Titolo:
Charming Damnation
Autrice:
Suicidal_love
Beta:
Shannara_810
Paring:
Arthur/Merlin and other.
Avvertimenti:
Slash- AU .
LongFic
N.A.: Questa storia nasce dalla mia mente malata.
Tutti
i luoghi sono stati inventati e i personaggi principali appartengono al
Telefilm “Merlin” i cui diritti vanno alla BBC.
Questa
fan fiction non si basa sui fatti avvenuti nel telefilm o altro, ma sono
inventati da me medesima ù__ù ergo non ho copiato *-*.
Per
ora il rating è verde, ma più in là lo potrei cambiare.
La
dedico alla my lady Shannara
come sempre che mi segue negli scleri ù__ù ti
regalerò Cas cara XD.
CHARMING DAMNATION
Il rintocco
della mezzanotte risuonò tetro e mortale per il piccolo villaggio di Aubrey, mentre oscure ombre strisciavano oleose per la
strada accompagnate dal solo gracchiare di un corvo solitario.
L’animale fendeva
l’aria immobile con fare silenzioso, scendendo sulla cittadella con un’espressione
a dir poco bramosa. Sì, bramosa se questo fosse stato possibile sul becco
aguzzo di un volatile.
Bramoso di
mietere qualche ignara anima che il gelo avrebbe portato via con sé, lasciando come
macabro testimone del suo passaggio solo un piccolo corpicino privo di vita.
Il corvo era
affamato.
Il corvo
desiderava spiriti puri ed incontaminati.
Perché era
questo che piaceva a Pierrot, o almeno era così che lo chiamavano gli abitanti
di Aubrey:
Pierrot, il
mietitore d'anime.
Era ormai norma
che ogni mese, quando la luna sorgeva alta nel cielo ed il suo spicchio dava un
poco di luce, che qualche orfano scomparisse nel nulla senza lasciare alcuna
traccia.
Un orfano se
il villaggio era fortunato. O peggio qualche bambino ricco e paffuto con la sua
intera famiglia.
Perché, sapete,
Pierrot amava sceglierle con cura le sue piccole vittime.
Preferiva bambini
graziosi, forse anche troppo, dallo sguardo grande e sincero; troppo ingenui
per capire di avere davanti ad un demone che si sarebbe cibato di loro.
Molti
sciocchi erano morti prima che i Vecchi di Aubrey si
rendessero conto delle preferenze del mostro che si aggirava nel buio delle
loro strade, ma non c’era voluto molto prima che anche quegli insignificanti
bacucchi iniziassero a prendere provvedimenti.
Ora solo orfani
o ladruncoli erano lasciati alla mercé del corvo, poiché i bravi e preziosi bambini
ricchi erano rinchiusi in casa, al sicuro nelle loro stanze benedette dal
parroco del paese ogni mese per impedire a Pierrot di entrare e cibarsi di quelle
fragili creature.
Il corvo
sorvolò i vicoli vuoti, gracchiando alla luna quasi fosse un lupo affamato.
Era una
serata di magra: non c’era nessuno in giro… nemmeno qualche barbone dall’animo
intirizzito dal peccato. Con la fame che aveva, si sarebbe accontentato persino
del più derelitto dei reietti.
Cibo, cibo,
cibo. Non riusciva a pensare ad altro. Era un’ossessione! Un’ossessione così
potente che per un attimo non ci fece quasi caso.
C’era un
bambino appoggiato sulle gradinate della piazza, o meglio doveva essere già un
ragazzino, ma era così piccolo ed infreddolito da non dimostrare la sua vera
età. Normalmente non ci avrebbe pensato due volte a nutrirsi e fuggire, però
questa volta la curiosità lo spinse a planare sullo steccato di una piccola
casa borghese ed osservare la sua preda con attenzione. C’era qualcosa di
stranamente affascinante nel pasto di quella sera.
I capelli
erano di un castano così comune, tuttavia avevano una sfumatura particolare
come non ne aveva mai visti in quella cittadina fuori Londra. E le ciglia… oh,
le ciglia! Così lunghe e nere che conferivano a quel visetto candido un'aria
angelica. Ciononostante niente attrasse di più il mietitore d'anime che quelle labbra, di un viola quasi cadaverico sotto il severo manto
del gelo invernale, ma che lasciavano intendere che al caldo sarebbero potute
divenire piene e rosse come petali di rosa sanguinea.
Il corvo
gracchiò ancora e scomparve, lasciando che una piuma nera s’infrangesse al
suolo, cosicché una scarpa nera e tirata a lucido potesse prenderne il posto su
quegli antichi blocchi di pietra.
