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Autore: ribrib20    06/10/2010    1 recensioni
"Un dio immortale non può innamorarsi”. Può una storia d’amore superare ostacoli come l’eternità e la morte?
Questa storia è arrivata ultima al contest "Il cielo sopra Berlino" indetto da hotaru.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Molto tempo passò da allora.

I due giovani continuavano a vedersi, come avevano sempre fatto.

E ridevano e scherzavano, lei diventava rossa quando lui le sussurrava all'orecchio parole d'amore per poi darle candidi baci sul viso e allora il ragazzo rideva della sua timidezza. Rideva perché era felice di avere quella creatura incantata tutta per sé.

Le loro giornate trascorrevano liete. Nessuno dei due tirò più fuori la discussione avuta tempo fa, quella sulla differenza tra mortali ed immortali. A nessuno dei due importava più: sapevano che prima o poi la morte, crudele, li avrebbe separati, ma a loro non interessava. Non più di tanto almeno: decisero di comune accordo di non parlarne

più e di vivere al massimo quel poco tempo che era loro concesso di passare assieme; senza problemi, senza dolore.

Anche se a volte, entrambi si rabbuiavano, al pensiero che quella loro pace, quella loro felicità non era destinata a durare. E allora nessuno parlava più, e cominciava un gioco di sguardi e di detto non detto che culminava con gli occhi lucidi di lei e con lo stringerla forte a lui, che dolce le sussurrava: << Non piangere tesoro mio. Anche se non staremo più assieme fisicamente, il mio amore per te rimarrà immutato per sempre. Solo quando io morirò allora smetterò di amarti. >>

<< E' una promessa? >>

<< Te lo prometto >>

E allora lui la cullava, carezzandola e baciandola finché ella non si calmava e tornava piano a sorridere.

Accadde però un giorno, in cui i due dovettero separarsi, poiché il dio era stato invitato ad una festa e non poteva mancare.

<< Non puoi portarmi con te, vero? >> gli aveva chiesto la fanciulla e lui, com'era ovvio, le aveva risposto che no, proprio non poteva.

<< Allora ti aspetterò >> e sorridendo gli aveva baciato le labbra e si era congedata.

Ma prima che se ne andasse, quando già gli aveva dato le spalle, l'aveva abbracciata, e affondando il naso nel suo collo, per ispirare il suo profumo, le aveva sussurrato di non mettersi nei guai, e che lui avrebbe pensato a lei in ogni momento. Lei aveva sorriso e aveva detto:<<  Se avrò bisogno ti chiamerò, e tu verrai subito da me, vero? >>

<< Certamente >> aveva risposto il dio, e dopo un ultimo bacio l'aveva lasciata andare.

Ma un brutto presentimento si stava facendo largo nei suoi pensieri.

Scuotendo la testa decise di non darci peso, "non farti le cosiddette seghe mentali! Muoviti su, ti aspettano!" l'aveva ammonito il suo cervello e allora lui aveva chiuso gli occhi ed era sparito per poi ricomparire nel cortile di casa sua, lì, in cielo.

<< Ben arrivato, mio caro figlio! >> l'aveva accolto la madre, mentre piano si avvicinava a lui con le braccia aperte, in cerca di un abbraccio. Era bellissima, la madre di Amore: pelle d'avorio e neri capelli d'ebano facevano da contorno ad un viso delicato, dove spuntavano dei vivaci ed intelligenti occhi azzurri. Oh sì, Afrodite era davvero stupenda "e come potrebbe non esserlo? Lei è la dea della bellezza. Non vi è nessuna più bella di lei" eppure... eppure per il giovane la fanciulla umana era dieci, cento, mille volte più bella della dea che intanto gli carezzava il viso, sistemandogli i ciuffi ribelli dietro le orecchie e lo baciava sulle guance con amore.

