CAPITOLO
VI
ma qualcosa resta anche uguale
Molti anni prima, quando la sua vita
percorreva ancora binari prestabiliti, non si sarebbe mai sognato di
frequentare assiduamente una discoteca; era un ambiente che non si adattava alla sua indole tutto sommato calma
e pacata, tanto più che gli eccessi che lo contraddistinguevano sfuggivano alle
regole di buon senso che la sua educazione gli aveva trasmesso. Tuttavia, nel
giro di pochi istanti, ogni cosa era cambiata capovolgendosi come un treno
deragliato, e lui era finito addirittura a viverci in un locale notturno, a
contatto ogni sera con la vendita fin troppo liberale di alcolici e lo spaccio
impunito di sostanze stupefacenti; d’altronde, chi gestiva quel posto non
sapeva cosa fossero gli scrupoli di coscienza.
Con la schiena appoggiata ad un pilastro
e la braccia conserte, Itachi osservava la pista da ballo gremita come sempre
da una folla che si scatenava al ritmo frenetico della musica, sotto luci
multicolori che si accendevano e si spegnevano ad intermittenza. Dalla sua
posizione poteva vedere chiaramente il bancone del bar, intorno a cui nella più
totale tranquillità, Kisame aveva già venduto diverse dosi di droga con
trattative veloci che non gli avevano sottratto più di qualche minuto.
Più volte, assistendo a quella scena, si
era reso conto con una certa inquietudine che, fino a quando sarebbe stato
considerato una routine, la criminalità avrebbe sempre avuto facilità d’azione.
E anche quella sera una simile riflessione si insinuò a tradimento nella sua
mente, ma fece in modo di scacciarla subito, perché senza libertà di scelta
pensare era solo dannoso e controproducente.
Quindi tornò a scrutare la situazione
generale con distacco, imponendosi di accantonare qualsiasi questione morale, e
la sua attenzione ricadde su un ragazzo dai lunghi capelli grigi raccolti in
una coda e un paio di occhiali ad accompagnare gli occhi scuri. Lo vide
avvicinarsi a Kisame, scambiare con lui due parole e poi ordinare un cocktail
al barman. Non era certo la prima volta che lo intravedeva, ma solo allora si
chiese cosa sapesse dei traffici illegali dello zio, il noto proprietario della
discoteca. Forse aveva colto nella sua espressione qualcosa di diverso, o semplicemente
era la presenza di Madara che lo induceva a scorgere dappertutto segreti e
sotterfugi.
Come richiamato dai suoi pensieri, un
dipendente del locale lo raggiunse, salutandolo formalmente, poi lo avvertì che
lo attendevano nell’aria privata, consapevole di non dover fornire nessuna
ulteriore spiegazione. Itachi rimase a fissarlo per qualche istante, in
silenzio, celando sotto l’apparenza apatica l’insofferenza per quella notizia
prevedibile, poi si staccò dal pilastro e avanzò leggermente.
“Ho capito.” Annuì congedandolo.
E mentre il giovane si allontanava
ritornando al suo lavoro, lui si ripeté per l’ennesima volta di lasciarsi
scivolare addosso qualunque provocazione, diretta o velata, avrebbe dovuto
subire. Poi abbandonò la postazione che aveva scelto un’ora prima, ben conscio
di non poterla occupare a lungo, e si diresse in una zona molto distante dalla
pista da ballo, dove individuò la saletta che gli interessava, riconoscibile
dagli scagnozzi vestiti di nero all’ingresso. Questi lo lasciarono entrare
senza fare alcuna storia. Dentro due uomini lo aspettavano seduti comodamente
su un divano ad angolo, l’uno di fronte all’altro, davanti ad un tavolino basso
e ad una bottiglia di buon vino rosso. Il proprietario Orochimaru, col volto
pallidissimo illuminato da inquietanti occhi color ambra e incorniciato da lunghi
capelli neri, faceva ondeggiare il liquido rosato muovendo con delicatezza il
bicchiere che aveva nella mano destra, mentre Madara Uchiha, colui che aveva
stravolto la sua vita, posò il proprio non appena lo vide e gli rivolse uno
sguardo in cui Itachi lesse la consueta soddisfazione.
“Benvenuto tra noi, caro nipote. E’
trascorso molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, così ho pensato di
dover rimediare. E devo dire che ti trovo bene, mi fa molto piacere.” Esordì,
con un tono e un’espressione che riproponevano la solita affettata gentilezza. “Prima
che arrivassi” continuò poi, sapendo che non avrebbe ricevuto nessuna risposta,
“stavamo parlando degli ultimi avvenimenti. La polizia è sempre un problema da
non trascurare, tanto più se tra chi indaga vi è il tuo caro fratellino.”
Ecco che arrivava la prima provocazione,
pensò Itachi; e come si era ripromesso poco prima cercò di ignorarla, ma non aveva
fatto i conti con i ricordi.
“Qualche giorno fa ho anche visto una
sua intervista, sembrava molto sicuro di sé e padrone della situazione, niente
a che vedere con il bambino di una volta.”
Ancora parole, parole inclementi, che
colpivano il bersaglio. Non l’aveva visto crescere Sasuke, non aveva potuto
farlo, e Madara lo sapeva perfettamente. Di lui gli rimanevano solo immagini
sfocate, bloccate dal tempo perduto; un bambino di dieci anni silenzioso e
solitario, ma capace di illuminarsi davanti a qualcosa che suscitava il suo
interesse o davanti ad una promessa di uscire insieme, oppure concentrato nello
svolgere i compiti scolastici, speranzoso di ottenere un suo complimento. Frammenti
che volavano confusi nella memoria, e che quando si era imbattuto
nell’intervento al telegiornale avevano rischiato di disintegrasi come se non
fossero mai esistiti. Aveva dovuto faticare davvero molto per riconoscerlo; il
poliziotto che rispondeva ai quesiti con tono distaccato e professionale non
sembrava avere niente di suo fratello, al di là della capigliatura che ricadeva
in ciocche scomposte sulla fronte. In lui aveva visto solo freddezza, troppa, e
ne aveva avvertito tutta la responsabilità; era riuscito a difendere la sua
vita ma non la sua anima dal dolore. Ripensando ai fotogrammi di due giorni prima,
succedutisi davanti ai suoi occhi opachi, un violento senso di colpa calò su di
lui opprimendolo. Conservò tuttavia un’espressione imperturbabile, mentre
soffocava nel pugno destro, stretto fino a fare male, la frustrazione.
“Comunque” disse Madara, apparentemente
noncurante dell’effetto delle sue parole, “finché i nostri contatti nel liceo
di Konoha non vengono scoperti possiamo stare tranquilli, senza contare che non
c’è nient’altro che leghi lo spaccio di droga alla discoteca Alba.”
