante la notte dalle costrizioni dell’abituale coda di cavallo. Poi ritornò allo yogurt magro abbandonato in fretta e in furia, si sedette di nuovo e immerse il cucchiaino nel contenitore di plastica con un pizzico di nervosismo. Delle stupide condizioni atmosferiche non avrebbero influito sui suoi progetti, così come non lo avrebbe fatto nessun altro aspetto della realtà esterna; esistevano solo lei, Shikamaru e il loro rapporto, doveva ficcarselo in quella stupida testa che si ritrovava.
Finì di consumare l’esigua colazione per cui più volte Sakura la rimproverava, poi liberò la tavola dai pochi resti e si recò in camera da letto, recuperando la divisa scolastica dalla sedia e vestendosi con cura davanti allo specchio dell’armadio. Al termine ammirò soddisfatta la sua immagine riflessa per qualche istante, poi raggiunse il bagno dove sistemò e rilegò i capelli.
Infine, tornò nella cucina che fungeva anche da soggiorno, vagando con lo sguardo per tutta la stanza; niente sembrava essere fuori posto, eccetto alcune foto sparse sul tavolino vicino al divano.
Da quando viveva anche lei a Konoha, di solito cenava sempre insieme a Shikamaru, sia per salvarlo dall’arte noiosa dei fornelli, sia per stare un po’ da soli dopo una lunga giornata di lavoro, chiacchierando tranquillamente del più e del meno. La sera prima, invece, l’aveva congedato con la finta scusa della stanchezza, nascondendo dietro un mezzo sorriso i pensieri che fluivano veloci, dal rimprovero all’amico per la sua scarsa perspicacia in certe faccende alla difficoltà di pronunciare due semplici parole. Poi era entrata in casa, e la prima cosa che aveva fatto era stata ricercare un vecchio album fotografico. Aveva sentito il bisogno improvviso di riguardare quella familiare successione di istanti, per intravedere attraverso di essa il filo lineare e a volte contorto del loro rapporto, tutto ciò nella speranza di trovare il coraggio per prepararsi ad un possibile cambiamento. E così era accaduto. Raccolse le foto, sottratte dal raccoglitore per poterle osservare meglio, le riunì insieme e andò a riporle nel primo cassetto della scrivania. L’avrebbe ricollocate al loro posto originario non appena ne avrebbe avuto l’occasione. Indossò il giubbotto e prese lo zaino ancora chiuso dal suono dell’ultima campanella, uscì dall’appartamento e raggiunse quello di Shikamaru al piano sottostante.
Mentre attendeva che l’amico venisse ad aprirla, si ricordò di quando a scuola ci andavano seriamente e delle attese a volte snervanti nel vicolo dove vivevano. Dopo minuti che apparivano interminabili a causa della consapevolezza di essere già in ritardo, lo vedeva arrivare sbadigliando e con lo sguardo assonnato, incurante del tempo che scorreva quasi fosse un particolare insignificante, E anche quella mattina, a conferma di come certe abitudini non cambiano mai, una scena non dissimile si presentò alla sua vista.
“Non c’era… bisogno di suonare due volte.” La salutò l’ispettore, interrotto da uno sbadiglio che nascose a stento con la mano sinistra, mentre con l’altra reggeva una cartella marrone.
Ino sollevò un angolo della bocca in un sorrisetto ironico.
“Lo immagino.” Replicò. “Ora però sbrighiamoci che tanto per cambiare è tardi.”
Shikamaru mugugnò come risposta qualcosa di incomprensibile, poi chiuse a chiave la porta di casa e la seguì giù per le scale.
Raggiunta la macchina nel parcheggio retrostante la palazzina, ognuno salì al proprio posto, lui a quello di guida, lei al fianco del conducente. Come avevano stabilito da quando lavoravano sotto copertura, il collega l’avrebbe accompagnata in un parco a due isolati dalla scuola per poi raggiungere l’istituto da solo, così da evitare il sorgere di spiacevoli collegamenti tra di loro.
Man mano che si avvicinavano alla prima meta di quel viaggio in auto, Ino avvertiva l’agitazione aumentare sempre di più. Durante la notte precedente, mentre si rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno, aveva meditato a lungo su come introdurre la questione, su quale sarebbe stato il suo primo gesto, su cosa avrebbe detto o fatto subito dopo; ma, in quei minuti, tutto ciò che aveva programmato non sembrava aiutarla in nessun modo. Riusciva solo a guardare fuori dal finestrino e a lanciare qualche breve occhiata al profilo dell’autista.
Tuttavia, quando svoltarono in una traversa e i primi alberi del parco furono visibili in lontananza, cercò di scuotersi dallo stato di impotenza in cui era scivolata: o si dava una mossa ora, o avrebbe difficilmente ritrovato il coraggio, pensò tra sé e sé.
“Shikamaru, cosa pensi dei cambiamenti?” Fu l’unica cosa che fu in grado di dire, con un leggero tremore nella voce che sperò passasse inosservato.
Ancora intontito dalla stanchezza l’ispettore non lo percepì, né diede particolare peso alla domanda considerandola una delle tante.
“Beh, possono essere positivi ma anche negativi, dipende.” Rispose in modo fin troppo scontato; e Ino gli avrebbe volentieri dato un pugno in testa per scoprire dove fosse in quel momento il suo rinomato quoziente intellettivo.
“Già, è il ‘dipende’ il problema.” Commentò la ragazza dopo qualche istante, continuando ad osservare l’esterno.
Quando però la vettura iniziò a rallentare, provò a tenere a bada la tensione che provava e a raccattare tutta la determinazione che le era possibile; strinse i pugni sulle ginocchia e si lasciò andare ad un respiro profondo.
Shikamaru accostò al ciglio della strada e, accortosi dello strano comportamento dell’amica, voltò il capo verso di lei, incrociando così due grandi occhi azzurri che lo fissavano con decisione. Totalmente spiazzato dal gesto imprevisto e dalla vicinanza non proferì nessuna parola, ma si limitò a guardarla disorientato, senza avere molto tempo per formulare una qualsiasi congettura.
Tutto si svolse infatti in pochi istanti: Ino gli circondò il viso con entrambe le mani, abolì gli ultimi centimetri che li separavano, e premette con irruenza la lingua contro le sue labbra, dando inizio ad un bacio che lui non ebbe la lucidità né per ricambiare né per respingere; chiuse solo gli occhi d’istinto. E quando la ragazza scappò, scendendo velocemente dal veicolo ed evitando accuratamente di guardarlo negli occhi, Shikamaru rimase immobile con le mani bloccate sul volante, senza che la spiegazione di ciò che era successo prendesse forma nella sua mente, costretto per prima cosa a fare i conti con il battito accelerato del suo cuore.
Chi invece aveva le idee ben chiare sul bacio a cui aveva casualmente assistito era Sai. Aveva  sospettato fin dall’inizio che quei due avessero qualcosa che li unisse, e quella mattina ne aveva avuto la conferma.

