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Autore: BBV    30/09/2010    7 recensioni
A diciotto anni, la vita di Victoria Hamilton
è stata completamente stravolta da un brutto incidente,
che l'ha portata a trasformarsi in una teenager ribelle e sfacciata.
Sua madre decide di mandarla a vivere dal padre e dalla sua nuova famiglia: una moglie e due figlie.
Insieme a suo fratello Shane parte per Longwood, un piccolo paese sperduto del Wisconsin.
Per Victoria è l'inizio di un incubo, un incubo dove appare Nathan,
un ragazzo presuntuoso e irruente, il ragazzo della sua sorellastra.
Un ragazzo che con prepotenza, arroganza e gesti folli riesce a sconvolgerle la vita.
«Se non mi dici il tuo nome, io mi butto», strillò ancora, facendomi sobbalzare.
«Victoria», gridai con quanto fiato avevo in gola. «Il mio nome è Victoria».
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ''The Rain Series''
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Capitolo 2

 "Introducing me"


 



Mai e poi mai avrei pensato di arrivare scontrarmi con un insolente ragazzaccio del posto. La mia idea di soggiorno a Longwood prevedeva una solitudine immensa, tanta musica e poche persone attorno a me. Eppure non ero lì da neanche qualche ora che già stavo per litigare con una persona. Eppure non provai disgusto nel trovarmelo davanti. Eppure…ne ero addirittura catturata. Kate me lo diceva sempre: ero la regina dell’incoerenza bella e buona.

Il ragazzo aveva l’aspetto del classico tipo di un piccolo paese. Una specie di bello del posto, ci avrei giurato. Ma era davvero bello. Era alto una decina di centrimetri in più a me, biondo, aveva due occhi che detestavo solo per essere così perfetti. Blu. Preziosamente e deliziosamente color cielo. 

 

«Si può sapere cosa ti è passato per la testa ragazzina?», il ragazzo mi spinse di lato bruscamente, e toccò con attenzione, la striscia visibile che avevo lasciato sulla sua moto.

 

«Te lo meriti!», presi fiato. «Prima mi hai quasi investita». Arrivati a quel punto, le mie giustificazioni non mi sembravano più così giustificate. E quel ragazzo non sembrava affatto in vena di giocare.

 

«Hey, vacci piano con mia sorella, è solo un graffio», Shane sembrò alterarsi e avanzare di qualche passo, ma non gli avrei permesso di passare i guai per colpa mia, perciò lo fermai subiyo. Il ragazzo, con lo sguardo torvo, si voltò verso Shane, lo fissò qualche minuto poi si guardò intorno come se fosse senza parole. Come se stesse guardando due alieni. Fu la cosa più irritsnte che avessi mai visto nello sguardo di un ragazzo.

 

«Ma da dove venite voi?», sbraitò sdegnato il ragazzo. 

 

«Senti, mi dispiace per il brutto segno, mia sorella è piuttosto… nervosa oggi». Shane, con una calma che non apparteneva neanche a lui,  cercò di colmare la rabbia di quel ragazzo. Non ci vedevo niente di male in quello che avevo fatto. Okay, non era il massimo dell’educazione e della giustizia, ma era solo una moto. Quanto poteva essergli cara?

 

«Non me ne faccio niente delle vostre scuse», gli occhi da blu chiaro del ragazzo si incupirono fino a diventare due pietre scure. La situazione mi stava scivolando dalle mani ed io non sapevo decidermi sul da farsi. La mia testa sbuffò, non doveva essere affatto facile farmi da coscienz, ma poco mi importava, ignorai i pensieri che mi invitavano a scusarmi chiudendo la questione. Io non l'avrei mai fatto.

 

«Smettila di fare il prezioso, è solo una stupida moto», ribadii sotto lo sguardo, ormai sconfitto, di mio fratello. Era evidente che io tentassi di nascondere il disagio e che lui tentasse di non uccidermi.

 

«Adesso basta, chiamo la polizia», appena sentii quelle parole, un po’ arrabbiata e divertita, cercai di nascondere quel pizzico di paura che avevo del cacciarmi nei guai per l'ennesima volta.