“Tuttavia bisognerebbe prevenire ogni
rischio.” Intervenne il proprietario del locale, rimasto fino a quel momento in
silenzio ad assecondare la pressione psicologica del collega d’affari.
Depose poi anche lui il proprio
bicchiere sul piccolo tavolino cessando di tormentare il vino.
“Forse sarebbe opportuno trovare un
altro posto dove nascondere la droga e non più qui.” Spiegò.
“Sì, è un’idea. Tu che ne pensi,
Itachi?”
Lo spacciatore provò un muto disappunto
per essere stato interpellato, ma rispose in modo da non concedergli ancora
soddisfazione.
“Può essere utile.” Commentò atono.
“Bene, allora vedrò cosa posso fare.
Adesso, però, direi di passare ad altro. Una bella partita a carte è quello che
ci vuole”. Replicò Madara, alzandosi dal divano seguito a ruota da Orochimaru.
Poi, con un mezzo sorriso quasi
beffardo, invitò anche Itachi a partecipare, ma questo rifiutò con finta
cortesia per liberarsi dall’insostenibile situazione. E chiusasi finalmente la
porta alle spalle, pensò che aveva bisogno di qualcosa di fortemente alcolico,
così da scogliere il turbamento e recuperare un equilibrio.
.
Quella mattina, dopo pochi giorni di
tregua, il freddo pungente era tornato di nuovo ad avvolgere la città,
infrangendo le illusioni di chi aveva interpretato il leggero aumento delle
temperature come il presagio di un inverno meno rigido del solito. Il fastidio
e la noia però non avevano avuto vita lunga, sommersi ben presto dalle
incombenze quotidiane.
L’ispettore Sasuke Uchiha non era stato
tra coloro a sprecare un solo secondo del suo tempo in preoccupazione simili; anzi,
come suo solito, si era alzato molto presto e aveva sbrigato con calma tutte le
operazioni mattutine, registrando il cambiamento climatico per puro e semplice
senso pratico, così da recuperare dall’armadio una maglia più pesante ed
aggiungere all’abbigliamento di tutti i giorni una sciarpa blu. Dopodichè era
uscito di casa per immergersi in una nuova intensa giornata di lavoro, come
faceva ormai da cinque anni a quella parte, inseguendo criminali e fantasmi del
passato, fantasmi che si insinuarono nei suoi pensieri al secondo sbadiglio che
non riuscì a trattenere, mentre attendeva impaziente uno dei suoi informatori,
seduto su una fredda panchina del parco spoglio e quasi deserto.
La notte precedente era rimasto fino a
tardi nell’archivio del commissariato, sfogliando con Izo-san dossier e
schedari, per trovare tracce che riconducessero ad un'unica persona,
l’ossessione della sua vita nel bene e nel male; e la stanchezza ne era uno dei
postumi inevitabili.
Nel ripensare a quelle ricerche
notturne, il ricordo lontano di Itachi lo colpì all’improvviso procurandogli un
familiare tremore di sentimenti confusi.
La strada più semplice sarebbe stata
quella di considerarlo morto nel preciso istante in cui aveva ucciso il loro
padre, ma volente o nolente non era stato in grado di recidere il legame che li
univa, ne aveva solo cambiato la forma. Da quando la realtà l’aveva travolto
con tutta la sua durezza, si era prefissato l’obiettivo di sbatterlo in galera,
volontà che si era rinsaldata nello scoprire i contorni della verità che ancora
sfuggivano. Avrebbe ricordato per sempre il giorno in cui si era presentato da
lui e da sua madre Hito Yashima, uno dei più stretti collaboratori del padre
nella gestione dell’azienda di trasporti, così come avrebbe rammentato per
sempre ogni sua singola parola.
Stando al racconto dell’uomo, di cui non
aveva avuto alcun motivo di dubitare, in tutti quegli anni egli era sparito per
timore di ritorsioni da parte della criminalità organizzata; era, infatti, l’unico
ancora in vita a sapere che grazie alla complicità di organizzava il lavoro
degli autisti, tra cui lo stesso Itachi, la ditta era stata utilizzata come
copertura di un traffico illegale di droga. Ovviamente anche Fugaku Uchiha l’aveva
scoperto, ed era quello il reale motivo per cui era morto, non un inspiegabile comportamento
del figlio maggiore, come avevano concluso gli inquirenti prima di archiviare
il caso.
Sasuke aveva ascoltato attentamente
quella nuova verità, senza porre alcuna domanda, sebbene se ne affollassero
tante nella sua testa. Quando poi la conversazione era ripiegata sul perché l’uomo
li avesse cercati solo in quel momento e dove fosse stato in quel lungo
periodo, l’iniziale interesse era ormai svanito, e il diciottenne si era perso
a contemplare il fumo che usciva dalle tazze di tè caldo, confuso e costernato.
Avrebbe sfogato la rabbia e il dolore solo un’ora dopo, nella solitudine della
sua camera, sferrando un calcio violento contro il muro e reprimendo a fatica
lacrime amare. Anche la debole speranza che Itachi non volesse davvero uccidere
si era dissolta in una bruciante illusione: suo fratello non era altro che uno
sporco criminale. Un consapevolezza che gli era entrata dentro come un cancro
insanabile, seppellendo sotto cumuli di odio e rancore l’ultimo residuo di
amore per la figura ideale che aveva colorato la sua infanzia.
L’ispettore Uchiha abbassò lo sguardo,
freddo e impenetrabile come quella mattina d’inverno, fissando apparentemente l’erba
del prato, poi chiuse gli occhi e espirò, cercando di purificarsi dalle scorie
del passato. Fu però la voce di chi stava aspettando ad aiutarlo maggiormente
nel suo intento, spazzando via in un attimo ogni possibile pensiero.
“Buongiorno, ispettore. Non abbiamo
dormito molto?” Gli chiese l’informatore mentre si sedeva al suo fianco,
iniziando a sfogliare una rivista senza un reale interesse.
Sasuke sobbalzò, riaprendo le palpebre
di scatto e ritornando all’istante in posizione eretta; perso nelle proprie
sensazioni, non si era accorto minimamente dell’arrivo dell’uomo.
Si ammonì mentalmente per quella
distrazione, sebbene fosse giustificata, poi riprese il giornale abbandonato
sulla panchina e finse di leggere un articolo in prima pagina, ripetendo uno
schema ormai abituale. In commissariato era, infatti, lui ad avere i principali
contatti tra gli informatori, per via delle sue segrete ricerche personali, e
nella maggioranza dei casi li incontrava per ricavare notizie utili per le
indagini.
“Allora, hai saputo niente di questo
possibile spaccio di anabolizzanti?” Domandò atono senza alcun preambolo.
L’altro non rispose subito, ma girò con
calma un’altra pagina.