 

 

La richiesta di Tsunade gli era giunta praticamente tra capo e collo. Kakashi infatti non era arrivato in commissariato da neanche un quarto d’ora, quando la donna l’aveva fatto chiamare e gli aveva chiesto di affiancare Naruto e Sakura durante l’interrogatorio di Hinata Hyuga.
Non potendo intuire il motivo della scelta, l’ispettore ne era rimasto confuso e sorpreso; tuttavia, pur ignorandone le ragioni ed essendo consapevole che la situazione gli avrebbe di sicuro procurato un disagio, non se l’era sentita di rifiutare. La sua professionalità lo spingeva ad affidarsi alle direttive del proprio superiore, oltre ad imporgli categoricamente di separare lavoro e vita privata.
Ciononostante, si rese conto presto che quella deontologia, o come diavolo si chiamava, sarebbe servita a ben poco, in particolare dopo la scena a cui aveva assistito la sera precedente.
Raggiunto l’ufficio dei due colleghi, trovò Sakura che sedeva di profilo, osservando tranquillamente il cielo plumbeo al di là del vetro quasi appannato della finestra. All’improvviso la ragazza sbadigliò, coprendosi la bocca con una mano mentre distendeva l’altro braccio all’indietro, poi si stropicciò un occhio in un gesto infantile.
Di fronte a quella scena l’espressione dell’uomo si addolcì, rapita dai ricordi. Anche una delle volte che si erano incontrati nel commissariato di Oto il sonno faceva ricadere i suoi effetti su di lei. Non appena l’aveva vista, Kakashi l’aveva chiamata per conoscere il motivo della sua visita, e lei era arrossita vistosamente, imbarazzata per il frangente in cui era stata colta, ma non si era dispensata dal rivolgergli un caldo sorriso. Erano così rimasti a discorrere del più e del meno fino all’arrivo del padre di Sakura, con quella calma e quella confidenza che, come ormai accadeva spesso, l’ispettore si ritrovò a rimpiangere, conscio che la reazione della collega sarebbe stata del tutto diversa. Velocemente si riscosse dalla malinconia e bussò per segnalare la sua presenza.
Quando la ragazza identificò chi sarebbe stato il suo interlocutore, si irrigidì in modo impercettibile, assalita dal disagio e da una sottile agitazione; era così tutte le volte che si trovava da sola con lui.
“Ciao.” La salutò l’uomo entrando, mentre lei si sforzava di controllarsi e concentrarsi sul lavoro, tagliando fuori tutto il resto. “Scusa il disturbo, ma ci sono delle novità sul caso Hyuga.“
“Che novità?” Chiese Sakura, domandandosi tra sé e sé cosa c’entrasse l’ispettore con il loro caso.
“Il commissario mi ha chiesto di darvi una mano durante l’interrogatorio con la figlia di Hiashi Hyuga.” Le spigò.
“Eh… E perché?” Disse, aggrottando leggermente le sopracciglia.
“Questo non l’ho so, non ha voluto spiegarmi la ragione.” Rispose Kakashi, replicando così al suo prevedibile stupore. Nella mente di Sakura, però, non tardò a farsi largo ciò che a lui sfuggiva: evidentemente Tsunade era a conoscenza o aveva intuito il coinvolgimento personale di Naruto, pertanto aveva preferito chiedere la collaborazione di qualcun’altro.
Con preoccupazione si chiese come l’avrebbe presa; e l’ispettore notò subito l’ombra che oscurò il suo volto, avvertendo la gelosia, il rimorso e la rassegnazione confondersi in un unico sentimento improvviso. Sebbene non cogliesse la vera sfumatura del problema, non aveva bisogno di altro per capire che il nodo centrale era l’Uzumaki, e vederla in pensiero per lui non lo faceva sentire affatto bene. Tuttavia, parlò con il solito tono calmo, cercando addirittura di tranquillizzarla in qualche modo.
“Comunque il commissario ha convocato Naruto per comunicarglielo. Di sicuro a lui spiegherà i motivi senza problemi; il caso è vostro, non aveva motivo di informare anche me su di essi.”
Sakura assentì a quelle parole, cercando di allontanare ogni pensiero apprensivo.
“Nel frattempo”, continuò Kakashi, preferendo non dilungarsi oltre sulla questione, “pensavo che potessi fornirmi qualche dettaglio in più, soprattutto su quando siete andati in azienda. Sull’atteggiamento della ragazza, per esempio.”
“Ecco, ovviamente era sconvolta, chiusa nel suo dolore. Non è riuscita a dirmi nulla praticamente, neanche una parola.” Gli spiegò la poliziotta dopo pochi istanti, sovrapponendo alla sua risposta l’inevitabile ricordo di quando si era trovata lei a vivere quella stessa sofferenza, ma non permise che esso prendesse il sopravvento.
“Capisco. E aveva qualche macchia di sangue sui vestiti? Il commissario mi ha detto che è stata lei a trovare il corpo esanime.”
“No, non mi sembra. Stando all’agente presente sul posto aveva le mani sporche di sangue, ma quando l’ho vista erano pulite, evidentemente le avrà lavate.”
“Uhm… mi chiedo perché avrebbe dovuto toccare il padre, cioè, proprio dove era stato ferito.” Disse l’uomo pensieroso.
“Beh, potrebbe anche aver toccato qualcos’altro. In effetti sulla scrivania vi erano degli schizzi di sangue, per fare un esempio.” Affermò Sakura con una leggera nota di dissenso nella voce.
“Sì, anche questa è una possibilità.” Replicò prontamente Kakashi. “Ma tu non credi che possa essere stata lei ad ucciderlo?” Le chiese poi.
“Eh, no, non è questo. In realtà non lo so.” Rispose la ragazza, abbassando per un istante lo sguardo.”Il fatto è che la sua colpevolezza sembrerebbe la strada più semplice.”
“Capisco. Evidentemente anche troppo semplice.” Terminò per lei l’ispettore, dopo che uno dei preziosi insegnamenti di Isoshi Haruno aveva sfiorato la sua memoria.

“Ricorda Kakashi, se un’ipotesi è la più ovvia, evidentemente lo è anche troppo.” Gli aveva detto una sera, una delle tante volte in cui l’aveva invitato a cena per discutere con calma di un’indagine. E la reazione di Sakura gli lasciò intuire che, ascoltando le sue parole, anche lei era stata colpita da quel ricordo che in un modo o nell’altro li univa.
“Già.” Disse infatti la collega con amarezza, reclinando il capo e spezzando il silenzio teso che era calato su di loro. “Io ho bisogno di un caffè.” Continuò, alzandosi ma senza risollevare lo sguardo.
Superò la scrivania e si diresse verso la porta, ma quando passò al fianco dell’uomo questo la bloccò, circondandole un polso con una presa ferma ma delicata. Sakura dilatò le pupille per la sorpresa, poi le puntò su di lui con una chiara richiesta di spiegazione. Kakashi si perse allora nel verde dei suoi occhi, assaporando i nuovi istanti di silenzio, mentre si chiedeva fra sé e sé perché dovesse essere così difficile lasciarsi andare. Animato da sentimenti contrastanti, le spostò lentamente i capelli dal viso, sfiorandole la guancia destra con le dita, e all’improvviso le parole di Tenzo della sera precedente si insinuarono con prepotenza nella sua mente, sopraggiungendo a dare man forte alla sua titubanza.

