Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Hakigo    08/10/2010    2 recensioni
RACCONTO IN REVISIONE!
Cit Cap. 6: [Lo guardai imbarazzata e indignata, mordendomi il labbro, aspettando la sua reazione, ma lui mi stava semplicemente guardando, imbacuccato dentro Il suo cappotto da mille dollari e la dentro la sua sciarpa firmata. Sorrideva, col naso rosso e gli occhi brillanti.
In quel momento, quando mi sporsi verso di lui e lo baciai, capii.
La mia non era una cotta. Era qualcosa di dannatamente serio, troppo serio.
Mi cacciavo sempre nei guai, ma che potevo farci se non potevo vivere senza I miei stupidi problemi? Capii che l'amore non ha ostacoli, non ha pregiudizi, non ha ragione. L'amore è come una clessidra: se si riempie il cuore, la mente si svuota. Lui, quell'uomo splendido che mi teneva stretta a sè con il giornale ancora tra le dita, era il mio amore, il Dio del mio cuore e non avrei potuto impedirlo. L'amavo, l'amavo tantissimo e non avrei permesso al mio cervello di farmelo scappare, non ora che ne avevo tremendamente bisogno.
Quel bacio di una mattina gelida di settembre, mi scaldò più della cioccolata calda che ora giaceva impotente sul marciapiede.]

Un racconto attuale, che non mette da parte le difficoltà che propone la vita. Il tutto misto ad una tenera storia d'amore della protagonista Irene, un'italiana amante dell'arte e della buona cucina.
Buona lettura.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic

- NORMAN! - urlai sbattendo la mano sul compensato del suo divisorio.
Sussultò, voltandosi verso di me. Gli tirai il giornale in faccia senza troppi complimenti. Il Norman Fan club dietro di me stava ben attento a cosa accadeva e dai loro sguardi capii che avrebbero voluto mettermi in ginocchio da un momento all'altro.
Norman raccolse il giornale che nel frattempo era caduto per terra. Non potevo non essergli riconoscente, ma avevo sempre il mio orgoglio da difendere. Lo avrei semplicemente ringraziato più tardi.
- Hai letto l'articolo? - chiese euforico, sorridendo come uno scemo.
Mi innervosii ancora di più. Girai I tacchi e andai nel mio ufficio.
Il bacio in strada di quella mattina non mi era ancora passato dalla mente, tanto che non riuscii a lavorare come avrei dovuto. Tenevo la mia lavagna sul tavolo e osservavo le varie pubblicità, con il mento poggiato sopra I palmi della mano. Sapevo che a Norman non competeva quella rubrica nel suo ufficio, quindi probabilmente aveva spedito l'articolo al giornale dove avevo poi letto l'annuncio.
Sospirai, prendendo la lavagna, sedendomi comoda, accavallando le gambe. Cominciai a spostare le varie pubblicità, arrivando finalmente ad una soluzione.
- Ti invio l'intestazione sull'e-mail – dissi a Joe.
Non ci avevo parlato per niente quella mattina. Non potevo perdonargli le cose che mi aveva detto e cosa stava per fare con Grace, davanti al bambino, per di più. Io lo evitavo, anche se lui cercava di chiacchierare ogni tanto. Sapevo che non era conveniente lavorare in un'atmosfera simile, ma non avevo voglia di parlarci, ero troppo nervosa.
Dopo il lavoro, Norman mi accompagnò all'officina dove avrei potuto ritirare la mia auto.
Fortunatamente era tutto funzionante e sospirai di sollievo quando girai la chiave per accenderla, sentendola ruggire gioiosa. Ringraziai Norman e partii.


Decisi di passare da Angelina per una visita, dato che la sfilata ci aveva tenuto tutti un po' occupati.
Mi fermai di nuovo a prenderle altri fiori, stavolta delle semplici rose rosse, coi petali simili a strati pregiati di velluto.