“Ho parlato con alcune vecchie
conoscenze e sembra effettivamente che ci sia. Va avanti da qualche mese.” Disse
poco dopo.
“Conosci qualcuno che vi è coinvolto
direttamente?”
“Sì, ci ho avuto a che fare tempo fa. Si
chiama Kaito Oshiba.”
“Bene. E sai dove possiamo trovarlo?”
“Questo purtroppo no, però so che
frequenta la palestra.”
“Ok, meglio di niente”. Commentò Sasuke,
piegando in due il giornale e simulando di interessarsi a qualcosa scritto in
fondo alla pagina. “E… riguardo al solito?” Chiese poi incerto.
Non poteva fare a meno di porre quel
quesito, sebbene avesse iniziato la conversazione allontanando l’angoscia
legata all’argomento.
“Nulla, ispettore. Mi dispiace. Evidentemente
non è nel mio giro.”
“Capisco.” Replicò, soffocando un’ennesima
volta la delusione.
Poi si alzò dalla panchina e lasciò da
solo l’altro uomo, che lo guardò andare via osservandolo con espressione seria.
Che un poliziotto ricercasse in modo così ossessivo un criminale, con cui tra
l’altro sembrava avere un qualche rapporto di parentela, non gli lasciava pensare
a nulla di buono.
Un brivido improvviso salì veloce lungo
la spina dorsale e Ino si strinse nelle spalle, maledicendo il tessuto ancora
troppo leggero del suo pigiama. Subito si voltò per cercarne la causa, e la
individuò nella finestra della cucina lasciata incautamente aperta, quindi si
affrettò ad alzarsi dalla sedia e si precipitò a chiuderla, per poi rimanere a
fissare il panorama esterno con cipiglio contrariato. Avrebbe preferito una
cornice diversa per quella giornata, invece la natura non aveva voluto
assecondare le sue aspettative: il cielo coperto da nubi grigie, con pochissimi
spiragli per la luce solare, contribuiva solo a metterla di pessimo umore.
Sbuffò annoiata, riportando dietro le
orecchie alcune ciocche di capelli biondi, liberati durante la notte dalle
costrizioni dell’abituale coda di cavallo. Poi ritornò allo yogurt magro
abbandonato in fretta e in furia, si sedette di nuovo e immerse il cucchiaino
nel contenitore di plastica con un pizzico di nervosismo. Delle stupide
condizioni atmosferiche non avrebbero influito sui suoi progetti, così come non
lo avrebbe fatto nessun altro aspetto della realtà esterna; esistevano solo
lei, Shikamaru e il loro rapporto, doveva ficcarselo in quella stupida testa
che si ritrovava.
Finì di consumare l’esigua colazione per
cui più volte Sakura la rimproverava, poi liberò la tavola dai pochi resti e si
recò in camera da letto, recuperando la divisa scolastica dalla sedia e
vestendosi con cura davanti allo specchio dell’armadio. Al termine ammirò
soddisfatta la sua immagine riflessa per qualche istante, poi raggiunse il bagno
dove sistemò e rilegò i capelli.
Infine, tornò nella cucina che fungeva
anche da soggiorno, vagando con lo sguardo per tutta la stanza; niente sembrava
essere fuori posto, eccetto alcune foto sparse sul tavolino vicino al divano.
Da quando viveva anche lei a Konoha, di
solito cenava sempre insieme a Shikamaru, sia per salvarlo dall’arte noiosa dei
fornelli, sia per stare un po’ da soli dopo una lunga giornata di lavoro,
chiacchierando tranquillamente del più e del meno. La sera prima, invece,
l’aveva congedato con la finta scusa della stanchezza, nascondendo dietro un
mezzo sorriso i pensieri che fluivano veloci, dal rimprovero all’amico per la
sua scarsa perspicacia in certe faccende alla difficoltà di pronunciare due
semplici parole. Poi era entrata in casa, e la prima cosa che aveva fatto era
stata ricercare un vecchio album fotografico. Aveva sentito il bisogno
improvviso di riguardare quella familiare successione di istanti, per
intravedere attraverso di essa il filo lineare e a volte contorto del loro
rapporto, tutto ciò nella speranza di trovare il coraggio per prepararsi ad un
possibile cambiamento. E così era accaduto. Raccolse le foto, sottratte dal
raccoglitore per poterle osservare meglio, le riunì insieme e andò a riporle
nel primo cassetto della scrivania. L’avrebbe ricollocate al loro posto
originario non appena ne avrebbe avuto l’occasione. Indossò il giubbotto e
prese lo zaino ancora chiuso dal suono dell’ultima campanella, uscì dall’appartamento
e raggiunse quello di Shikamaru al piano sottostante.
Mentre attendeva che l’amico venisse ad
aprirla, si ricordò di quando a scuola ci andavano seriamente e delle attese a
volte snervanti nel vicolo dove vivevano. Dopo minuti che apparivano
interminabili a causa della consapevolezza di essere già in ritardo, lo vedeva
arrivare sbadigliando e con lo sguardo assonnato, incurante del tempo che
scorreva quasi fosse un particolare insignificante, E anche quella mattina, a
conferma di come certe abitudini non cambiano mai, una scena non dissimile si
presentò alla sua vista.
“Non c’era… bisogno di suonare due volte.”
La salutò l’ispettore, interrotto da uno sbadiglio che nascose a stento con la
mano sinistra, mentre con l’altra reggeva una cartella marrone.
Ino sollevò un angolo della bocca in un
sorrisetto ironico.
“Lo immagino.” Replicò. “Ora però
sbrighiamoci che tanto per cambiare è tardi.”
Shikamaru mugugnò come risposta qualcosa
di incomprensibile, poi chiuse a chiave la porta di casa e la seguì giù per le
scale.
Raggiunta la macchina nel parcheggio retrostante
la palazzina, ognuno salì al proprio posto, lui a quello di guida, lei al
fianco del conducente. Come avevano stabilito da quando lavoravano sotto
copertura, il collega l’avrebbe accompagnata in un parco a due isolati dalla
scuola per poi raggiungere l’istituto da solo, così da evitare il sorgere di spiacevoli
collegamenti tra di loro.
Man mano che si avvicinavano alla prima
meta di quel viaggio in auto, Ino avvertiva l’agitazione aumentare sempre di
più. Durante la notte precedente, mentre si rigirava nel letto senza riuscire a
prendere sonno, aveva meditato a lungo su come introdurre la questione, su
quale sarebbe stato il suo primo gesto, su cosa avrebbe detto o fatto subito
dopo; ma, in quei minuti, tutto ciò che aveva programmato non sembrava aiutarla
in nessun modo. Riusciva solo a guardare fuori dal finestrino e a lanciare
qualche breve occhiata al profilo dell’autista.