“Ma sei sicuro che sia perché non senti di averne il diritto? Non è che forse hai ancora paura di farla soffrire?”
Non appena gli erano stati posti quei quesiti l’avevano messo in crisi e lo stavano facendo anche in quel momento: il problema erano i sentimenti di Sakura o lo era lui? Non ne aveva la più pallida idea. E, pensandoci bene, non era nemmeno sicuro di voler sapere la risposta.
Sistemò una ciocca rosata di capelli dietro l’orecchio della ragazza, poi ritrasse il braccio e le liberò finalmente il polso. Sussurrò un debole ‘scusa’ e abbandonò l’ufficio lasciandola nella più totale confusione.

 

 

Un’ora dopo, rivolgendosi più a Naruto che a lui, Sakura comunicò che avrebbe seguito l’interrogatorio attraverso il vetro della saletta attigua, in modo da non creare altra inutile pressione su Hinata Hyuga. Ascoltando la sua spiegazione, Kakashi ebbe la conferma di aver fatto un’altra cavolata. Sulla scia del ricordo di quello che per lui non era stato solo una guida nel lavoro di poliziotto, ma anche il primo a fargli riprovare il calore di una vera famiglia, si era lasciato andare di nuovo all’istinto, dimenticandosi della sua proverbiale razionalità. Sperò vivamente che quel gesto impulsivo non compromettesse nulla. Naruto, invece, ignaro dei possibili motivi, elogiò la buona idea della collega, che gli indirizzò un mezzo sorriso per poi accingersi a lasciarli da soli. Kakashi la fissò per qualche istante mentre dava loro le spalle, imponendosi di abbandonare una volta per tutte ogni pensiero che non fosse attinente all’indagine.
“Forza, vediamo di iniziare.” Disse allora con tono deciso, voltandosi verso l’altro poliziotto.
“Sì, certo.” Rispose questo, che accantonata l’irritazione iniziale era tutto sommato contento di quella collaborazione.
Entrarono così nella stanza dove si svolgevano di solito gli interrogatori; all’interno, Hinata li attendeva seduta compostamente, le mani incrociate sulle gambe e lo sguardo perso tra i pensieri e i ricordi, dopo che aveva indagato per un po’ quell’ambiente asettico e impersonale. Udendo il cigolio della porta che si apriva, si voltò subito verso i due uomini sentendosi in qualche modo sollevata, un sollievo destinato a durare ben poco. Tra di loro riconobbe senza alcuna difficoltà il poliziotto biondo che aveva incrociato in azienda, scendendo le scale insieme a Yumi. Si era soffermata su di lui solo per qualche attimo, mentre lottava contro il dolore acuto che provava, eppure gli era rimasto lo stesso impresso. Fu proprio lui a rivolgerle la parola per primo.
“Scusaci per l’attesa.” Esordì Naruto avvicinandosi al tavolo, mentre Kakashi richiudeva la porta.
“Non… non c’è problema.” Balbettò lei flebilmente, spezzando il monosillabismo che aveva caratterizzato l’ultimo giorno.
“Io sono Naruto Uzumaki, e questo è l’ispettore Hatake.” Continuò il poliziotto, sedendole di fronte e indicando con un cenno della mano il collega che lo raggiungeva. “Sappiamo che è un pessimo momento, ma dobbiamo farti delle domande.”
Hinata si limitò ad annuire con un breve movimento del capo.
“Allora. Come mai eri in azienda ieri mattina? E ricordi più o meno verso che ora sei arrivata?”
“Io credo fossero intorno alle dieci. Tornavo dall’università.” Rispose la ragazza, ma solo dopo alcuni istanti di silenzio in cui aveva cercato di non agitarsi ripensando al corpo esanime di suo padre. “Volevo comunicargli il risultato dell’esame di Economia aziendale, lui ci teneva.” Spiegò, con un tono di voce che andò smorzandosi sulle ultime parole.