"Ma guai a lasciarsi sfuggire una frase del genere. Sai com'è fatta tua madre. E' molto vanitosa ed orgogliosa. Non le andrebbe mai giù il fatto che suo figlio, il suo pupillo, trova una ragazza più bella ed affascinante di lei. Sarebbe troppo. Come una pugnalata alle spalle... e chissà cosa farebbe a quella fanciulla. Oh, non oso immaginare..." pensava il giovane, mentre la madre lo portava dagli ospiti e insieme salutavano con baci e abbracci tutti gli amici immortali; ma il pensiero del dio era altrove.

Era giù, sulla terra.

Accanto ad una giovane fanciulla umana.

"Spero stia bene. E che il mio sia solo un presentimento mal fondato..." << Amore! Che hai? >> la voce vivace di Amos lo riportò con la mente alla realtà. Si girò, e quando vide il sorriso allegro del suo giovane amico, non poté fare a meno di sorridere a sua volta << Buongiorno Amos. >>

<< Cosa mi racconti? >>

 << Nulla di importante. >>Rispose col tono di chi non crede a ciò che dice << Non mentirmi amico mio. Ci conosciamo da troppo tempo per non capire se qualcosa non va nell'altro. >> Rispose il suo amico, guardandolo coi suoi occhi neri, così penetranti che pareva scavassero nei meandri più nascosti dell'animo del suo interlocutore.

Alla fine, sotto quello sguardo e certo di potersi fidare di lui, Amore ammise: << Stavo pensando >> disse infine il dio
<< A che cosa? >>
<< Ad una passante che sotto la pioggia chiuse di colpo l'ombrello, lasciandosi bagnare tutta. >> e detto questo ripensò a quando, una volta, giù sulla terra aveva piovuto dopo mesi di siccità: lei aveva chiuso di colpo quello strano oggetto umano e, ridendo, era corsa sotto le goccioline fresche, felice.

Raramente l'aveva vista così, perciò l'aveva raggiunta e, dopo averla abbracciata, l'aveva baciata.

Dolcemente.

E le aveva detto di amarla.

Per la prima volta aveva confessato i suoi sentimenti.

Lei non aveva detto nulla. L'aveva abbracciato di rimando, sorridendo e restando lì, sotto la pioggia.

Sorrise a  quel piacevole ricordo.

Intanto il suo amico lo osservava come se volesse capire, comprendere un qualcosa. Lo sguardo attento del suo interlocutore riportò Amore alla realtà e, ben cosciente delle leggi che vigevano lassù, decise di guardare Amos di rimando, cercando di essere il più glaciale possibile, anche se gli veniva da sorridere.

Passarono interminabili minuti di silenzio.

<< Stai attento amico mio. Quel tipo di relazioni non sono ben viste qui. >> disse alla fine Amos, distogliendo lo sguardo per poi puntarlo verso un punto impreciso della folla.

Amore rimase turbato da quella frase, ma decise di non dire nulla. Seguì invece lo sguardo dell'amico, notando come stesse osservando una fanciulla dai capelli rosso fuoco.

"Che anche lui...?" si chiese, ma per il momento decise di non indagare più di tanto. Erano in cielo. E lì c'erano occhi e orecchie dovunque. Se due divinità (minori o maggiori che fossero) volevano parlare di fatti privati, dovevano farlo parlando in codice, in modo che altri non capissero.

Era dura, la vita lassù.

<< Faremo attenzione entrambi allora. >> disse infine Amore, prima di portarsi il calice pieno di vino alle labbra, assaporando il succoso nettare rosso.

<< Già. >>

La conversazione tra i due amici morì dopo quel breve ma significativo scambio di battute.

Passarono i minuti, le ore, e Amore continuava a scambiare battute un po’ con tutti, concedendo a ciascuno un sorriso di circostanza, poiché ormai, i sorrisi veri li riservata solo alla creatura che amava.

