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Autore: SunVenice    04/10/2010    8 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Kaizoku no Allegretto

L’allegretto del pirata

Atto 10

Atto 10, scena 1

Allora…!” esclamò con fare enfatico il Rosso, poggiando sull’elsa della spada la mano destra, mentre guardava fiero i suoi uomini pronti per entrare in azione, nonostante si trovassero sul ponte di una nave nemica.

“Pronti per lo spettacolo?!” proclamò  allargando le labbra in un sorriso entusiasta, constatando lui stesso di quanto l’impazienza del suo equipaggio fosse salita alle stelle in quelle ultime ore. Un boato affermativo carico di eccitazione sovrastò l’aria fresca della Moby, inghiottendo  in sé ogni rumore che non fosse quello delle arme che con un sibilo di lama venivano sguainate.

Il vice comandante della Red Force si crogiolò in quell’atmosfera a cui il suo capitano e i suoi compagni erano riusciti a creare in così pochi attimi di distanza dal loro colloquio con Newgate. L’adrenalina aveva iniziato immediatamente a scorrergli sotto la pelle, vibrandogli sulle spalle e sulle braccia, ora frementi più che mai in vita loro. Ben Beckman non era un tipo da rissa, più di quanto potesse esserlo Shanks, ma passare così tante settimane di completa inattività potevano essere snervanti anche per uno come lui e l’occasione che si era presentata loro era stata tanto propizia quanto allettante. Certo, in circostanze diverse avrebbe dato un pattone al capitano per essere il solito avventato e lo avrebbe costretto a ragionare a suon di pedate.

Ma no – si disse sorridendo attorno al filtro della propria sigaretta, accendendola proprio in quel momento con uno dei suoi fiammiferi –stavolta una bella baruffa ci sta.

Ovviamente i pensieri di Lucky e Yasopp non erano da meno. Persino Monster , quell’esagitato del loro scimpanzé, si aggrappava più che poteva alla testa pelata di Foras, il suo padrone, trattenendosi a stento dal saltare giù e partire alla carica.

Poveri noi, siamo messi proprio male se anche una scimmia si comporta alla nostra pari – pensò, annotandosi di non dire mai una cosa simile a Foras. I motivo erano semplicissimo: Foras, nonostante la corporatura massiccia, era estremamente sensibile quando si parlava di animali. Era conosciuto tra di loro come L’orco Dal Cuore D’oro, poiché, a dispetto dell’apparenza, era un vero e proprio bonaccione, tanto che tutti gli animali non appena lo vedevano lo adoravano, intuendo il suo animo gentile, e lui ricambiava con altrettanta premura le attenzioni che quelle palle di pelo gli riservavano, difendendoli a spada tratta ogni qualvolta era necessario.

Sigh. Si ricordava come se fosse stato ieri la prima volta che Lucky, in piena astinenza dei suoi amati cosciotti, aveva osato proporre di cucinare il primate per compensare la mancanza del prosciutto. C’erano volute ore perché quei due si calmassero e smettessero di darsele di santa ragione.

Shanks si voltò, procedendo a grandi falcate in direzione dell’ammiraglia, per poi affacciarvisi con un sorriso scanzonato a sfidare la smorfia rugosa di Garp. Il vice-ammiraglio non sapeva che intenzioni avesse quel moccioso dai capelli rossi, ma una cosa era certa: non sopportava la sua faccia!

“Ehi nonno!” salutò il rosso tutto contento, facendo finta di non avvertire il ruggire silenzioso dell’haki dell’altro, circondato dai suoi fidati uomini, scesi dalla branda avvertendo il rumore poco rassicurante di sciabole e lame sguainate.

 “Spero tu sia contento, io e il vecchio Newgate non siamo riusciti ad arrivare ad un accordo… ” mentì spudoratamente, sospirando con fare teatrale, assumendo un’improbabile aria affranta.

Eeeh… e dire che ci ero andato così vicino....”

Dalla nave ammiraglia arrivò un insieme di brusii incerti. Tutti i marine si guardavano l’un l’altro, confusi sul da farsi.

Il rosso aveva appena ammesso di aver fallito e che il loro comandante ne era direttamente responsabile. Sulle bocche di tutti si formò un’espressione vittoriosa nel collegare, nonostante le nebbie del sonno rallentassero la loro attività mentale, il tardivo intervento del vice ammiraglio al fallimento dell’imperatore.

L’unico a non gioire di quella frase era il vice-ammiraglio che, fermo come una roccia nella propria espressione arcigna, sondava mentalmente le intenzioni del Rosso. Cosa stava a significare quella sceneggiata? Era ovvio che volesse attaccar briga. I suoi uomini, già armati e pronti ad uno scontro dietro di lui lo stavano tecnicamente urlando a suon di inquietanti sibili di lame strisciate l’una contro l’altra.

Dannazione- pensò il vecchio marine, adocchiando dietro di sé Koby ed Hermeppo rigidi come delle statue e per nulla rilassati, come invece erano anche fin troppo i loro compagni- non mi aspettavo una simile svolta da parte del mocciosetto.

Non era un bene trovarsi a così pochi metri di distanza dal Rosso. Era risaputo anche tra i gradi più bassi della marina. Non c’era via di scampo alla sua imprevedibilità, nemmeno per uno come lui, Monkey D. Garp, che poteva vantare di aver conosciuto persino quel pazzoide di Gol D. Roger.

Certo, Roger era stato un ottimo anfitrione per il rosso. Degno portatore del titolo di pazzo furioso privo di ogni remora, persino il giorno della propria esecuzione. Eppure quel malpelo scalmanato continuava, a suo parere, a battere il buon vecchio re dei pirati.

Era un manigoldo con la faccia da santarellino con una logica tutta sua, completamente fuori da ogni schema, per certi aspetti paragonabile a quella di uno squilibrato. Un attimo prima te lo trovavi tutto allegro a brindare insieme a te con un bicchiere di sake sotto mano, e un attimo dopo te lo vedevi ridacchiare e sguainarti la spada contro con l’espressione di un bambino monello stampata in faccia.