Naruto rimase colpito da quell’informazione, amareggiato che il caso Hyuga dovesse ricordargli in un modo o nell’altro il momento più buio della sua vita, tuttavia si scompose il meno possibile. 
“E… perché non hai atteso che ritornasse a casa, oppure la pausa pranzo?” Chiese ancora.
Hinata però non rispose subito: cosa avrebbe potuto dire? Che quello probabilmente era l’unico momento della giornata in cui poteva trovarlo sobrio?
“Ecco, io semplicemente non ci ho pensato. Sapevo che avrebbe voluto essere messo al corrente.” Disse. Finché poteva evitarlo, non voleva lei stessa infangare l’immagine di suo padre.
“Dalle nostre indagini, però, risulta che non eravate affatto in buoni rapporti. E quando è così generalmente ogni cosa è più difficile.” Obiettò Kakashi, scrutandola.
Come unica reazione, la ragazza piegò le dita sottili in un gesto che era il riverbero di un dolore sordo. Non si era illusa che la polizia non lo avesse scoperto, ma parlare con degli estranei dei problemi chiusi dentro di sé da anni era difficilissimo.
“Quindi, andare ad interromperlo sul posto di lavoro, non ha pensato che avrebbe generato qualche discussione?.” Continuò l’uomo.
“No, io… io speravo gli interessasse… questa volta l’esame era andato bene.” Articolò lei con difficoltà, lo sguardo basso.
“Questo vuol dire che era il profitto universitario il motivo principale dei vostri litigi?”
“Sì.”
“E immagino che l’alcolismo di suo padre non aiutasse.” Insisté l’ispettore.
A quel punto Hinata fu avvolta del tutto dalla costernazione; ingenuamente aveva sperato che almeno quell’aspetto non saltasse fuori durante l’interrogatorio.
“E magari ieri, al di là di cosa avesse da dirgli, suo padre non ha voluto lo stesso ascoltarla. Forse aveva già bevuto, era irascibile, lei ha provato a spiegarsi, ma lui l’ha trattata male ancora una volta, così …” La incalzò Kakashi.
“No! Non è così!” Lo interruppe la ragazza con voce strozzata dallo sconforto, sollevando il capo e fissandolo con gli occhi velati dalle lacrime. “Non è andata così, era già morto.” Concluse.
Poi si coprì il volto con entrambi le mani, curvandosi leggermente in avanti.
Osservandola, Naruto non poté far a meno di essere dispiaciuto per lei, ma nello stesso tempo capiva perfettamente che era stato necessario. E proprio per quello, diversamente da Hinata, non fu sorpreso dal gesto di Kakashi. L’ispettore infatti si alzò e si avvicinò a lei, poggiandole una mano su una spalla. “Il peggio passerà.” Disse nel modo più rassicurante che poteva.
La ragazza si raddrizzò, asciugandosi qualche lacrima.
“Sa chi avrebbe potuto avere un conto in sospeso con suo padre?” Le domandò l’uomo dopo qualche istante, ritornando al suo posto ma senza risedersi.
“No, non lo so.” Gli rispose quando fu sicura di non balbettare. 
“E avete qualche parente, per caso?”
“Sì, ma non abbiamo più rapporti da un pezzo, e poi vivono lontano da Konoha da quello che so.”
Ricevute quelle ultime informazioni Kakashi annuì, poi invitò Naruto ad accompagnarla all’uscita del commissariato, esortazione che il poliziotto eseguì con piacere. E quando furono nei pressi dell’uscita, rassicurò ancora la ragazza dicendole che avrebbero preso di sicuro l’assassino. Hinata gli fu riconoscente per quelle parole, ringraziandolo con un leggero rossore sulle guance.