Quella stessa creatura che era sempre nei pensieri del dio e che anche ora, mentre stringeva la mani ad un parente e baciava le guancie ad un altro, popolava la sua mente: "chissà cosa starà facendo in questo momento..." continuava a pensare, mentre il cattivo presentimento che l'aveva colto quella mattina stessa, mentre lei si allontanava, tornava a farsi vivo in lui.

Non potendo più andare avanti con questa tensione sempre crescente, decise di allontanarsi dalla folla che banchettava allegramente con una scusa, per poi dirigersi nelle sue stanze private.

"E ora, fammi vedere dove sei, così non appena ti saprò al sicura, tutta questa ansia abbandonerà il mio corpo...".

Si sedette sul letto, portando le mani appoggiate alle ginocchia. Si guardò in giro un paio di volte, per controllare che nessuno arrivasse e infine chiuse gli occhi concentrandosi sull'aura della giovane, fino a trovarla: stava camminando tranquillamente per le vie affollate della città, serena.

Mentre la osservava camminare sorrideva dolcemente, il dio, pensando per l'ennesima volta che ella fosse la creatura più bella che avesse mai visto.

Vedendola al sicuro decise di interrompere il "pedinamento" e riaprì gli occhi.

Ma non appena lo fece avvertì la sua aura sparire per un attimo, per poi tornare, come prima. La cosa allarmò il giovane che decise di ricontrollare. Quindi richiuse gli occhi e seguendo la sua aura la cercò.

Ma di lei non c'era traccia da nessuna parte. Allarmato, egli continuò a cercarla, mentre man mano che andava avanti nella sua ricerca iniziava a sentire una debole voce: "aiutami! amore mio, dove sei? Aiutami, ti prego!" e in queste parole Amore riconobbe il tono di voce della fanciulla, che gli sembrava stesse piangendo.

Ancor più allarmato da ciò, il dio corse lungo i corridoi fino a trovarsi nel giardino ove stava la madre.

<< Tesoro, cosa succede? Per quale motivo sei così affannato? >> gli chiese Afrodite, avvicinandosi piano, mentre il dio, tra un respiro e l'altro le diceva: << Madre...io...non posso. Non posso restare... un impegno... >>

La donna, che aveva avanzato sino a trovarsi di fronte a lui lo guardò, tenendo sospesa la mano che aveva alzato per carezzargli il viso sudato. Sorridendo dolcemente, come solo una madre sarebbe in grado di fare con il proprio figlio, ella abbassò la mano verso quella di lui per poi prenderla delicatamente e condurlo sul letto, per sedersi accanto a lei. Ma quando incontrò la resistenza di Amore, che non ne voleva proprio sapere di stare lì a parlare con la madre, si girò di scatto verso di lui:<< Cosa può essere più importante di una piacevole discussione con tua madre? >> gli chiese e già l'avvertì, Amore, la pazienza della madre venir meno.

Troppo affanno, troppi misteri che ella non riusciva a capire: e lei odiava non capire.

Specialmente se si trattava dei comportamenti del figlio.

<< La vita della donna che amo. >> Disse secco lui, che ne aveva piene le scatole di stare lì mentre la vita della fanciulla a lui tanto cara era probabilmente in pericolo.

Ma questa sua impazienza gli fu fatale. Solo che sul momento il giovane non se ne accorse.

Detto questo si congedò, sparendo e lasciando sua madre sola in quella stanza.

Furente.

 

Arrivato sulla terra, Amore si concentrò unicamente sull'aura, sempre più debole, della giovane "Ai casini con mia madre ci penserò dopo" aveva deciso. Ora la sua priorità era una soltanto: trovare la fanciulla e salvarla. E allora corse, corse il dio per le strade della città.

Correva sempre più velocemente, senza fermarsi un solo istante, urtando oggetti e persone, guardandosi attorno affannosamente... corse fino a che non si bloccò in mezzo alla strada: l'aura già debole della ragazza era svanita.