I pugni tozzi e venosi di Garp si strinsero rumorosi. Una vera e propria carogna, Shanks il Rosso. Specie in quel momento, mentre gli stava silenziosamente intimando di mettere in allerta i propri uomini per mettere mano alle armi e dare il via ad una battaglia tra le loro ciurme.

Il vecchio continuò a sfidare lo sguardo dell’imperatore con il proprio. Che fare? Aveva dato a Shanks carta bianca perché mettesse al sicuro la piccola Paradisea,in quel momento ospite di Edward Newgate, non perché lo mettesse con le spalle al muro come un allocco!!

Mai fidarsi di un pirata! Mai! Com’era potuto cadere così in basso!?

“Sono molto, molto arrabbiato.” Proclamò Shanks con un ghigno bianchissimo a cui solo Garp, Koby ed Hermeppo non credettero nemmeno per un istante. Quella non era la faccia di una persona arrabbiata, ma di una persona che smania per andarsi a prendere ciò che vuole. Un bambino troppo cresciuto che non vede l’ora di fare a botte con il capo della banda avversaria.

L’assalto prese il via come se al posto di una ciurma di pirati ci fosse stato uno sciame d’api, in modo talmente veloce da lasciare a malapena il tempo ai suoi marines di mettere mano alle baionette, eppure Garp, mentre distingueva la Red Force venire allontanata a poco a poco dalla Moby, sentiva che qualcosa non tornava. Da quando al Rosso piaceva attaccare briga? Certo, amava le battaglie, ma mai se non era strettamente necessario.  Non era il tipo da scagliare la prima pietra. Ma allora perché?

Cos’era quella novità?

Lo stridore di una lama sguainata lo fece scansare poco prima che la spada di Shanks si abbattesse sul suo braccio. Anche quello non fece che aumentare i sospetti di Garp: Shanks il Rosso non era il tipo da attaccare qualcuno di disarmato, tantomeno con così poca precisione. Se solo avesse voluto, gli avrebbe anche potuto tranciare di netto l’arto dal resto del corpo.

Ad accogliere la sua occhiataccia arcigna fu l’espressione serafica del pirata.

“Non dovresti distrarti nel bel mezzo di uno scontro, nonnetto.” Lo canzonò.

Attorno a lui Garp sentiva i suoi sottoposti agitarsi e contrattaccare debolmente agli attacchi dei loro assalitori, completamente disorientati e scoordinati.

“Che diamine stai facendo, dannato pazzoide?!” ringhiò sputandogli quasi contro per la rabbia che stava provando. Voleva che mettesse a rischio la vita di centinaia di uomini. I suoi uomini. Persone di cui conosceva uno ad uno nome e cognome. Tutti quei ragazzi avevano una famiglia, dannazione, come faceva il rosso a non capire la sua posizione??!!

“Io ?” Chiese ancora una volta Shanks guardandolo come se non capisse cosa intendesse mentre si  accingeva a caricare un altro fendente malriuscito verso il marine, pur mantenendo intatta la propria espressione da finto tonto.

“ Io sto solo attaccando una nave della marina, no?” ridacchiò, abbassando lo sguardo in modo significativo, come una volpe che furbescamente si mette d’accordo con la faina mentre attorno a loro il pollaio e tutto un fremito.

“È normale per un pirata. Dico bene?” aggiunse infine scaricando verso di lui con così poca convinzione che l’albero maestro della nave si vide solo intaccare leggermente dalla spada del Rosso.

Garp strabuzzò un attimo gli occhi, indietreggiando di un altro paio di passi, non capendo bene cosa significasse quell’espressione. I suoi occhi caddero poco sopra la spalla dell’Imperatore, dove la piccola paradisea, dalla nave di Newgate, continuava a guardare a fiato sospeso lo scontro e fu allora che allargò al di sotto della propria barba lanosa un ghigno. Confermò di persona i propri sospetti vedendo quello che veramente stavano combinando gli uomini del rosso.

Da esperto veterano di scontri tra pirati e marine, riuscì a riconoscere soltanto ferite superficiali, colpi sferrati su punti non vitali e quasi sempre con la sola forza di pugni e calci.

Ora si spiegavano molte cose.

“Già,..” concordò finalmente, mettendosi in posizione di guardia “… dannatamente normale.”

Atto 10, scena 2

“Non saremo in debito con lui, vero?” grugnì poco contento Jaws, guardando quell’assurda messinscena  portare sempre più lontane le due navi nemiche. Al suo fianco Ace e Marco ridacchiarono ognuno a modo proprio: quel diavolaccio di un Rosso era riuscito a creare al babbo un sacco di guai e poi andarsene come se nulla fosse successo.

Bhe, perlomeno il suo malaugurato arrivo era servito a dar loro qualche informazione in più su Momo. La ragazza in questione stava ancora osservando tutta presa dalla scena le due navi, osservando con crescente preoccupazione la battaglia che, a quanto pareva, si sarebbe allungata di parecchio, prima di finire definitivamente.

Eeeh, temo di sì.” Sospirò Satch tastandosi con una mano i due grossi bernoccoli che gli sbucavano dalla testa, lasciando miracolosamente intatto il suo amato ciuffo. Bella roba avere dei fratelli così permalosi. Mica aveva detto così grande cattiveria! Va bene, passi per lo “zoticoni”, ma dire che erano in calore non era poi totalmente sbagliato, giusto?

“Il Rosso riesce sempre a sconvolgere la vita di chi gli sta attorno.” Ridacchiò Vista a braccia conserte godendosi gli ultimi sprazzi visibili della battaglia in lontananza.