 

«Okay, visto che ti trovi, mi passi mio padre?», risposi arrogantemente. La mia frase bloccò a metà il biondino che alzò, lentamente –per la prima volta-, gli occhi su di me. E rimase in silenzio, a fissarmi. Cambiò immediatamente espressione appena mi guardò, sul suo volto si aprì uno strano sorriso.

 

«Come hai detto che ti chiami?», spezzò il silenzio, sfacciato. 

 

«Non te l’ho detto», incrociaci le braccia alzando il viso. «Non è mai stato nei miei interessi dirtelo».

 

«Lo sai che se vuoi evitare dei guai per quello che hai fatto, dovresti almeno provare a convincermi a non farlo…», i suoi toni, da furibondi erano passati a maliziosi e sensuali. Maledettamente affascinante quanto stupido, in quanto credeva veramente che sarei svenuta a terra dall’emozione. L'unico motivo per cui sarei svenuto era il caldo di Longwood, niente di più.

 

«Chiama pure la polizia, lo preferisco», lo sfidai ancora. Era insopportabile cercare di detestare qualcuno che ti attrae in modo così snervante.

 

«Lasciala perdere, sta scherzando», si intromise mio fratello – di cui mi ero veramente dimenticata -,«Sono convinto che mia sorella si scuserà con te, ma non mettiamo in mezzo la legge, okay?». La situazione stava prendendo una piega strana. Mio fratello e quello strano, affascinante quanto irritante ragazzo cominciarono a parlare più tranquillamente, come se fosse scaduto il tempo di rabbia concesso a due maschi della loro età. Chi le capiva quelle cose tra ragazzi?

 

«Sono Nathan», disse il biondo.

 

«Shane», rispose senza più quell'alterazione che prima mi aveva sorpresa.  Quando entrambi si voltarono verso di me, capii che era il mio turno.

 

«Non ho intenzione di dare i miei dati personali ad una persona che mi ha quasi uccisa», borbottai acida.

 

«Tranquilla, non ho bisogno di sapere il tuo nome», mi rispose Nathan, «Non è a quello che mi servi». Era sconvolta dalla sfacciataggine di Nathan, se non fosse stato così maledettamente bello, probabilmente l’avrei schiaffeggiato senza pensarci due volte.

 

Mi avvicinai a lui, sicura di volergli tirare un pugno in faccia e lasciargli il segno, ma venni fermata dalle mani di Shane, proprio quando le mie mani stavano per attaccare quella bella faccia.

«Suscettibile e irritabile?», rise divertito.

 

«Io sono sempre suscettibile e irritabile», urlai ironica.

 

«Scusala di nuovo, Nathan. Deve ancora ambientarsi»,con un unico gesto mi spinse lontano dal biondo con un occhiataccia. Era il momento di calmarsi e ragionare come una persona civile. Eppure come avevo voglia di riempirlo di calci e pugni.

 

«Scherzi a parte», esclamò. «Se non vuoi che ti faccia passare qualche guaio –perché ti assicuro che posso- sarà meglio che mi aiuti a riparare la mia moto», replicò serio portando un dito sul graffio lungo e sottile che aveva cancellato la vernice blu.

 

«Cosa sei, una specie di figlio di papà del luogo?». Alzò gli occhi al cielo più divertito di quanto dovesse, poi riportò i suoi occhi su di me, mi scrutò ancora un po’ in modo insistente e eccessivo, e riprese la parola.

 

«Oh si, avrò proprio bisogno di una mano», avanzò di qualche passo verso di me, in modo inquietante da farmi rabbrividire.

 

«Sicura che non vuoi dirmi il tuo nome?», mormorò ancora una volta, sfidandomi con gli occhi. Voltai le spalle per chiarire il “no”, e per interrompere quello sguardo tenace e forte su di me.

 

«Allora, credo che ti chiamerò sconosciuta. Ti piace?».

 

---------

 

«Te la sei cercata. Glielo devi», mi aveva rimproverata Shane una volta a casa. Eravamo tornati un’ora dopo lo spiacevole incontro con Nathan, il ragazzo che mi aveva quasi investita con la stessa moto che gli avevo rovinato. Lo so, potrei scrivere un libro con quello che ho detto.

 

«Ma se neanche lo conosco, con quale coraggio manderesti la tua piccola sorellina a lavorare con uno sconosciuto che l’ha quasi investita?», mormorai scoraggiata portando le mani alla testa. Sentivo il sangue salire e scendere come in una giostra, in giro per il mio corpo.