<< No! >> Urlò improvvisamente e poi riprese a correre fino a che finalmente non la vide, riversa sul suolo  di un vicolo isolato dove non circolava mai nessuno. La vide e corse verso di lei, prendendola tra le braccia e chiamandola, due, tre, dieci volte.

Ma ella non rispondeva.

 I capelli sparsi disordinatamente sul suo viso, sulla sua fronte, le coprivano gli occhi semiaperti, mentre un rivolo di sangue scarlatto colava dalle sue belle labbra.

<< Ti prego! Ti prego, apri gli occhi! >> continuava a urlare il dio, preso dal panico mentre qualcosa di bagnato andava a scendere sulle sue guancie e un sapore salato si posava sulle sue labbra, per poi cadere e infrangersi sul viso della donna, bagnandone le guancie, il naso e le palpebre.

Continuava a chiamarla, ma ella non rispondeva e alla fine, rassegnato all'idea di averla persa per sempre, smise di chiamarla e l'abbracciò delicatamente, dando libero sfogo a quella sensazione a lui nuova: abbandono.

Lui si sentiva abbandonato per la prima volta da qualcuno, quando era sempre stato lui a sedurre e abbandonare le persone. Persone che puntualmente piangevano e chiedevano il motivo di un cambio così repentino; e lui aveva sempre risposto freddamente, quasi non gli importasse nulla dell'umano che aveva di fronte a sé. "Loro... si sentivano come mi sento io ora?" capì di essere stato la causa del dolore di quelle persone: le giudicava sciocche, perché si lasciavano andare a sciocchi sentimentalismi... "lui era superiore a tutto questo" pensava, e per questo le persone lo giudicavano superficiale, arido o come il classico dio che si elevava su un gradino più alto rispetto agli altri.

 Ma come dar loro torto? E d'altronde egli non aveva mai fatto nulla per smentire.

Ma ora... ora che piangeva per quella donna che lo aveva stregato, ora che provava quel lancinante dolore al petto, ora che voleva urlare con quanto fiato aveva in gola ma al tempo stesso desiderava solo il silenzio, in quel momento finalmente capì.

Capì che l'unico sciocco era lui.

Capì quanto profondi potessero essere quei sentimenti umani che lui aveva sempre deriso.

Capì tutte queste cose.

<< Non... piangere... >> un sussurro molto lieve lo fece sobbalzare, per poi fargli alzare di scatto il viso, verso la fonte di quella flebile voce: la ragazza lo osservava dalle palpebre socchiude e respirava ancora a fatica << Non piangere. >> Ripeté ella, alzando la mano verso i suoi occhi, per pulirli dalle lacrime << Sono qui. >> continuò. Amore le sorrise dolce e l'abbracciò con delicatezza per non farle male e, affondando il viso nei suoi capelli spettinati, continuò a piangere, ma questa volta erano lacrime di gioia.

Gioia per averla ritrovata.

Felicità perché lei non se n'era andata, lasciandolo solo.

Era tornata lì, da lui.

<< Mi hai fatto preoccupare. Pensavo di averti persa per sempre, mi sentivo così imponente... ti vedevo riversa al suolo, col sangue che ti colava dal labbro... eri fredda... credevo di averti persa. >> E intanto le carezzava piano i capelli e le puliva il viso come meglio poteva.

<< Mi spiace se ti ho fatto penare così tanto. >> rispose lei << Sono stanca … >> e detto questo richiuse piano gli occhi.<< Non preoccuparti. Ora sei qui, con me. Ti porterò a casa e li ti curerò. >> e detto questo la prese in braccio per poi sparire.

Intanto, degli occhi azzurri avevano osservato nell'ombra la scena.

 

Arrivarono poco dopo, nella stanza del giovane dio. Lui voleva andare direttamente nella sua casa ultraterrena, ma lei, flebilmente l'aveva sconsigliato: <<  Ci sono altre divinità … >> gli aveva detto con un filo di voce, prima di ripiombare nel buio dell'incoscienza; l'aveva quindi portata nella stanza che era solito affittare quando andava giù, nel mondo umano.