Ace poggiò le braccia all’indietro sulla ringhiera interna del ponte, voltandosi soddisfatto verso Marco che seduto sopra di essa tirava anche lui un sospiro di sollievo. Pugno di fuoco non riusciva a crederci: era riuscito a scampare alla furia del nonno. Gloria immensa, quello squilibrato mentale di Shanks l’aveva sbrogliato dalla peggiore delle situazioni in cui poteva capitare.

“Oh bhe, direi che ci siamo divertiti.” Affermò ridacchiando di sottecchi verso il biondo accanto a lui che, a quella velata provocazione, si imbronciò poggiando stancamente il mento su una mano, voltando lo sguardo.

“Parla per te. Avessi potuto gli avrei tirato il collo.”disse per poi vedere Momo sedersi accanto a lui, accennando ad un sorriso così timido da farlo sorridere di riflesso. Di tutta risposta a quella piccola e quasi insignificante vittoria, Ace si premurò immediatamente di accostarsi a sua volta accanto alla ragazza, sorridendo sbarazzino, mentre quest’ultima si ritrovava seduta in mezzo ai due in una situazione alquanto scomoda.

Sarebbero state scintille se Satch non fosse prontamente intervenuto, pronto più che mai a rasserenare gli animi e a dare alla fanciulla un poco di quiete da quella battaglia di cuori che, senza che potesse accorgersene, stava cominciando ad infuriare attorno a lei.

“Ok, piccioncini. Tutti a nanna. Lo scricciolo ha bisogno di quiete, ha già avuto troppe emozioni forti per oggi.” Sentenziò e venendo prontamente imbeccato dal moro, per nulla turbato dalle parole del comandante in quarta.

“Attento Satch, parli proprio come Betty quando è in vena di fare la maestrina.” Disse il ragazzo dalle lentiggini, facendo bloccare sul posto tutti quanti.

“Ehm... Ace?” provò disperatamente a farlo desistere Marco.

“Fossi in te non parlerei di-..” si unì al coro Satch, facendo segno come Jaws e Vista di stare zitto con le mani, ma venne bloccato da una risata dell’altro.

Ahaha!” rise Ace battendo una mano sul legno della ringhiera, scoppiando dal ridere al solo pensiero “Davvero Satch!Ti manca solo la sua divisa da urlo, scommetto che diventeresti l’idolo della ciurma in meno di venti secondi! Anche se tu non hai il suo stesso lato B!”

“Immagino.” Disse tetra una voce femminile dietro di lui.

La reazione di tutti fu ben intuibile dalle urla che succedettero la pessima figura di Ace.  Momo si portò le mani alle labbra, incredula di fronte a quell’aspetto di Betty che non aveva mai avuto la possibilità di vedere; Vista e Jaws abbassarono la testa, non avendo la forza e la voglia di sostenere l’altro nella sua lotta contro l’infermiera; Satch si sforzò di sorridere forzatamente di fronte a quella brutta situazione, dispiaciuto per non aver potuto avvisarlo in tempo e Marco si limitò a sospirare guardando il fratellino perdere terreno ad ogni parola della donna, che incombeva sempre più su di lui come uno tsunami che minaccia di infrangersi su una povera piccola isola.

Dopo qualche istante la Fenice spostò lo sguardo dal fratello alla propria sinistra, dov’era seduta Momo. Quello che lo stupì fu il trovare il posto accanto a lui vuoto.

Il respiro gli si mozzò in gola per la sorpresa e ancor di più quando tornò a Betty ed Ace, trovando la ragazza tra di loro in tutto il suo dorato fulgore con le braccia alate spalancare nell’atto di proteggerlo dalla furia cieca dell’altra.

Betty-san, p-per favore si fermi.

Da dietro gli occhiali scuri l’infermiera  ingrandì gli occhi di tre volte tanto, seguita a ruota dai cinque comandanti. Quando era arrivata? Era comparsa davanti a lei in sì e no in un battito di ciglia! Penelope le aveva parlato delle conclusioni alle quali era arrivata su Momo e sulla sua incredibile capacità di autorigenerarsi, infatti si era recata da lei proprio per quello, presa dalla smania di vedere quelle fiamme fantastiche con i propri occhi e valutarle con la dovuta calma.

Ma una simile velocità non se la sarebbe mai aspettata!

Per favore, per favore, per favore.” Ripeté intanto Momo con delle piccole lacrime dettate dal panico agli angoli degli occhi, non sapendo dire altro in difesa del moro, e sperando che la donna non cominciasse ad urlare contro di lei come l’aveva vista fare prima.

Ace, con una mano posta sul retro del cappello, non riusciva a credere a quello che aveva appena visto. Una velocità simile non l’aveva mai vista. Era stato come se la piccola fosse comparsa dal nulla in uno schiocco di dita, senza fare il benché minimo rumore. Sorrise contento: non era poi così indifesa come avevano pensato inizialmente.

Fu ben contento di non vedersi più sgridato da Betty che, nonostante lo smarrimento iniziale, mise le mani sui fianchi sorridendo accondiscendente verso Momo per poi portarla via, malgrado qualche lieve obiezione da parte della piccola. I cinque capitani sospirarono nell’udire più attentamente il modo di parlare della ragazza: era come ascoltare una canzone dal tono flebile ed armonico. Sembrava quasi un usignolo caduto dal nido che implorava aiuto.

Ma quelle fiamme che pericolose sembravano circondarla in un abbraccio protettivo, dicevano il contrario, mettendo dentro di loro una sorta di ansia. Non era solo una questione di conquistare o meno il suo cuore, come invece era in buona parte per Ace e Marco, ma una specie di sentore di pericolo, qualcosa che non si poteva esprimere a parole se non con una stretta di spalle e la convinzione che l’unico modo di capire a che cosa si riferisse, fosse quello di andare avanti e lasciare che il destino facesse il suo corso.

D’altronde, chi poteva dire cosa sarebbe successo, con una creatura canterina come quella a movimentare le loro giornate?