 

«Sono convinta che la mia piccola sorellina», rimarcò. «Saprà come cavarsela. Devi solo aiutarlo a riparare la moto, quanto tempo ci vorrà?», mi rassicurò. Sospirai  e ancora arrabbiata seguii la strada verso la mia camera. Anzi, la  camera condivisa con Emma. Quando entrai la stanza non era vuota. Emma era in compagnia di un’altra ragazza dalla carnagione scura e gli occhi chiari, ridevano e mormoravano sottovoce nomi a me sconosciuti, ma si interruppero appena si accorsero della mia presenza e probabilmente anche della mia faccia stravolta.

 

«Hey Victoria, tutto bene?», mi chiesero. Annuii senza particolari cerimonie, gettandomi a peso morto sul materasso coperto da delle lenzuola rosso fuoco. Studiata attentamente, era piuttosto eccentrica come camera: i contrasti tra i colori erano stravaganti. Non fraintendetemi, era forte vedere quegli schizzi di colore, faceva molto “anticonformista” ma…era nuovo per me.

E tu che sei abituata alle pareti bianche, pensai.

 

«Ehm…ti va di fare due chiacchiere?», mi chiese una voce intimorita. Emma e la sua amica erano sedute a gambe incrociate sul suo letto, rivolte verso di me, con due grandi sorrisi amichevoli che mi fecero sentire in colpa. Ero stata così maleducata, specialmente verso Emma. Lei non aveva niente contro di me. Il problema ero io: il fatto che si fosse preso mio padre e che lei potesse crescere con una figura paterna al suo fianco, non l’aiutava, ma non ero così incosciente da prendermela con lei.

 

«Certo», risposi dolcemente mettendomi a gambe incrociate sul mio letto e rivolgendogli un piccolo sorriso che a loro parve come un lascia passare per un inquisizione.

 

«Hai già fatto un giro?», annuii ricordando lo spiacevole incontro con Nathan-bello-quanto-odioso. In un certo senso, mi piaceva ricordare la sua smorfia quando aveva visto l’auto, ma anche l’espressione maliziosa che aveva assunto quando mi aveva guardata.

 

«Non sono andata molto lontano in realtà», spiegai gesticolando. «Io e Shane ci siamo limitati a passeggiare sul lungomare», e ci era bastato.

 

«Hai portato qui il tuo ragazzo?», domandò la ragazza accanto ad Emma, sorpresa.

 

«Uh? No…che schifo. Shane è mio fratello», risi tra il disgusto e il divertimento.

 

«Scusami. Ancora non vi ho presentate. Hilary, lei è Victoria, mia sorella», pronunciò tanto elettrizzata, come se fosse desiderosa di avermi lì con lei. Non aveva neanche la più pallida idea di cosa aveva acquistato.

 

«Wow. Ancora non posso credere che hai una sorella, carina e della tua età. Avrai concorrenza Em». Disse tutto d’un fiato Hilary, elettrizzata.

 

«Smettila Hil», sussurrò Emma, improvvisamente rossa in viso. Risi e mi scusai subito della mia indelicatezza, mentre loro mi seguivano a ruota senza troppi problemi. Mi sentii quasi a mio agio.

 

«E così…vieni dalla Grande Mela?», domandò Hilary con tono calmo a contrasto con i suoi occhi che fremevano per qualche informazione. Mi ero dimenticata della smania di sapere per gli abitanti dei piccoli paesi.

 

«Già, New York», annuii imbarazzata. Non volevo sembrare asociale ma non sapevo che altro aggiungere.

 

«Sei fidanzata?».

 

«Hil, ti prego. Non farle un interrogatorio. E poi che razza di domande fai?», la rimproverò Emma. Mi sentii in dovere di parlare e raccontare qualcosa senza troppe domande.


«No, non più. Per venire qui ho dovuto lasciare il mio ragazzo. Odio questo posto anche se sono qui da meno di ventiquattro ore. Ho un fratello di vent’anni, anche se più che fratello è un idiota patentato senza uno straccio di vita privata. Frequento, anzi frequentavo, la New York Academy, amo le patatine fritte, detesto il mare. Va bene così?», chiesi con troppa enfasi dimostrando di essere infastidita dai gossip. Avevo rovinato di nuovo un tentativo di gentilezza verso gli altri.

