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Autore: Kagome    15/12/2003    1 recensioni
Mentre celebra un'omelia funebre, un sacerdote medita sui comportamenti umani e su come ogni cinismo e scetticismo venga meno di fronte alla morte.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anche Ora



di Giulia Fancelli
25 Agosto 2002





               Anche ora, davanti a me, una persona è morta.

               E’ incredibile pensare quanto questo mistero sia comune nel nostro mondo. Ogni non so quanti secondi una nuova vita compare tra di noi. Ogni non so quanti altri secondi, una ne scompare. La Terra è come un’enorme sala piena di candele, delle quali noi siamo le fiamme. Alcune di esse si accendono, altre si spengono, altre ancora tremolano e si inclinano pericolosamente al soffio gelido della malattia, ma resistono. In questo stesso modo oggi, di fronte a me, un’altra fiammella si è spenta.

               Sto camminando per i vicoli romani del centro, per sistemare alcune faccende prima di attendere al mio dovere. Sono un uomo sulla quarantina, soggetto a una delle più gravi mansioni che un essere umano possa essere chiamato a ottemperare: il sacerdozio.

               Oggi devo presiedere a un funerale. Anzi, a più di uno. Questa mia passeggiata ha potuto avvenire solo perché uno dei miei colleghi più giovani ha accettato di presiedere a quello delle nove e mezza.

               Un funerale. Può sembrare un avvenimento triste, sconcertante, che distrugge tutte le certezze e fa saltare ogni cinismo. Eppure, per una persona come me, questo evento così pieno di mistero è ormai una mera routine.

               Ogni giorno celebro funerali. Sono molto più rari i matrimoni o i battesimi che mi vengono richiesti. La morte è qualcosa che avviene dunque così spesso? Nella mia umiltà, non saprei.

               Sto riflettendo su questi casi della vita; se l’argomento non fosse così triste, sembrerebbe quasi buffo.

               Ho scritto diverse prediche per i funerali che dovrò celebrare quest’oggi. Sono tutte uguali nel significato, ho solo dovuto modificare qualche parola ogni tanto. Sto pensando a un modo per rendere ognuno di esse unica quando sento un rumore di freni, seguito da un terribile fragore di vetri rotti.

               Il rumore mi distoglie dai miei pensieri e il mio sguardo si volge alla strada. Un’auto è andata a sbattere contro un camion che stava girando per via Ferrari. La donna al volante dell’auto è accasciata su se stessa, probabilmente svenuta. Non portava la cintura di sicurezza, e il vetro di fronte a lei è macchiato del suo sangue. Con orrore mi accorgo che quel sangue proviene dalla sua testa.

               Vedo moltissime persone accorrere per prestarle i primi soccorsi. Cercano di destarla con la voce, ma nessuno osa toccarla. Vedo qualcuno prendere in mano un cellulare, e chiamare l’ambulanza, la polizia. Sento persone in preda al panico, bloccare il traffico, preoccupati per una persona che neppure conoscono e che di sicuro dimenticheranno presto.

               Vedo il conducente del camion scendere dal suo mezzo di trasporto. E’ smunto, tremante; il suo volto è di un pallore mortale. Osserva la donna nell’autovettura con occhi increduli e atterriti; cade in ginocchio, mettendosi le mani nei capelli. La gente che sta cercando di prestare i primi soccorsi gli si accosta; qualcuno gli chiede se sta bene, un altro gli offre un bicchier d’acqua, ma quasi non se ne rende conto. Inizia ad andare avanti e indietro con il busto, mormorando qualcosa che non riesco a sentire... forse si sta accusando di non aver visto quell’autovettura corrergli incontro. Forse se solo avesse sterzato, o fatto più forza sul freno, tutto questo si sarebbe potuto evitare. Posso quasi toccare la sua paura, posso quasi sentire i battiti del suo cuore impazzito.

               Dovrei dargli conforto. In fondo sono un prete, un uomo che ha ricevuto da Cristo il compito di consolare chi ne ha il bisogno. Faccio per avvicinarmi, ma dalle campane della mia chiesa inizia a risuonare uno scampanellio mesto.

               Guardo l’orologio: sono le dieci e un quarto. Devo affrettarmi; se non torno sui miei passi, non potrò condurre la funzione, e il mio giovane collega si troverà nei guai, dovendo celebrare un funerale per il quale non ha una predica pronta.

               Con enorme rammarico, procedo dritto. Cerco di non farmi notare dalla folla impazzita e proseguo il mio cammino, come se non mi fossi accorto di nulla. So, in coscienza, che non avrei potuto comportarmi altrimenti, ma continuo a sentirmi in colpa.