 

Atto 10, scena 3

Era ormai giorno quando finalmente riuscì a mettere piede nella sottocoperta. Diavolo, quello scemo di Arch era certamente più debole rispetto a lei, ma in quanto resistenza era peggio di uno scarafaggio! Viola si sfregò una guancia, sentendo i grumi di sangue rappreso dell’unica ferita che il biondo era riuscito ad infliggerle, graffiarle la pelle in modo così fastidioso da farle ringhiare scocciata.

La sua pelle era stata sfregiata da quel maschio di ultima categoria,… e per che cosa? Per un fottutissimo marmocchio umano.

Sentì Arch grugnire dolorante dal ponticciolo della loro bagnarola e in qualche modo si sentì il morale salirle considerevolmente per un paio di istanti. In fondo si era tolta uno sfizio che si portava avanti da anni.

Bene- si disse accigliandosi, mentre le sue gambe procedettero con sicurezza  tra l’oscurità della stiva – il bastardo è sistemato, ora è il turno del vermiciattolo.

Inciampò su una corda abbandonata per terra ancor prima di attivare la propria vista notturna, rischiando di lasciarsi sfuggire un imprecazione melodica, fortunatamente bloccata da una mano sulla sua stessa gola. Rantolò per terra, maledicendo si gli assurdi oggetti di Arch “utili per la navigazione” e anche quel marmocchio su cui non vedeva l’ora di mettere le mani.

No…” fu una voce flebile che la sorprese ancora a terra. Si rialzò con una smorfia di disappunto sulle labbra: quello stupido si era accorto della sua presenza e stava andando nel panico. Non poteva chiedere di peggio.“No… mamma..!” lo sentì pigolare ancora, facendola sbuffare mentre si metteva impaziente le mani sui fianchi stretti. Grande Spirito, quanto odiava i bambini piagnoni. Meglio liberarsene- pensò schiarendo la propri vista in meno di un secondo – prima che mi saltino i nervi.

Per lei fu quasi uno shock trovarsi in una situazione totalmente diversa da quella che si era aspettata.

Morgan si era appallottolato in un angolo della sottocoperta, pressato contro la cassapanca ed un barile che si erano portati appresso da Copper Sulfate. Attraverso il rosso dei propri occhi Viola vide le sue spalle venire scosse da degli spasmi incontrollabili, le sue manine contratte nell’atto di afferrarsi il tessuto sottile della maglia al petto e gli occhi spalancati che sgorgavano lacrime da tutte le parti.

“Mamma..!” rantolò di nuovo il piccolo orientale, respirando così velocemente, neanche  avesse corso per chilometri di fila.

Che diavolo…?!- pensò Viola, accostandosi velocemente al piccolo ma solo per realizzare che, anche se sembrava sull’orlo di soffocare, quello non era altro che un brutto, bruttissimo, attacco di panico, talmente forte da rendere il piccolo Morgan quasi incosciente. La ragazza argentata avrebbe detto che stava fingendo, in una situazione diversa, ma quegli occhi neri non sembravano nemmeno vederla. Erano persi in un mondo totalmente differente dal suo.

E-ehi!” balbettò non sapendo che altro fare se non rimetterlo seduto e cercare di scrollarlo da quello stato di trance paranoico. Le spalle di Morgan non si placarono e nemmeno il suo respiro, ma le sue mani si mossero inaspettatamente verso di lei, stringendole disperatamente il materiale teso del corpetto che le fasciava il seno.

Viola rimase di stucco vedendo la testolina del bambino nascondersi nel suo petto, in cerca di un calore che forse non era il suo, ma di qualcun altro.

Mamma… t-ti prego.” Mugugnò ancora il bambino “P-prometto c-che… (snif) n-on lo farò più. Mamma… Non mandarmi via. Mamma…mamma…!”

Era disperato. Viola sapeva che non si stava riferendo a lei, ma, sebbene i suoi occhi castani fossero sbarrati ed increduli per essere stata appena abbracciata da un bambino umano, di cui fino a pochi istanti prima voleva disfarsene, non ebbe altra reazione dalle proprie mani se non quella di poggiarle su quella massa arruffata di capelli scuri, strofinandoli con quella che le sembrò una carezza.

E il peggio venne dalle sue labbra.

“Va tutto bene.” Disse arrochendo così tanto la voce da farla sembrare normale alle orecchie del bambino. I singhiozzi e i respiri affannosi di quest’ultimo rallentarono gradualmente smorzandosi appena.

Eppure un’ultima frase uscì da quelle labbra infantili e spaurite.

“Non voglio salire… su quella…n-nave.”

Viola rimase in quella posizione ad occhi spalancati, andando contro le intenzioni che l’avevano spinta fino a quel punto, pestando Arch, distruggendo quasi la Clara pur di mettere le mani su quel bambino e gettarlo a mare. E allora che cosa la stava frenando?

Non era pena quella che stava provando, vero? Vero?!

Quasi non sentì Arch scendere a fatica gli scalini della stiva, fermandosi poi sull’ultimo di essa guardandola con un occhio livido chiuso ed un braccio fermo a tenere l’altro aderente al resto del corpo, quasi potesse cadere a terra spezzato.

Vedendolo Viola poté dire di aver fatto un ottimo lavoro. Almeno la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di sfidarla.

“E va bene…” grugnì abbassandosi al livello di parlare come quegli umani che aveva tanto deriso per il tono sgraziato che li distingueva dalle paradisee “… può restare, ma appena comincia a creare troppi problemi lo mollo nel primo posto che mi capita… e non ridere!!”  sbottò infine vedendo le labbra sottili del ragazzo traballare stranamente sotto l’effetto di uno stimolo estraneo persino a lui medesimo.

Alla fine Arch ci rinunciò e, alzandosi con non poca difficoltà, disse un’ultima cosa prima di scomparire dietro il materiale sicuro della porta che conduceva al ponte, assumendo il solito tono piatto.

“Saresti un’ottima mamma.”