«Scusate, sono solo un po’ stanca», aggiunsi. «Sono arrivata qui e ho già avuto un brutto incontro. In realtà non faccio sempre così», sospirai sincera. Era tutta colpa di quella stupida giornata. La partenza, la moto che mi investe, il ragazzo bellissimo che mi minaccia di farmi passare altri guaio oltre a quelli già ho. Non ero stressata senza motivi.

 

«Ehm…tuo fratello è un idiota carino. Oppure un idiota e basta?», chiese a bruciapelo Hilary, sotto lo sguardo intimidatorio dell’amica.

 

«Non c’è bisogno che ti scusi. E’ naturale. Io non avrei mai retto una cosa del genere», mi sorrise Emma. Il giorno dopo avrei dovuto ringraziarla.

 

«Ascolta. Stasera ci sarà una cena un po’ speciale per il vostro arrivo. Non sarà una festa in perfetto stile New York, ma sarà una normale cena senza genitori. Ci saranno alcuni nostri amici che ci terrei a presentare a te e a Shane, sempre se sei d’accordo». Conoscere persone era l’ultima cosa di cui avevo bisogno, ma non avevo il coraggio di rifiutare.

 

 «Certo, perché no?». Qualche minuto dopo mi dissero di volermi lasciare riposare un pò e sistemare le mia valige.

 

Nello stesso momento in cui chiusero la porta della camera, scoppiai a piangere nascondendo il viso sotto un cuscino. Non ero sicura del motivo per cui dal mio viso scendevano vere e proprie lacrime, ma sapevo che non avrei mai avuto una reazione del genere avanti a qualcuno. Durante gli ultimi due mesi avevo passato un bel po’ di guai, avevo trasformato lo stress in una forma di ribellione. Erano successe molte cose, tutte in fretta, senza che me ne potessi rendere conto. Forse Longwood mi avrebbe fatto davvero bene, forse sarei riuscita a riconoscere i miei veri sbagli, forse avrei trovato il coraggio di parlarne con qualcuno.  Era come se avessi perso i miei obbiettivi, ed avevo bisogno di fare la cosa giusta.

 

Quel giorno era stato un completo disastro, ma mia madre mi aveva insegnato a guardare le stelle e continuare ad essere positiva alla faccia della mala sorte, ma le stelle non erano ancora visibili ed ero troppo, troppo stanca per sperare. 

 

«Toc Toc. Posso entrare o sei in intimità?», la voce ovattata di Shane interruppe il mio sogno qualche ora dopo. Avevo dormito tutto il pomeriggio e nonostante mi sentissi indolenzita, non ero più stanca.

 

«Entra Shane», e spalancò la porta senza farselo dire due volte. All’inizio non mi degnò di uno sguardo, troppo impegnato a analizzare la stravagante camera da letto.

 

«Sei capitata proprio bene», sorrise di scherno. «Che ci fai nel letto, vestita ancora così? Non mi starai diventando apatica?», sussurrò spaventato e divertito. Lo guardai con più attenzione e capii perché mi stesse rimproverando. Indossava i suoi jeans migliori, una camicia blu e un gilet grigio, e i capelli perfettamente curati dalla gelatina. 

 

«Devi andare da qualche parte?». Mi rispose con uno sbuffo.

 

«Pensavo che Emma te l’avesse detto», ribadì.

 

«Oh, si. Gli amici», saltai dal letto cercando un orologio che mi desse un orario su cui basarmi. Il cerchiò sulla parete segnava le otto e mezza.

 

«Anche se non lo da a vedere, Emma ci tiene molto. Mi sa che siamo diventati la maggior attrattiva del paese, e chi più di lei può esserne contenta?», rise di gusto. Aveva una capacità a divertirsi ,anche quando era meno opportuno, da invidiare.

 

«Ora dovrò trovare qualcosa da mettermi», Shane alzò di scatto le mani in segno di resa e cominciò ad indietreggiare. «Okay, non contare su di me. E’ arrivato il momento di andare, ci vediamo tra un ora al piano di sotto», esclamò frettolosamente fino a scomparire dalla stanza tanto velocemente quanto era entrato. Bastava parlare di qualcosa di più femminile che si dileguava in pochi secondi neanche avessi invocato il Diavolo in persona. 