"Non posso portarla su. La guarderebbero male e mia madre si arrabbierebbe. Molto" pensando a questo scostò un ciuffo dal viso della giovane, che ora riposava sul letto dopo esser stata curata.

"Sei così fragile. Così diversa da me... ho l'impressione che potresti romperti con una mia semplice carezza..." pensava il giovane, ritornando col pensiero a quanto successo poco prima: l'aveva trovata riversa sul suolo, a pancia in giù e quando era accorso per aiutarla, aveva notato dei lividi sulla sua pelle e un rivolo di sangue cadere dalle sue labbra. In quel momento il suo primo pensiero era stato quello di portarla da qualche parte e curarla, ma ora che lei era con lui, al sicuro, poteva analizzare con calma gli eventi e pensare a possibili idee sull'accaduto.

Aveva analizzato l'idea della rapina, dell'aggressione con successivo tentativo di stupro o anche una regolazione di conti: ma troppe erano le possibilità, perciò capendo che non sarebbe stato in grado di venirne a capo da solo si era alzato dopo aver scosso la testa e l'aveva raggiunta, sedendosi a bordo del letto e carezzandole il viso, ora sereno.

<< Tu non hai idea, di quanto io ti ami. >> sussurrò, mentre sorridendo si chinava per baciarla dolcemente sulla fronte lievemente imperlata di sudore. << Anche...io. >> un lieve sussurro lo fece scostare velocemente dal letto: la voce della giovane che credeva addormentata, l'aveva colto di sorpresa.

<< Ehi, vuoi farmi prendere un colpo? >> le chiese, sorridendo maggiormente ora che poteva nuovamente specchiarsi in quel verde che tanto gli piaceva.<< Scusa, non volevo spaventarti. >> disse lei, piano. E  poi sorrise anch'ella, probabilmente felice di essere finalmente al sicuro, al suo fianco.

Il viso del dio si fece serio e, sedendosi a bordo del letto, al fianco della sua amata, le chiese ciò che più gli premeva sapere: << Cosa è accaduto? Chi ti ha fatto... >> e con un gesto indicò la sua guancia gonfia << ... questo? >> e poi la guardò tristemente, prendendole la mano tra le sue e aspettando pazientemente che lei iniziasse a raccontare:

<< Dopo che ci siamo salutati, io mi sono allontanata. Volevo andare al mercato e comprare un bell'abito... e qualcosa da mangiare. >> e mentre lei raccontava lui si limitava a carezzarle piano il volto, in silenzio << Dopo aver scelto un bel vestito e i pezzi di carne migliori, ho salutato i commercianti e mi sono diretta a casa, dove avrei preparato uno di quei piatti che piacciono tanto a te... io... volevo farti una sorpresa... >> e qui un singhiozzo la costrinse a interrompere il racconto: il giovane dio la prese tra le braccia e la cullò finché non fu pronta per riprendere da dove si era fermata:

 << Dicevo... stavo rientrando a casa, quando ho sentito qualcuno afferrarmi per il braccio e tirarmi su di peso, per poi calarmi un qualcosa, un panno forse, sulla testa. Ho avuto paura. Era tutto buio, non vedevo nulla e allora ho iniziato ad urlare e scalciare, ma più lo facevo più delle voci mi intimavano di smettere. Abbiamo camminato per non so quanto, e dopo un bel po’ ci siamo fermati e mi hanno messa giù, ordinandomi di non scappare. Ero paralizzata dalla paura. Hanno iniziato ad urlare, dicendomi che dovevo stare lontana da te, che non ero che uno sciocco passatempo e che non avrei mai potuto stare con te per sempre. Poi hanno iniziato a picchiarmi... ho provato a difendermi, ma loro... erano davvero troppi. Non ce l'ho fatta... scusa. >> e finito il racconto abbassò la testa, fino a coprire gli occhi, nuovamente velati di lacrime, con la frangia.