E fu tutto quello che disse,prima di sentire una bottiglia infrangersi contro la superficie di legno.

 

Atto 10, scena 4, Arioso del mattino

Sospirai  trascinandomi dietro la cesta di biancheria pulita da stendere. Il sole stentava ancora a risalire l’orizzonte quando io e tutte le infermiere ci levammo dalle brande per compiere quelli che dovevano essere i lavori di routine. Non che rendermi utile mi dispiacesse, ma ero veramente stanca e prima di risalire dalla sottocoperta avevo fatto in tempo a guardarmi allo specchio. Ero pallida come un cecio e delle sottili macchie scure mi erano apparse sotto gli occhi. Sembravo un fantasma senza le mie fiamme.

 Avevo passato una nottata davvero impegnativa con Betty. Davvero.

Sebbene la vista del cielo notturno mi avesse rallegrato, ritrovarmi da sola insieme alla mora in infermeria, era stato davvero sfiancante. All’inizio non era stato granchè: tutto quello che aveva fatto era stato osservarmi da capo a piedi e poi cominciare a toccarmi. Toccarmi! Alle braccia!

Avevo letteralmente fatto un salto di tre metri, vedendola mettere un dito tra le fiamme che mi uscivano dal corpo. Che cavolo! Sono fiamme, no? E le fiamme bruciano! Cosa le era saltato in mente?!

Vederle però il dito perfettamente illeso era stato per me un colpo veramente forte. Non una bruciatura, nemmeno un lieve arrossamento. Era stato come se avesse infilato la mano nel nulla.

E da lì era cominciato tutto. Betty aveva cominciato a tastarmi dappertutto: sulla testa, sulle guance. Poi, non contenta, si era ferita con uno dei bisturi. Sì, si era proprio tagliata! Insomma, un taglietto da nulla, ma vederla fare una cosa simile mi aveva mandata nel panico totale.

L’avevo vista infine avvicinarsi a me e infilare la mano offesa tra i miei capelli, ritirandola subito dopo. La ferita era letteralmente scomparsa. Mi girava la testa e dovetti sedermi per evitare di cadere per terra. Non ci capivo nulla.

Mi ero fatta tante paranoie solo per scoprire che le mie fiamme non potevano fare del male a nessuno?! Anzi, potevano addirittura curare le ferite?! Ero arrossita fino la punta dei capelli. Che vergogna. 

Poggiai la cesta di vimini per terra, ricordando con stanchezza crescente cosa mi aveva fatto fare Betty dopo quella, almeno per lei, entusiasmante scoperta. Mi aveva messo davanti la cosa più brutta che avessi mai visto: un manichino umano con tutti gli organi esposti.

Mi veniva da piangere al solo pensiero. Non si era limitata solo a mostrarmelo, spiegandomi passo dopo passo il nome di ogni singolo componente di quell’obrobrio, ma lo aveva anche smontato costringendomi a rimontarlo pezzo per pezzo, ripetendo il nome proprio di ognuno di loro.

Avevo passato tutta la notte in quel modo, senza possibilità di fuga poiché l’infermiera si era premurata di serrare la porta e nascondere la chiave nel suo voluminoso decoltè.

Sospirai ancora una volta, sentendomi le palpebre pesantissime. Mi sentivo uno straccio. Insomma io non potevo stare sveglia notte e giorno!! Un po’ di pietà dico io!

Momo-chan” mi voltai verso Penelope, accostatasi a me con il solito insostituibile sorriso sulle labbra “Tabetai?” mi chiese docilmente. Non era da tanto che stavo su quella nave, ma ormai avevo capito che le parole che cominciavano per ‘tabet-’ si riferivano al mangiare e di conseguenza il mio stomaco reagì prima della mia bocca, gorgogliando come non mai e facendomi cadere nel più completo imbarazzo.

Accidenti, non avevo ancora fatto colazione.

La risata argentina di Penelope mi fece diventare ancora più rossa. Ma perché dovevo essere così imbranata?

La vidi abbassarsi sul mio cestino, afferrandolo con disinvoltura i manici di quest’ultimo per poi rialzarsi elegantemente, lanciandomi un’occhiata accondiscendente.

Dōzo meshiagare. Watashi wa koko ni tadoritsuku.

Per un attimo aprii la bocca per risponderle, ma di nuovo la sensazione di non dover dire nulla mi colse, bloccandomi le parole in gola, così mi limitai ad annuire ed ad osservarla con ammirazione, mentre si allontanava da me con la sua consueta innata grazia.

Quanto avrei voluto essere come lei. La sua figura flessuosa e slanciata gridava maturità e bellezza da qualunque parte la si guardasse. Per un attimo mi guardai tristemente il petto, trovandolo penosamente piccolo e sgraziato in confronto a quello di Penelope. Chissà se con il tempo sarebbero cresciute.

Un altro grugnito del mio stomaco mi fece capire che era tempo di pensare al cibo e, dandomi qualche schiaffetto su entrambe le guance, mi rialzai, dirigendomi frettolosamente verso la mensa.

Avevo una fame che non ci vedevo più, e poi ero impaziente di rivedere Ace e Marco. Pensai a Satch, l’uomo che mi si era presentato ieri: mi era sembrato simpatico di prima impressione.

 

Atto 10, scena 5

 Aaaah…” sbuffò Ace allungandosi sul tavolo con aria sofferente. A neanche un centimetro dal suo viso, stava un piatto fumante di salcicce, pancetta e uova, eppure i suoi occhi parevano trapassarlo completamente. Tutti quanti nella sala lo guardavano preoccupati, persino Barbabianca osservava allarmato il figlio, il cui appetito gli era stato fin dai primi giorni ben chiaro. Il gruppo delle infermiere osservava con altrettanta  ansia le condizioni del moro.

Se Portuguese D. Ace aveva perso davvero l’appetito, allora l’intera ciurma avrebbe fatto meglio a correre ai ripari per far fronte alla tempesta imminente che si sarebbe certamente abbattuta sulla Moby.