Tuttavia, quando svoltarono in una
traversa e i primi alberi del parco furono visibili in lontananza, cercò di
scuotersi dallo stato di impotenza in cui era scivolata: o si dava una mossa
ora, o avrebbe difficilmente ritrovato il coraggio, pensò tra sé e sé.
“Shikamaru, cosa pensi dei cambiamenti?”
Fu l’unica cosa che fu in grado di dire, con un leggero tremore nella voce che
sperò passasse inosservato.
Ancora intontito dalla stanchezza
l’ispettore non lo percepì, né diede particolare peso alla domanda
considerandola una delle tante.
“Beh, possono essere positivi ma anche
negativi, dipende.” Rispose in modo fin troppo scontato; e Ino gli avrebbe
volentieri dato un pugno in testa per scoprire dove fosse in quel momento il
suo rinomato quoziente intellettivo.
“Già, è il ‘dipende’ il problema.”
Commentò la ragazza dopo qualche istante, continuando ad osservare l’esterno.
Quando però la vettura iniziò a
rallentare, provò a tenere a bada la tensione che provava e a raccattare tutta
la determinazione che le era possibile; strinse i pugni sulle ginocchia e si
lasciò andare ad un respiro profondo.
Shikamaru accostò al ciglio della strada
e, accortosi dello strano comportamento dell’amica, voltò il capo verso di lei,
incrociando così due grandi occhi azzurri che lo fissavano con decisione. Totalmente spiazzato dal gesto
imprevisto e dalla vicinanza non proferì nessuna parola, ma si limitò a
guardarla disorientato, senza avere molto tempo per formulare una qualsiasi
congettura.
Tutto si svolse infatti in pochi
istanti: Ino gli circondò il viso con entrambe le mani, abolì gli ultimi
centimetri che li separavano, e premette con irruenza la lingua contro le sue
labbra, dando inizio ad un bacio che lui non ebbe la lucidità né per ricambiare
né per respingere; chiuse solo gli occhi d’istinto. E quando la ragazza scappò,
scendendo velocemente dal veicolo ed evitando accuratamente di guardarlo negli
occhi, Shikamaru rimase immobile con le mani bloccate sul volante, senza che la
spiegazione di ciò che era successo prendesse forma nella sua mente, costretto
per prima cosa a fare i conti con il battito accelerato del suo cuore.
Chi invece aveva le idee ben chiare sul
bacio a cui aveva casualmente assistito era Sai. Aveva sospettato fin dall’inizio che quei due
avessero qualcosa che li unisse, e quella mattina ne aveva avuto la conferma.
La richiesta di Tsunade gli era giunta praticamente
tra capo e collo. Kakashi infatti non era arrivato in commissariato da neanche
un quarto d’ora, quando la donna l’aveva fatto chiamare e gli aveva chiesto di
affiancare Naruto e Sakura durante l’interrogatorio di Hinata Hyuga.
Non potendo intuire il motivo della scelta,
l’ispettore ne era rimasto confuso e sorpreso; tuttavia, pur ignorandone le
ragioni ed essendo consapevole che la situazione gli avrebbe di sicuro procurato
un disagio, non se l’era sentita di rifiutare. La sua professionalità lo spingeva
ad affidarsi alle direttive del proprio superiore, oltre ad imporgli categoricamente
di separare lavoro e vita privata.
Ciononostante, si rese conto presto che quella
deontologia, o come diavolo si chiamava, sarebbe servita a ben poco, in
particolare dopo la scena a cui aveva assistito la sera precedente.
Raggiunto l’ufficio dei due colleghi, trovò
Sakura che sedeva di profilo, osservando tranquillamente il cielo plumbeo al di
là del vetro quasi appannato della finestra. All’improvviso la ragazza sbadigliò,
coprendosi la bocca con una mano mentre distendeva l’altro braccio all’indietro,
poi si stropicciò un occhio in un gesto infantile.
Di fronte a quella scena l’espressione
dell’uomo si addolcì, rapita dai ricordi. Anche una delle volte che si erano
incontrati nel commissariato di Oto il sonno faceva ricadere i suoi effetti su
di lei. Non appena l’aveva vista, Kakashi l’aveva chiamata per conoscere il
motivo della sua visita, e lei era arrossita vistosamente, imbarazzata per il
frangente in cui era stata colta, ma non si era dispensata dal rivolgergli un
caldo sorriso. Erano così rimasti a discorrere del più e del meno fino
all’arrivo del padre di Sakura, con quella calma e quella confidenza che, come
ormai accadeva spesso, l’ispettore si ritrovò a rimpiangere, conscio che la
reazione della collega sarebbe stata del tutto diversa. Velocemente si riscosse
dalla malinconia e bussò per segnalare la sua presenza.
Quando la ragazza identificò chi sarebbe
stato il suo interlocutore, si irrigidì in modo impercettibile, assalita dal
disagio e da una sottile agitazione; era così tutte le volte che si trovava da sola
con lui.
“Ciao.” La salutò l’uomo entrando,
mentre lei si sforzava di controllarsi e concentrarsi sul lavoro, tagliando
fuori tutto il resto. “Scusa il disturbo, ma ci sono delle novità sul caso
Hyuga.“
“Che novità?” Chiese Sakura, domandandosi
tra sé e sé cosa c’entrasse l’ispettore con il loro caso.
“Il commissario mi ha chiesto di darvi
una mano durante l’interrogatorio con la figlia di Hiashi Hyuga.” Le spigò.
“Eh… E perché?” Disse, aggrottando leggermente
le sopracciglia.
“Questo non l’ho so, non ha voluto
spiegarmi la ragione.” Rispose Kakashi, replicando così al suo prevedibile
stupore. Nella mente di Sakura, però, non tardò a farsi largo ciò che a lui sfuggiva:
evidentemente Tsunade era a conoscenza o aveva intuito il coinvolgimento
personale di Naruto, pertanto aveva preferito chiedere la collaborazione di
qualcun’altro.
Con preoccupazione si chiese come
l’avrebbe presa; e l’ispettore notò subito l’ombra che oscurò il suo volto,
avvertendo la gelosia, il rimorso e la rassegnazione confondersi in un unico sentimento
improvviso. Sebbene non cogliesse la vera sfumatura del problema, non aveva
bisogno di altro per capire che il nodo centrale era l’Uzumaki, e vederla in
pensiero per lui non lo faceva sentire affatto bene. Tuttavia, parlò con il
solito tono calmo, cercando addirittura di tranquillizzarla in qualche modo.
“Comunque il commissario ha convocato Naruto
per comunicarglielo. Di sicuro a lui spiegherà i motivi senza problemi; il caso
è vostro, non aveva motivo di informare anche me su di essi.”
Sakura assentì a quelle parole, cercando
di allontanare ogni pensiero apprensivo.