               Sono arrivato di fronte all’entrata laterale della mia diocesi, e ho già messo un piede dentro l’abitacolo quando sento la sirena della polizia e quella dell’ambulanza arrivare da lontano. Chissà se potranno fare qualcosa. Di sicuro molto poco.

               Entro nella diocesi, e padre Francesco mi guarda con sollievo. So bene che era preoccupato, perché un mio ritardo l’avrebbe costretto ad affrontare un funerale che non si era preparato.

               Gli faccio un cenno con il capo e vesto il mio abito sacerdotale. Dopo aver lanciato una rapida occhiata allo specchio, lascio la sacrestia e mi avvicino alla navata della chiesa. Resto fermo nell’anticamera che la precede, e nell’attesa do un ultimo sguardo al mio sermone: parlerò della pietà di Cristo e di come la morte non debba essere vista come una fine, ma come un principio, l’inizio di una nuova vita nel Cristo. Do un’occhiata all’interno della sala: ho già visto questa scena centinaia di volte nella mia vita.

               Seduto sul primo bancone a sinistra, un uomo molto anziano attende, quasi scioccato. Nella profondità e drammaticità del suo dolore, sembra così piccolo e fragile, quasi indifeso. Non lo conosco, come non conosco i suoi familiari, ma il suo dolore è così profondo e vivido che sembra avvolgerlo; sembra così piccolo, fragile, indifeso. E’ sua moglie che è morta.

               Accanto a lui sono seduti altri due uomini di mezza età: uno evidentemente più anziano e uno un po’ più giovane, ma nel quale i segni degli anni sono sempre piuttosto evidenti, nei bianchi spruzzi argentati che gli adornano capelli e barba, un tempo sicuramente neri. La loro tristezza non sembra profonda come quella dell’anziano genitore, ma anche in loro si vedono segni di genuino dolore. Infatti gli occhi dell’uomo più anziano, che gli spessi occhiali da vista coprono come uno schermo protettivo, sono ancora gonfi di lacrime.

               Sedute al bancone a destra, sono alcune donne. Una è più anziana, probabilmente è la consorte del figlio maggiore, o almeno avrebbe l’età per esserlo. Le altre sono una più grande, e una più piccola.

               La donna dimostra una certa tristezza, che non sembra profonda come quella di suo marito. Le due ragazze hanno un atteggiamento a metà tra lo scocciato e il pensieroso, a volte velato di tristezza. Immagino cosa staranno pensando: ma che seccatura questo funerale. Dover indossare questi abiti eleganti, forse troppo stretti, queste scarpe chiuse, che di sicuro fanno male. Almeno penso che questa sia la ragione per la quale la ragazza più grande contorce i piedi.

               Falsità. Questo aleggia nell’aria nella maggior parte dei funerali. Sono poche le persone che veramente sentono la morte e ancor meno sono quelle che davvero si rattristano. Gli altri indossano una maschera di tristezza, e si attengono al ruolo che la nostra società ha forgiato per i parenti del morto: una tristezza apparente. Il mio compito sarebbe quello di farli ravvisare, di illuminarli, di aprire le loro menti e i loro cuori ai Misteri del Cristo.

               La musica inizia a suonare, lenta e solenne. Entro nella sala e vedo diverse paia di occhi che mi guardano: alcune tristi, alcune falsamente tristi, alcune solo annoiate.

               Inizio la mia predica, parlo del perdono di Cristo, della rinascita dell’anima grazie a Nostro Signore. Gli occhi dell’uomo anziano mi scrutano, come se non credesse a quanto sto dicendo.

               Cinismo. Ecco quello che accomuna la maggior parte degli esseri umani. Quasi nessuno crede in Dio, quasi nessuno è pronto a mettere una mano sul fuoco per la sua esistenza, ma tutti pregano Dio quando hanno bisogno di aiuto.

               Tuttavia, mentre continuo la mia predica, vedo gli occhi del vecchio riempirsi sempre più di stupore. Il piccolo uomo di fronte a me inizia a dubitare, il suo cinismo vacilla. Solo Dio sa come sia possibile tutto ciò: anche i più grandi scettici, anche le persone che credono in Lui vedono le proprie certezze vacillare di fronte alla morte. La morte è il più grande di tutti i misteri divini.

               Forse è l’angoscia, forse è il dolore, forse la consapevolezza che non rivedremo più la persona che ci è stata tanto cara. Forse è questo che ci fa sperare che, in fondo, l’aldilà possa non essere una menzogna. Nella sua limitatezza, l’essere umano ha bisogno di questa convinzione: ha bisogno della speranza. E’ questa speranza che ci porta a credere? O è per caso l’illuminazione folgorante di qualcosa di più grande?