Un altro sospiro eruppe dalla bocca del moro, mentre la sua testa oscillava da una parte, completamente senza forze “Dov’è Momo?” fu la domanda che fece uscire fuori dalle orbite gli occhi di tutti quanti.

Marco sbuffò, alzando gli occhi al cielo mentre si dondolava all’indietro con la sedia.

“Sei senza speranze.” Lo provocò, ottenendo immediatamente una reazione dell’altro che, alzando di scatto la testa e guardandolo in cagnesco, gli rispose per le rime:

“Parli bene tu! Io mi sono visto soffiare una serata con Momo da Betty!”

“Forse se non avessi fatto quegli apprezzamenti sul suo lato B, te l’avrebbe lasciata.” Fu la degna scoccata della Fenice, che continuò a guardare tranquillamente il soffitto sopra di lui.

“Ma che ne sapevo io!” obiettò il moro ritornando alla propria posizione di sconforto, poggiando il mento sul tavolo. “Se avessi saputo che era dietro di me non avrei mai detto quella frase.” Mugugnò infine.

“Fatti tuoi. Ora Betty se la legherà al dito fino alla morte.” Rispose un poco più aspro del solito il ragazzo con la testa ad ananas, attirando su di sé un’occhiata incuriosita dell’altro che lentamente rialzò la testa alzando un sopracciglio.

Rimasero in quella posizione per un po’, l’uno a guardare il biondo e l’altro a far finta di non accorgersene.

“Hai finito?” sbottò improvvisamente Marco senza cambiare espressione, gli occhi socchiusi come loro solito in un’espressione quasi imbronciata.

Ace ridacchiò, intuendo finalmente cosa ci fosse sotto, non appena vide che anche il piatto dell’altro era rimasto intoccato.

“Ace.” Lo avvertì non proprio amichevolmente Marco, provocando però in lui l’effetto contrario: ovvero, quello di fargli rischiare una fragorosa risata.

“Sono contento…” disse non appena riuscì a frenare l’attacco di ridarella che gli era salito in gola “… di non essere l’unico senza speranze.”

“Beccato.” Si intromise Satch infilzando una salciccia con la forchetta. Come aveva pensato all’inizio sarebbe stato una spasso. D’altra parte però un po’ rimpiangeva quella piccola scenetta. Eeeh, cosa avrebbe dato per ritornare giovane di giusto una decina di anni.

Stava per tornare ad ascoltare quell’interessante battibecco, quando vide comparire, nemmeno l’avessero evocata, la diretta interessata, completamente libera dalle proprie fiamme mentre si faceva strada tra i tavoli gremiti di gente. Ad ogni passo che faceva riceveva un saluto da parte dei suoi fratelli e, non sapendo come rispondere, rallentava ogni qualvolta che poteva inchinandosi leggermente in avanti in segno di rispetto per poi ripartire a razzo verso di loro.

Sorrise ancora di più nel vederla un poco provata. Aveva il viso più pallido rispetto alla sera precedente.

Chissà cosa le ha fatto fare Betty… - si domandò accarezzandosi il pizzetto pensieroso, lanciando poi un’occhiata  in direzione dei due contendenti al suo fianco: non si erano ancora accorti dell’apparizione della piccola.

Ok, - pensò, chiudendo un attimo gli occhi - allora me ne occupo io.

“Ma guarda un po’!” disse con meraviglia costruita “Lo scricciolo si è fatto finalmente vivo!”

Per poco Marco non cadde dalla sedia nel sentirglielo dire, mentre Ace scattò immediatamente sull’attenti, sorridendo radioso non appena si accorse che quello di Satch non era stato uno scherzo.

“Momo!” esclamò il moro tutto contento, sentendo la fame tornare ad attanagliarli le viscere.

La ragazza si fermò proprio davanti al loro tavolo, eseguendo l’ultimo di una lunga serie di inchini, facendo sorridere Newgate per la sua dimostrazione di buona educazione. Poi un suono prolungato emerse subitamente dal suo stomaco, bloccando tutti quanti e facendola arrossire di botto.

Ahaha!” intervenne prontamente Satch alzandosi e facendo spazio alla piccola, invitandola con un gesto della mano a sedersi al suo fianco “La piccola deve essere affamata.”

Evitò di guardare Marco ed Ace, conscio di che razza di occhiatacce gli avessero indirizzato, per via delle libertà che si stava prendendo con Momo che senza farselo ripetere due volte si fiondò al proprio posto con gli occhioni luccicanti alla vista di tutto quel ben di dio.

Fece appena in tempo ad afferrare una mela proprio davanti a lei, prima che qualcosa di scuro apparisse davanti a lei, bloccandole in un istante sia la vista del resto della sala, sia il frutto. Gli occhi confusi di Momo, insieme a quelli degli altri, si mossero sulla mano pelosa che, tenendo ben ferma la mela da lei stessa scelta, le impediva di portarla verso di sé. L’attenzione si mosse poi verso l’alto dove si presentò rugosa e grottesco il viso umanoide di un essere che tutta la ciurma identificò come quello di una scimmia.

Già, una scimmia dalla coda pensile che ondeggiava freneticamente all’indietro e con uno stranissimo codino a spazzola sopra la testa.

Sulla testa di ognuno di loro apparve un punto interrogativo.

“Una scimmia?”  disse Ace incredulo. Non c’erano scimmie sulla Moby, che lui sapesse.

Quella però non attese che la situazione di sbloccasse e con un bello strattone portò via in un sol colpo il frutto conteso dalle mani della piccola, correndo immediatamente verso l’uscita della sala con la refurtiva in ben stretta tra le tozze dita, sbraitando contenta la propria vittoria con suoni acuti e prolungati.

Tutta la ciurma della Moby era rimasta a bocca spalancata per quella inattesa ed alquanto assurda scena e fu naturale per tutti guardare la reazione di Momo.