 

 

 
Affinché il battito del suo cuore riacquistasse un ritmo normale e i suoi neuroni collaborassero per elaborare finalmente un pensiero che non fosse frammentario, erano stati necessari diversi minuti, o meglio era stato necessario il suono prolungato di un clacson, che puntava a sbloccare un ingorgo poco lontano. Si era così riscosso dallo stato catatonico in cui era scivolato, aveva ripreso il comando della vettura e con esso il tragitto verso l’edificio scolastico. Da quel momento e per le prime ore di lezione, due domande avevano ronzato con insistenza nella sua testa: come cavolo aveva fatto a non capire mai nulla, e soprattutto cosa provava lui. Poiché non era riuscito ad accantonarle in nessun modo, aveva deciso di ritagliarsi un po’ di tempo per riflettervi con calma, per la precisione fumandosi una rilassante quanto nociva sigaretta. Peccato che l’accendino non volesse saperne di funzionare, in ciò favorito dalla pioggia leggera e dall’umidità. Fu solo l’intervento provvedenziale di Asuma a salvarlo dal sopraggiungere dell’impazienza. Vedendolo in difficoltà, il professore accostò la fiamma stabile del proprio accendino davanti al suo viso.
“A volte sono degli aggeggi infernali.” Esordì.
Il poliziotto si voltò per capire chi fosse, poi si tolse la sigaretta dalle labbra e approfittò della fonte di calore offertagli dall’uomo.
“Grazie.” Rispose, prima di accogliere nel proprio corpo l’effetto piacevole della nicotina.
Rimasero così in silenzio per qualche minuto, ognuno immerso nei propri pensieri, fermi sotto una piccola tettoia sufficiente a coprirli dalla pioggia.
“Quale è il problema?” Chiese ad un certo punto Asuma.
Preso alla sprovvista, Shikamaru gli rivolse uno sguardo interrogativo a cui l’uomo non tardò a dare una risposta: “Se si sente il bisogno di una sigaretta, per giunta sotto la pioggia, può esserci qualcosa che non va.”
Di fronte a quella spiegazione, l’ispettore pensò che avrebbe potuto senza problemi ribattere, adducendo come scusa il non volersi sorbire un’altra ramanzina, ma scelse di non mentire; il professore di educazione fisica riusciva ad ispirargli a fiducia. Tornò ad osservare l’acqua piovana cadere con insistenza su alcune macchine parcheggiate davanti all’atrio della scuola, creando nell’aria fredda altri cerchi di fumo che si disfacevano velocemente.
“Stamattina ho capito qualcosa di cui non mi ero mai accorto, e adesso non so come comportarmi. Mi ha confuso.” Confessò.
Asuma ascoltò attentamente le sue parole, scrutandone anche l’espressione seria in cui lesse un’ombra di preoccupazione, e tirò le proprie conclusioni.
“Capisco. Deve essere una persona importante questa donna.” Commentò.
Sebbene sorpreso per la seconda volta, Shikamaru non perse tempo per capire come fosse riuscito a cogliere la natura del suo problema, ma sfruttò l’occasione che gli veniva offerta per sfogarsi.
“Sì, lo è.” Disse dopo una breve pausa. “E non vorrei ferirla. Solo che per riuscirci dovrei almeno capire me stesso.”
Cosa più facile a dirsi che a farsi, terminò tra sé e sé. Eppure sapeva che doveva, perché se Ino aveva deciso di dichiararsi, mettendo in pericolo la naturalezza del loro rapporto, lui doveva quanto meno non tormentarla anche con la sua indecisione.
All’improvviso, nitide come se non fossero passate due ore, fu avvolto dalle sensazioni di quel bacio imprevisto: la pressione delle dita affusolate sulla sua pelle, il calore della lingua che cercava la sua, la morbidezza delle labbra premute contro la sua bocca: un inevitabile rossore fece la sua comparsa. Shikamaru reclinò subito il capo fissando il suolo, e per camuffare il vero motivo del suo gesto lasciò cadere della cenere. Che in realtà fosse più semplice di quanto pensasse? Fu la domanda che emerse dalla confusione che provava.