Passi
eleganti si avvicinarono al ragazzino ed una mano guantata
di bianco cuoio gli toccò i capelli piano piano,
facendogli spalancare gli occhi mentre le iridi brillavano di un blu oltremare.
L'uomo inconsciamente
lasciò che le labbra gli si piegassero in un'espressione compiaciuta, quasi un
sorriso.
Il ragazzino
era sorpreso, però non sembrava per nulla spaventato. Bene, bene, bene.
“My lord?” Sussurrò il giovane con voce stanca, stroncata
poi da uno sbadiglio. Prese a strofinarsi le braccia, tentando di riscaldarsi
almeno un pochino. Chissà per quanto era rimasto lì.
Pierrot si
tolse il mantello caldo e lo avvolse intorno al corpo del ragazzo. Il suo pasto
continuava ad affascinarlo senza sosta. Non era da lui essere così gentile con
quegli esseri infimi, ma quella sera sembrava proprio piena di novità.
“Qual è il
tuo nome?” Domandò lo straniero con voce calda e roca tanto che il più giovane
rabbrividì, stavolta non certo per il freddo.
“My lord, il mio nome è Merlino” Replicò l’altro, ricevendo per
risposta una breve risata di scherno.
“Bene, Merlino. Il mio nome è Arthur.” Sibilò
Pierrot, anzi no Arthur, con un ghigno tanto crudele quanto affascinante.
Merlino,
Merlino, Merlino. E chi si sarebbe mai aspettato tanto coraggio in un corpicino
così piccolo?
Il secondo
rintoccò del campanile infranse l'aria stagnante della notte mentre l'uomo continuò
a studiare il ragazzino, mostrando il suo volto per la prima volta.
Era un viso
giovane ed etereo, tuttavia Merlino lo osservò con una certa inquietudine.
Lo sguardo
di quell’uomo era tanto limpido quanto oscuro. C’era qualcosa di strano che si
agitava in esso e per un attimo il ragazzino provò ad allontanarsi, fermato
prontamente dal mietitore.
Una mano
marmorea gli si posò sulla spalla, privandolo di qualsiasi energia.
“Non avere
paura Merlino, oggi la tua anima è al sicuro.” Diceva cose così strane,
quell’Arthur. Voleva fuggire lontano Merlino, eppure una parte di lui voleva
rimanere lì ad ascoltare quello straniero per sempre.
“Perché sei
in strada ad un’ora tanto tarda?” Gli domandò ancora, senza mai allentare la
presa.
Il fanciullo
dalla chioma corvina occhieggiò incerto alcuni ciuffi color oro ricadere sfrontati
lungo la fronte di Arthur e lasciò che le labbra gli si piegassero in un
leggero broncio. “Ho litigato con il mio tutore.” Disse accigliato, il volto
contorto in un’espressione buffa su un viso così giovane. L’espressione di uno
che ha ricevuto chissà quale affronto. Avrebbe voluto continuare nel suo
racconto ma questo venne stroncato subito dalla risata dell'uomo.
“E quale
torto hanno potuto farti, mio giovane amico. Quale imperdonabile oltraggio per un fanciullo tanto giovane?” Bisbigliò
il biondo, carezzandogli i capelli gentilmente.
Quella mano
gelata prese a scivolare nella sua chioma corvina, prima di scendere ipnotica
su di una guancia arrossata dal gelo notturno e su un collo bianco e sottile…
perfetto.
Perfetto se
non fosse stato per quella piccola voglia a forma di quadrifoglio proprio lì,
sotto l’orecchio.
Arthur
provava l’inspiegabile desiderio di tenerlo stretto a sé quel corpicino
infreddolito, e per una volta non era spinto dalla fame. Una fame completamente
dimenticata.
Merlino si
morse il labbro. “Non sono un fanciullo. Ho già dodici anni, my lord”. Ribatté
tra l’imbarazzo e la stizza.
Per tutta
risposta, Arthur rise ancora. “Come ho già detto, sei davvero
troppo piccolo ...”
Quelle
parole di beffa, però, scatenarono una reazione imprevista nella sua
"vittima", che lo guardò rabbioso… furente.
“Non sono
piccolo, razza di asino!” Esclamò il “l’indifeso Merlino”, lasciando basito il suo
biondo aggressore il quale, forse per la prima volta nella sua lunghissima
esistenza, si sentì preso in contropiede.
Accadde
tutto in un attimo, un battito di ciglia, ma fu un’esperienza così catartica da
lasciarlo senza fiato.
Poteva sentirle, Arthur. Sentire le ombre che si agitavano dentro
di lui ruggire come mai prima d’ora.