“Nel frattempo”, continuò Kakashi,
preferendo non dilungarsi oltre sulla questione, “pensavo che potessi fornirmi qualche dettaglio in
più, soprattutto su quando siete andati in azienda. Sull’atteggiamento della
ragazza, per esempio.”
“Ecco, ovviamente era sconvolta, chiusa
nel suo dolore. Non è riuscita a dirmi nulla praticamente, neanche una parola.”
Gli spiegò la poliziotta dopo pochi istanti, sovrapponendo alla sua risposta l’inevitabile
ricordo di quando si era trovata lei a vivere quella stessa sofferenza, ma non
permise che esso prendesse il sopravvento.
“Capisco. E aveva qualche macchia di
sangue sui vestiti? Il commissario mi ha detto che è stata lei a trovare il
corpo esanime.”
“No, non mi sembra. Stando all’agente
presente sul posto aveva le mani sporche di sangue, ma quando l’ho vista erano
pulite, evidentemente le avrà lavate.”
“Uhm… mi chiedo perché avrebbe dovuto
toccare il padre, cioè, proprio dove era stato ferito.” Disse l’uomo
pensieroso.
“Beh, potrebbe anche aver toccato
qualcos’altro. In effetti sulla scrivania vi erano degli schizzi di sangue, per
fare un esempio.” Affermò Sakura con una leggera nota di dissenso nella voce.
“Sì, anche questa è una possibilità.”
Replicò prontamente Kakashi. “Ma tu non credi che possa essere stata lei ad
ucciderlo?” Le chiese poi.
“Eh, no, non è questo. In realtà non lo
so.” Rispose la ragazza, abbassando per un istante lo sguardo.”Il fatto è che
la sua colpevolezza sembrerebbe la strada più semplice.”
“Capisco. Evidentemente anche troppo
semplice.” Terminò per lei l’ispettore, dopo che uno dei preziosi insegnamenti
di Isoshi Haruno aveva sfiorato la sua memoria.
“Ricorda
Kakashi, se un’ipotesi è la più ovvia, evidentemente lo è anche troppo.” Gli aveva detto
una sera, una delle tante volte in cui l’aveva invitato a cena per discutere
con calma di un’indagine. E la reazione di Sakura gli lasciò intuire che, ascoltando
le sue parole, anche lei era stata colpita da quel ricordo che in un modo o
nell’altro li univa.
“Già.” Disse infatti la collega con
amarezza, reclinando il capo e spezzando il silenzio teso che era calato su di
loro. “Io ho bisogno di un caffè.” Continuò, alzandosi ma senza risollevare lo
sguardo.
Superò la scrivania e si diresse verso
la porta, ma quando passò al fianco dell’uomo questo la bloccò, circondandole
un polso con una presa ferma ma delicata. Sakura dilatò le pupille per la
sorpresa, poi le puntò su di lui con una chiara richiesta di spiegazione.
Kakashi si perse allora nel verde dei suoi occhi, assaporando i nuovi istanti
di silenzio, mentre si chiedeva fra sé e sé perché dovesse essere così
difficile lasciarsi andare. Animato da sentimenti contrastanti, le spostò lentamente
i capelli dal viso, sfiorandole la guancia destra con le dita, e all’improvviso
le parole di Tenzo della sera precedente si insinuarono con prepotenza nella
sua mente, sopraggiungendo a dare man forte alla sua titubanza.
“Ma
sei sicuro che sia perché non senti di averne il diritto? Non è che forse hai
ancora paura di farla soffrire?”
Non appena gli erano stati posti quei
quesiti l’avevano messo in crisi e lo stavano facendo anche in quel momento: il
problema erano i sentimenti di Sakura o lo era lui? Non ne aveva la più pallida
idea. E, pensandoci bene, non era nemmeno sicuro di voler sapere la risposta.
Sistemò una ciocca rosata di capelli
dietro l’orecchio della ragazza, poi ritrasse il braccio e le liberò finalmente
il polso. Sussurrò un debole ‘scusa’ e abbandonò l’ufficio lasciandola nella
più totale confusione.
Un’ora dopo, rivolgendosi più a Naruto
che a lui, Sakura comunicò che avrebbe seguito l’interrogatorio attraverso il
vetro della saletta attigua, in modo da non creare altra inutile pressione su
Hinata Hyuga. Ascoltando la sua spiegazione, Kakashi ebbe la conferma di aver
fatto un’altra cavolata. Sulla scia del ricordo di quello che per lui non era
stato solo una guida nel lavoro di poliziotto, ma anche il primo a fargli
riprovare il calore di una vera famiglia, si era lasciato andare di nuovo
all’istinto, dimenticandosi della sua proverbiale razionalità. Sperò vivamente
che quel gesto impulsivo non compromettesse nulla. Naruto, invece, ignaro dei
possibili motivi, elogiò la buona idea della collega, che gli indirizzò un
mezzo sorriso per poi accingersi a lasciarli da soli. Kakashi la fissò per qualche
istante mentre dava loro le spalle, imponendosi di abbandonare una volta per tutte
ogni pensiero che non fosse attinente all’indagine.
“Forza, vediamo di iniziare.” Disse allora
con tono deciso, voltandosi verso l’altro poliziotto.
“Sì, certo.” Rispose questo, che
accantonata l’irritazione iniziale era tutto sommato contento di quella
collaborazione.
Entrarono così nella stanza dove si
svolgevano di solito gli interrogatori; all’interno, Hinata li attendeva seduta
compostamente, le mani incrociate sulle gambe e lo sguardo perso tra i pensieri
e i ricordi, dopo che aveva indagato per un po’ quell’ambiente asettico e
impersonale. Udendo il cigolio della porta che si apriva, si voltò subito verso
i due uomini sentendosi in qualche modo sollevata, un sollievo destinato a
durare ben poco. Tra di loro riconobbe senza alcuna difficoltà il poliziotto
biondo che aveva incrociato in azienda, scendendo le scale insieme a Yumi. Si
era soffermata su di lui solo per qualche attimo, mentre lottava contro il
dolore acuto che provava, eppure gli era rimasto lo stesso impresso. Fu proprio
lui a rivolgerle la parola per primo.
“Scusaci per l’attesa.” Esordì Naruto
avvicinandosi al tavolo, mentre Kakashi richiudeva la porta.
“Non… non c’è problema.” Balbettò lei
flebilmente, spezzando il monosillabismo che aveva caratterizzato l’ultimo
giorno.
“Io sono Naruto Uzumaki, e questo è l’ispettore
Hatake.” Continuò il poliziotto, sedendole di fronte e indicando con un cenno
della mano il collega che lo raggiungeva. “Sappiamo che è un pessimo momento,
ma dobbiamo farti delle domande.”
Hinata si limitò ad annuire con un breve
movimento del capo.