Quando varcai la soglia, la trovai addormentata, con dispiacere. Avrei voluto chiederle che lavoro faceva suo figlio, ma non me la sentivo di svegliarla, visto che dormiva tanto profondamente. Mi fermai un po' ad osservarla.
Mi chiedevo se anche sul viso di mia madre stessero spuntando delle rughe simili a quelle di Angelina. Era un anno che non vedevo né lei né mio fratello e sentii il mio stomaco stringersi. Provavo una forte nostalgia verso entrambi. Mi mancava anche l'Italia, in realtà. Mi mancava il viso di mio padre, quello dei miei amici d'infanzia che non sentivo da secoli, il volto della nostra adorata vicina di casa. Tirai su con il naso. Pensando al mio passato mi sentivo tremendamente fragile e adesso anche l'unica persona che mi aveva trattato come una figlia al mio arrivo stava male.
Ero seduta sulla sedia, all'incontrario, in modo da poggiare I gomiti sullo schienale. Mi reggevo la testa con una mano. Più vedevo la mia adorata mamma americana, più mi salivano le lacrime agli occhi. Sarei salita su un aereo per l'Inghilterra anche immediatamente, solo per riabbracciare mio fratello e mia madre.
Quando scesi nell'atrio, alla fine dell'orario delle visite, non ero ancora riuscita a parlare con Angelina. Mi sedetti su una panchina che dava sull'autostada. Ormai era notte e il vento pungente settembrino si insinuava in ogni piccola fessura dei miei vestiti. Non mi importava del freddo. Stavo solo ferma a guardare l'autostrada, con le sue macchine in continuo movimento.
Mi ritrovai a pensare di nuovo a mia madre, a come si era sentita quando mio padre ci aveva traditi con la Mafia, nonostante avesse ucciso mio fratello, suo figlio. Cosa aveva provato? Tradimento, paura della persona con cui aveva condiviso I migliori anni della sua vita? E se Fernando fosse veramente dentro un giro di droga, probabilmente anche io mi sarei sentita allo stesso modo.
Mi ero sempre prefissa di non pensare con la mente, ma con il cuore. Eppure, mentre pensavo alle lacrime di mia madre, mi salì un brivido gelido su tutta la schiena.
Se il giro era abbastanza grande, probabilmente avevano anche qualche strozzino o assassini. E se una volta sposati, avessero ucciso nostro figlio? Correvo troppo con la mente, ma eravamo abbastanza grandi da pensare ad un possibile futuro insieme, anche perchè io non volevo assolutamente diventare mamma dopo I trent'anni. Preferivo passare gli anni più belli della mia vita con un bellissimo bambino fra le braccia e con un marito che mi tenesse caldo durante l'inverno.
Io non volevo giocarmi il mio futuro, tantomeno quello di possibili figli.
Sospirai. Forse dovevo lasciarlo perdere e dedicarmi a Norman il più possibile. Lui mi amava, forse anch'io avrei potuto amare lui un giorno o l'altro e se non ci fossi riuscita, potevo almeno affermare di averci provato con tutte le mie forze. Per quanto amassi in modo incondizionato Fernando, era arrivato il momento di finire una storia che non era neanche realmente iniziata. Mi odiavo per quella decisione, ma fino a quando non avessi scoperto cosa faceva in realtà, non avrei cambiato idea.
E se l'impressione di Grace fosse giusta? Forse la sensazione di essere spiata non era poi tanto strana. Forse qualcuno dei suoi scagnozzi mi stava spiando! Mi assalì il panico. Dovevo tenermi tutte le mie impressioni per me, senza destare sospetti.
Con il passare dei giorni facevo di tutto per non rimanere sola con Fernando, facendo rimanere sempre presente Grace, la quale era sempre felice di immischiarsi, visto che continuava a non fidarsi. Tutte le mie riflessioni avevano spinto anche me a diffidare di lui, naturalmente con molta fatica.
Una sera me lo ritrovai seduto, con la schiena poggiata sul legno della porta del mio appartamento.
- Buona sera. - fece lui senza calore, alzandosi dopo avermi visto.