Quest’ultima non si era mossa di un millimetro, talmente shockata per il sopruso appena subito da non avere nemmeno la forza di muovere gli occhi né tantomeno cambiare espressione. Poi la videro abbassare lentamente gli occhi alle proprie mani, vuote e desolate come non mai.

Sbatté un paio di volte le palpebre , per poi fare qualcosa che fece mancare il fiato a tutti quanti. Le sue sopracciglia si incrinarono verso il centro e la mandibola le si irrigidì rabbiosamente, facendole stringere le labbra proprio mentre gli occhi scattavano verso l’alto, ansiosi di trovare la scimmia ladra.

La paradisea piantò le mani sul tavolo con talmente tanta forza da farlo sobbalzare, rialzandosi di scatto e con un balzo partire all’inseguimento della propria colazione, sotto gli occhi sbalorditi di tutti.

Marco ed Ace guardarono Momo scomparire a grandi falcate dietro la grande porta della sala, esattamente dove di era diretta la scimmia ladra.

Entrambi tentennarono un pochino prima di riprendersi da quello che avevano visto, ma, non appena riuscirono a darsi una scrollata, il ricordo della nuova espressione assunta da Momo fece partorire loro un unico ed innegabile pensiero.

Dannazione quant’era sexy quando si arrabbiava.

 

Atto 10, scena 6, Arioso del rocambolesco inseguimento

Ero arrabbiata. Furiosa come mai ero stata in vita mia. Non era tanto il fatto di volermi riprendere quella particolare mela a farmi correre come una forsennata dietro quella scimmia, ma il principio! Accidenti, ero su quella nave da 4 giorni! Quattro giorni! E in ogni singolo momento di quel breve periodo non avevo fatto altro che accumulare figuracce su figuracce.

Credevo di poter quietare almeno durante i pasti. E invece no! Adesso mi vedevo fregare la colazione da una scimmia comparsa dal nulla! No, non ci stavo. Avessi anche dovuto correre a perdifiato per tutta la nave l’avrei trovata e l’avrei costretta a ridarmi quella stupidissima mela!

Lo so, non era molto maturo pensarla in quel modo. Ma che potevo fare? Non ne potevo più di quella situazione.

Finalmente l’avvistai: stava ciondolando a testa in giù dalla ringhiera della scalinata principale. Di riflesso accelerai, portando lo spostamento d’aria a tirarmi indietro i capelli, ma quella, vedendomi, mi diede appena il tempo di compiere uno scatto, prima di sgusciarmi dalle dita, facendomi quasi stampare la faccia sul pavimento.

La guardai più accigliata che mai e questa mi rispose ballandomi davanti agli occhi, giocherellando con la mela tra le mani, e poi darsi due sonore pacche sul sedere in mia direzione.

E la rabbia montò più forte di prima. Voleva la guerra? E guerra avrebbe avuto!!

Mi rialzai immediatamente, ottenendo solo di farla scattare lungo la continuazione del corridoio. Avrei tanto voluto urlarle contro di fermarsi, oh se lo volevo, eppure mi bloccai decidendomi sul da farsi. Alzai gli occhi, determinata a finire quello che avevo cominciato.

Mi preparai mentalmente, flettendo le gambe e richiamando in me le sensazioni che mi avevano fatto scattare in quel modo tremendamente veloce la sera prima davanti ad Ace. Per me era stato strano fare una cosa simile, ma anche se non sapevo da dove mi venisse, ero sicura di poterlo rifare. Bastava che rifacessi le stesse cose della sera precedente.

Portai le braccia al resto del corpo, in modo tale da farle aderire completamente, e poi alzai gli occhi sulla figura ormai lontana dell’animale.

Strinsi i denti, caricando quanto più slancio riuscii. Non le avrei permesso di andarsene in quel modo.

Poi partii, flettendo il corpo durante il salto e voltandomi a mezz’aria. Un istante, e già mi ritrovai davanti alla scimmia, con le braccia al petto ed un piede a tamburellare sul pavimento in segno di impazienza. Quella spalancò la bocca scandalizzata, cominciando a tremare da capo a piedi alla mia vista.

Io però non mi feci intenerire: o la mia mela o niente perdono. Mossi lentamente una mano puntandone l’indice verso terra, facendole capire che doveva poggiare il frutto della nostra contesa a terra.

Quella però non solo mise la mela perfettamente dove avevo indicato io, ma si prostrò letteralmente ai miei piedi, mettendosi a faccia e braccia a terra.

Nonostante un breve momento di smarrimento,sorrisi vittoriosa, contenta della mia piccola grande impresa.

Momo!” “Chibi-chan!”

Le due voci famigliari provenienti dalla fine del corridoio mi fecero riaprire gli occhi, ritrovandomi a faccia a faccia con Ace e Marco, evidentemente accorsi in mio aiuto. Entrambi mi guardarono sbalorditi quando mostrai loro la mela, ridacchiando contenta.

 

Atto 10, scena 7, Red Force

MONSTER!!”

L’urlo infelice di Foras squarciò quasi in due la Red Force, mentre Ben ed Usopp tentavano in tutti modi di calmare il gigante pelato, chino a terra con la testa tra le mani, singhiozzando disperato come un bambino, dandogli delle amichevoli pacche sulle spalle.

Ormai erano ore che continuava in quel modo e nulla sembrava potesse tirarlo su di morale. Il combattimento con la marina si era protratto fino all’alba e solo in quel momento si erano accorti che al loro equipaggio mancava un componente: la loro mascotte, Monster.  Foras all’inizio aveva creduto si stesse solo nascondendo, ma dopo ore ed ore di ricerca si era reso conto che il suo adorabile compagno di viaggio non si stava nascondendo da lui, semplicemente non era presente sulla nave.