“Eh, già.” Sospirò intanto l’uomo al suo fianco, spegnendo la sua sigaretta che era ormai un mozzicone nella sabbia di un posacenere. “In un modo o nell’altro, le donne ci mandano in crisi.” Affermò, ripensando al tipo di problema che aveva spinto anche lui a fumare sullo sfondo di quella giornata uggiosa, consentendogli di intuire lo stato d’animo del presunto collega.
“Comunque, al di là di tutto, concediti il tempo necessario. Con i sentimenti bisogna essere cauti, gli errori di valutazione possono mettere ancora più a rischio i rapporti.” Concluse dopo qualche istante di silenzio. E si chiese se lui invece non stesse commettendo uno di quegli errori prolungando troppo la  sua insicurezza.
“Lo terrò a mente. Grazie per il consiglio.” Lo ringraziò Shikamaru con sincerità.
 

Nel frattempo l’innominata della conversazione, lasciate da parte le complicazioni sentimentali della sua vita, cercava di concretizzare qualcosa nell’ambito delle indagini, mettendo a frutto le informazioni raccolte. Nelle ultime settimane aveva puntato ad inserirsi nel migliore dei modi all’interno delle dinamiche della sua classe e dell’istituto in generale, e aveva prestato molta attenzione a ciò che si diceva, sia in aula che nei corridoi, individuando così i soggetti più propensi all’uso di droga anche dopo i recenti avvenimenti. Quel giorno aveva scelto di seguire due ragazze, con cui diverse volte si era trovata a parlare, simulando di incontrarle per puro caso nei bagni durante la ricreazione.
“Heilà, ragazze! Come va?” Le salutò avvicinandole con un sorriso sulle labbra.
Le studentesse fumavano tranquillamente, ben nascoste da una parete che divideva l’ambiente in due parti.
“Oh, Ino. Ciao.” Ricambiò il saluto la più mingherlina delle due. “Beh, compiti, interrogazioni e quella stronza di latino. Insomma, il solito.” Rispose concisa, concedendosi poi un’altra boccata di fumo.
“Capisco.” Commentò la poliziotta, poi si appoggiò al bordo del lavandino dietro di sé puntellandosi con le mani. “Io invece sempre grane con il deficiente di matematica.” Aggiunse.
Il che non trovava certo riscontro nella realtà scolastica, ma loro non potevano saperlo.
“Immagino, la matematica è una seccatura e i prof ancora di più. La nostra fortunatamente è spesso latitante.” Intervenne la ragazza rimasta inizialmente in silenzio. “Ma comunque queste sono cose secondarie, stasera piuttosto discoteca. Giusto, Mariko?” Continuò ammiccando verso l’amica.
“Puoi contarci, Ran.” Replicò prontamente l’altra. E Ino decise di prendere la palla al balzo.
“Buona idea. Anch’io stavo pensando di andarci, sapete. Solo che… “ Si interruppe gettando un’occhiata verso l’entrata del bagno, come a sincerarsi che non arrivasse nessuno, poi proseguì abbassando la voce e con tono di intesa: “Ecco, mi chiedevo se sapeste dove potrei procurami una dose. Per un po’ di sballo, insomma.”
“Beh, anche in discoteca, qualcuno c’è sempre.” Rispose Mariko, senza battere ciglio di fronte a quella richiesta.
“Oh, certo, questo lo so. Però vorrei arrivarci già in forma.” Precisò meglio Ino, strizzando l’occhio. ”Non è che forse conoscete qualcuno della scuola a cui potrei rivolgermi?” Chiese.
“Uhm, capito.” Disse Ran, spegnendo il mozzicone della sua sigaretta sotto la suola della scarpa. “Personalmente preferisco fuori, ma comunque so che c’è Sabaku no Gaara, della 5 B.”
“Oh, perfetto, so chi è!” Esclamò la poliziotta, mentre esultava interiormente per un altro indizio che legato a quello di Shikamaru creava una prova da cui proseguire. “Grazie per la preziosa informazione, ragazze.” Almeno qualcosa in quella giornata andava per il verso giusto, pensò.          