Amore dirignò i denti per la rabbia provocata da un gesto simile compiuto da ignoti "persone invidiose di noi, forse" i pensieri scorrevano come un fiume in piena: pensava, pensava a chi potesse aver fatto una cosa tanto deplorevole verso una creatura indifesa.

Potevano essere state le donne con le quali prima passava il suo tempo e che invece ora snobbava, che, prese dall'invidia, avevano minacciato la giovane di lasciarlo stare. "No, troppo deboli fisicamente. E poi ha parlato di una persona che l'ha caricata sulle spalle. Una donna, per quanto robusta di costituzione, non può portare in spalla un'altra fanciulla adulta. "Quindi, quella delle umane che hanno agito colte dall'invidia non regge..." ed era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse dello sguardo, ora preoccupato, della donna al suo fianco.

 Solo il lieve fruscio delle coperte e il successivo peso sul petto, lo ridestarono dai suoi pensieri. << A cosa stai pensando? >> una flebile voce lo fece voltare verso di lei, che lo guardava, in attesa di risposta.

<< A chi può essere stato. >>

<< E hai qualche idea? >>

<< Ho pensato a qualche umano invidioso, ma ho subito scartato l'ipotesi. >> Le disse, carezzandole piano i capelli.

Furono infiniti attimi di silenzio, durante i quali l'unico rumore che si poteva sentire era il loro respiro.

<< Mi spiace. >> disse lei, all'improvviso. Queste parole fecero aprire un occhio al dio, che precedentemente

aveva deciso di chiuderli, per potersi riposare: "a mente lucida si ragiona meglio" si era detto. << E di cosa? >> le chiede, alzandole il viso con l'ausilio del dito sotto al mento, per poi guardarla negli occhi.

<< Di averti fatto preoccupare. >> rispose la fanciulla, con un filo di voce e le guance rosse. << Sciocca. >> disse solo il dio, prima di riabbracciarla. << Nessuno ci dividerà mai. Nessuno. Hai capito? >> chiese, deciso. Sperava di infonderle un poco del suo coraggio, con quell'affermazione e la cosa sembrò funzionare, poiché lei sorrise, apparentemente tranquilla.  

Apparentemente, perché per un secondo nei suoi verdi occhi passò un velo di... dolore? tristezza? Nessuno

lo può dire. E il dio non se ne accorse.

Forse, se se ne fosse accorto, qualcosa sarebbe cambiato, o forse nulla sarebbe mutato, chi può dirlo?

Fatto sta che non vide nulla e quindi chiuse gli occhi, respirando il profumo dei suoi capelli, perdendosi in dolci sensazioni.

<< Non permetterò più a nessuno di farti del male. >> Le sussurrò, alzando gli occhi verso il cielo, come se volesse farlo sapere anche ad una qualche entità non presente. << Te lo prometto. >>

 

Intanto su, in cielo, Afrodite osservava il figlio.

 Il delicato viso etereo contratto in una lieve smorfia. << Figlio mio, è così forte il tuo amore per quella donna umana? >> Si chiese.

Aveva provato ad allontanarli, arrivando a rapire e minacciare quella giovane impertinente che come se nulla fosse le aveva portato via l'amore incondizionato dell'adorato pargolo.

"Chi era quella piccola mocciosa che aveva stregato il cuore del figlio?" continuava a chiedersi Afrodite, ma più cercava la risposta alle sue domande e meno la trovava, non capendo che la soluzione era proprio lì, davanti ai suoi occhi ed era molto più semplice di quel che credeva.

Decisa a far ragionare il figlio, provando a convocarlo lì, da lei.

Lo chiamò, dunque, interrompendo il suo riposo al fianco di quell'umana.