- 'Sera – ricambiai dubbiosa. Grace ancora non era tornata ma se per una volta fossimo rimasti soli non sarebbe successo nulla, giusto? Arrivai alla porta – Entri? - chiesi e lui, con un piccolo accenno, mi seguì, fino alla cucina – Qualcosa da bere? -
- Solo un po' d'acqua, grazie. - disse con uno strano tono. C'era qualcosa che non andava.
Riempii il bicchiere e glielo porsi, arrossendo per il piccolo contatto che si creò fra le nostre dita, quasi una scarica elettrica che travolse completamente il mio corpo.
- Qualcosa...Qualcosa non va? - chiesi con tutto il coraggio che avevo.
- E' proprio questo il punto. Niente va al posto giusto. - obiettò pochi secondi più tardi, dopo aver svuotato completamente il bicchiere colmo d'acqua.
- Cos'è successo? - stavolta ero preoccupata veramente, si capiva alla perfezione dal mio tono. Mi voltai verso il lavello, dandogli le spalle, poggiando le mani sul ripiano. Che avesse capito il motivo per il quale lo evitavo? Ero finita.
Sentii un fruscio dietro di me e me lo ritrovai dietro. Sospirai, cercando di calmare il mio cuore. Perchè tutto doveva essere tanto difficile tra noi due? Non potevamo essere solo dei semplici conoscenti o amici? Comunque, in un modo o nell'altro, mi mettevo sempre nei guai e questo non andava bene.
- Dimmi tu cos'è successo, Irene. -
- Io? - balbettai.
- Fai sempre in modo di non rimanere soli. Eppure mi hai baciato tu stessa, per strada, quella mattina. -
Colpo basso. Mugolai. Sentivo il suo petto premere contro la mia schiena. Una delle sue mani passò ad accarezzare la mia. Stavo morendo o ero già morta, perchè quello era il paradiso. Rimasi in silenzio. Pensai all'istante che il mio amore per lui fosse come un pezzo di cioccolata per un bambino. Era troppo dolce ed invitante per non gustarlo, ma io dovevo resistere. Dovevo farcela.
- Mi sbaglio forse? - mi sussurrò caldo all'orecchio.
Mi morsi il labbro, abbassando la testa. Voleva entrare nei miei pensieri, voleva manovrarmi e ci stava riuscendo benissimo.
- Irene.. - sussurrò di nuovo, baciandomi la nuca, mentre la sua mano carezzava la mia con gesti lentissimi.
- Stai giocando sporco. - sussurrai a mia volta, coraggiosamente.
- Perchè non ho altro modo per comunicare con te. - si strinse di più, facendomi ansimare silenziosamente. Tuttavia, mi accorsi che alla mia sinistra avevo una via di fuga, visto che la sua mano era ferma sul mio fianco. Mi stava lasciando una via di fuga. Che fosse per quello che era successo quella volta in casa sua? Per quanto fosse difficile, mi divincolai un tantino, scivolando sulla sinistra. Riuscii a liberarmi ma mi bloccò il polso, dolcemente. Ripresi il respiro. Sentivo gli occhi lucidi e il viso in fiamme.
- Eri venuto qui per chiedermi qualcosa? - cambiai discorso al volo.
- Devo andarmene. - disse chiaro, serio. Negli occhi era presente ancora una piccola fiamma d'eccitazione.
- Eh? - domandai stupidamente.
- Devo andare in Inghilterra. - spiegò.
Annuii, aspettando che continuasse, ma lui rimase in silenzio. Mi stava chiedendo il permesso di andare? - Allora? -
- Non so per quanto tempo sarò via. -
- Non capisco - ammisi, guardandolo fisso, seria.
- Tu vuoi che io vada o vuoi che io rimanga? -
Quella domanda mi colse completamente alla sprovvista. L'America era distante dall'Inghilterra e io mi recavo oltre oceano solo per andare a trovare mia madre a Natale. - Perchè me lo stai chiedendo? -
Rimase deluso dalla mia domanda.