       

 

 Conoscendolo ci sarebbe dovuta arrivare immediatamente, nel preciso istante in cui Jiraya era entrato nel suo ufficio senza alcun preavviso ed era avanzato verso di lei, agitando in aria con perfetta noncuranza una cartellina di plastica, come se il foglio in essa contenuto fosse qualcosa di insignificante e non il rapporto della scientifica. Se il suo intento fosse stato comunicarle ciò che la sua squadra aveva scoperto, di certo non si sarebbe scomodato a raggiungere il commissariato, ma si sarebbe limitato ad una semplice telefonata. Tuttavia, alla comparsa della sua lunga chioma albina e del suo volto dai tratti marcati, non aveva pensato a nulla di tutto quello, era solo stata contenta che fosse lì. La notte precedente, infatti, si era addormentata prima che lui rientrasse e quella mattina erano entrambi scappati al lavoro in fretta in furia, senza aver un attimo per loro. Così aveva finito per cedere ancora una volta alle idee poco opportune dell’uomo, scelta per cui in quei minuti si rimproverava, sebbene fossero dei minuti piacevolissimi.
Quasi seduta sulla scrivania, sentiva le mani di Jiraya esplorarle tranquillamente la schiena e il suo respiro caldo accarezzarle la pelle del collo alternandosi alla pressione leggera delle sue labbra. Non poté evitare di lasciarsi andare ad un sospiro di piacere, poi riaprì gli occhi nocciola posando lo sguardo sulla spalla dell’altro poliziotto.
“Tra poco vengono per un rapporto.” Sussurrò a pochi centimetri dal suo orecchio.
L’uomo interruppe la sequenza di baci, la guardò e depositò ancora un altro bacio sulle labbra della donna. “Beh, sarebbe una bella scena da scrivere, quindi perché non sperimentarla prima.” Disse con un sorrisetto malizioso. Poi tentò di abolire di nuovo la distanza tra i loro visi, ma Tsunade lo allontanò da sé bruscamente.
“Sei il solito pervertito! Se non smetti di scrivere quelle indecenze, prima o poi ti mollo!” Sbottò stizzita. Non poteva farci assolutamente nulla: l’hobby di Jiraya non le andava affatto a genio, soprattutto se doveva interferire con la loro vita sentimentale.
“Ma…” Farfuglio l’uomo, preso alla sprovvista da quella reazione, poi si affrettò a riparare. “Io stavo scherzando. Non dicevo sul serio.”
Tsunade lo scrutò ancora per qualche istante con cipiglio contrariato.
“Per questa volta farò finta di crederti.” Replicò poi, decidendo di liquidare la questione.
Gli diede le spalle e recuperò la cartellina dalla scrivania, aprendola per dare una lettura veloce al rapporto; un semplice diversivo per non continuare la conversazione, dato che ne conosceva già il contenuto. Jiraya intuendolo sospirò rassegnato.  
“Va bene. Ci vediamo stasera allora.” Disse, per poi avviarsi verso l’uscita. “Mi raccomando non lavorare troppo.” Aggiunse.
Il commissario distolse lo sguardo dal foglio e lo rivolse alla schiena dell’uomo che si allontanava.
“A dir il vero, sei tu che stai tornando tardi ultimamente.” Gli rispose.
Lui si fermò e si voltò verso di lei.
“E’ una ruota che gira, mia cara.” Affermò. Poi aprì la porta, ritrovandosi davanti Naruto e Sakura, li salutò e uscì, permettendo loro di entrare nell’ufficio.
“Se Jiraya-san era qui, ciò vuol dire che è arrivata la relazione della scientifica?” Esordì il poliziotto biondo, con una domanda che aveva in realtà il tono di una constatazione.
“Già. E serve a ben poco.” Rispose Tsunade, sedendosi e riabbandonando la cartellina al suo destino. “Sono riusciti a trovare l’arma del delitto, un semplice coltello. Era stata gettata dalla finestra dell’ufficio della vittima, finendo tra i secchi della spazzatura. Il guaio è che non vi è nessuna impronta digitale.” Lo informò con sguardo serio.
“Non ci sono impronte?!” Ripeté Naruto sorpreso. “Quindi… quindi sembrerebbe essere un delitto premeditato.” Concluse poco dopo, in parte sollevato.
“Sembrerebbe.” Gli fece eco la donna. “Voi invece cosa avete scoperto?”
“Ecco, sì. In pratica abbiamo un alibi da verificare, che potrebbe combaciare con l’orario datoci dall’autopsia. Però, c’è da dire che Hinata Hyuga sembrava sincera, anche sotto pressione.” Riferì il poliziotto, riassumendo i punti essenziali dell’interrogatorio.
“Inoltre il giorno dell’omicidio la ragazza era del tutto sconvolta. Per essere stata lei, dovrebbe essere un’attrice perfetta. Ma mi sembra difficile.” Intervenne Sakura, andando a sostenere e a meglio definire le parole del collega.
“Sì, potrebbe essere.” Disse Tsunade, dopo qualche istante di meditazione. “Però, prima di tutto, verificate l’alibi, non si può mai sapere. Poi, vedete voi.” Concluse.