Il buio di
una notte senza luna. Avidità. Paura. Fame. Nere ondate di lussuria. Zanne.
Ogni più
piccola sfumatura di peccato e depravazione gli riempì i sensi, lasciandolo
quasi tramortito.
Tramortito…
e vivo. Così incredibilmente vivo come mai prima d’ora.
Dovette fare
uno sforzo enorme per riprendere il controllo di sé e domare quel turbinio
improvviso che, come una tempesta, si stavano abbattendo sul suo autocontrollo,
rispecchiandosi in pieno nelle sue iridi celesti che ora s’erano dipinte
dell’ebano più oscuro.
Respirò a
fondo, lasciando che la sua maschera di freddo cinismo calasse ancora una
volta. Picchiettò la fronte del suo giovane amico con scherno, riprendendo il
loro gioco. “Ah no, piccolo idiota? Per ora lo sei,
quindi ti consiglio di andare subito a casa, Merlino. Sì dal caso che d’orai n poi tu sarai mio e verrà presto il giorno in cui tornerò a prenderti.”
Arthur si
chinò a lasciargli un leggero bacio sulla fronte, prima di scomparire nel nulla
così com’era comparso.
Merlino si
alzò in piedi, stringendosi in quel mantello caldo e profumato. Fu in quel
momento che si accorse di quella strana collana in oro brillargli sul suo
petto, dove un ciondolo di drago con gli occhi adornati da preziosi rubini pareva
fissarlo di vita propria.
Lo tenne
stretto fra le mani, cercando con lo sguardo quell’Arthur per restituirgli un
dono così prezioso, ma dello straniero non vi era traccia. Solo un corvo
sorvolò quel vicolo spoglio gracchiando nella notte.
Il verso
dell’animale scosse Merlino dai suoi pensieri. Corse lesto verso modesta dimora
del medico di Aubrey, Gaius,
memore dell’avvertimento ricevuto.
Vedendo
scomparire il suo giovane amico oltre quella soglia sicura, il corvo posò le
zampe al suolo lasciando il posto alla figura di Arthur. Lo straniero si
appoggiò all'albero sentendo un sorriso di gioia increspargli le labbra. Lentamente
una pallida nebbia lo avvolse, mentre lesta e letale una sinuosa forma di donna
andava formandosi da quella foschia, il volto di bambola illuminato da un’aria
maliziosa.
“Arthur, ne
sei sicuro?” Gli chiese la nuova arrivata in un sussurro sottile, sistemandosi
con cura la pelliccia bianca sulle spalle.
“Sì ... ha il segno sul collo, l'ho visto. Inoltre la
collana di Kilgharra non ha tentato di ucciderlo
quando gliel’ho fatto scivolare indosso.” Rispose tranquillo
il bell’Arthur, osservando la donna portarsi una ciocca di capelli dietro
l'orecchio.
“Perché non l'hai preso stanotte? Che differenza c’è se è ancora un bambino?” Lo rimproverò,
ricevendo in cambio un'occhiataccia di sbieco.
“Morgana ... non voglio avere un moccioso come sposa! Poi chi la sente tua sorella?” La rimbeccò divertito, lasciando
scappare alla mora uno sbuffo seccato.
“Quanto ancora dovremo aspettare prima di riaverla con noi?”
Sospirò lei affranta, lasciando che le sue iridi di zaffiro si tingessero di
sangue. “Hai sentito Morgause...”
Continuò prima che un'altra voce, questa volta maschile, la interrompesse.
“Solo quando
i due eredi verranno riuniti, la grande madre tornerà negli Inferi”.
Morgana rise.
“Bravo Lancillotto, ormai sai a memoria la profezia”.
“Quella
profezia è la bibbia del mondo demoniaco.” Il nuovo arrivato era gelido nei
modi, ma la donna non fece una piega.
Arthur
scosse il capo, oramai abituato ai loro battibecchi. Iniziavano davvero a
stancarlo. Perché diavolo continuava a sopportarli? “Ancora qualche
anno e verrò a riprendermi quel piccolo idiota, non ha scampo. Sapete,
ha osato chiamarmi asino.” Era rimasto sul serio offeso da quel commento e
stavolta Morgana non poté trattenersi dallo scoppiare in una fragorosa risata,
sinceramente divertita.
“Oh, Arthur! Allora il tuo moccioso ha
capito in pieno la tua vera natura al primo appuntamento!” Rise ancora la
donna, prima di scomparire nel nulla assieme a Lancillotto, lasciandosi alle
spalle solo due occhi color cielo che brillavano nel buio in una tacita
promessa.
“Il giorno del tuo diciottesimo compleanno
verrò a prenderti, aspettami Merlino.”