“Allora. Come mai eri in azienda ieri
mattina? E ricordi più o meno verso che ora sei arrivata?”
“Io credo fossero intorno alle dieci. Tornavo
dall’università.” Rispose la ragazza, ma solo dopo alcuni istanti di silenzio
in cui aveva cercato di non agitarsi ripensando al corpo esanime di suo padre. “Volevo
comunicargli il risultato dell’esame di Economia aziendale, lui ci teneva.”
Spiegò, con un tono di voce che andò smorzandosi sulle ultime parole.
Naruto rimase colpito da quell’informazione,
amareggiato che il caso Hyuga dovesse ricordargli in un modo o nell’altro il
momento più buio della sua vita, tuttavia si scompose il meno possibile.
“E… perché non hai atteso che ritornasse
a casa, oppure la pausa pranzo?” Chiese ancora.
Hinata però non rispose subito: cosa
avrebbe potuto dire? Che quello probabilmente era l’unico momento della
giornata in cui poteva trovarlo sobrio?
“Ecco, io semplicemente non ci ho
pensato. Sapevo che avrebbe voluto essere messo al corrente.” Disse. Finché
poteva evitarlo, non voleva lei stessa infangare l’immagine di suo padre.
“Dalle nostre indagini, però, risulta
che non eravate affatto in buoni rapporti. E quando è così generalmente ogni
cosa è più difficile.” Obiettò Kakashi, scrutandola.
Come unica reazione, la ragazza piegò le
dita sottili in un gesto che era il riverbero di un dolore sordo. Non si era
illusa che la polizia non lo avesse scoperto, ma parlare con degli estranei dei
problemi chiusi dentro di sé da anni era difficilissimo.
“Quindi, andare ad interromperlo sul
posto di lavoro, non ha pensato che avrebbe generato qualche discussione?.”
Continuò l’uomo.
“No, io… io speravo gli interessasse… questa
volta l’esame era andato bene.” Articolò lei con difficoltà, lo sguardo basso.
“Questo vuol dire che era il profitto
universitario il motivo principale dei vostri litigi?”
“Sì.”
“E immagino che l’alcolismo di suo padre
non aiutasse.” Insisté l’ispettore.
A quel punto Hinata fu avvolta del tutto
dalla costernazione; ingenuamente aveva sperato che almeno quell’aspetto non
saltasse fuori durante l’interrogatorio.
“E magari ieri, al di là di cosa avesse
da dirgli, suo padre non ha voluto lo stesso ascoltarla. Forse aveva già
bevuto, era irascibile, lei ha provato a spiegarsi, ma lui l’ha trattata male
ancora una volta, così …” La incalzò Kakashi.
“No! Non è così!” Lo interruppe la
ragazza con voce strozzata dallo sconforto, sollevando il capo e fissandolo con
gli occhi velati dalle lacrime. “Non è andata così, era già morto.” Concluse.
Poi si coprì il volto con entrambi le
mani, curvandosi leggermente in avanti.
Osservandola, Naruto non poté far a meno
di essere dispiaciuto per lei, ma nello stesso tempo capiva perfettamente che
era stato necessario. E proprio per quello, diversamente da Hinata, non fu
sorpreso dal gesto di Kakashi. L’ispettore infatti si alzò e si avvicinò a lei,
poggiandole una mano su una spalla. “Il peggio passerà.” Disse nel modo più
rassicurante che poteva.
La ragazza si raddrizzò, asciugandosi
qualche lacrima.
“Sa chi avrebbe potuto avere un conto in
sospeso con suo padre?” Le domandò l’uomo dopo qualche istante, ritornando al
suo posto ma senza risedersi.
“No, non lo so.” Gli rispose quando fu
sicura di non balbettare.
“E avete qualche parente, per caso?”
“Sì, ma non abbiamo più rapporti da un
pezzo, e poi vivono lontano da Konoha da quello che so.”
Ricevute quelle ultime informazioni Kakashi
annuì, poi invitò Naruto ad accompagnarla all’uscita del commissariato,
esortazione che il poliziotto eseguì con piacere. E quando furono nei pressi
dell’uscita, rassicurò ancora la ragazza dicendole che avrebbero preso di
sicuro l’assassino. Hinata gli fu riconoscente per quelle parole,
ringraziandolo con un leggero rossore sulle guance.
Affinché il battito del suo cuore
riacquistasse un ritmo normale e i suoi neuroni collaborassero per elaborare
finalmente un pensiero che non fosse frammentario, erano stati necessari
diversi minuti, o meglio era stato necessario il suono prolungato di un
clacson, che puntava a sbloccare un ingorgo poco lontano. Si era così riscosso
dallo stato catatonico in cui era scivolato, aveva ripreso il comando della
vettura e con esso il tragitto verso l’edificio scolastico. Da quel momento e
per le prime ore di lezione, due domande avevano ronzato con insistenza nella
sua testa: come cavolo aveva fatto a non capire mai nulla, e soprattutto cosa
provava lui. Poiché non era riuscito ad accantonarle in nessun modo, aveva
deciso di ritagliarsi un po’ di tempo per riflettervi con calma, per la
precisione fumandosi una rilassante quanto nociva sigaretta. Peccato che
l’accendino non volesse saperne di funzionare, in ciò favorito dalla pioggia
leggera e dall’umidità. Fu solo l’intervento provvedenziale di Asuma a salvarlo
dal sopraggiungere dell’impazienza. Vedendolo in difficoltà, il professore
accostò la fiamma stabile del proprio accendino davanti al suo viso.
“A volte sono degli aggeggi infernali.”
Esordì.
Il poliziotto si voltò per capire chi
fosse, poi si tolse la sigaretta dalle labbra e approfittò della fonte di
calore offertagli dall’uomo.
“Grazie.” Rispose, prima di accogliere
nel proprio corpo l’effetto piacevole della nicotina.
Rimasero così in silenzio per qualche
minuto, ognuno immerso nei propri pensieri, fermi sotto una piccola tettoia
sufficiente a coprirli dalla pioggia.
“Quale è il problema?” Chiese ad un
certo punto Asuma.
Preso alla sprovvista, Shikamaru gli
rivolse uno sguardo interrogativo a cui l’uomo non tardò a dare una risposta: “Se
si sente il bisogno di una sigaretta, per giunta sotto la pioggia, può esserci
qualcosa che non va.”
Di fronte a quella spiegazione, l’ispettore
pensò che avrebbe potuto senza problemi ribattere, adducendo come scusa il non
volersi sorbire un’altra ramanzina, ma scelse di non mentire; il professore di
educazione fisica riusciva ad ispirargli a fiducia. Tornò ad osservare l’acqua
piovana cadere con insistenza su alcune macchine parcheggiate davanti all’atrio
della scuola, creando nell’aria fredda altri cerchi di fumo che si disfacevano
velocemente.