- Scusami, ho capito. - disse lasciandomi il polso – Pensavo, egoisticamente, di piacerti. -
Un tuffo al cuore. Non risposi. Ero senza parole.
Lui annuì. Mi venne incontro e mi strinse forte. Lo abbracciai di rimando, respirando a pieni polmoni il suo cappotto di pelle, impregnato di quel dopobarba che avevo imparato ad adorare, annusandolo sui miei stessi vestiti, quando mi capitava di sedergli vicino.
- Arrivederci. - disse baciandomi a stampo. Non feci neanche in tempo a chiudere gli occhi per la sua velocità.
Rimasi ferma immobile a guardare la sua schiena, poi la porta chiudersi.
Fu come se il mondo mi avesse chiuso ogni entrata ed ora rimanevo là, ferma immobile nella mia cucina, a fissare una porta dalla quale il mio mondo non sarebbe mai più entrato. Tuttavia, preparai la cena per noi tre.
Grace e il piccolo tornarono in tempo per la cena. Non dissi alla mia coinquilina ciò che era successo. Stava vivendo un momento bellissimo. Mi aveva raccontato di aver conosciuto un ragazzo alla sfilata di settembre e avevano cominciato a sentirsi da circa un mesetto. Infatti ultimamente restavo a casa da sola sempre di più. Sospirai. Il bambino era la mia unica fonte di luce, mi sentivo quasi come una mamma per lui e il non vederlo per ore consecutive mi rattristava.
Quella sera, cenammo allegramente guardando I cartoni che davano in tv e andammo a dormire, come sempre.
Mi addormentai con fatica. Non ce la facevo ancora a credere che non avrei visto Fernando per chissà quanto tempo. Come avevo potuto lasciarlo così, dopo una storia cominciata a malapena?
Ero ferma in un luogo vagamente familiare, l'Italia? Una chiesa alta e ricca di decorazioni alla mia sinistra, teneva le porte aperte, come se mi invitasse ad entrare e io obbedii, camminando piano, come se potessi precipitare da un momento all'altro.
Entrai. In fondo, davanti all'altare, un uomo vestito di bianco stava in piedi a fissare il soffitto.
Mi mancò il respiro, quando si voltò a guardarmi.
Andrea era lì, davanti ai miei occhi sognanti, immobile. Avevo sempre creduto che gli angeli sorridessero ai comuni mortali, mostrando fieri le loro ali candide e piumate, ma questo non sorrideva e non aveva ali e non sorrideva: sul suo viso era dipinta un'espressione di rimprovero, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato, mista a compassione e dolcezza.
Il pianto di un bambino, la porta della chiesa si chiuse all'istante e tutto cominciò a crollare, facendomi perdere l'equilibrio. Mi svegliai con uno scatto alzandomi a sedere. Mi sentivo sudata e il pianto di un bambino risuonava ancora ovattato nelle mie orecchie. Sobbalzai quando mi resi conto che il suono non era immaginario, ma arrivava dall'altra stanza. Little Joe stava forse piangendo? Perchè Grace non si svegliava per andare da lui?
Mi alzai, accigliata, accendendo la luce della cucina e poi quella dello studio. Il divano era stato aperto e le coperte erano leggermente in disordine, ma era evidente che nessuno ci avesse dormito dentro. Little Joe piangeva, seduto nel suo lettino. Di Grace neanche l'ombra.
Andai verso il bambino, prendendolo in braccio. Non aveva neanche un paio di anni. Cominciai a temere il peggio. Grace non era mai stata una cima in fatto di ragionamenti, ma se era accaduto davvero quello che stavo pensando, aveva toccato il fondo. Scossi leggermente la testa, mentre cullavo il piccolo che andava via via calmandosi, fino a quando non si addormentò fra le mie braccia. Lo risistemai nel lettino e andai verso il divano, passandomi una mano fra I capelli. Mentre mi sedevo, sentii un fruscio: mi ero seduta su un pezzo di carta e mi alzai per recuperarlo.