<< Dove vai? >> sentì dire dalla giovane umana al figlio quando egli si alzò piano, nella speranza di non farla svegliare. Lui allora si era girato verso di lei e le aveva sorriso amorevolmente: << Non temere amore mio. Tornerò subito da te. >> e, dopo averle dato un candido bacio a fior di labbra se n'era andato.

Di nuovo.

Era poi ricomparso davanti alla madre: lo sguardo gelido e severo di chi osserva il colpevole di una qualche brutta azione.

Forse perché in cuor suo lui aveva capito chi aveva fatto del male alla sua adorata.

Ma decise ugualmente di stare in silenzio per sapere il motivo di questa chiamata improvvisa. Anche se la rabbia, la voglia di urlarle contro era forte.

<< Mi avete chiamato, madre? >> chiese, ma nel suo tono non vi era quella gioia che sempre avevano contraddistinto la sua voce, quando era con la madre.

<< Figliolo adorato...non mi abbracci neanche? >> chiese, allargando le braccia e avvicinandosi a lui, sorridente.

Ma davanti a quella dimostrazione di ipocrisia, il dio non resistette più e quando la donna gli fu abbastanza vicina, la spinse lontano, senza tuttavia farle troppo male e le urlò contro: << Siete stata voi, vero!? Voi avete fatto del male a quella ragazza! >> urlò, con quanto fiato aveva in gola, ormai preda della rabbia, al ricordo delle ferite e degli occhi velati di lacrime di della fanciulla che amava.

Afrodite rimase interdetta di fronte alla reazione improvvisa del ragazzo. Suo figlio, sempre così calmo e freddo di fronte ai sentimenti, il suo adorabile figlio, colui che un tempo considerava gli esseri umani come semplici passatempi... ora si infuriava perché lei aveva tentato di allontanare con la forza una ragazza umana che aveva attirato tra le sue spire di serpe lui, l'amore della sua vita.

E Afrodite, si sapeva, era molto gelosa.

Quasi ossessionata dal figlio.

Per questo si era sentita tradita, da lui.

Tradita dal sangue del suo sangue.

E allora se l'era presa con quella mocciosa comparsa dal nulla.

Ma ora.

Ora che vedeva il figlio così... vivo; con gli occhi di solito freddi, ora così pieni di amore e passione, finalmente capiva.

Capiva che non aveva mai perduto il figlio.

Capiva che lui ormai era grande, e che era giusto che amasse chi voleva.

Ma questo, in un angolo remoto della sua persona, ancora le faceva male. Nonostante avesse finalmente capito.

<< Perdonami … >> Riuscì a dire dopo attimi di silenzio che le sembrarono infiniti.

A capo chino, l'orgogliosa dea Afrodite stava per la prima volta chiedendo scusa. E lo stava facendo nel modo più umile possibile. Questo improvviso cambio d'atteggiamento lasciò perplesso il giovane, che già si era preparato ad una litigata come mai prima d'ora e che invece si era trovato una controparte così... triste? Dispiaciuta? Nemmeno lui lo sapeva. L'unica cosa di cui era cosciente era il fatto che la donna che gli stava davanti senza guardarlo negli occhi, e che ora stava iniziando a piangere, gli stava chiedendo perdono.

<< Madre... >> aveva detto lui, avvicinandosi piano. Lei aveva sussultato al suono della voce del figlio e aveva chiesto nuovamente scusa, questa volta alzando il viso, improvvisamente rigato di lacrime: << Scusa, scusa figlio mio. Scusa per quello che ho fatto a te e a quella giovane! >>

<< Per quale motivo hai fatto un gesto tanto crudele su di una creatura che nulla ti aveva fatto? >> sospirò egli guardandola, alla ricerca di una giustificazione plausibile. Le scuse non gli bastavano: le aveva fatto troppo male.