 

Maledii, sbuffai più volte verso qualcosa di inesistente, in modo da non sentirmi colpevole verso qualcuno, ma non era così divertente come prendere a parolacce Shane.

Pettinai con cura i capelli lasciandoli sciolti, indossai, senza troppo riguardo, dei pantaloni di raso neri ed una semplice camicia a quadri: non stavo di certo andando al ballo di fine anno, giusto? Sbuffai e pensai a Kate, la mia piccola e indifesa amica e la sua eterna indecisione. Come avrebbe fatto senza di me? Ed io come avrei fatto senza di lei? Già c’era un vuoto nel nostro cuore, se ci si metteva anche la nostra lontananza poi…la nostra amicizia non sarebbe durata. Forse avrei dovuto chiederle di raggiungermi per un weekend, o viceversa. Non potevo permettermi di perdere anche lei.

 

«Vicky, scendi…devi vedere», venni letteralmente rapita da mio fratello in fretta e in furia verso le nove di sera, quando il sole  in piena estate era a malapena tramontato.

 

«Shane ho due gambe anch’io», gli urlai per le scale, irritata dal suo solito comportamento infantile. Dei vent’anni che aveva ne dimostrava solo dieci di cervello.

 

«Bene, spero tu abbia anche due occhi per vedere questo…», mi fece inciampare per l’ultimo scalino e mi indicò il soggiorno, dove c’erano sei ragazzi tra cui Emma e Madison.

 

«Sorella, fratello, venite vi presento i miei amici», prese la mano molto più dolcemente di quanto aveva fatto Shane e raggiungemmo i suoi amici. «Lui è Scott, ma puoi chiamarlo Scotty», diedi la mano ad un ragazzo basso e pallido con un sorriso timido ma un aria decisa. 

 

«Lei invece è Carmen», mi indicò una bella ragazza dalla pelle olivastra, probabilmente di origini messicane. Ci scambiammo un semplice sorriso.

 

«Quest’impicciona invece, già la conosci», Hilary mi fece l’occhiolino e dopo avermi lasciato un bicchiere di carta pieno di coca cola, partì subito in quarta a salutare Shane. Ne avevo contate sei di persone ma esclusa Madison, ne mancava ancora una. Non feci in tempo a girare lo sguardo che Emma mi aveva già lanciato verso un angolino della stanza per presentarmi ancora una persona.

Non importava la reazione, non importavano i miei occhi sbarrati o il mio corpo immobile. Non importava perfino che mi stessi versando la coca cola sulla maglia. Lì c’era Nathan, il ragazzo della moto. Quello importava.

«Mia nuova sorellina, ti presento Nathan. Il mio ragazzo».



Fine Secondo Capitolo.



Ringrazio i commenti, le visite, ringrazio chi ha letto. Il solo pensiero mi eletrizza, perché è molto importante per me che abbiate letto anche solo per curiosità il primo capitolo, e che vi sia piaciuta o anche no. Spero che mi facciate sapere anche il vostro punto di vista e cosa ne pensate di questo inizio della storia. E... non fate caso se a volte vi lascio con una frase senza senso presa da una canzone. Sono fatta così: amo la musica e colgo sempre l'occasione per dimostrarlo.

 


fataflor:
Ciao! Grazie a te, per aver letto questa storia e averla commentata. Si, Vicky è un bel personaggio, e riguardo a Shane, spero che ti sorprenderà, visto che è un bel punto di riferimento e un punto forza per la mia storia! In realtà, sarei felicissima se ti appassionassi a "A Year Without Rain" Fammi sapere se ci riesco! Grazie per i tuoi complimenti, anche sulla mia scrittura!

DreamsBecomeTrue:
Ciao! Grazie mille per il commento che hai lasciato. Sono contenta che tu ti riveda in Vicky e che  ti abbia colpito, perché il personaggio che ho "creato" è davvero forte. Una persona, sotto molti aspetti, davvero invidiabile, ma che prima di riconoscere la sua forza, ne deve combinare ancora tante! Riguardo al suo caratterino, Bé, in un solo capitolo hai già centrato le prima impressioni che può dare.

P.S: Sono contenta che il protagonista maschile ti abbia "colpito" solo dall'immagine.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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