“Cara Irene, non odiarmi per quello che sto facendo.
Sento che stavolta ho trovato la pista giusta, con Holand, ma non posso vivere con il ricordo di Joe nella mia mente. Per questo ti lascio il mio piccolo, sperando che tu riesca a prendertene cura meglio di me. Faccio schifo come madre e sono felice di lasciarlo a qualcuno più competente di me. Andremo in Canada, dai suoi genitori. Sento che quesa è la mia occasione. Quando tutto si sarà calmato, forse verrò a riprendermi Alexander. Sul tavolo della cucina ti ho lasciato tutte le informazioni che potrebbero essere utili, incluso il numero e l'indirizzo di mia sorella e di mio fratello. Se non puoi prenderti cura tu del piccolo, rivolgiti a loro. Ti chiedo solo di non lasciare Alexander nelle grinfie di Joe. Non voglio che cresca con lui, nonostante la possibilità di godere di ogni bene inimmaginabile.
Scusa per tutti I problemi che ti ho creato, sei la mia unica vera amica. Ti voglio bene. Arrivederci,
Grace.”

Tutta la camera diventò più stretta, facendomi soffocare.
Avevo troppe cose da fare, non ce l'avrei mai fatta a mantenere un bambino con le mie sole forze.
Il mio primo pensiero fu quello di correre via, di lasciare quella dannata situazione in mano a qualcun altro, ma riuscii a calmarmi in fretta.
Mi alzai con gesti meccanici e le mie gambe cominciarono a muoversi da sole. Andai verso la porta, poi scesi le scale, arrivando fino al SUO piano. Era impossibile che fosse già partito e io volevo assolutamente vederlo. Volevo farmi stringere da lui e acconsentire ad ogni sua richiesta. Avevo un bisogno pazzo di affetto, di due braccia forti che mi abbracciassero, dei suoi occhi caldi fissi nei miei.
Arrivata davanti alla porta, suonai piano il campanello. Nessuna risposta.
Suonai ancora e ancora. Dopo dieci minuti nessuno era venuto ad aprire la porta.
Incapace di decidere il da farsi, mi buttai con la schiena contro il legno massello, accovacciandomi, cingendo le ginocchia con le braccia, piangendo. Caddi in un sogno profondo e privo di sogni.

L'indomani, la signora Maria mi riscosse dal mio sonno, facendomi sobbalzare.
- C'è un bambino che piange nel tuo appartamento! Cos'è successo, Irene? - domandò preoccupata.
Sussultai, mi alzai di scatto e con le gambe doloranti salii le scale, aprendo la porta con le chiavi che avevo nella tasca del mio pigiama. Il piccolo piangeva, facendomi dolorare la testa. Arrivai con passi svelti nello studio, trovandolo in piedi, aggrappato alla piccola ringhiera del lettino.
Appena mi vide, allungò le braccine tra le sbarre. Lo presi in braccio, portandolo in cucina e facendolo sedere nel seggiolone. Emetteva versetti strani e faceva smorfie come se stesse per scoppiare a piangere da un momento all'altro. Gli preparai il latte e per un po' stette calmo nel seggiolone, poi lo lasciai nel lettino a giocare con I suoi vari intrattenimenti.
Per tutta la mattina non avevo fatto altro che occuparmi del bambino, ma ora dovevo andare a lavoro. Decisi di chiamare I fratelli di Grace, io non ero brava con le esigenze dei bambini.
Composi il numero di suo fratello Ewon.
- Ewon West, chi parla? - chiese una voce dura e sensuale, che mi fece salire I brividi.
- Buon giorno, mi chiamo Irene.. - cominciai titubante.
- Non compro niente. - m'interruppe.
- ..sono un'amica di Grace -
- Ah, cos'è successo stavolta? - il tono seccato non prevedeva niente di buono.
- Grace era venuta ad abitare da me da un mese e mezzo circa, ma ora è sparita ed il bambino è rimasto qui. L'ha abbandonato. -
- Mi spiace, non posso prendere il bambino. -
- Perchè? È suo nipote dopotutto e io non so cosa fare! - protestai.