“Stamattina ho capito qualcosa di cui
non mi ero mai accorto, e adesso non so come comportarmi. Mi ha confuso.”
Confessò.
Asuma ascoltò attentamente le sue
parole, scrutandone anche l’espressione seria in cui lesse un’ombra di
preoccupazione, e tirò le proprie conclusioni.
“Capisco. Deve essere una persona
importante questa donna.” Commentò.
Sebbene sorpreso per la seconda volta,
Shikamaru non perse tempo per capire come fosse riuscito a cogliere la natura
del suo problema, ma sfruttò l’occasione che gli veniva offerta per sfogarsi.
“Sì, lo è.” Disse dopo una breve pausa.
“E non vorrei ferirla. Solo che per riuscirci dovrei almeno capire me stesso.”
Cosa più facile a dirsi che a farsi,
terminò tra sé e sé. Eppure sapeva che doveva, perché se Ino aveva deciso di
dichiararsi, mettendo in pericolo la naturalezza del loro rapporto, lui doveva
quanto meno non tormentarla anche con la sua indecisione.
All’improvviso, nitide come se non
fossero passate due ore, fu avvolto dalle sensazioni di quel bacio imprevisto: la
pressione delle dita affusolate sulla sua pelle, il calore della lingua che
cercava la sua, la morbidezza delle labbra premute contro la sua bocca: un
inevitabile rossore fece la sua comparsa. Shikamaru reclinò subito il capo
fissando il suolo, e per camuffare il vero motivo del suo gesto lasciò cadere
della cenere. Che in realtà fosse più semplice di quanto pensasse? Fu la
domanda che emerse dalla confusione che provava.
“Eh, già.” Sospirò intanto l’uomo al suo
fianco, spegnendo la sua sigaretta che era ormai un mozzicone nella sabbia di
un posacenere. “In un modo o nell’altro, le donne ci mandano in crisi.”
Affermò, ripensando al tipo di problema che aveva spinto anche lui a fumare
sullo sfondo di quella giornata uggiosa, consentendogli di intuire lo stato
d’animo del presunto collega.
“Comunque, al di là di tutto, concediti
il tempo necessario. Con i sentimenti bisogna essere cauti, gli errori di
valutazione possono mettere ancora più a rischio i rapporti.” Concluse dopo
qualche istante di silenzio. E si chiese se lui invece non stesse commettendo
uno di quegli errori prolungando troppo la sua insicurezza.
“Lo terrò a mente. Grazie per il
consiglio.” Lo ringraziò Shikamaru con sincerità.
Nel frattempo l’innominata della
conversazione, lasciate da parte le complicazioni sentimentali della sua vita, cercava
di concretizzare qualcosa nell’ambito delle indagini, mettendo a frutto le
informazioni raccolte. Nelle ultime settimane aveva puntato ad inserirsi nel
migliore dei modi all’interno delle dinamiche della sua classe e dell’istituto
in generale, e aveva prestato molta attenzione a ciò che si diceva, sia in aula
che nei corridoi, individuando così i soggetti più propensi all’uso di droga anche
dopo i recenti avvenimenti. Quel giorno aveva scelto di seguire due ragazze,
con cui diverse volte si era trovata a parlare, simulando di incontrarle per
puro caso nei bagni durante la ricreazione.
“Heilà, ragazze! Come va?” Le salutò
avvicinandole con un sorriso sulle labbra.
Le studentesse fumavano tranquillamente,
ben nascoste da una parete che divideva l’ambiente in due parti.
“Oh, Ino. Ciao.” Ricambiò il saluto la
più mingherlina delle due. “Beh, compiti, interrogazioni e quella stronza di latino.
Insomma, il solito.” Rispose concisa, concedendosi poi un’altra boccata di
fumo.
“Capisco.” Commentò la poliziotta, poi si
appoggiò al bordo del lavandino dietro di sé puntellandosi con le mani. “Io
invece sempre grane con il deficiente di matematica.” Aggiunse.
Il che non trovava certo riscontro nella
realtà scolastica, ma loro non potevano saperlo.
“Immagino, la matematica è una seccatura
e i prof ancora di più. La nostra fortunatamente è spesso latitante.”
Intervenne la ragazza rimasta inizialmente in silenzio. “Ma comunque queste
sono cose secondarie, stasera piuttosto discoteca. Giusto, Mariko?” Continuò
ammiccando verso l’amica.
“Puoi contarci, Ran.” Replicò
prontamente l’altra. E Ino decise di prendere la palla al balzo.
“Buona idea. Anch’io stavo pensando di
andarci, sapete. Solo che… “ Si interruppe gettando un’occhiata verso l’entrata
del bagno, come a sincerarsi che non arrivasse nessuno, poi proseguì abbassando
la voce e con tono di intesa: “Ecco, mi chiedevo se sapeste dove potrei
procurami una dose. Per un po’ di sballo, insomma.”
“Beh, anche in discoteca, qualcuno c’è
sempre.” Rispose Mariko, senza battere ciglio di fronte a quella richiesta.
“Oh, certo, questo lo so. Però vorrei
arrivarci già in forma.” Precisò
meglio Ino, strizzando l’occhio. ”Non è che forse conoscete qualcuno della
scuola a cui potrei rivolgermi?” Chiese.
“Uhm, capito.” Disse Ran, spegnendo il
mozzicone della sua sigaretta sotto la suola della scarpa. “Personalmente
preferisco fuori, ma comunque so che c’è Sabaku no Gaara, della 5 B.”
“Oh, perfetto, so chi è!” Esclamò la poliziotta,
mentre esultava interiormente per un altro indizio che legato a quello di
Shikamaru creava una prova da cui proseguire. “Grazie per la preziosa
informazione, ragazze.” Almeno qualcosa in quella giornata andava per il verso
giusto, pensò.
Quasi seduta sulla scrivania, sentiva le
mani di Jiraya esplorarle tranquillamente la schiena e il suo respiro caldo
accarezzarle la pelle del collo alternandosi alla pressione leggera delle sue
labbra. Non poté evitare di lasciarsi andare ad un sospiro di piacere, poi
riaprì gli occhi nocciola posando lo sguardo sulla spalla dell’altro
poliziotto.
“Tra poco vengono per un rapporto.”
Sussurrò a pochi centimetri dal suo orecchio.
L’uomo interruppe la sequenza di baci,
la guardò e depositò ancora un altro bacio sulle labbra della donna. “Beh,
sarebbe una bella scena da scrivere, quindi perché non sperimentarla prima.”
Disse con un sorrisetto malizioso. Poi tentò di abolire di nuovo la distanza
tra i loro visi, ma Tsunade lo allontanò da sé bruscamente.