Note dell'autrice

Prima di tutto qualche nota tecnica: la citazione iniziale è di Lavoisier ed è chiaramente adattata(che l'autore non me ne voglia^^); l'esame che sostiene Hinata non so se esista realmente ma mi serviva un nome per far capire di che facoltà si trattasse; all'inizio il vetro-specchio non c'era, l'ho creato adesso, quindi se non ve lo ricordate è normale(appena posso modifico e cì sarà anche nella prima scena in cui compare la stanza degli interrogatori).

Per il resto, scusate il solito ritardo nel postare, ma l'università prima di tutto, e comunque il capitolo è molto ricco di nuovi dettagli e di crisi psicologiche, soprattuto. Spero che ciò mi possa far perdonare. Intanto ringrazio chi segue la fic e chi la preferisce, in particolar modo slice, storyteller lover e Urdi, grazie mille per il vostro sostegno, ragazze.XD

storyteller lover: mora, tu già hai letto e già sai^^ in questo capitolo c'è qualcosa su Sakura, anche se solo qualche imput, ma arriverà il moemento, tranquilla^^ di sigreti qui se ne scoprono altri(Uchiha brothers sopratutto) anche se in parte, per altri bisogna attendere eheh  Kakashi non ha finito soffrire, haimè, e sono contenta che il rapporto tra Naruto e Sakura ti piaccia, sono molto carini insieme^^Un bacione!

Urdi: così mi sciolgo io, però *_* il risultato finale dello scorso capitolo mi ha sodisfatta, come anche quello di quest'ultimo(a parte che sono più di 10 pagine e per me è una vera conquistaXD), però addirittura strepitoso... insomma grazie, me emozionata *_* Naruto e Sakura, è vero, sn molto pucci e mi è paiciuto descriverli(mi fa davvero piacere che risultino realistici^^), e ora con Kakashi che si è mezzo scoperto, chissà che succederà, comunque come hai visto Tenzo ci ha messo lo zampinoXD Riguardo a Minato, sono contenta di essere riuscita a dare un'idea realistica dell'alcolismo, di cui fortunatamente nn ho esperienze dirette, però in effetti anch'io non colpevolezzo totalmente Minato dato che anche lui nasconde sofferenza, alla fine è il personaggio tipo di questa storia, con luci e ombre, e sono felice di essere riuscita in un modo o nell'altro a far arrivare questo aspetto. Il pezzo con Kureani mi è venuto molto spontaneo, quasi da solo, e di sicuro non potrei mai pensare ad un plagio^^ Infine, come vedi, anche in questo capitolo ci sn anche gli altri personaggi, anzi mi rendo conto che sn davvero tanti, non so come faccio a gestirli considerando che ognuno ha i suoi drammi e i suoi misteri, speriamo in bene. Grazie ancora per i complimeti,  cara, un bacioneXD

slice:  non dite cose sempre belle, altrimenti mi monto... sì, come no, tu lo sai che è leggeremnte difficile^^ però sn super contenta che vi piaccia ciò che scrivo, con tutti gli intrighi intrigosi che in questo capitolo vengono in parte sciolti, o meglio,no,ma diciamo che gli elementi ci sn quasi tutto per poter intuire qualcosina. Fatemi sapere cosa ci aveto capito, caso maiXD Come vedi, questo capiotolo è molto più lovvoso e c'è Itachi e Sasuke(che a detta di story risulta sopportabile, mannaggià, io che rendo Sasuke sopportabile, è quasi una barzellettaXD), poi c'è InoShika e Kakasaku...è super incasinato con tutti sti personaggi^^ Grazie mille per il sostegno, un bacioneXD    

 


  
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