- Lei l'ha fatta venire a casa sua e lei se ne assumerà le responsabilità. Io e mia moglie non vogliamo altri guai, ne abbiamo abbastanza con il nostro. Buona giornata. - l'uomo chiuse la conversazione.
Dovevo aspettarmi una reazione simile, non mi aveva neanche lasciato il tempo di insistere. Mi sembrò istantaneamente di essere invecchiata di almeno dieci anni. Avevo sempre pensato che un bambino fosse un'enorme responsabilità ma fino ad un certo punto. Solo adesso mi rendevo conto che quella creaturina sarebbe diventata grande, avrebbe avuto bisogno di un'istruzione, di quaderni, penne e fogli per disegnare, per non parlare poi di assistenza mentre faceva I compiti. Poi sarebbe diventato adolescente, avrebbe cominciato a rispondermi male, forse a fumare e ad andare male a scuola. Non potevo farcela, sola, senza nemmeno un marito e un figlio mio.
Mi salirono le lacrime agli occhi, ma avevo ancora una possibilità. Composi il numero freneticamente.
Il telefono cominciò a squillare e attesi. Quando il terzo squillo andò a vuoto cominciai a piagnucolare come una ragazzina.
- Pronto? - rispose una voce maschile al quarto squillo.
- Pronto, mi chiamo Irene, sono un'amica di Grace... - dissi tutto d'un fiato.
- Oh – m' interruppe l'uomo. Dal suo tono era chiaro che non era la prima volta che una sconosciuta chiamava a casa loro per nome della cognata  – Dimmi pure. -
- Vorrei parlare con.. - sbirciai il foglio che avevo sotto gli occhi – Melany. È possibile? - chiesi gentilmente.
- Si, te la passo. - disse l'uomo, sparendo.
- Parla Melany! - rispose una voce seria, sullo stesso tono di Grace. Anche dalla voce si poteva dimostrare che erano sorelle.
- Mi chiamo Irene, sono un'amica di Grace. -
- Cos'è successo stavolta? - era un caso che rispondessero entrambi I fratelli allo stesso modo? - Come sta Alexander? -
- Vorrei parlare proprio di questo. Grace è andata via. Senza il bambino. -
- Senza il bambino?! Ma cosa diavolo...e dov'è andata? - la donna era tremendamente allarmata.
- Non lo so'...è fuggita con il suo fidanzato. - risposi, passandomi una mano fra I capelli. Sembrava quasi che le mie spalle cominciassero a pesare di più. Come aveva potuto Grace lasciarmi in una situazione simile? Fortunatamente c'era sua sorella – Io...io non so' cosa fare – dissi sull'orlo del pianto.
- Tesoro, mi dispiace tantissimo che mia sorella ti abbia messo in questa situazione. - rispose gentile e comprensiva. Evidentemente capiva il peso della situazione. - Dove abiti? - chiese dopo un lungo silenzio. Forse stava parlando con il marito. Sentii piangere un paio di bambini nel sottofondo. Non ci voleva. Non potevo sostenere un problema simile sulle mie sole spalle e ora che Fernando era partito, avrei dovuto fare tutto da sola.
- A New York, nel quartiere di Little Italy – singhiozzai.
- Così lontano! - esclamò.
Tirai su con il naso. Sapevo che Grace proveniva di San Francisco e forse non era stata una buona idea quella di chiamare sua sorella, ma probabilmente anche il fratello era della stessa zona, quindi uno valeva l'altro.
Stavo perdendo le speranze velocemente. Quanto sarei riuscita a resistere?
- Irene? - mi chiamò la donna all'altro capo del telefono.
- Si? - dissi con poco entusiasmo.
- Noi non possiamo partire immediatamente, dobbiamo organizzarci coi nostri figli – cominciò Melany – Ma potremmo prendere il bambino. Riusciresti a prendertene cura per almeno una settimana? - chiese dolcemente. Era evidente che fosse una mamma, perchè nessuna donna single mi avrebbe fatto una domanda simile. Sapeva che ci voleva pazienza con I bambini piccoli.