               Leggo il piccolo opuscolo nel quale sono riportati i dati della signora che è morta. Vedo che è stata sposata con quest’uomo per più di sessant’anni.

               Ora capisco, comprendo il dolore del piccolo uomo. Deve averla amata moltissimo; era probabilmente l’unica persona che riuscisse a sopportare quel brutto carattere che noi uomini sembriamo sempre avere. Era la sua compagna della vita, colei che era stata madre dei suoi figli e che lo aveva seguito ovunque pur di restargli accanto. La persona che ormai era abituato ad avere al fianco. Ora non c’era più. Per quanto ne sappia di lei, nella vecchiaia il suo senno poteva aver vacillato, ma era sempre stata la roccia alla quale il vecchio si era aggrappato.

               Ora che ci ripenso, ricordo che qualche volta l’avevo visto. Se davvero fosse la persona che io credo sia, l’ho visto venire qui, qualche volta, assieme a una signora anziana... sua moglie? Suppongo di si. Era un uomo distinto, che guardava le statue di Gesù e Maria con l’occhio scettico e cinico del filosofo.

               Oh si, ora ricordo dove ho letto il suo nome: su una rivista di filosofia. Quest’uomo parlava con cinismo dell’esistenza di Dio. Tuttavia, quell’uomo così scettico e diffidente ora non è che un vecchio, piccolo e smunto; un piccolo uomo i cui occhi sono rossi per il pianto.

               Concludo la mia omelia funebre, e vedo molti occhi lucidi. Come possono le stesse parole, anche se dette in maniera diversa, commuovere sempre in modo genuino tutti i presenti?

               Mi avvicino al piccolo uomo addolorato, mentre l’odore dell’incenso che il mio assistente sta spargendo sulla bara della defunta inizia a spandersi nell’aria. Gli stringo quelle mani che tante volte avevano scritto parole dure e scettiche nei confronti di Nostro Signore. Ora sono solo le mani tremolanti e fredde di un vecchio che ha perso la donna della sua vita.

               Gli parlo, cerco di trasmettergli conforto in un discorso improvvisato lì per lì. L’uomo mi guarda con sguardo commosso. Mi ringrazia e sento che è rimasto profondamente toccato dalle mie parole. La sua voce ha un che di spettrale; come se fosse scattata una molla nella mia coscienza capisco che quel piccolo uomo non vivrà ancora a lungo.

               Mi allontano: un groppo inizia a serrare anche la mia gola. Non conosco questa gente, ma mi sento commosso anche io. Vedo che dopo le mie parole anche l’aria seccata delle ragazze si è trasformata in un’emozione genuina. Sono riuscito a ottenere il mio scopo.

               Improvvisamente mi sovviene il ricordo dell’incidente di cui ero stato testimone, solo mezz’ora prima. Mi avvicino all’entrata laterale della mia diocesi e guardo fuori: la strada sgombra ha ripreso il normale tenore di vita quotidiano. Le macchine sfrecciano per la strada, i passanti camminano, ognuno alla propria cadenza, ognuno trasportato da pensieri differenti.

               Il mondo è tornato alla solita routine, e anche io devo tornare a vestire gli abiti del sacerdote; un nuovo funerale deve essere celebrato.







Nota dell’Autrice:

               Questa breve storia è nata mentre osservavo la strada silenziosa di questa notte di fine agosto, sul balcone. Sono rimasta folgorata da questo pensiero e ho dovuto metterlo su carta.

               E’ dedicata a mio nonno,  il “piccolo uomo scettico” che non potrà mai leggerla. Ha seguito mia nonna nemmeno due mesi fa, a meno di sei mesi di distanza dalla sua morte.

               Una settimana fa sarebbe stato il suo compleanno, ma non potrà più festeggiarlo. Mi sono sentita in dovere, nel mio piccolo, di fargli questo regalo postumo.

ATTENZIONE: QUESTA STORIA E' IN LIZZA PER PARTECIPARE A UN CONCORSO EDITO DALLA CASA EDITRICE INGLESE "DONARD PUBLISHING" (OVVIAMENTE TRADOTTA IN LINGUA INGLESE). SE LA STORIA VI E' PIACIUTA, OLTRE CHE SCRIVERE UNA RECENSIONE QUI SUL SITO DI ERIKA, POTRESTE ANCHE FARMI LA CORTESIA DI VOTARLA SU QUESTA PAGINA:

406.Even Now by Giulia Fancelli.

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