<< Ero... lei... lei ti aveva portato via da me! Tu, figlio mio adorato, hai sempre amato solo me, tua madre. Il vederti con un'umana... per me è stato bruttissimo. Ho sentito come se il mio mondo, il mio bellissimo mondo crollasse... solo io. Solo io mi sentivo in diritto di avere l'amore incondizionato di mio figlio! >> confessò infine lei, singhiozzando.

Ma ciò che ottenne fu solo uno sguardo ancor più duro.

<< Mi stai dicendo che tu hai minacciato di morte e picchiato una ragazza indifesa...per GELOSIA!? >> proruppe il dio, ora più irritato che mai.

Non riusciva a capacitarsi infatti di ciò che la madre aveva fatto. E ancor meno comprendeva il motivo che c'era dietro a questo suo gesto.

Voleva il suo affetto tutto per sé?

Era gelosa?

Mai motivo fu più sciocco!

Ed è questo che le urlò, arrabbiato. Sordo alle scuse della madre.

<< Non voglio più sentire le vostre scuse madre! Avete compiuto gesti orrendi in nome di un mero desiderio egoistico! >>

<< Ma io...io volevo il tuo amore... >>

<< Sciocche scuse senza né capo né coda! La verità è che voi volete comandare le persone, controllare i loro sentimenti a vostro piacimento ed io, io che sono vostro figlio, non ne sono esente! >>

<< Cerca di capire amore mio... l'ho fatto solo per te... >> continuò mesta, la madre.

<< Per me?! >> non ci credeva. Adesso iniziava con la scusa del "tesoro l'ho fatto per te..." figuriamoci.

Adesso ci mancava che dicesse anche … << Non volevo farti soffrire. >> … Appunto.

La rabbia del giovane era ormai incontenibile. Per quanto tempo ancora la madre lo avrebbe preso in giro?

"Prima minacci e fai del male alla donna che amo, la cui unica colpa è essere umana, e poi ti comporti da madre preoccupata per il proprio figlio? Ma non ti rendi conto di quanta falsità trapela dai tuoi gesti, dalle tue parole?" pensava egli, mentre furente si avviava verso l'uscita della stanza.

Non voleva più vederla.

<< Dove vai? >> chiese la donna, che ancora in piedi, aveva smesso di singhiozzare e ora lo guardava: il trucco sbavato a causa delle lacrime rendeva ancor più goffo il suo tentativo di mostrarsi seria ed indifferente a ciò che stava accadendo.

<< Dalla donna che amo. >> Rispose solo, per poi poggiare la mano sulla maniglia ed aprire la porta. Stava finalmente per uscire, quando la voce della donna lo raggiunge << Sta morendo, figlio mio. >> disse solo.

Il dio allora si girò di scatto e la guardò: ormai la sua rabbia era incontenibile.

<< Ancora con le tue scuse?! >> le urlò contro, senza muoversi di un solo millimetro. Si limitava a fissarla, ora con rabbia ora con astio. I suoi occhi erano diventati così gelidi che per un attimo un brivido percorse la nuda schiena di Afrodite.

<< Non sono scuse. Sto dicendo il vero, sfortunatamente … >> continuò ella, decisa più che mai a rivelare al figlio quanto scoperto su quella fanciulla umana. << E' gravemente malata e le resta poco da vivere. >> continuò.

<< No. >> disse solo il dio. << Tu menti. Menti perché sei accecata dalla gelosia! >> urlò egli, scuotendo con vigore la testa.
<< Vorrei fosse così, figlio mio. Vorrei fosse solo una falsità, ma così non è. Sta morendo.  >> ripeté la madre, con serietà.

<< Basta! Non voglio più sentire altre fandonie architettate solo per separarmi da lei! >>

<< Tesoro... >>

<< Questa discussione termina qui. >> Decise il dio che subito dopo si congedò, sparendo.

La madre dal canto suo abbassò semplicemente lo sguardo, portandosi una mano davanti agli occhi, di nuovo

colmi di lacrime amare.
   
 
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