- Penso...Penso di si. - singhiozzai.
- Bene -
Lasciai I miei numeri e il mio indirizzo. Melany e suo marito Donovan si sarebbero presi cura del bambino fino a quando Grace non sarebbe tornata a casa. Nel caso non fosse tornata per almeno due anni, avrebbero subito provveduto con l'adozione. Mi sentii tremendamente sollevata. Ora però dovevo prepararmi per andare a lavoro. Fortunatamente era abbastanza presto.
Mi feci un bagno con il bambino nella vasca, che di tanto in tanto avvicinava le mani ai miei seni, cercando il latte che io non avevo. Ci lavammo per bene e giocherellammo con le paperelle. Poi indossai un accappatoio e cominciai a vestire il bambino. Non ero sicura di aver allacciato bene il pannolino. Alexander frequentava l'asilo aziendale, avrei chiesto a una delle tutrici di farmi vedere come si cambiava un bambino.
Mentre osservavo il pannolino mal legato, qualcuno suonò la porta. Strinsi bene l'accappatoio intorno al mio corpo e andai ad aprire. Non avevo lo spioncino, quindi vedere Joe davanti ai miei occhi mi spiazzò completamente.
- Buon gio- -
- Che ci fai qui? -
- ..no – disse sorridendomi – Posso entrare? - chiese cortesemente.
Aprii la porta lentamente e ridacchiò quando, dopo diversi secondi, riuscì ad entrare.
- Grace mi aveva chiesto di venire a prendere il bambino questa settimana. -
- Potevo portarlo io in azienda.. - dissi precedendolo nello studio, avvicinandomi al bambino.
Salutò il bambino con un bacio e poi osservò il pannolino – Chi lo ha cambiato? -
- Lo stavo cambiando ora...Non sono brava in queste cose – mi giustificai arrossendo, avvicinandomi.
- Beh, hai sbagliato. Guarda bene. - disse, mentre con gesti veloci apriva il pannolino, rimettendolo apposto – Si fa così. - disse guardandomi una volta finito.
- Ho capito. - dissi annuendo, vestendo poi il bambino sotto I suoi occhi indagatori che mi facevano sentire terribilmente a disagio, soprattutto perchè portavo solo l'intimo e l'accappatoio addosso. Praticamente ero nuda e con Joe non era precisamente una situazione sicura.
- Posso vedere la nostra foto? - chiese quando misi Alexander nel box.
- Certo! - dissi – Vieni.. - lo invitai a seguirmi. Avevo lasciato la macchina fotografica in camera da letto e solo quando ormai eravamo entrambi nella stanza mi resi conto di quello che avevo fatto. Afferrai la macchina fotografica e mi voltai di scatto, intenzionata a fargliela vedere in cucina. Stranamente, riuscii a passargli vicino senza essere assalita e sospirai di sollievo, ma quando ormai ero a un passo dalla porta, lui mi fece fare un passo indietro e chiuse entrambi nella stanza. Mi voltai, fulminandolo con gli occhi e lui approfittò per sbattermi contro la porta, facendomi dolorare leggermente la schiena. Afferrò I miei polsi, alzandoli e imprigionandoli con una sola mano. Gemetti piano per il doloretto che avvertivo, tenendo gli occhi chiusi, spalancandoli solo quando sentii la sua lingua entrare violentemente nella mia bocca. Un sapore di menta assalì la mia lingua. Strinsi gli occhi e la morsi più forte possibile. Lui tirò indietro il viso, gemendo per il dolore che gli avevo provocato. Volevo approfittare di quel momento per liberarmi ma non ci riuscii: la sua presa era troppo forte.
- Lasciami! - protestai.
- Fai parlare il tuo corpo. - ansimò a sua volta, sciogliendo con un movimento secco la cinta del mio accappatoio. Aprì entrambi I lembi di stoffa, osservando il mio corpo, facendomi vergognare tanto da sotterrarmi.  