“Sei il solito pervertito! Se non smetti
di scrivere quelle indecenze, prima o poi ti mollo!” Sbottò stizzita. Non
poteva farci assolutamente nulla: l’hobby di Jiraya non le andava affatto a
genio, soprattutto se doveva interferire con la loro vita sentimentale.
“Ma…” Farfuglio l’uomo, preso alla
sprovvista da quella reazione, poi si affrettò a riparare. “Io stavo
scherzando. Non dicevo sul serio.”
Tsunade lo scrutò ancora per qualche
istante con cipiglio contrariato.
“Per questa volta farò finta di
crederti.” Replicò poi, decidendo di liquidare la questione.
Gli diede le spalle e recuperò la
cartellina dalla scrivania, aprendola per dare una lettura veloce al rapporto;
un semplice diversivo per non continuare la conversazione, dato che ne
conosceva già il contenuto. Jiraya intuendolo sospirò rassegnato.
“Va bene. Ci vediamo stasera allora.”
Disse, per poi avviarsi verso l’uscita. “Mi raccomando non lavorare troppo.”
Aggiunse.
Il commissario distolse lo sguardo dal foglio
e lo rivolse alla schiena dell’uomo che si allontanava.
“A dir il vero, sei tu che stai tornando
tardi ultimamente.” Gli rispose.
Lui si fermò e si voltò verso di lei.
“E’ una ruota che gira, mia cara.”
Affermò. Poi aprì la porta, ritrovandosi davanti Naruto e Sakura, li salutò e
uscì, permettendo loro di entrare nell’ufficio.
“Se Jiraya-san era qui, ciò vuol dire
che è arrivata la relazione della scientifica?” Esordì il poliziotto biondo,
con una domanda che aveva in realtà il tono di una constatazione.
“Già. E serve a ben poco.” Rispose
Tsunade, sedendosi e riabbandonando la cartellina al suo destino. “Sono
riusciti a trovare l’arma del delitto, un semplice coltello. Era stata gettata
dalla finestra dell’ufficio della vittima, finendo tra i secchi della spazzatura.
Il guaio è che non vi è nessuna impronta digitale.” Lo informò con sguardo
serio.
“Non ci sono impronte?!” Ripeté Naruto
sorpreso. “Quindi… quindi sembrerebbe essere un delitto premeditato.” Concluse
poco dopo, in parte sollevato.
“Sembrerebbe.” Gli fece eco la donna. “Voi
invece cosa avete scoperto?”
“Ecco, sì. In pratica abbiamo un alibi
da verificare, che potrebbe combaciare con l’orario datoci dall’autopsia. Però,
c’è da dire che Hinata Hyuga sembrava sincera, anche sotto pressione.” Riferì
il poliziotto, riassumendo i punti essenziali dell’interrogatorio.
“Inoltre il giorno dell’omicidio la
ragazza era del tutto sconvolta. Per essere stata lei, dovrebbe essere
un’attrice perfetta. Ma mi sembra difficile.” Intervenne Sakura, andando a
sostenere e a meglio definire le parole del collega.
“Sì, potrebbe essere.” Disse Tsunade, dopo
qualche istante di meditazione. “Però, prima di tutto, verificate l’alibi, non
si può mai sapere. Poi, vedete voi.” Concluse.
Note dell'autrice
Prima di tutto qualche nota tecnica: la citazione iniziale è di Lavoisier ed è chiaramente adattata(che l'autore non me ne voglia^^); l'esame che sostiene Hinata non so se esista realmente ma mi serviva un nome per far capire di che facoltà si trattasse; all'inizio il vetro-specchio non c'era, l'ho creato adesso, quindi se non ve lo ricordate è normale(appena posso modifico e cì sarà anche nella prima scena in cui compare la stanza degli interrogatori).
Per il resto, scusate il solito ritardo nel postare, ma l'università prima di tutto, e comunque il capitolo è molto ricco di nuovi dettagli e di crisi psicologiche, soprattuto. Spero che ciò mi possa far perdonare. Intanto ringrazio chi segue la fic e chi la preferisce, in particolar modo slice, storyteller lover e Urdi, grazie mille per il vostro sostegno, ragazze.XD
storyteller lover: mora, tu già hai letto e già sai^^ in questo capitolo c'è qualcosa su Sakura, anche se solo qualche imput, ma arriverà il moemento, tranquilla^^ di sigreti qui se ne scoprono altri(Uchiha brothers sopratutto) anche se in parte, per altri bisogna attendere eheh Kakashi non ha finito soffrire, haimè, e sono contenta che il rapporto tra Naruto e Sakura ti piaccia, sono molto carini insieme^^Un bacione!
Urdi: così mi sciolgo io, però *_* il risultato finale dello scorso capitolo mi ha sodisfatta, come anche quello di quest'ultimo(a parte che sono più di 10 pagine e per me è una vera conquistaXD), però addirittura strepitoso... insomma grazie, me emozionata *_* Naruto e Sakura, è vero, sn molto pucci e mi è paiciuto descriverli(mi fa davvero piacere che risultino realistici^^), e ora con Kakashi che si è mezzo scoperto, chissà che succederà, comunque come hai visto Tenzo ci ha messo lo zampinoXD Riguardo a Minato, sono contenta di essere riuscita a dare un'idea realistica dell'alcolismo, di cui fortunatamente nn ho esperienze dirette, però in effetti anch'io non colpevolezzo totalmente Minato dato che anche lui nasconde sofferenza, alla fine è il personaggio tipo di questa storia, con luci e ombre, e sono felice di essere riuscita in un modo o nell'altro a far arrivare questo aspetto. Il pezzo con Kureani mi è venuto molto spontaneo, quasi da solo, e di sicuro non potrei mai pensare ad un plagio^^ Infine, come vedi, anche in questo capitolo ci sn anche gli altri personaggi, anzi mi rendo conto che sn davvero tanti, non so come faccio a gestirli considerando che ognuno ha i suoi drammi e i suoi misteri, speriamo in bene. Grazie ancora per i complimeti, cara, un bacioneXD
slice: non dite cose sempre belle, altrimenti mi monto... sì, come no, tu lo sai che è leggeremnte difficile^^ però sn super contenta che vi piaccia ciò che scrivo, con tutti gli intrighi intrigosi che in questo capitolo vengono in parte sciolti, o meglio,no,ma diciamo che gli elementi ci sn quasi tutto per poter intuire qualcosina. Fatemi sapere cosa ci aveto capito, caso maiXD Come vedi, questo capiotolo è molto più lovvoso e c'è Itachi e Sasuke(che a detta di story risulta sopportabile, mannaggià, io che rendo Sasuke sopportabile, è quasi una barzellettaXD), poi c'è InoShika e Kakasaku...è super incasinato con tutti sti personaggi^^ Grazie mille per il sostegno, un bacioneXD