Shanks guardò dispiaciuto l’amico, non sapendo proprio che pesci pigliare. Avevano fatto di tutto. Si erano mobilitati in massa per ritrovare il loro fedele e casinaro compagno, ma niente. Avevano addirittura messo sotto torchio Roid, stavolta chiuso nella stiva della nave, sperando di poter ricavare qualche informazione utile, ma anche quella volta i risultati furono deludenti.

Il Rosso si sfregò il mento più pensieroso che mai, prendendo in analisi ogni possibile eventualità. Pensare che Monster fosse caduto in mare non era possibile, data la sua innata capacità di arrampicarsi e di nuotare come lo stesso Foras gli aveva insegnato. Che fosse rimasto sulla nave del vecchio Garp era un’altra opzione da scartare: non avevano visto il primate neppure in quell’occasione.

Rimaneva un’unica problematica possibilità.

Diede un paio di colpetti sulla testa calva dell’amico, facendogli alzare la testa con le lacrime che ancora gli solcavano il viso.

“Tranquillo amico mio, Monster starà benone…” ridacchiò lasciando di stucco tutta la ciurma “…, ma faremmo meglio ad andare a riprendercelo, prima che il vecchio Newgate lo faccia legare al pennone della nave.”

 

Atto 10, scena 8

“Cambiamo rotta?” ripetè Marco, non credendo alle parola appena sentite pronunciate dal babbo. Erano tornati da pochissimo dal loro breve ma memorabile inseguimento, portando come trofeo la scimmia legata come un sacco di patate. Momo aveva fatto in tempo a saziarsi come tanto desiderava prima che il capitano della Moby desse loro quella notizia.

Accanto a lui Satch, Vista e Jaws lanciavano sguardi interrogativi al padre, non volendo azzardare domande inutili che avrebbero in ogni caso ottenuto risposta: al capitano non piaceva dare ordini ai propri figli senza le dovute spiegazioni. Eppure Ace non riusciva mai a trattenersi in simili situazioni.

“Ma papà…” intervenne Pugno di Fuoco aggiustandosi il cappello con un dito “… le nostre scorte di acqua e di cibo sono sufficienti per altri 3 mesi.Perchè fare una deviazione?”

Lo sguardo che Edward Newgate volse verso la piccola paradisea fu più che sufficiente a spiegare buona parte delle sue motivazioni.

“Ho intenzione di far diventare la piccola Momo parte della ciurma…” rispose il gigante serio in volto, cosa strana per un uomo come lui, specie quando si parlava di adottare un nuovo membro nella famiglia “… e vorrei che cercasse di coltivare le sue capacità in un ambiente più consono.”

Tutti quanti annuirono, d’accordo con il pensiero del vecchio. Momo poteva essere dolce e simpatica, ma era anche indifesa ed essere figlio di Edward Barbabianca non prevedeva essere scarsi nel combattimento, visti i continui attentati alla vita del comandante ed alla nave stessa che si ripetevano periodicamente. Quello a cui si stava riferendo il babbo era un vero e proprio allenamento, atto a far sì che alla piccola fosse dato un posto nella ciurma.

“E per dove?”  fu la domanda fatidica sulla quale Marco aveva ragionato più tempo del dovuto poggiato scompostamente sullo schienale della sedia ed osservando attentamente Momo continuare a mangiare, non potendo capire i loro discorsi. Aveva una strana sensazione. Un brutto presentimento, circa la destinazione che sarebbe potuta essere la decisione del babbo.

Non che lui avesse avuto problemi per le isole da loro protette e visitate periodicamente, ma ce n’era una in particolare per la quale mai e poi mai avrebbe voluto deviare.

“Inari Fountain.”

Dalla sua postazione Momo vide il volto abbronzato di Marco impallidire notevolmente e si chiese se si stesse sentendo male a causa di qualcosa che aveva mangiato.

Fine Atto Decimo. 

E anche questo atto è finito. Ho solo un unico piccolissimo annuncio da fare, anzi due in uno: primo, se e dico se Oda-sensei mi fa lo scherzo di uccidere anche Marco, giuro GIURO che vado lì e rapisco sua madre, suo padre e chicchessia, ma non mi può uccidere anche lui! Cappio! È una caspita di fenice! Se riesce ad uccidere anche lui vuol dire che proprio ce l’ha con noi fan girl! Secondo! Perché ditemi perché ci devono illudere a noi povere scrittrici? Dico, da un SECOLO che portiamo questa convinzione assoluta che Satch sia biondo e loro cosa fanno? Eh? Cosa fanno? Lo fanno pel di carota!! Ecco cosa succede a fidarsi delle prime immagini di personaggi manga sullo schermo! Ti trasformano il biondo dei capelli in ARANCIONE! No, basta per favore trattenetemi o giuro che mi alleo con i cinesi e faccio guerra al giappone. Conquisterò Tokyo e metterò a ferro e fuoco casa Oda.

Va , basta così, sono scontenta di aver aggiornato prima del previsto, ma visto che stanno cominciando le lezioni e io devo fare ancora tre esami, direi che è meglio sveltirsi. Ehehe^^’’

Quindi, passiamo alle domande e non sperate di passarla liscia alleandovi! Voglio originalità! Datemi la giusta ispirazione attraverso le vostre idee più pazzoidi, donne!

1)      Che frutto del diavolo fareste mangiare al piccolo Morgan? (spoileronee!! XD)

2)      Che stile di combattimento vi immaginereste per Momo alias Allegra?

Popolo votate!! XD

Ci vediamo tra massimo due settimane!! Kiss kiss!! ^*^

 

Note di LIBRETTO: Jap  >  Ita

Tabetai? Dōzo meshiagare. Watashi wa koko ni tadoritsuku.. > Vuoi mangiare? Vai pure. Finisco io qui.

                                  Ita  >  Jap

Betty-san, p-per favore si fermi. > Betty-san, i-iamete kudasai.

Per favore, per favore, per favore. > Kudasai, kudasai, kudasai.

Una scimmia? > Saru?

 

 

 

 

   
 
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