Mi prese in braccio e mi appoggiò sul letto. In quel momento realizzai che in realtà a nessuno importava se andassi o non andassi con Joe. Avevo rifiutato Fernando e lui era andato via nonostante lo amassi da impazzire. Che importanza aveva se avessi lasciato fare Joe? Avremmo goduto entrambi, probabilmente avrei ricevuto una promozione.
Mi sentii sporca dentro per I miei pensieri. Non ero forse io quella che aveva sempre parlato di amore? Avevo avuto un unico uomo ed era un uomo che amavo.
Joe cominciò a slacciarmi il reggiseno e passo la mano dai miei polsi all'elastico delle mie mutandine. Un brivido di terrore mi scosse tutto il corpo. Ormai era tardi per opporsi, strinsi le mani e mi resi conto di avere ancora la macchina fotografica in mano. Un'idea mi balenò nella mente.
Accesi la macchina. Per un momento il mio assalitore mi lasciò andare per vedere da dove provenisse quel rumore e gli scattai una foto, accecandolo con il flash vicinissimo agli occhi, stordendolo. Scivolai sul letto, poggiando I piedi per terra e andando verso la porta. Joe si stava rialzando.
- Se fai un solo passo, mi metto a urlare. - lo minacciai e lui si bloccò di colpo – Fuori! - ordinai ma lui non si muoveva – FUORI! - urlai più forte e lui obbediente si avviò alla porta, uscendo e scendendo le scale.
Chiusi la porta di casa. Il bambino aveva cominciato a piangere per le mie urla e andai a consolarlo, con il battito ancora accelerato dall'agitazione. Sentii il rombo di un motore in strada e mi sentii più sicura.
Andai in cucina per prendermi un po' d'acqua. Attaccato al lavello c'era un piccolo post-it che non avevo notato. Come c'era finito lì? Lo strappai.
Un indirizzo e-mail era scritto in caratteri chiari ed eleganti. In quell'istante capii che il mio amato mi aveva lasciato il suo contatto, di modo che potessi contattarlo per eventuali ripensamenti. La mia felicità salì alle stelle. Quella sera stessa avrei aperto I contatti con lui.
Subito dopo però mi resi conto di quello che era appena successo. Avevo rifiutato Joe, con un bambino momentaneamente a carico. Mi avrebbe tolto il lavoro?

 Note Finali____

@babyblack : innanzi tutto ti ri-ringrazio per aver recensito di nuovo :D Allora, se parliamo di triangolo amoroso, non penso sia giusto inserire anche Joe, visto che lui non pensa decisamente all'amore ù___ù Il fatto della scommessa aveva proprio lo scopo di stupire il lettore e sono contenta che abbia ottenuto l'effetto desiderato. Scusami se ho aggiornato così tardi ma ho altre quattro storie da scrivere e sto seguendo un ordine ben preciso, yeah. Aspetto tue notizie, baci, haki-chan.

@momi87 : eh curiosona! Se ti dicessi ora il lavoro di Fernando, rovinerei la sorpresa :D Quello che dici tu è assolutamente vero: non è raro che tra ragazzi si facciano delle scommesse simili, speriamo solo di non rientrare mai tra i loro premi! Mi sento crudelmente soddisfatta per averti messo un po' sotto tensione, ma vedrai che fra pochi capitoli si chiarirà tutto. Che dire, spero che tu legga con lo stesso animo anche questo capitolo. Aspetto tue notizie, baci, haki-chan.

Eccomi tornata dopo un mese e un giorno dall'ultimo aggiornamento, chiedo venia! >_<
Spero che questo capitolo non vi abbia annoiato, perchè a me personalmente piace molto. Il racconto diventa sempre più intrecciato, arriveremo mai ad un finale simili al "per sempre felici e contenti"? Salutoni cari lettori, a presto! Stavolta cercherò di aggiornare prima, promesso! :D la vostra haki-chan <3
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Hakigo